Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-10-08, n. 202005983

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-10-08, n. 202005983
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202005983
Data del deposito : 8 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/10/2020

N. 05983/2020REG.PROV.COLL.

N. 00348/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 348 del 2020, proposto da
Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dall’avvocato R M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Albergo Santa Chiara s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A M, F M e L M, presso i quali è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Federico Confalonieri n. 5;

nei confronti

- Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore;
- Ministero delle Attività Produttive, in persona del Ministro pro tempore;
rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Seconda, n. 7229 del 25 ottobre 2019.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della s.r.l. Albergo Santa Chiara, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dello Sviluppo Economico;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2020 il Cons. Roberto Politi;
uditi per le parti gli avvocati R M P ed A M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso N.R.G. 1627 del 2006, l’Albergo Santa Chiara adiva il T.A.R. del Lazio al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto dei provvedimenti adottati e/o del comportamento tenuto dalle Amministrazioni resistenti, nell’ambito del procedimento amministrativo relativo alla erogazione dei finanziamenti di cui alla legge 556 del 1988.

La società ricorrente esponeva che:

- in data 11 aprile 1989, aveva presentato domanda ai sensi del D.M. 31 dicembre 1988, per ottenere il finanziamento di iniziative a carattere regionale per la realizzazione e ristrutturazione di impianti turistico-ricettivi;

- la domanda non era stata ricompresa tra i progetti da finanziare dal D.M. Turismo 14 dicembre 1989;
e, pertanto, aveva impugnato detto provvedimento dinanzi al T.A.R. del Lazio;

- il T.A.R. aveva annullato il D.M. 14 dicembre 1989 con sentenza n. 1694 del 1994, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 433 del 1996;

- aveva proposto giudizio di ottemperanza per l’esecuzione della citata sentenza n. 1694, definito con sentenza n. 3196 del 16 novembre 1998;

- il progetto dell’Albergo Santa Chiara era stato esaminato e positivamente valutato;
e, tra il 2000 e il 2001, la società aveva ricevuto il contributo in conto capitale di lire 1.923.000.000, e lire 100.900.00 annue, per dieci anni quale contributo in conto interessi, determinato nella misura del 5,25% del mutuo agevolato.

La ricorrente sosteneva, peraltro, di avere diritto sin dal 26 febbraio 1990 (pubblicazione del D.M. 14 dicembre 1989) alla percezione del finanziamento richiesto e integralmente ottenuto solo nel 2001, per cui chiedeva il risarcimento dei danni, quantificati in € 8.858.620,62, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

Il T.A.R. del Lazio, investito della controversia, con sentenza n. 452 del 2011, respingeva il ricorso “stante la fondatezza della eccezione di prescrizione proposta dalle amministrazioni resistenti”.

Avverso tale pronunzia, l’Albergo Chiara proponeva appello (N.R.G. 6444 del 2011).

2. Con altro ricorso (N.R.G. 12790 del 1994) la Società Albergo Santa Chiara impugnava – sempre dinanzi al T.A.R. Lazio – il decreto 1° aprile 1994, con il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva proceduto alla “ approvazione dei progetti a carattere regionale per la realizzazione di strutture turistiche, ricettive e tecnologiche per la Regione Lazio”, ai sensi dell’art. 12-bis del decreto legge 149 del 1993, convertito in legge 237 del 1993, per non essere stata inclusa tra i beneficiari.

Avverso la sentenza n. 422 del 2011, con il quale il T.A.R. Lazio aveva dichiarato improcedibile il suindicato ricorso, l’Albergo Chiara proponeva appello (N.R.G. 6446 del 2011).

3. Previa riunione, i due giudizi di appello di cui sopra (NN.R.G. 6444 del 2011 e 6446 del 2011) sono stati definiti con sentenza di questa Sezione n. 7279 del 25 ottobre 2019;
con la quale:

- veniva respinto l'appello N.R.G. n. 6444 del 2011;
e, per l'effetto, confermata la sentenza ivi impugnata n. 452 del 2011;

- veniva accolto l’appello N.R.G. n. 6446 del 2011;
e, in riforma della sentenza ivi impugnata n. 422 del 2011, veniva dichiarata procedibile la domanda risarcitoria e dichiarata colposa la condotta dell’Amministrazione regionale;

- veniva, ulteriormente, disposta verificazione per accertare l’eventuale an e quantum dei danni.

4.Di tale pronunzia la Regione Lazio chiede, ora, la revocazione, sulla base dei seguenti motivi:

Art. 395 cpc n. 4: errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa

Nell’osservare come nella revocanda pronunzia sia stata dichiarata, in via esclusiva, “ colposa la condotta della Amministrazione regionale”, per il mancato ottenimento dei finanziamenti relativamente alla seconda procedura, ai sensi dell’art. 12-bis del D.L. 20 maggio 1993, n. 149, dalla data di impugnazione del provvedimento di reiezione (D.P.C.d.M. 1° aprile 1994), fino alla data di concreta erogazione del finanziamento (2001), rileva la ricorrente Regione che tale condanna, pronunciata nei confronti della sola Amministrazione regionale, e non anche delle altre Amministrazioni resistenti costituite in giudizio (Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero delle Attività produttive) sia passibile di revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.

Si sarebbe, ad avviso della parte, verificato il cd. “abbaglio dei sensi”, allorché il Collegio giudicante, all’esito dell’esame dei documenti e degli atti prodotti in giudizio, ha ravvisato, erroneamente, il comportamento colposo da parte della sola Amministrazione regionale per la mancata concessione del finanziamento in favore della Società Albergo Santa Chiara.

E ciò in quanto, dagli atti e documenti prodotti in giudizio, si evincerebbe, diversamente, che l’Amministrazione competente alla istruttoria del procedimento di finanziamento, ed alla sua approvazione, fosse la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento del Turismo –, mentre la Regione Lazio è intervenuta nel procedimento ex post , in esito della valutazione delle istanze da parte della Commissione tecnica, di cui all’art. 2, comma 2, della legge 556 del 1988 ed all’art. 6 del D.M. 31 dicembre 1988.

In particolare, il compito della Regione Lazio era quello di stipulare la Convenzione con la società Albergo Santa Chiara e di erogare il relativo finanziamento;
all’esito, però, della approvazione della istanza da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento del Turismo – di cui al Decreto 19 febbraio 1999.

Ribadisce pertanto parte ricorrente che nella fattispecie sia intervenuto il cd. “abbaglio dei sensi”, atteso che dagli atti e documenti depositati in giudizio si evince, con chiarezza, il ruolo primario della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Turismo – rivestito nel procedimento di ammissione del progetto dell’Albergo Santa Chiara al finanziamento richiesto;
mentre non emerge in alcun modo (né il Collegio avrebbe, in tale senso, motivato) il comportamento colposo della Amministrazione regionale).

Lo stesso art. 12-bis del decreto legge 149 del 1993, convertito in legge 237 del 1993, prevedeva espressamente che “ l’ammissione al finanziamento è disposta, con proprio decreto, dal Presidente del Consiglio dei Ministri in base alle priorità ed ai criteri previsti dalla normativa di cui al comma 7 del presente articolo, tenuto conto dell’interesse sociale alla realizzazione dell’opera anche in relazione alle aree di cui all’art. 1, comma 1, del D.L. 20 maggio 1993 n. 148”.

Il fatto erroneo, come sopra denunciato, rappresenterebbe un elemento decisivo della pronuncia revocanda, non attenendo ad un punto controverso del giudizio, sul quale la sentenza si è pronunciata, né in primo né in secondo grado.

5. In data 17 febbraio 2020, si è costituita in giudizio la Società Albergo Santa Chiara, sostenendo l’inammissibilità del proposto ricorso per revocazione, in quanto la decisione oggetto di censura, nel riconoscere la responsabilità colposa della Regione Lazio, avrebbe operato “una scelta di merito in applicazione di norme di diritto, non censurabile … mediante un ricorso per revocazione che, altrimenti, si tradurrebbe in un ulteriore grado di giudizio, in violazione delle più basilari regole del processo amministrativo”; escludendosi, per l’effetto, la ravvisabilità di svista materiale da parte del Collegio giudicante.

Quanto alla eventuale fase rescissoria, in ipotesi di accoglimento del ricorso in via rescindente, la parte ribadisce le considerazioni esposte e le conclusioni rassegnate nel giudizio a quo; sottolineando come l’accertamento della condotta colposa e la condanna risarcitoria non potranno che ribaltarsi sulle Amministrazioni statali convenute, come del resto chiesto dalla stessa Regione Lazio, identici essendo i fatti, i comportamenti e le conseguenze dannose.

6. Si sono, inoltre, costituite in giudizio (in data 28 gennaio 2020) le intimate Amministrazioni statali;
le quali, con memoria depositata in atti il successivo 6 marzo, hanno chiesto che il proposto mezzo di tutela venga dichiarato inammissibile, atteso che l’esperito rimedio non sarebbe praticabile, allorché rivolto – come nella presente fattispecie – ad un aspetto della controversia che ha formato oggetto di valutazione giudiziale.

Nel sottolineare come l’errore di fatto, suscettibile di legittimare la revocazione, non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione della realtà, ma deve avere anche carattere decisivo (nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione), le suindicate Amministrazioni hanno sostenuto che, con la decisione di appello impugnata, è stato compiuto un vero e proprio giudizio valutativo in ordine alla condotta colposa della Regione nella erogazione del finanziamento: tale valutazione, eventualmente rilevante quale error in judicando, dimostrandosi insuscettibile di essere contestata quale errore revocatorio, ex art. 104 c.p.a.

Conseguentemente, la parte ha sollecitato la declaratoria di inammissibilità del mezzo di tutela all’esame.

7. In vista della trattazione nel merito della presente controversia, Albergo Santa Chiara ha depositato in atti (alla data del 17 marzo 2020) memoria di replica;
con la quale, confutate le argomentazioni sostenute dalla Regione Lazio (da ultimo, ribadite con memoria depositata il 27 febbraio 2020), viene ribadita la richiesta di declaratoria di inammissibilità del proposto ricorso per revocazione.

8. Il ricorso viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 29 settembre 2020.

DIRITTO

1. Come indicato in narrativa, il ricorso per revocazione dalla Regione Lazio proposto avverso la sentenza di questa Sezione, n. 7229 del 25 ottobre 2019, è fondato sulle seguenti considerazioni:

- in primo luogo, nell’anzidetta decisione è stata dichiarata, in via esclusiva, “ colposa la condotta della Amministrazione regionale”, quanto al mancato ottenimento dei finanziamenti da parte di Albergo Santa Chiara s.r.l.;
e non anche la condotta tenuta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero delle Attività produttive;

- tale statuizione avrebbe fatto seguito ad un cd. “abbaglio dei sensi”, atteso che il Collegio giudicante, in conseguenza dell’esame degli atti e documenti di causa, avrebbe ravvisato in capo alla sola Amministrazione regionale una condotta di carattere colposo in relazione alla mancata concessione del finanziamento in favore della Società anzidetta;

- diversamente, proprio gli atti versati in giudizio dimostrerebbero che l’Amministrazione competente, quanto alla istruttoria del procedimento di finanziamento, nonché alla conclusiva approvazione, fosse la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento del Turismo, laddove la Regione Lazio è intervenuta nel procedimento soltanto in esito della valutazione delle istanze da parte della Commissione tecnica, di cui all’art. 2, comma 2, della legge 556 del 1988 ed all’art. 6 del D.M. 31 dicembre 1988.

2. Le riportate considerazioni, sulle quali è fondato il ricorso per revocazione, esperito ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c., persuadono il Collegio della inammissibilità del mezzo di tutela proposto.

2.1 Per consolidata giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato: Sez. V, 30 ottobre 2015, n. 4975;
Sez. IV, 21 aprile 2017, n. 1869;
Ad. Plen., 27 luglio 2016, n. 21;
e, da ultimo, Sez. V, 23 dicembre 2019, n. 8685), l'errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall'art. 395, n. 4), c.p.c., deve:

- consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile;

- essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa;

- non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata;

- presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche;

- non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo.

L’errore di fatto revocatorio consiste, quindi, nel c.d. “abbaglio dei sensi”: e, cioè, nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista del giudice, che conduca a ritenere come inesistenti circostanze pacificamente esistenti, o viceversa;
di talché, la falsa percezione da parte del giudice della realtà processuale, che giustifica l’applicazione dell’art. 395 c.p.c., deve consistere in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare l'esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti di causa, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo, che dagli atti e documenti medesimi risulti invece positivamente accertato (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. III, 10 marzo 2020, n. 1719).

E’ inammissibile, quindi, il rimedio revocatorio in relazione ad errori non rilevabili con assoluta immediatezza, ma che richiedano, per essere apprezzati, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche, ovvero errori che non consistano in un vizio di assunzione del fatto (tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso), ma si riducano ad errori di criterio nella valutazione del fatto, di modo che la decisione non derivi dall’ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall’erronea interpretazione di essi.

Non sussiste, quindi, vizio revocatorio quando venga lamentata un’asserita erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio (in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio), nonché nel caso in cui una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2018, n. 7189).

2.2 Nella presente fattispecie, non è invero dato rinvenire la presenza dei ricordati elementi, che connaturano gli estremi dell’errore revocatorio di fatto, atteso che gli asseriti errori della sentenza, per come ipotizzati nel ricorso, non appaiono consistere in un vizio di assunzione del fatto, tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso, piuttosto, atteggiandosi quale (affermato) errore nel criterio di valutazione del fatto, nonché nella affermata erronea valutazione delle risultanze processuali.

La decisione sottoposta a critica, quindi, non deriva – come dalla ricorrente Regione sostenuto – da una falsa rappresentazione di atti e documenti di causa, ma dalla asserita erronea loro interpretazione, ovvero dalla presupposta anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio.

Tali dedotti errori costituiscono, semmai, errori di giudizio e non sono deducibili con il mezzo della revocazione: conseguentemente, dovendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

3. Le spese della presente controversia, liquidate come in dispositivo, vengono poste a carico della parte soccombente.

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