Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-14, n. 201702885

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-14, n. 201702885
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201702885
Data del deposito : 14 giugno 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/06/2017

N. 02885/2017REG.PROV.COLL.

N. 01502/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 1502 del 2007, proposto dal Comune di Monte San Giusto, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L A in Roma, via della Scrofa, 47;

contro

P G e C G, rappresentati e difesi dagli avvocati A M, e S M Ghio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A D V in Roma, viale delle Milizie, 22;

nei confronti di

C B, Rogani Fabrizio, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per le Marche, Sezione I, n. 844 del 25 ottobre 2006, resa tra le parti, concernente l’annullamento di due concessioni edilizie in sanatoria e un provvedimento di demolizione delle relative opere edilizie.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di P G e C G

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2017 il consigliere Nicola D'Angelo e uditi per il comune di Monte San Giusto l’avvocato Vagnucci, su delega dell’avvocato Carassai, e per gli appellati l’avvocato Forestano, su delega dell’avvocato Ghio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con un primo ricorso (rubricato con il n. 257/2005 R.G.), i signori Gianfranco P e Giulia C hanno impugnato dinanzi al T.a.r. per le Marche, sede di Ancona, il provvedimento n. 341 del 21 gennaio 2005, con cui il responsabile del Settore urbanistica del comune di Monte San Giusto ha disposto l’annullamento di una precedente concessione edilizia in sanatoria (n. 123/1998) rilasciata, ai sensi dell’art.31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in favore del loro dante causa signor Nazzareno C.

2. In particolare, il provvedimento impugnato è stato adottato:

- per la mancata acquisizione, nel procedimento di condono, del prescritto parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico esistente sulle aree interessate dalle costruzioni condonate;

- per la mancata prova della esistenza dei manufatti oggetto dello stesso condono alla data di riferimento del 1° ottobre 1983, fissata dal citato art.31 della citata legge n. 47 del 1985;

- per l’errata rappresentazione dei luoghi all’atto della presentazione della domanda di regolarizzazione degli abusi edilizi;

per la rilevata esistenza di porzioni delle costruzioni condonate su aree di proprietà di soggetti diversi dai richiedenti il condono.

3. Con ricorso (rubricato al n. 258/2005 del R.G.), i signori P e C hanno poi impugnato il provvedimento n. 340 del 21 gennaio 2005, del Servizio urbanistica del Comune di Monte San Giusto, avente ad oggetto l’annullamento, per le medesime ragioni, di un’altra concessione edilizia in sanatoria (n.122/1998) rilasciata in favore del signor P per lo stesso febbricato.

4. Con successivo ricorso (rubricato al n. 492/2005 del R.G.), i signori P e C hanno, infine, impugnato il provvedimento n. 30 del 4 maggio 2005 del Comune di Monte San Giusto con cui è stata ordinata la demolizione delle opere edilizie oggetto delle suddette concessioni edilizie in sanatoria.

5 Il T.a.r. per le Marche, con la sentenza indicata in epigrafe, dopo aver riunito i tre ricorsi, li ha accolti con il conseguente annullamento dei provvedimenti con i medesimi impugnati.

5.1. Il T.a.r. ha, in particolare, ritenuto che i provvedimenti di annullamento in autotutela delle predette concessioni edilizie in sanatoria non fossero assistiti da una puntuale motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico e, di conseguenza, fosse fondato anche il ricorso contro il provvedimento di demolizione assunto sul presupposto della loro caducazione.

6. Il comune di Monte San Giusto ha quindi impugnato la predetta sentenza, prospettando i seguenti motivi di appello.

6.1. Il T.a.r. ha erroneamente rilevato che l’ubicazione di parte dei manufatti su una proprietà diversa da quella dei signori P e C sarebbe stata assunta dal Comune come elemento a sé stante per provare la infedeltà della domanda di condono.

6.1.1. L’Amministrazione sostiene invece che l’annullamento delle citate concessioni si è fondato sulla rilevata inesistenza della prescritta autorizzazione paesaggistica e soprattutto sulla dolosa infedeltà della domanda. In sostanza, quanto evidenziato dal T.a.r., non corrisponde alla realtà, giacché la diversa collocazione dei manufatti è stato uno degli indici, congiuntamente ad altri, per motivare l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.

6.2. Violazione e falsa applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa in tema di annullamento d’ufficio.

6.2.1. Dinanzi ad una domanda di sanatoria dolosamente infedele, che ha indotto in errore il Comune facendo conseguire titoli abilitativi altrimenti non rilasciabili, il decorso del tempo non può incidere, come invece rilevato dal T.a.r., per impedire all’Amministrazione di agire in via di autotutela.

6.2.2. Sotto questo profilo non sussiste un obbligo di motivazione aggiuntiva rispetto a quello costituito dal rispetto della legalità violata che ha indotto in errore il Comune. I principi indicati nella sentenza impugnata in ordine alla necessità di una congrua motivazione dell’interesse pubblico non si applicherebbero, infatti, al caso di specie in cui l’Amministrazione è stata indotta in errore per effetto di una domanda dolosamente infedele.

6.2.3. Né può incidere sulla questione, come inoltre indicato dal T.a.r., quanto previsto dall’art. 21 nonies della legge n. 241/90, in quanto si tratta di una norma entrata in vigore dopo l’adozione dei provvedimenti di annullamento impugnati e comunque l’errore che ha determinato l’esercizio del potere di autotutela non è ascrivibile all’Amministrazione.

6.3. Gli accertamenti istruttori preliminari all’annullamento dei provvedimenti di annullamento delle concessioni in sanatoria non sono stati, come sostenuto dagli appellati, contraddittori, né tantomeno diversi da quelli documentali.

6.3.1. In particolare, sarebbe invece risultata non provata l’epoca di realizzazione dell’intero manufatto condonato (cioè se lo stesso fosse stato realizzato prima del 31 ottobre 1983). In proposito, pur riportando la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà la data di costruzione nel 1965, vi sarebbe un contrasto da ciò che è stato dichiarato e l’effettiva data di ultimazione dei lavori. Inoltre, come sopra evidenziato, il fabbricato non è stato rappresentato nella sua interezza e, dagli accertamenti effettuati, ricadrebbe in parte su proprietà altrui.

6.4. L’ordinanza di demolizione conseguente all’annullamento delle concessioni edilizie in sanatoria non riguarderebbe solo le relative opere, ma anche alti manufatti abusivi riscontrati a seguito di sopralluogo effettuato dall’Ufficio tecnico comunale (ampliamento di magazzini, piazzale in calcestruzzo, pensilina, cambio di destinazione d’uso da magazzino a laboratorio).

6.4.1. Contrariamente a quanto rilevato dal T.a.r., la stessa ordinanza non avrebbe quindi come unico presupposto l’annullamento delle concessioni in sanatoria e per questa ragione non poteva essere annullata nella sua interezza.

7. Il comune di Monte San Giusto ha poi depositato una ulteriore memoria il 17 gennaio 2017.

8. I signori P e C si sono invece costituiti in giudizio il 28 marzo 2007, chiedendo il rigetto dell’appello, ed hanno depositato una memoria di replica il 2 febbraio 2017. In sostanza hanno reiterato solo i motivi posti a sostengo, in via autonoma, del ricorso avverso l’ordine di demolizione.

9. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 23 febbraio 2017.

10. L’appello è fondato.

11. Il comune di Monte San Giusto ha adottato due diversi provvedimenti comunali con i quali ha disposto l’annullamento di due precedenti concessioni edilizie in sanatoria rilasciate dalla stessa Amministrazione comunale in accoglimento di domande di condono edilizio presentate dai proprietari dei manufatti abusivi oggetto di sanatoria, ai sensi dell’art.31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

11.1. Tali provvedimenti, di identico tenore, sono stati adottati per una riscontrata infedeltà nel contenuto delle rispettive domande di condono nelle quali non sarebbe stata segnalata la presenza di un vincolo paesaggistico sulle aree interessate dai manufatti da condonare, nonché la circostanza che gli stessi manufatti insistevano in parte su un’area di proprietà diversa da quella dei richiedenti la sanatoria edilizia.

12. Il Comune, una volta annullate le concessioni edilizie in sanatoria, ha poi intimato la demolizione delle stesse opere ormai definitivamente abusive.

13. Il T.a.r. per le Marche, nell’accogliere i tre ricorsi proposti dai signori P e C avverso i suddetti provvedimenti, ha rilevato che tali annullamenti d’ufficio avrebbero dovuto essere legittimati dal concorso di due condizioni: l’esistenza di un vizio di legittimità che inficiasse l’atto che si era inteso caducare;
la presenza di uno specifico interesse pubblico, diverso da quello finalizzato al ripristino della legalità violata, che giustificasse il particolare sacrificio imposto al privato, in relazione alla sua posizione giuridica di vantaggio creatasi per effetto dell’originario rilascio del titolo.

13.1. Di conseguenza, nel caso di specie, ha ritenuto che il Comune si fosse limitato ad indicare i soli vizi di illegittimità riscontrati nei provvedimenti oggetto di annullamento d’ufficio, astenendosi invece dal giustificare le prevalenti esigenze di interesse pubblico che avrebbero fatto propendere per la retroattiva caducazione delle due concessioni edilizie in sanatoria rilasciate nell’anno 1998. E ciò anche in ragione del notevole tempo trascorso che ha contribuito a consolidare negli interessati e nei terzi aventi causa dei medesimi un valido affidamento sulla legittimità dei titoli ottenuti.

13.2. In sostanza, secondo il giudice di primo grado, la sola esigenza del mero ripristino della legalità che aveva giustificato l’adozione degli impugnati provvedimenti di annullamento d’ufficio, non poteva essere ritenuta sufficiente per supportare sul piano motivazionale l’esercizio del potere di autotutela

13.3. A maggior ragione nel caso di specie laddove gli originari provvedimenti di condono fatti oggetto di ritiro sono stati adottati dopo una lunga istruttoria nel 1998 con domande di sanatoria edilizia presentate nel 1986. Secondo il T.a.r., in sede di esame delle relative pratiche, gli uffici comunali avrebbero dovuto quindi riscontrare facilmente gli errori o le presunte infedeltà commesse dai richiedenti il condono, mediante opportuni sopralluoghi e riscontri delle planimetrie catastali, anche con riferimento alla mancanza del prescritto nulla osta paesaggistico.

13.4. La sentenza impugnata ha inoltre sottolineato l’incidenza della previsione dell’art.21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 che ha espressamente condizionato l’annullamento d’ufficio di precedenti provvedimenti amministrativi illegittimi alla sussistenza di prevalenti ragioni di interesse pubblico ed alla loro adozione entro un termine ragionevole, tenuto conto degli interessi dei destinatari dei provvedimenti da caducare in via di autotutela.

13.5. Lo stesso giudice ha infine accolto anche il ricorso relativo all’ordinanza di demolizione delle opere edilizie in precedenza condonate e ritenute successivamente abusive.

14. Le conclusioni del T.a.r. non possono essere condivise, risultando infondati i motivi articolati in prime cure e, in particolare, quelli reiterati in questo grado dagli originari ricorrenti.

15. Preliminarmente, va rilevato che dagli atti di causa emergono non mere discrepanze tra quanto rappresentato all’atto delle domande di condono e quanto poi effettivamente sussistente nella realtà.

15.1. Il Comune contesta una rappresentazione della realtà ampiamente diversa da quella indicata nelle stesse istanze, sia per quel che riguarda la collocazione dei manufatti e la loro completa rappresentazione, sia relativamente all’anno di loro realizzazione, sia infine alla regolamentazione urbanistica dell’area, su cui gravava un vincolo paesaggistico – ambientale. Peraltro, in ordine a tali contestazioni, contenuti nel dettaglio nella relazione istruttoria allegata ai provvedimenti di annullamento impugnati, gli interessati non hanno proposto querela di falso (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 novembre 2016, n. 5262).

16. Ciò premesso, la circostanza che le istanze di sanatoria fossero state accolte non può rilevare ai fini del successivo annullamento d’ufficio. Se è vero infatti che, di regola, l’incompletezza della documentazione onera l’amministrazione a richiedere chiarimenti, è altresì, vero che per costante giurisprudenza (cfr., ex multis , Cons. Stato, sez. IV: 8 gennaio 2013, n. 39;
6 maggio 2014, n. 4300;
14 dicembre 2016, n. 5262) allorquando una concessione edilizia in sanatoria sia stata ottenuta dall’interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è consentito all’Amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa . Infatti, l’insegnamento giurisprudenziale prevalente ha individuato dei casi in cui la discrezionalità della P.A. in subiecta materia si azzera, vanificando sia l’interesse del destinatario del provvedimento ampliativo da annullare, sia il tempo trascorso, e ciò si verifica quando il privato istante abbia ottenuto il permesso di costruire inducendo in errore l’Amministrazione attraverso una falsa rappresentazione della realtà.

Per completezza giova evidenziare che:

a) non è necessaria una specifica motivazione allorquando l’ente locale faccia applicazione dell’art. 40, co.1, l. n. 47 del 1985 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 5262 del 2016;
n. 2693 del 2016);

b) la consistenza della falsa rappresentazione della situazione di fatto posta a base di una istanza edilizia non esige il dolo penale essendo sufficiente il dato in sé della consapevolezza della erronea rappresentazione di tale situazione (cfr. Sez. IV, n. 2693 del 2016;
n. 4300 del 2014);

c) deve escludersi la necessità delle garanzie partecipative sia in relazione all’esercizio dell’autotutela in materia edilizia sia in relazione al conseguente ordine di demolizione attesa l’indole sostanzialmente vincolata di tali atti (specie nell’ipotesi di cui al menzionato art. 40, co.1, l. n. 47 del 1985, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 2885 del 2016);

d) è del pari inesistente l’esigenza di tutelare l’affidamento di chi ha ottenuto un titolo edilizio rappresentando elementi non reali, anche quando intercorra un considerevole lasso di tempo fra l’abuso e l’intervento repressivo dell’Amministrazione, circostanza questa che incide anche sulla non necessità dell’inoltro dell’avviso di inizio del procedimento ex art. 7, l. n. 241 del 1990 e di una formale motivazione (cfr. Cons. Stato, Sez.IV, n. 5198 del 2016;
Sez. V, n. 2451 del 2014;
Sez. V, n. 2196 del 2014;
Sez. IV, n.5320 del 2007 relativa a fattispecie di incondonabilità assoluta).

Alla stregua delle rassegnate conclusioni non può trovare ingresso il diverso orientamento espresso dalla VI Sezione del Consiglio di Stato (cfr. sentenza n. 1393 del 2016) applicabile solo in casi eccezionali.

16.1. Né al caso di cui trattasi può essere riferita, come ha fatto il T.a.r. nella sentenza impugnata, la previsione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, in quanto si tratta di una norma inapplicabile ratione temporis , essendo entrata in vigore dopo l’adozione dei provvedimenti di annullamento delle concessioni in sanatoria (l’art. 21 nonies è entrato in vigore nel febbraio 2005 mentre i provvedimenti di annullamento sono stati adottatati nel gennaio dello stesso anno).

In ogni caso la norma in esame, anche nell’ultima versione seguente alla novella del 2015, legittima l’esercizio sine die dell’autotutela in presenza di provvedimenti basati su una falsa rappresentazione della realtà o, in alternativa, su dichiarazioni sostitutive o atti di notorietà la cui falsità è stata assodata da un giudicato penale.

17. Risulta confermato che l’attività di repressione degli abusi edilizi, dopo il loro accertamento, deve, come detto, reputarsi di norma vincolata per l’Amministrazione senza che quest’ultima debba di propria iniziativa valutare la possibilità di sanzione alternativa, soprattutto laddove, come nel caso di specie, si è in presenza di una difformità in senso sostanziale che impedisce il mantenimento delle opere illegittimamente assentite ed eseguite, non essendo, in particolare rimuovibili i vizi del titolo ad aedificandum (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2885).

18. Conclusivamente l’appello va accolto e, per l’effetto, vanno respinti i ricorsi di primo grado riuniti nell’impugnata sentenza.

19. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014 n. 55.

20. Il Collegio rileva, inoltre, che l’accoglimento dell’appello si fonda, come dianzi illustrato, su ragioni manifeste in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 1, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. IV, n. 2200 del 2016, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria).

21. La condanna degli originari ricorrenti ai sensi dell’art. 26 cod. proc. amm. rileva, eventualmente, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2- quinquies, lettere a) e f), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, nr. 208.

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