Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-08, n. 202000130

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-08, n. 202000130
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000130
Data del deposito : 8 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/01/2020

N. 00130/2020REG.PROV.COLL.

N. 04122/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4122 del 2014, proposto dal Ministero per i Beni e le Attività culturali e del Turismo, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

i signori V G e I Z, rappresentati e difesi dall'avvocato P N, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M G in Roma, via Laura Mantegazza, n. 24;

nei confronti

il Comune di Gagliano del Capo, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza n. 2261 del T.A.R. per la Puglia - Sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) - del 7 novembre 2013, resa tra le parti, avente ad oggetto l’annullamento di una autorizzazione paesaggistica;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dei signori V G e I Z;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 26 novembre 2019 il Cons. Antonella Manzione e udito per gli appellati l’avvocato P N;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Gli odierni appellati proponevano ricorso innanzi al T.A.R. per la Puglia per l’annullamento del decreto della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio artistico ed etnoantropologico per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto del 18 dicembre 2006, con il quale era stata annullata l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria rilasciata dal Comune di Gagliano del Capo (LE) per l’ampliamento di una casa di civile abitazione ubicata sulla via litoranea Leuca-Novaglie e della nota di trasmissione dello stesso da parte del funzionario comunale competente datata 29 dicembre 2006.

2. Il Tribunale adìto, assorbendo tutti gli ulteriori motivi di censura, accoglieva il ricorso, condannando alle spese l’Amministrazione intimata, sull’assunto che l’annullamento non sarebbe più stato possibile, essendo già stata applicata la sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della l. n. 1497/1939 da parte della Regione Puglia con delibera n. 4805 del 6 maggio 1983.

Nel richiamato provvedimento, peraltro, si dava espressamente atto di « concordare con la Soprintendenza », avuto riguardo alla relazione n. 6053 del 19 aprile 1983, con ciò ascrivendo formalmente a quest’ultima la paternità della scelta di “monetizzare” la sanzione, in luogo della demolizione delle opere, siccome consentito dalla ridetta normativa.

3. Il Ministero per i Beni, le Attività culturali ed il Turismo ha proposto l’appello in esame avverso la sentenza del giudice di prime cure, che valuta come erronea perché il procedimento con il quale è stata irrogata la sanzione di cui all’art. 15 della l. n.1497/1939 è distinto e autonomo rispetto a quello incardinato dalla stessa parte con la richiesta di condono per le medesime opere, avanzata in data 14 marzo 1986.

Del tutto legittimamente la Soprintendenza avrebbe esercitato nuovamente i propri poteri di tutela del bene vincolato, annullando l’autorizzazione paesaggistica illegittimamente rilasciata dal Comune, poiché la costruzione realizzata, consistita nell’ampliamento dell’immobile originario con ulteriori vani (quattro camere, la scala interna, il pergolato, il disimpegno e il garage, oltre ai servizi), « per forma e volume altera una zona agricola di rilevante interesse paesaggistico e ambientale », dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. del 26 marzo 1970.

4. Si sono costituiti in giudizi gli appellati, chiedendo la reiezione del ricorso e la conferma della sentenza del T.A.R., anche richiamando i motivi di gravame non scrutinati dal giudice di prime cure.

L’iniziativa della Soprintendenza di richiedere loro la prevista indennità alternativa alla demolizione è documentata in atti sia dalla richiamata nota prot. n. 6053 in data 19 aprile 1983 dell’Assessorato all’urbanistica e all’edilizia residenziale della Regione Puglia, che dà atto della stessa, sia dall’avvenuta richiesta avanzata dalla medesima Soprintendenza al Genio civile di Lecce in data 6 agosto 1975 della perizia di stima dell’utile conseguito dagli interessati, necessaria per calcolare l’importo dell’indennizzo medesimo.

L’intervento, peraltro, ha conseguito anche il nulla osta forestale in sanatoria in data 6 maggio 1989 per i movimenti di terreno effettuati a scopo edificatorio da parte del competente ispettorato dipartimentale dell’Assessorato regionale all’agricoltura e foreste.

In relazione ai motivi di doglianza non esaminati in primo grado, gli appellati ribadivano il difetto di motivazione dell’atto impugnato, nonché l’avvenuta violazione da parte della Soprintendenza degli artt. 7 e 8 della l. n. 241/1990 in combinato disposto con l’art. 159 del d.lgs. n. 42/2004, avendo l’Amministrazione statale sindacato indebitamente il merito della scelta del Comune. Sarebbe infine stato pretermesso il preavviso di diniego di cui all’art. 10 bis della medesima l. n. 241/1990.

5. Con l’ordinanza n. 2749 in data 25 giugno 2014, questa Sezione del Consiglio di Stato respingeva l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza, ritenendo insussistente il periculum in mora « in considerazione della circostanza che l’abusività delle opere risale nel tempo e comunque, qualora l’esito del giudizio di merito sia favorevole alla parte appellante, il danno cagionato ai valori paesaggistici è sanabile con gli ordinari strumenti normativi previsti ».

6. In vista dell’udienza di discussione, gli appellati hanno depositato memoria per ribadire la propria prospettazione.

7. All’udienza pubblica del 26 novembre 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

8. Il Collegio ritiene che l’appello sia infondato e come tale da respingere.

9. Preliminarmente occorre chiarire che l’attuale thema decidendi può essere limitato alla censura già accolta in primo grado, che costituisce oggetto dell’unico motivo di appello da parte del Ministero per i Beni e le Attività culturali, ovvero l’asserita natura autonoma del procedimento sanzionatorio di cui all’art. 15 della l. n. 1497/1939, tale da rendere irrilevante nel successivo procedimento, conseguito all’istanza di condono presentata dagli interessati in data 14 marzo 1986, la pregressa valutazione di compatibilità paesaggistica resa all’interno della stessa.

Punto essenziale dell’odierna controversia, dunque, è la natura della richiesta di indennizzo di cui all’art. 15 della previgente l. n. 1497/1939 e la rilevanza della valutazione sottesa alla sua adozione sugli (autonomi) ulteriori procedimenti che, egualmente, presuppongono un giudizio di compatibilità paesaggistica delle opere realizzate.

10. Il comma 1 del citato art. 15, applicabile ratione temporis , così disponeva: « Indipendentemente dalle sanzioni comminate dal codice penale, chi non ottempera agli obblighi e agli ordini di cui alla presente legge è tenuto, secondo che il Ministero dell'educazione nazionale ritenga più opportuno, nell'interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche, alla demolizione a proprie spese delle opere abusivamente eseguite o al pagamento di una indennità equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione ».

La natura del provvedimento de quo , ove sia stato intimato il pagamento dell’indennizzo, dopo un’originaria oscillazione giurisprudenziale, è stato pressoché definitivamente (pur con le incongruenze di cui più avanti) ricondotto all’alveo sanzionatorio.

Si è al riguardo osservato che con il citato art. 15 il legislatore ha inteso perseguire una duplice vocazione, individuando uno ‘strumento bifronte’, che a seconda dei casi persegua una finalità (non soltanto) ripristinatoria, ma anche punitiva (Cons. St., sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6113; id ., 13 luglio 2006, n. 4420;
22 settembre 2006, n. 5574).

Pertanto la condanna al pagamento di una somma di denaro, quale alternativa alla demolizione, per un importo « equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito », si palesa come eventuale, ma mutua dalla -scongiurata- demolizione la ridetta finalità punitiva. Diversamente da quanto accade in caso di mancata demolizione di un abuso edilizio ritenuto di minore disvalore (si pensi all’intervento in parziale difformità dal titolo edilizio, pure posseduto), nel quale la monetizzazione dell’illecito consegue alla riscontrata impossibilità “tecnica” di demolire l’intervento senza pregiudizio per la parte “lecita” dello stesso, nel caso di specie l’opzione contenutistica si pone già a monte del procedimento sanzionatorio, caratterizzato dall’integra volontà punitiva, tale tuttavia da non ritenere necessaria la rimozione dell’opera, per lo più per riscontrata assenza di un danno ambientale.

11. Il provvedimento di cui all’art. 15, infatti, può presupporre o meno un danno paesaggistico-ambientale, ma ne assorbe comunque il disvalore, sanzionando la condotta del richiedente, stante che per prassi consegue alla “autodenuncia” dell’illecito a fini di legittimazione postuma dello stesso (sul punto, cfr. ancora Cons. Stato, n. 6113/2013, cit. sub paragrafo precedente).

A tale proposito, la Sezione ritiene di doversi attenere a quelle che sono state le indicazioni offerte dalla giurisprudenza amministrativa in merito all’obbligo per l’amministrazione di adottare un provvedimento sanzionatorio ex art. 15, l. n. 1497/1939, superando contrapposti orientamenti giurisprudenziali, proprio in relazione all’ipotesi in cui non venga all’evidenza alcuna lesione dell’interesse paesaggistico (cfr. le tesi sviluppate da Cons. St., A. G. , 11 aprile 2002, n. 4/02;
nonché ex multis Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2083).

12. Dalla rilevata natura sanzionatoria della misura indennitaria prevista dall’art. 15 della l. n. 1497/1939 si è ritenuto, sul piano degli effetti, che l'autorizzazione postuma, « pur inibendo il ricorso alla misura ripristinatoria, non può considerarsi un equipollente perfetto dell'autorizzazione tempestiva, lasciando fermo, in capo alla competente Amministrazione, il potere-dovere di procedere all'applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 15, legge n. 1497 del 1939 » (cfr. ancora Cons. Stato, n. 6113/2013).

Trattandosi, cioè, di un provvedimento di natura repressiva, lo stesso deve essere adottato dall’amministrazione in ragione della conclamata violazione dell’obbligo da parte del suo destinatario indipendentemente dalla presenza di un danno ambientale.

L’“indennità” prevista dall'art. 15 della l. 29 giugno 1939, n. 1497, in alternativa alla demolizione, in caso di violazione degli obblighi e ordini previsti a tutela delle bellezze naturali, costituisce infatti una sanzione amministrativa pecuniaria, e non una forma di risarcimento del danno, ed è perciò dovuta anche se la violazione delle norme non ha in concreto prodotto alcun danno paesaggistico-ambientale;
nella previsione normativa, il danno arrecato al paesaggio viene in considerazione solo come criterio di commisurazione della sanzione - in alternativa al profitto conseguito - e non come parametro per l'anno della sanzione medesima (Cons. Stato, sez. IV, 2 giugno 2000, n. 3184). L’assenza di un danno ambientale, che non ostacola il potere sanzionatorio assume, invece, rilievo sotto il profilo della commisurazione della sanzione, che sarà, conseguentemente, di minor importo (Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2010, n. 2160;
sez. VI, 18 aprile 2007, n. 1766;
C.G.A., 20 marzo 2009, n. 135).

13. Rileva la Sezione come occorra ora collocare il procedimento di sanatoria edilizia attivato su istanza dei medesimi appellati nella cornice sopra delineata.

Al riguardo, va altresì ricordato come da un lato la sanatoria edilizia è ammessa anche per interventi in zona sottoposta a vincolo, purché acquisendo il preventivo parere della competente Soprintendenza (art. 32 della l. n. 47/1985);
dall’altro, che quella paesaggistico-ambientale, dopo la novella del 2006 al d.lgs. n. 42/2004, si palesa ammissibile per tipologie di intervento tassativamente predeterminate (art. 167 del d.lgs. n. 42/2006).

In linea di principio, il rilascio dei titoli (quello edilizio e anche quello paesaggistico, nel caso di presenza del relativo vincolo) fa cessare la permanenza dei relativi illeciti (Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 2011, n. 1359).

Infatti, per il principio di legalità, le opere edilizie si possono considerare supportate da un titolo solo se quello richiesto dalla legge è rilasciato prima della loro realizzazione o successivamente (nei casi consentiti di condono o di accertamento di conformità), così come – sotto il profilo paesaggistico – le opere si possono considerare supportate da un titolo solo se la relativa autorizzazione è rilasciata e diventa efficace prima della loro realizzazione o successivamente (nei casi consentiti di condono o di accertamento di conformità).

L’irrogazione della sanzione prevista dal sopra citato art. 15 mira a punire il trasgressore, ma non sana l’illecito in quanto tale.

Ciò risulta comprovato dal fatto che non si è mai dubitato che – pur dopo l’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 15 – la regolarizzazione del manufatto possa avere luogo unicamente nel rispetto della normativa sul condono o sull’accertamento di conformità.

E’ significativo che nel presente giudizio gli stessi appellati hanno a suo tempo chiesto il condono edilizio ai sensi della legge n. 47 del 1985, nella consapevolezza che il bene - anche dopo l’irrogazione della sanzione pecuniaria - non risultava supportato da un titolo idoneo e che nel caso di mancata presentazione dell’istanza l’Amministrazione avrebbe potuto ordinarne la demolizione.

D’altra parte, l’irrogazione della sanzione pecuniaria ex art. 15 non ha mai avuto alcun rilievo sotto il profilo urbanistico-edilizio, sicché anche sotto tale profilo si deve affermare che – malgrado tale irrogazione – l’immobile debba essere ancora considerato abusivo, a tutti gli effetti.

Pertanto, correttamente il Ministero appellante ha dedotto che, malgrado l’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 15 della legge del 1939, la Soprintendenza ben poteva in linea di principio valutare la compatibilità delle opere realizzate, nell’ambito del procedimento di condono attivato dagli interessati.

Tuttavia, ciò non comporta l’accoglimento dell’appello, poiché il provvedimento della Soprintendenza impugnato in primo grado risulta effettivamente illegittimo, per difetto di istruttoria ed inadeguata motivazione.

14. Nel caso di specie, gli appellati non hanno attivato un procedimento di rilascio dell’autorizzazione postuma ex art. 7 della l. n. 1497/1939, ma hanno formulato l’istanza volta ad ottenere il condono ai sensi della legge n. 47 del 1985, trattandosi di opere ultimate entro la data del 1° ottobre 1983.

Il Comune di Gagliano del Capo, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 85 del 1985, ha trasmesso alla Soprintendenza il proprio “parere” favorevole reso in data 17 ottobre 2006, fatta salva la successiva “partecipazione” dell’autorizzazione paesaggistica « ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs. n. 42 del 22/01/2004 “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” ».

In attuazione dell’art. 159, la Soprintendenza ha annullato l’atto comunale, valutando l’opera incompatibile con l’interesse paesaggistico e ambientale da salvaguardare.

Il contestato atto della Soprintendenza risulta effettivamente illegittimo, come è stato correttamente dedotto in primo grado, poiché non ha tenuto conto della emanazione del precedente provvedimento di irrogazione della sanzione, disposta ai sensi dell’art. 15 della legge n. 1497 del 1939.

15. Occupandosi della indennità prevista dall’art. 15 della L. 1497 del 1939 la giurisprudenza ha espresso, a seconda dei profili di volta in volta considerati, orientamenti che muovono da presupposti giuridici differenti non sempre fra di loro armonizzabili.

In particolare, allorché la decisione verte sulla questione se la misura in discorso sia applicabile anche ai casi in cui le opere realizzate non abbiano arrecato alcun danno ambientale, l’orientamento prevalente, nel rispondere affermativamente, argomenta, come già riportato nei paragrafi precedenti, che la sanzione in discorso non costituirebbe un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenterebbe una sanzione amministrativa, applicabile sia in caso di illecito sostanziale comportante la compromissione dell’integrità paesaggistica, sia in ipotesi di illeciti formali consistenti nella mera trasgressione dell’obbligo di ottenere la preventiva autorizzazione paesaggistica (Cons. Stato, Ad. Gen. 11 aprile 2000, e T.A.R. Toscana, sez. III, 27 febbraio 2015, n. 326).

Quando, invece, il thema decidendum si è incentrato sull’individuazione del soggetto passivo, la giurisprudenza tuttavia sembra attribuire alla sanzione una connotazione esclusivamente risarcitoria, affermando che tenuto a sopportare le conseguenze della condotta contraria alle norme di tutela del paesaggio sarebbe non solo l’autore materiale dell’illecito ma anche l’attuale proprietario del bene (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, n. 4420).

Si tratta evidentemente, rileva la Sezione, di argomentazioni potenzialmente configgenti, che devono essere precisate nella loro portata onde evitare soluzioni contraddittorie.

Il Collegio, rifacendosi al richiamato insegnamento dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato laddove riconosce alla misura di cui all’art. 15 della L. 1497 del 1939 natura risarcitoria solo nel caso in cui l’opera per cui è stata concessa la autorizzazione paesaggistica postuma abbia effettivamente arrecato un pregiudizio ai valori paesaggistici tutelati dal vincolo (pur se non di entità tale da giustificarne la rimozione), non può non trarre dai ridetti principi ulteriori considerazioni utili ai fini della definizione dell’odierna controversia.

Se, infatti, a prescindere dalla finalità classificatoria posta alla base delle richiamate considerazioni, costituisce elemento dirimente dell’inquadramento del provvedimento la sottesa valutazione di sussistenza o meno di violazione paesaggistica sostanziale, è evidente che tale tipo di giudizio ha ispirato - rectius , doveva ispirare- la scelta di monetizzare il vantaggio, contrapponendolo alla demolizione dell’abuso. Diversamente opinando, si finirebbe per riconoscere al potere di scelta del Ministero, che comunque deve ispirarsi nell’opzione tra le due possibilità riconosciutegli dal legislatore all’ « interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche », contenuto arbitrario, anziché discrezionale.

16. Premesso ciò, al fine di stabilire se gli appellati, in quanto destinatari della sanzione paesaggistica correlata alla realizzazione dell’ampliamento del proprio manufatto abbiano effettivamente arrecato anche un danno ambientale, era indispensabile tenere conto delle ragioni della scelta originariamente effettuata in relazione alle medesime opere dalla medesima Soprintendenza.

Tuttavia, come dedotto dai ricorrenti in primo grado, il provvedimento impugnato non reca sul punto alcuna intellegibile motivazione.

In proposito, l’atto neppure accenna alla sanzione già irrogata per il riscontrato illecito ambientale, né alla valutazione effettuata per addivenire alla stessa anziché alla demolizione, né, conseguentemente, a quali diversi e autonomi profili di tutela del paesaggio ha inteso ispirarsi nel rivedere la propria precedente valutazione, peraltro a distanza di quasi due decenni.

Inoltre, l’accertamento relativo alla sussistenza del danno - e conseguentemente alla non sanabilità dell’opera - non può essere effettuato attraverso la formulazione di ipotesi astratte ma deve, invece, essere aderente al caso concreto tenendo conto di tutte le peculiarità che lo connotano.

17. Rileva infine per completezza la Sezione come la formulazione dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, concernente nello specifico la sanatoria paesaggistica, a seguito della novella del 2006 (d.lgs. n. 157/2006, in vigore dal 12 maggio 2006) non consente, salvo ipotesi tassativamente predeterminate, la valutazione di compatibilità ex post delle opere abusive (sul punto cfr. Cons. Stato, n. 3578/2012);
al contrario, la medesima norma, nella versione precedente la novella, riproponeva sostanzialmente il vecchio regime sanzionatorio di cui all’art. 15 della l. n. 1497/1939, imperniato sulla ricordata alternatività tra l’ingiunzione al ripristino delle opere realizzate in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica o la corresponsione di un’indennità equivalente alla maggior somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione

A ciò consegue che, come correttamente, seppur sinteticamente affermato dal giudice di prime cure, l’avvenuta opzione per il regime sanzionatorio, anziché demolitorio, ancorché sulla base di previgente regime giuridico, se non impedisce, quanto meno condiziona in termini motivazionali l’esercizio del potere di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di Gagliano del Capo. Nulla avrebbe vietato, pertanto, melius re perpensa di diversamente opinare in merito: ma di ciò occorreva dar atto nel provvedimento, consentendo così l’intellegibilità del percorso ermeneutico seguito, senza privare i destinatari dell’atto delle necessarie garanzie difensive che conseguono alla mancanza di chiarezza delle ragioni ad esso sottese.

18. Quanto detto consente di prescindere da un più approfondito scrutinio delle ulteriori doglianze di cui al ricorso di primo grado, qui riproposte dagli appellati, con particolare riguardo alla asserita non necessità del preavviso di diniego.

19. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto e la sentenza impugnata va confermata, sia pure sulla base di una motivazione parzialmente diversa.

20. Nella presenza di contrapposti orientamenti giurisprudenziali al momento dell’adozione della sentenza di primo grado si rinviene un’eccezionale ragione per compensare le spese del secondo grado di giudizio.

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