Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-06-28, n. 202104882

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-06-28, n. 202104882
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104882
Data del deposito : 28 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/06/2021

N. 04882/2021REG.PROV.COLL.

N. 10040/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10040 del 2019, proposto da
C A, rappresentata e difesa dall'avvocato M Z, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Pozzo Faceto, viale Stazione, n. 10;

contro

Comune di Fasano, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato O C, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia;

nei confronti

L T, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia -Lecce (Sezione Seconda) n. 00636/2019, resa tra le parti, concernente l’annullamento di un permesso di costruire in sanatoria.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Fasano;

Visti tutti gli atti della causa;

Udita la relazione del Cons. Alessandro Maggio all'udienza telematica del giorno 17/6/2021, svoltasi in videoconferenza, ai sensi degli artt. 4, comma 1, D.L. 30/4/2020 n. 28 e 25, comma 2, del D.L. 28/10/2020, n. 137, mediante l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”, come da circolare 13/3/2020, n. 6305 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con determinazione n. 757 del 7/5/2018 il Comune di Fasano ha:

a) annullato in autotutela il permesso di costruire 18 aprile 2012, n. 137 rilasciato alla sig.ra C A e la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) 18/4/2014 n. 199 dalla medesima presentata;

b) ordinato alla sig.ra Argento e al suo coniuge, sig. Pietro Olive, di rimuovere le opere abusivamente realizzate.

Ritenendo il menzionato provvedimento del 2018 illegittimo la sig.ra Argento lo ha impugnato con ricorso al T.A.R. Puglia – Lecce, il quale, con sentenza 17/4/2019, n. 636, lo ha respinto.

Avverso la sentenza la sig.ra Argento ha proposto appello.

Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio il Comune di Fasano.

Con successive memorie le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.

All’udienza telematica del 17/6/2021 la causa è passata in decisione.

Con un unico articolato mezzo di gravame l’appellante deduce i seguenti motivi di censura.

a) Con determinazione 10/6/2019 n. 1055 emessa in sede di riesame, dopo la sentenza qui impugnata, il Comune di Fasano ha annullato la concessione in sanatoria n. 540 rilasciata al sig. G A in data 9/11/1989, che nella determinazione n. 757/2018 era stata ritenuta legittima.

Da ciò emerge l’illegittimità di tale ultimo atto in quanto in contraddizione col nuovo provvedimento, circostanza questa che già di per sé giustificherebbe l’annullamento dell’appellata sentenza.

b) Il Tribunale avrebbe errato a escludere che l’amministrazione fosse tenuta a motivare in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico al ritiro su quello privato al mantenimento del permesso di costruire dato che questo sarebbe stato ottenuto sulla base di attestazioni non conformi al vero. Il comune avrebbe, infatti, ritenuto che il pubblico interesse si sostanziasse nella necessità di garantire il legittimo assetto edilizio della zona.

In ogni caso l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio dovrebbe sempre recare una specifica motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione.

Nella specie, invece, il procedimento di riesame sarebbe stato avviato su richiesta di una confinante (sig.ra L T) e, quindi, per soddisfare, non un interesse pubblico, bensì l’interesse di un privato, come si ricaverebbe anche dal fatto che i rilevi mossi col provvedimento impugnato in primo grado traggono spunto da una consulenza tecnica d’ufficio depositata in una causa civile pendente tra l’odierna appellante e la sig.ra T da quest’ultima depositata unitamente alla segnalazione inoltrata al Comune.

c) La determinazione n. 757/2018 risulterebbe, altresì, illegittima per l’omessa indicazione dell’attività istruttoria compiuta al fine di valutare i vari interessi coinvolti nella vicenda, non essendo sufficiente a giustificare l’annullamento il fatto che il permesso di costruire sia stato ottenuto sulla base di una falsa rappresentazione della realtà.

d) Il giudice di prime cure avrebbe, inoltre, errato a ritenere sussistenti i vizi del permesso di costruire riscontrati dal comune.

In particolare, quanto all’asserita violazione delle distanze legali dal confine, si fa presente che il condono a suo tempo rilasciato in favore del sig. G A avrebbe operato in deroga alle normative vigenti.

In ogni caso, la particella 23, sub 4 (oggi sub 11) del foglio 38, di proprietà della sig.ra Argento, sarebbe ubicata sul confine con la proprietà Fanuzzi, per cui non sussisterebbe alcuna violazione delle distanze.

Quanto, invece, alle aperture che si affacciano sulla proprietà della sig.ra T, posto che nella determinazione n. 757/2018 si afferma che in mancanza dei prospetti sarebbe impossibili stabilirne la natura, si deduce che quelle relative agli immobili contraddistinti al foglio 38 particella 23 sub 2-5 e 6 sarebbero finestre e non vedute, mentre l’apertura relativa all’immobile identificato come particella 23 sub 4 sarebbe una luce.

La mancata indicazione della finestra negli allegati progettuali della particella 23 sub 4 dipenderebbe unicamente dalla modalità di rappresentazione grafica seguita. L’esistenza dell’aperura si evincerebbe peraltro dalla foto allegata al presente atto d’appello e la stessa sarebbe stata realizzata in sede di edificazione dell’immobile.

e) L’impugnata determinazione sarebbe illegittima anche laddove afferma che il condono n. 540/1989 sarebbe stato rilasciato senza la preventiva acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica. Questa, infatti, non sarebbe stata necessaria essendo stato l’edificio realizzato prima dell’apposizione del vincolo.

f) Con riguardo all’asserita difformità delle piante catastali attuali rispetto a quella allegate al condono del 1989 si deduce che le relative particelle sarebbero state oggetto di variazione catastale e che le stesse sarebbero state riportate “ nella rappresentazione grafica dello stato dei luoghi di cui all’elaborato corretto presentato il 20.12.2011, giusta permesso di costruire n.137 del 18.04.12 ”.

Le critiche mosse al permesso di costruire n. 540/1989 sarebbero quindi destituite di fondamento.

Peraltro l’impugnata determinazione n. 757/2018 risulterebbe contradditoria laddove si ingiunge di rimuovere le opere abusivamente realizzate ripristinando lo stato dei luoghi in conformità a quanto autorizzato con la concessione in sanatoria n. 540/1989.

g) Analogo discorso dovrebbe farsi in relazione alla domanda di condono 243/2004 la quale sarebbe stata menzionata nella citata determinazione n. 757/2018 pur non essendo stata definita e non essendo oggetto di annullamento. In ogni caso i rilievi mossi in ordine a tale pratica sarebbero infondati.

h) Sarebbero insussistenti le contestazioni effettuate in ordine al permesso di costruire n. 137/2012.

E invero, in data 22/3/2010 la sig.ra Argento avrebbe presentato una DIA (prat. 202/2010) per la realizzazione di lavori di manutenzione straordinaria e restauro conservativo, nonché per l’ampliamento di una veranda, in virtù della L.R. 30/7/2009, n. 14, allegando elaborati grafici e documentazione fotografica esplicativa dello stato dei fatti.

La DIA sarebbe stata archiviata per carenze documentali, tuttavia la documentazione fotografica prodotta, mostrerebbe come la veranda fosse già chiusa sui quattro lati e coperta.

Ciò sarebbe sufficiente a smentire l’affermazione contenuta nella determinazione n. 757/2018 secondo cui la veranda sarebbe stata chiusa determinando un aumento dei volumi, risultando la chiusura precedente alla presentazione della richiesta del titolo edilizio.

D’altra parte, il permesso di costruire n. 137/2012 sarebbe stato rilasciato senza alcuna obiezione da parte dei tecnici comunali che esaminarono i documenti allegati alla richiesta.

i) Illegittimo sarebbe anche l’annullamento della SCIA n. 199/2004 dato che, essendo stata la relativa pratica archiviata, la stessa non avrebbe potuto formare oggetto del gravato provvedimento di ritiro.

Le censure così sinteticamente riassunte, che si prestano a una trattazione congiunta, non meritano accoglimento.

Occorre premettere che la doglianza sub a) è inammissibile per violazione dell’art. 101, comma 1, c.p.a., in quanto rivolta nei confronti del provvedimento impugnato in primo grado anziché contro un capo della sentenza.

Per il resto le tesi difensive dell’appellante sono prive di pregio.

Come correttamente rilevato dal Comune di Fasano e dal giudice di prime cure, l’appellante ha ottenuto il permesso di costruire n. 137/2012 sulla base di una falsa rappresentazione della realtà.

Infatti, dall’esame della documentazione allegata all’istanza accolta col rilascio del permesso di costruire n. 137/2012, emerge che lo stato dei luoghi esistente è stato rappresentato lasciando intendere come lo stesso fosse conforme al progetto approvato col condono edilizio n. 540/1989.

Ma tale circostanza è, in seguito, risultata non veritiera, dato che parte delle opere edilizie indicate come assentite erano, invece, prive di titolo autorizzativo.

In particolare, per quanto qui rileva, la veranda, resa abitabile sine titulo , è stata rappresentata dalla ricorrente come volumetria assentita in virtù del predetto condono e, sulla base di tale infedele rappresentazione, la relativa cubatura è stata (illegittimamente) considerata ai fini del calcolo del volume massimo autorizzabile ai sensi della L.R. 14/2009 (c.d. “Piano casa”). Trattandosi, invece, di un volume privo di autorizzazione, non avrebbe potuto essere considerato a tal fine.

La mendace rappresentazione della realtà rilevata dall’amministrazione comunale in sede di riesame, risulta, quindi, comprovata e ha avuto effetti determinanti sul rilascio del permesso di costruire emesso in applicazione della normativa regionale sul cd. “Piano casa”.

L’appellante contesta la suddetta ricostruzione deducendo che la preesistenza della veranda alla domanda di permesso di costruire sarebbe dimostrata dagli elaborati grafici e fotografici allegati a una DIA, poi non perfezionatasi, presentata nel marzo 2010.

Il rilievo non è, però, dirimente, in quanto ciò che conta non è l’esistenza dell’opera nella sua consistenza materiale, ma la sua legittima realizzazione. In altre parole occorreva che l’appellante dimostrasse che la veranda in questione fosse stata realizzata sulla base di apposito titolo edilizio, prova che invece non è stata data.

Appurato, quindi, che il permesso di costruire era stato ottenuto sulla base di un’infedele rappresentazione della realtà, non occorreva, ai fini del suo annullamento in autotutela (possibile in questi casi anche oltre il termine di cui all’art. 21- nonies della L. 7/8/1990, n. 241), addurre alcuna specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico al ritiro, né tantomeno comparare tale interesse con quello privato al mantenimento dell’atto (sull’insussistenza del menzionato obbligo motivazionale nel casi di infedele rappresentazione della realtà cfr. Cons. Stato, A. P., 17/10/2017, n. 8;
Sez. VI, 31/12/2019, n. 8920;
Sez. II, 21/10/2019, n. 7094;
Sez. IV, 19/3/2019, n. 1795;
sull’inapplicabilità del termine di cui all’art. 21- nonies nelle ipotesi di dichiarazioni non veritiere cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13/1/2020, n. 323;
Sez. V, 27/6/2018, n. 3940;
Sez. IV, 8/11/2018, n. 6308).

E’ appena il caso di aggiungere che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, la mera circostanza che il procedimento di riesame sia iniziato su impulso di un terzo che ha segnalato la possibile illegittimità dei titoli edilizi rilasciati, non ha alcuna incidenza sulla natura del fine perseguito dall’amministrazione comunale, dato che il potere concretamente esercitato risulta pur sempre utilizzato per la cura dell’interesse pubblico alla corretta gestione del territorio sotto il profilo urbanistico-edilizio.

I restanti rilievi concernenti il condono edilizio n. 540/1989, la SCIA n.199/2004 e la domanda di condono edilizio n. 243/2004 sono inammissibili per difetto di interesse.

E invero:

a) il Condono edilizio n. 540/1989 non ha formato oggetto dell’annullamento disposto con la determinazione n. 757/2018;

b) il formale annullamento della SCIA n. 199/2004 risulta del tutto superfluo e inutilmente disposto, dato che quest’ultima, come la stessa appellante ammette, non ha mai prodotto effetti;

c) la domanda di condono edilizio n. 243/2004 risulta soltanto menzionata nell’avversato provvedimento di ritiro.

L’appello va, in definitiva, respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

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