Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-04-12, n. 202102960

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-04-12, n. 202102960
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202102960
Data del deposito : 12 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/04/2021

N. 02960/2021REG.PROV.COLL.

N. 04025/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4025 del 2013, proposto da
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avvocato M C, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Mazzini, n. 4, presso lo studio dell’avvocato A P

contro

- Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore;
- Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri in persona del Comandante Generale pro tempore;
rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176) il Cons. Roberto Politi;

Nessuno presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso N.R.G-OMISSIS-, proposto innanzi al T.A.R. della -OMISSIS-ha chiesto il risarcimento dei danni non patrimoniali, morali ed esistenziali, subiti in conseguenza della determinazione in data 11 febbraio 2003 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, di cessazione dal servizio permanente per infermità, e del provvedimento di collocamento in congedo assoluto dall’Arma dei Carabinieri, con decorrenza dall’11 marzo 2002, emesso dal Comandante ad interim del 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti Tuscania, annullati entrambi con sentenza irrevocabile del T.A.R. -OMISSIS-

Evidenzia l’interessato (in servizio presso il 1° Battaglione Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”, con incarico di fuciliere) di essere stato dislocato in Mogadiscio (Somalia) con incarico operativo di addetto alla missione “Italfor Ibis II”, nel corso della quale, per effetto di un attentato terroristico, riportava “ ferita di arma da fuoco 3 inferiore braccio dx, con frattura pluriframmentaria dell’omero, perdita di sostanza, lesione del nervo ulnare e mediano dx e ferita di entrambe le gambe”.

Tali conseguenze venivano successivamente riconosciute dipendenti da causa di servizio, come da verbale Mod. “C” n. 825/93 del Policlinico Militare di Roma in data 6 agosto 1993.

A fronte della riscontrata presenza di “postumi stabilizzati di ferita da arma da fuoco al braccio dx con lesione vascolo-nervosa chirurgicamente trattata e residuo deficit funzionale della mano in soggetto mancino”, l’appellante veniva giudicato “non idoneo permanentemente al S.M.I. Idoneo al servizio d’istituto in modo parziale. Permanentemente non idoneo all’aviolancio. Controindicato l’impiego in incarichi che comportino stress e/o strapazzi fisici o perfrigerazioni” (verbale mod. 754 del 18 agosto 1994 della C.M.O. di Livorno).

La stessa Commissione Medica Ospedaliera, in data 11 marzo 2002, giudicava il militare “ non idoneo permanentemente al servizio militare incondizionato e d’istituto e da collocare in congedo assoluto”, con ascrivibilità della riscontrata menomazione permanente dell’integrità psico-fisica, ai fini dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata ordinaria, alla 3^ categoria, misura massima, della tabella A allegata al D.P.R. n. 834 del 1981.

Seguiva il collocamento in congedo assoluto dell’appellante in esito alla cessazione dal servizio permanente per infermità.

Tale determinazione veniva, peraltro, annullata dal T.A.R. -OMISSIS-alla quale faceva seguito la riammissione in servizio del -OMISSIS-.

Assume parte appellante che:

- l’esclusione dal rapporto di servizio con l’Arma dei Carabinieri dall’11 marzo 2002 fino al 6 giugno 2007,

- la frustrazione delle prospettive di carriera nell’Arma,

- il mancato conseguimento dei relativi benefici economici e di immagine dovuto alla cessazione dal servizio per oltre un quinquennio,

- la conseguente tardiva riammissione in servizio e la ritardata erogazione del trattamento di attività spettante durante il periodo di illegittimo congedo assoluto dall’Arma,

- unitamente alla tardiva liquidazione della pensione privilegiata ordinaria per la parziale inabilità al servizio dovuta ad infermità per causa di servizio ascritta alla 3^ categoria tabella A, corrisposta solo in data 30 giugno 2004 a causa della tardiva emissione del decreto n. 72 del 23 gennaio 2004 del Ministero Difesa di riconoscimento della P.P.O.,

abbiano determinato l’insorgenza di un ingiusto pregiudizio, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, del quale l’interessato ha chiesto il risarcimento (commisurato ad € 250.000,00) all’Amministrazione di appartenenza.

2. La conseguente controversia, azionata dinanzi al T.A.R. -OMISSIS-per effetto del denegato riconoscimento del richiesto risarcimento, è stata definita con sentenza – ora appellata – n. -OMISSIS- con la quale il ricorso proposto dal -OMISSIS- è stato respinto.

3. Avverso tale pronuncia vengono, con il presente mezzo di tutela, articolate le seguenti doglianze:

Obbligo della P.A. di risarcimento del danno ingiusto causato da atto amministrativo illegittimo adottato in violazione degli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro e delle regole di imparzialità e buona amministrazione. Responsabilità risarcitoria contrattuale della P.A. ex artt. 2087, 2059 e 1223 c.c. In subordine: responsabilità risarcitoria della p.a. ex art. 2043 c.c. e 2059 c.c.. Errore nei presupposti di fatto, insufficiente istruttoria, carenza di motivazione e manifesta illogicità della decisione appellata.

Nel rilevare come l’annullata determinazione in data 11 febbraio 2003 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, recante cessazione dal servizio permanente per infermità e collocamento in congedo assoluto, abbia costituito motivo di mancata corresponsione delle retribuzioni stipendiali e dei benefici economici spettanti, dalla data di effettiva cessazione dal servizio (11 marzo 2002) sino alla data di effettiva reintegrazione in servizio (6 giugno 2007), evidenzia la parte come soltanto nel mese di novembre del 2007 sia stata corrisposta dall’Amministrazione di appartenenza la somma di € 80.343,83 a titolo di retribuzioni stipendiali e di benefici economici spettanti al medesimo in dipendenza del ricostituito rapporto di pubblico impiego.

Secondo la prospettazione di parte, sarebbe inescusabile il ritardo con il quale, a fronte della notificazione della suindicata sentenza del T.A.R. -OMISSIS-alla data del 14 febbraio 2007, è avvenuta la riammissione in servizio (di cui alla determina 15 maggio 2007), attuata il 6 giugno 2007 dopo il giudizio di parziale idoneità al servizio permanente formulato dalla C.M.O. di La Spezia con verbale n. 1077 del 5 giugno 2007.

E parimenti inescusabile si configurerebbe il ritardo nella liquidazione degli emolumenti retributivi arretrati, avvenuta nel novembre 2007, nonché delle retribuzioni maturate per l’avanzamento (retroattivamente disposto) dal grado di carabiniere semplice ad appuntato, con decorrenza 8 ottobre 2002 (avvenuta in data 25 gennaio 2008).

Lamenta, inoltre, l’interessato di non aver percepito alcun emolumento pensionistico (né tantomeno stipendiale), a titolo provvisorio o definitivo, dal 12 marzo 2002 al 12 luglio 2004;
in conseguenza della carenza di entrate reddituali, soggiungendo l’appellante di essere incorso, nel periodo anzidetto, in numerosi protesti.

Sostiene, altresì, che la ritardata liquidazione e corresponsione della pensione privilegiata, avvenuta oltre due anni e tre mesi dopo il congedo dall’Arma, abbia comportato grave pregiudizio, sotto il profilo del danno non patrimoniale (riveniente dalla iscrizione nel registro protesti, quale “cattivo pagatore”), conseguente alla illegittima privazione, durante tale lungo periodo, sia dell’impiego che del reddito da lavoro.

L’ascrivibilità di tali conseguenze asseritamente lesive alla condotta dell’appellata Amministrazione, fonda, ad avviso di parte, la formulata istanza risarcitoria, attesa l’affermata consistenza del lamentato pregiudizio, anche di carattere non patrimoniale;
per l’effetto, sostenendosi che avrebbe errato il giudice di prime cure, quanto alla disamina di tale profilo di danno, derivante dalla lesione del diritto alla libera e dignitosa esplicazione della propria personalità da parte del lavoratore ingiustamente congedato dal servizio.

La fonte della responsabilità datoriale avrebbe essenzialmente natura contrattuale, trovando fondamento nell’art. 2087 c.c., a fronte della violazione dell’obbligo della P.A. di garantire lo svolgimento della prestazione lavorativa (e la conseguente retribuzione) durante il periodo di congedo, con rivenienti:

- sofferenza psicologica per la privazione del lavoro e della perdita del prestigio per un lungo arco temporale,

- sconvolgimento delle abitudini di vita provocato dall’impoverimento dovuto alla mancata percezione di retribuzione economica

- e frustrazione dell’aspettativa di carriera durante il lungo periodo di congedo.

Avrebbe, in proposito, il T.A.R. -OMISSIS-omesso di considerare, in presenza dell’illegittimo congedo disposto dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, la risarcibilità dei danni non patrimoniali, sia sotto l’aspetto del danno morale, definibile quale patema d’animo e sofferenza psichica del soggetto passivo, sia nell’ipotesi in cui si configuri la presenza di un danno esistenziale, consistente nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato), che ogni violazione di un diritto della personalità produce;
soggiungendo parte appellante, quanto alla dimostrazione dell’esistenza e consistenza del lamentato pregiudizio, che sia ammissibile il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche anche basate su fatti notori e massime di comune esperienza.

Anche nell’ipotesi in cui il danno subito dal ricorrente sia ascrivibile a responsabilità extracontrattuale aquiliana della P.A. per violazione del principio del neminem ledere di cui all’art. 2043 c.c. – piuttosto che a responsabilità contrattuale fondata sull’inadempimento da parte del datore di lavoro di obblighi nascenti dal rapporto di impiego – sussisterebbero i presupposti per il richiesto risarcimento (danno ingiusto;
riferibilità di questo alla condotta della Pubblica Amministrazione;
ascrivibilità dell’evento dannoso a colpa o dolo dell’Amministrazione).

La condotta da quest’ultima tenuta (costituzione nel giudizio volto all’annullamento del provvedimento di congedo al fine di opporsi alle eccezioni sollevate dal ricorrente;
ritardo, a seguito della definizione del giudizio, nella ricostruzione di carriera e nel versamento delle retribuzioni stipendiali, corrisposte a distanza di oltre cinque anni dalla data dalla quale ha avuto effetto il congedo, con conseguente privazione di reddito da lavoro fino alla reintegrazione in servizio) sarebbe, secondo quanto dalla parte sostenuto, colposamente connotata, anche in relazione all’illegittimo collocamento dell’interessato in congedo, con risoluzione del rapporto di impiego, pur a fronte di una parziale (residua) idoneità allo svolgimento di attività lavorativa: le conseguenze rivenienti da siffatto comportamento integrando la presenza di un pregiudizio qualificabile come danno esistenziale.

Conclude la parte per l’accoglimento dell’appello;
e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con conseguente:

- accertamento e declaratoria dell’obbligo di risarcimento degli indicati danni ingiusti non patrimoniali, subiti quale conseguenza immediata e diretta della determinazione in data 11 febbraio 2003 (cessazione dal servizio permanente per infermità), del collocamento in congedo assoluto con decorrenza dall’11 marzo 2002, nonché di quelli subiti quale conseguenza immediata e diretta della ritardata liquidazione e corresponsione del trattamento di attività e della pensione privilegiata ordinaria;

- condanna delle Amministrazioni intimate, previa liquidazione in via equitativa dei danni a sensi degli artt. 2056, 1223 e 1226 c.c., al risarcimento della somma di € 250.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria per i danni non patrimoniali, morali ed esistenziali, subiti in conseguenza degli atti amministrativi illegittimi, come precedentemente descritti.

In via subordinata, viene dalla parte appellante chiesta la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, in ragione della rilevanza e non manifesta infondatezza dell’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 30, commi 3 e 5, c.p.a., per contrasto con gli art. 3, 24 e 113 della Costituzione, laddove, prevedendo un termine decadenziale di 120 giorni per chiedere al giudice, in sede di giurisdizione esclusiva, il risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi, si pone in violazione degli suindicati parametri costituzionali.

4. In data 3 giugno 2013, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio.

In vista della trattazione nel merito del ricorso, quest’ultima (memoria depositata il 21 gennaio 2021) ha eccepito l’intervenuta prescrizione dell’azionata pretesa creditoria, confutandone, ulteriormente, la fondatezza nel merito;
ed ha, conclusivamente, insistito per il rigetto del proposto mezzo di tutela.

5. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 30 marzo 2021.

DIRITTO

1. Giova, preliminarmente alla disamina degli argomenti di doglianza introdotti con il presente appello, procedere ad una sintetica ricognizione degli essenziali tratti motivazionali della gravata pronunzia del T.A.R.-OMISSIS-

Quanto alla ritardata liquidazione della pensione privilegiata, che il ricorrente di prime cure essere intervenuta oltre due anni e tre mesi dopo il congedo dall’Arma, con affermata emersione di un pregiudizio di carattere patrimoniale e non patrimoniale, il giudice di prime cure ha osservato che “l’Amministrazione intimata ha provveduto alla liquidazione il 23 gennaio 2004 con decreto n. 72”, conseguentemente escludendo la configurabilità di “alcun ritardo, del quale il ricorrente non fornisce prova”.

Ed ha, sul punto, ulteriormente osservato che non è stata “fornita prova nemmeno dei danni conseguenti a tale asserito ritardo: il ricorrente allega una serie di protesti relativi ad un finanziamento per un’autovettura ma tanto non è sufficiente a comprovare quella situazione di tracollo economico lamentata nel ricorso come conseguenza dei fatti di causa, mancando in atti ulteriori elementi come, ad esempio, le dichiarazioni dei redditi relative al periodo in discussione”.

Con riferimento alla richiesta di risarcimento del danno esistenziale, il T.A.R.:

- rammentato preliminarmente come tale figura sia stata “espunta dal nostro ordinamento con sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 11 novembre 2008 n. 26972”, in quanto “al danno esistenziale non può essere riconosciuta dignità di autonoma categoria del danno non patrimoniale, sicché ogni lesione inferta ad un bene non economicamente rilevante non può che rientrare nella (sola) seconda categoria”;

- ha osservato come “la ragione giuridica della richiesta in esame si palesa malamente fondata su una categoria giuridicamente inesistente, sicché in base al principio jura novit curia il Collegio deve verificare se nella fattispecie si possa evincere l’esistenza di un danno non patrimoniale risarcibile quale conseguenza del provvedimento annullato”.

Pur nel dare atto come, nella fattispecie sottoposta a sindacato giurisdizionale, si sia “verificata la lesione di un diritto costituzionalmente protetto del ricorrente, ossia quello al lavoro”, il T.A.R. ha, nondimeno, constatato come non sia stata “fornita prova alcuna della gravità del pregiudizio lamentato”.

Ciò in quanto “il ricorrente sembra confondere il danno evento (l’illegittima cessazione dal servizio) con il danno conseguenza, ma quest’ultimo deve essere rigorosamente dimostrato anche sotto il profilo del raggiungimento di una gravità rilevante. Unico elemento probatorio allegato sono i protesti di cui si è detto, dai quali il ricorrente pretenderebbe di farne discendere una lesione nella propria reputazione nei termini dell’assunzione dell’immagine di “cattivo pagatore”. Ma la loro produzione non dimostra l’esistenza di tale danno alla reputazione in assenza di ulteriori elementi, quali potrebbero essere il rifiuto di altri finanziamenti da parte di istituti di credito ovvero la richiesta di rientro immediato da finanziamenti già ottenuti. Nel caso di specie il danno (non esistenziale, ma) non patrimoniale lamentato dal ricorrente non viene sufficientemente dimostrato, e anche per questa parte il ricorso appare infondato”.

2. Ancorché in conseguenza di difforme percorso motivazionale, rispetto a quello che ha condotto il T.A.R. -OMISSIS-al rigetto del ricorso innanzi ad esso promosso dal -OMISSIS-, l’appellata pronunzia è suscettibile di conferma.

3. Viene, in primo luogo, all’esame l’eccezione di prescrizione della pretesa risarcitoria fatta valere dall’appellante, sollevata dall’Amministrazione con memoria del 21 gennaio 2021.

Per quanto desumibile dalla documentazione versata in atti nel presente giudizio, così come dall’esame degli atti del giudizio di primo grado, siffatta eccezione non è stata formulata, da parte del Ministero della Difesa, dinanzi al giudice di prime cure.

Né la sentenza da quest’ultimo resa, oggetto dell’odierno appello, reca alcuna indicazione in proposito.

Com’è noto, quella di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto e come tale rimessa alla volontà della parte che di essa intende giovarsi, non è rilevabile d'ufficio.

Sicché, nel processo amministrativo, ai sensi dell’art. 104 c.p.a., tal eccezione non può essere proposta per la prima volta in grado d’appello (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 maggio 2019, n. 3191 e Sez. III, 8 agosto 2012 n. 4535);
e, ove assorbita o non esaminata in primo grado, va espressamente ribadita a cura della parte che intenda avvalersene nella fase di gravame (Cons. Stato, Sez. III, 3 settembre 2013, n. 4380).

Conseguentemente, va dato atto dell’inammissibilità dell’eccezione anzidetta, dall’appellata Amministrazione per la prima volta sollevata nel corso del presente giudizio.

4. Quanto al lamentato ritardo nella liquidazione degli emolumenti arretrati, nonché della pensione privilegiata, dalla parte appellante allegato quale presupposto per l’insorgenza di un pregiudizio ricongiunto alla mancata disponibilità di fonti reddituali per il sostentamento proprio e della famiglia, si osserva quanto segue.

4.1 Il -OMISSIS- ha evidenziato che:

- a fronte della cessazione dal servizio (11 marzo 2002)

- e fino alla data di effettiva reintegrazione (6 giugno 2007)

soltanto nel novembre del 2007 è stata al medesimo corrisposta la somma di € 80.343,83, a titolo di retribuzioni stipendiali e di benefici economici spettanti al medesimo in dipendenza del ricostituito rapporto di pubblico impiego.

Lamenta, per l’effetto, il ritardo con il quale, in esito alla notificazione della prima sentenza del T.A.R. -OMISSIS-OMISSIS-soltanto nel successivo mese di giugno (a seguito del giudizio di parziale idoneità al servizio permanente, di cui al verbale della C.M.O. di La Spezia n. 1077 del 5 giugno 2007) è stata disposta la riammissione in servizio.

Ed evidenzia come, ancora con maggior ritardo, sia intervenuta la liquidazione degli emolumenti retributivi arretrati (novembre 2007), nonché degli incrementi conseguenti alla maturazione dei requisiti per l’avanzamento al grado superiore (disposto retroattivamente dall’Amministrazione).

Inoltre, per effetto della mancata percezione di alcun emolumento dal 12 marzo 2002 al 12 luglio 2004, le condizioni finanziarie dell’appellante avrebbero subito un critico deterioramento, sì da determinare l’elevazione, a carico dello stesso -OMISSIS-, di taluni protesti per posizioni debitorie non onorate.

4.2 In punto di fatto, si evidenzia che:

- mentre la prima sentenza del T.A.R. -OMISSIS-(con annullamento del collocamento in congedo dell’interessato) è stata notificata all’Amministrazione il 14 febbraio 2007,

- la riammissione in servizio è intervenuta con determina 15 maggio 2007, attuata poi il 6 giugno 2007 a seguito del giudizio di parziale idoneità al servizio permanente, espresso dalla Commissione Medica Ospedaliera di La Spezia con verbale n. 1077 del 5 giugno 2007.

Conseguentemente, non è dato rilevare, attesa la stretta consecuzione della tempistica che ha condotto alla riammissione in servizio dell’appellante, la presenza di alcun ritardo, giuridicamente rilevante, al fine di fondare la pretesa al risarcimento per intempestiva azione dell’Amministrazione: e ciò, segnatamente, ove si consideri che il reingresso del -OMISSIS- nel servizio attivo, non avrebbe potuto non essere preceduto da accertamento – da compiersi, come in effetti avvenuto, ad opera di struttura pubblica – preordinato alla verifica della concreta idoneità dello stesso.

Quanto, poi, alla liquidazione della pensione privilegiata ordinaria, di cui all’art. 1884 del Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66), quest’ultima è intervenuta il 23 gennaio 2004, laddove il perfezionamento della procedura di congedo è stato all’appellante comunicato con atto notificato il 13 febbraio 2004.

Va, sul punto, soggiunto che, secondo quanto indicato nella “Guida pratica in materia assistenziale e previdenziale”, pubblicata sul sito web del Ministero della Difesa, i tempi di definizione del procedimento di liquidazione della pensione privilegiata (capitolo 1., punto 1.15) si ragguagliano a:

- “330 gg. dalla data di ricezione della domanda di pensione privilegiata (D.M. n. 603/93)”;

- “330 gg. dalla cessazione o dal decesso nel caso di procedimento d'ufficio”.

Conseguentemente, l’arco temporale di durata del procedimento di che trattasi, commisurato ad un periodo di poco infrannuale, risulta essere stato superato in maniera, invero, assai contenuta, nella tempistica di erogazione della pensione in favore dell’odierno appellante.

Se quest’ultimo lamenta, nell’atto introduttivo del presente giudizio, di non aver ricevuto alcun emolumento di carattere pensionistico nel periodo intercorrente fra il 12 marzo 2002 (data del collocamento in congedo assoluto per inidoneità permanente) ed il 30 giugno 2004 (quindi, per circa ventisette mesi), va osservato che:

- la pensione privilegiata è stata, come sopra precisato, liquidata con D.M. n. 72 del 23 gennaio 2004, vistato dall’Ufficio Centrale di Bilancio il 18 marzo 2004, con decorrenza 26 gennaio 2004;

- all’interessato sono state corrisposte, per i mesi marzo - giugno 2002, le tre mensilità di stipendio previste dall’art. 13 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168 (come evidenziato nella relazione del Comando Generale dell’Arma in data 14 maggio 2008;
circostanza, questa, in punto di fatto non cointestata dal -OMISSIS-);

di talché il periodo complessivo al quale si ragguaglia la mancata percezione di fonti reddituali (detratti gli undici mesi, come sopra previsti per il perfezionamento del procedimento di liquidazione della pensione privilegiata) viene a ridursi a circa 13 mesi.

Non è dato riscontrare, agli atti del presente giudizio, la presenza di elemento di convincimento alcuno, suscettibile di confermare l’assunto di parte, secondo cui il lamentato (ma non comprovato) dissesto economico (ad asserito fondamento dei protesti dei quali il -OMISSIS- afferma di essere stato destinatario) troverebbe univoco fondamento nel (peraltro contenuto;
e, in ogni caso, largamente inferiore rispetto alla prospettazione di parte) ritardo nella liquidazione del trattamento pensionistico privilegiato.

Sostiene parte appellante che i protesti (ad affermata comprova dello stato di dissesto economico seguito alla mancata percezione di fonti reddituali) sono stati elevati fra il 5 giugno 2003 ed il 1° giugno 2004, laddove il primo rateo di pensione privilegiata ordinaria (con gli arretrati dal 12 marzo 2002 al 30 giugno 2004), è stata corrisposta soltanto in data 12 luglio 2004.

Ma non prova in alcun modo che siffatti protesti – relativi ad un finanziamento per l’acquisito di un’autovettura – siano conseguenza della critica situazione economica determinatasi per effetto dell’affermato ritardo nella liquidazione degli emolumenti pensionistici: venendo, per l’effetto, in considerazione l’omessa dimostrazione del necessario nesso conseguenziale fra il ritardo dall’interessato accreditato, quanto al comportamento posto in essere dall’Amministrazione, ed il “dissesto” economico, peraltro come sopra “circoscritto” alle conseguenze del mancato pagamento di talune rate di finanziamento.

4.3 Né, d’altro canto, si presta a favorevole apprezzamento il (pure lamentato) ritardo nella ricostruzione di carriera ai fini economici (corresponsione del trattamento economico arretrato;
riconoscimento dell’incremento stipendiale per effetto del retroattivo avanzamento dalla posizione di carabiniere scelto ad appuntato), atteso che, come condivisibilmente prospettato dalla difesa erariale:

- se la relativa determinazione è intervenuta in esito alla definizione del (primo) giudizio dinanzi al T.A.R. -OMISSIS-(sentenza-OMISSIS-

- la relativa tempistica evidenzia l’assenza di ritardi imputabili a colpevole inerzia dell’Amministrazione (la corresponsione al -OMISSIS- della somma di € 80.343,83, a titolo di arretrati stipendiali spettanti per il trattamento di attività relativamente al periodo 11 marzo 2002 - 6 giugno 2007 è avvenuta con lo stipendio del mese di novembre 2007).

Ferma la mancata attivazione, ad opera dell’interessato, degli strumenti di tutela dall’ordinamento previsti al fine di promuovere il sollecito esercizio delle prerogative pubbliche, va ulteriormente segnalato come, a fronte della ripristinata erogazione (fin dal giugno 2007) del trattamento retributivo di servizio in favore del -OMISSIS-, la liquidazione degli arretrati stipendiali è stata (doverosamente) accompagnata dal riconoscimento dei maggiori importi a titolo di interessi legali e rivalutazione monetaria, sì da sterilizzare pienamente gli effetti pregiudizievoli conseguenti alla ritardata corresponsione delle somme stesse.

5. Se le considerazioni precedentemente svolte consentono di escludere la presenza di un ritardo, ascrivibile a fatto proprio dell’Amministrazione, tale da porsi quale univoco presupposto ai fini dell’insorgenza di un pregiudizio risarcibile nei confronti dell’odierno appellante, rammenta il Collegio, quanto alle conseguenze astrattamente lesive ricongiungibili al ritardato esercizio della funzione pubblica, come l’art. 2- bis della legge n. 241 del 1990 preveda due distinte ipotesi di risarcimento del danno:

- la prima, afferente al “danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine del procedimento” (comma 1);

- la seconda, riguardante il danno derivante di per sé dal fatto stesso di non avere l’Amministrazione provveduto entro il termine prescritto, nelle ipotesi e alle condizioni previste (comma 1- bis ).

Ciò premesso, giova rilevare come l’art. 2- bis , comma 1, preveda la possibilità di risarcimento del danno da ritardo/inerzia dell’Amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo, non già come effetto del ritardo ex se riguardato, bensì per il fatto che la condotta inerte, o tardiva, dell’Amministrazione sia stata causa di un danno altrimenti prodottosi nella sfera giuridica del privato che, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento amministrativo (cfr. Cons Stato, Sez. IV, 29 settembre 2016, n. 4028).

Il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest'ultimo deve fornire la prova sia sull’ an che sul quantum (Cons. Stato, Sez. V, 11 luglio 2016, n. 3059), deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte, ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell’Amministrazione. E ciò sempre che, nell’ipotesi ora considerata, la legge non preveda, alla scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, un’ipotesi di silenzio significativo (Cons. Stato, Sez. III, 18 maggio 2016, n. 2019).

In particolare, come la giurisprudenza ha avuto modo di osservare (cfr. C.G.A.R.S., 16 maggio 2016, n. 139;
Cons. Stato, Sez. VI, 5 maggio 2016, n. 1768;
Sez. V, 9 marzo 2015, n. 1182;
Sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2638), “l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)”.

E quindi, benché l’art. 2- bis rafforzi la tutela risarcitoria del privato nei confronti della Pubblica Amministrazione, “la domanda deve essere comunque ricondotta nell’alveo dell'art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità” (Cons. Stato, Sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358).

Tale impostazione ha ricevuto l’avallo indiretto della Corte di Cassazione (cfr. Sezioni Unite civili, ordinanza 17 dicembre 2018, n. 32620, confermativa della sentenza di questo Consiglio, Sez. V, 22 settembre 2016, n. 3920);
con tale pronunzia chiarendosi, sia pure nella peculiare prospettiva del giudizio su questione di giurisdizione, che:

- il riconoscimento del danno da ritardo – relativo ad un interesse legittimo pretensivo – non è avulso da una valutazione di merito della spettanza del bene sostanziale della vita e, dunque, dalla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento fosse probabilmente destinata ad un esito favorevole, posto che l’ingiustizia e la sussistenza del danno non possono presumersi iuris tantum in relazione al mero fatto temporale del ritardo o del silenzio nell’adozione del provvedimento;

- l’ingiustizia del danno non può prescindere dal riferimento alla concreta spettanza del bene sostanziale al cui conseguimento il procedimento è finalizzato.

6. Tale configurazione del danno da ritardo, non muta alla luce della nota sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, 4 maggio 2018, n. 5, secondo la quale, con l’art. 2- bis, “il legislatore – superando per tabulas il diverso orientamento in passato espresso dalla sentenza dell'Adunanza plenaria 15 settembre 2005, n. 7 – ha introdotto la risarcibilità (anche) del c.d. danno da mero ritardo, che si configura a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento (ad esempio, il diniego di autorizzazione o di altro provvedimento ampliativo adottato legittimamente, ma violando i termini di conclusione del procedimento).

Se “la violazione del termine di conclusione sul procedimento di per sé non determina, infatti, l'invalidità del provvedimento adottato in ritardo …, ma rappresenta un comportamento scorretto dell’amministrazione, comportamento che genera incertezza e, dunque, interferisce illecitamente sulla libertà negoziale del privato, eventualmente arrecandogli ingiusti danni patrimoniali”, rimane in capo a chi faccia valere la pretesa risarcitoria l’onere di “fornire la prova, oltre che del ritardo e dell’elemento soggettivo, del rapporto di causalità esistente tra la violazione del termine del procedimento e il compimento di scelte negoziali pregiudizievoli che non avrebbe altrimenti posto in essere”.

Come è dato osservare, l’Adunanza Plenaria ha riconosciuto il danno da ritardo “a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento”, ricollegandolo alla “lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale” e subordinandolo, comunque, a rigorosi oneri di allegazione e prova dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità.

Perché, dunque, possa parlarsi di una condotta della Pubblica Amministrazione causativa di danno da ritardo, oltre alla concorrenza degli altri elementi costitutivi della responsabilità ex art. 2043 c.c., occorre che esista, innanzi tutto, un obbligo dell’Amministrazione di provvedere entro un termine definito dalla legge a fronte di una fondata posizione di interesse legittimo ad ottenere il provvedimento tardivamente emanato.

Peraltro, come la giurisprudenza ancora successiva non ha mancato di rimarcare (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358) il riconoscimento, come sopra operato dall’Adunanza Plenaria, non si sostanzia affatto in un’apertura incondizionata e generalizzata alla risarcibilità di qualsiasi “danno da ritardo”.

E ciò in quanto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 23 agosto 2019, n. 5810):

- se “ … la decisione circoscrive con precisione gli spazi per il risarcimento del danno da mero ritardo, in cui il pregiudizio deriva, nella valorizzata prospettiva, pur sempre dalla lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale: il ritardo nell'adozione del provvedimento genera, infatti, una situazione di incertezza in capo al privato e può, dunque, indurlo a scelte negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l'adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell'amministrazione”;

- nondimeno, “… è onere del privato fornire la prova, oltre che del ritardo e dell’elemento soggettivo, del rapporto di causalità esistente tra la violazione del termine del procedimento e il compimento di scelte negoziali pregiudizievoli che non avrebbe altrimenti posto in essere”.

Ne deriva che – come prosegue la pronunzia da ultimo citata – il riconoscimento del danno da ritardo, pur “a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento”, è pur sempre – e comunque – ricollegato alla “lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale” e subordinato “a rigorosi oneri di allegazione e prova dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità” (cfr. sentenza n. 5810/2019 cit.;
nonché, in termini, C.G.A.R.S., 26 marzo 2020, n. 217).

In ragione di quanto sopra esposto, deve escludersi che l’odierno appellante abbia ottemperato all’onere di dimostrare di aver patito un ipotetico danno derivante, appunto, da una lesione del suo diritto di autodeterminazione negoziale, deducendo e provando che il ritardo col quale l’Amministrazione ha operato abbia ingenerato una situazione d’incertezza, suscettibile di aver indotto scelte negoziali che non sarebbero state compiute, ove l’Amministrazione avesse agito con più sollecita tempestività

7. Escluso, alla stregua delle rappresentate coordinate interpretative del danno da ritardo, che nella fattispecie all’esame ricorra una fattispecie suscettibile di risarcimento (in ragione sia della non irragionevolmente prolungata tempistica che ha accompagnato il riconoscimento e la liquidazione, in favore del -OMISSIS-, degli emolumenti al medesimo spettanti;
nonché dell’esclusa allegazione di elementi dimostrativi in ordine al nesso di causalità solo asseritamente ricongiungente il lamentato ritardo ai risentiti pregiudizi di carattere patrimoniale), neppure si presta a condivisione la domanda con la quale parte ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale risentito per effetto delle anzidette condotte, poste in essere dall’appellata Amministrazione.

Va, in proposito, preliminarmente rammentato come in base alla ricostruzione giurisprudenziale in argomento offerta dalla Corte di Cassazione (cfr. Sez. VI civile, 12 novembre 2019, n. 29206) un pregiudizio non patrimoniale risarcibile, oltre ai casi di danno derivante da reato, è ravvisabile ogni qual volta il fatto illecito abbia leso in modo grave diritti inviolabili della persona non aventi natura economica, costituenti oggetto di tutela costituzionale.

Ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale è quindi necessario:

- che l’interesse leso, attinente a diritti inviolabili della persona, sia di rango costituzionale;

- che sussista una lesione grave, con offesa che superi la soglia minima di tollerabilità;

- che si tratti di danno non futile, cioè non consistente in meri disagi o fastidi;

- che vi sia una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio, non potendo mai ritenersi il danno in re ipsa.

In relazione a sovrapponibile vicenda (parimenti attinente riliquidazione di emolumenti pensionistici), la stessa Suprema Corte (cfr. Sez. VI, 27 luglio 2020, n. 15965) ha sottolineato l’onere, in capo alla parte che chieda il risarcimento del riveniente danno non patrimoniale) di allegazione e prova delle “ricadute sulla qualità della vita di gravità tale da assurgere a intollerabili lesioni della dignità umana, (non potendo considerarsi tali i patemi d’animo e i disagi correlati alla constatazione dell’inerzia dell’ente gestore nella corresponsione dell’importo pensionistico), come tali meritevoli di ristoro ulteriore rispetto agli interessi dovuti per il ritardo”.

Nell’escludere che siffatte conseguenze siano state dall’odierno appellante compiutamente dimostrate (essendosi la parte limitata ad allegare, in modo invero generico, la presenza di “riflessi negativi in termini di perdita di compiacimento e benessere psicologico ed economico e di turbamento dello stato d’animo dovuti all’esclusione dall’impiego nell’Arma dei Carabinieri per oltre 5 anni e mezzo”, nonché di uno stato di “frustrazione dell’aspettativa all’avanzamento di carriera nella stessa Arma dei Carabinieri”), la domanda di che trattasi non si presta a favorevole considerazione.

8. Escluso che, in ragione delle svolte considerazioni, il proposto appello riveli profili di fondatezza, ne dispone il Collegio la reiezione, con riveniente conferma – ancorché veicolata da diverso apparato motivazionale – della sentenza in prime cure resa dal T.A.R. della-OMISSIS-

La particolarità della controversia integra idoneo fondamento giustificativo ai fini della compensazione, fra le parti, delle spese inerenti il presente grado di giudizio.

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