Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-11-24, n. 201705489
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Testo completo
Pubblicato il 24/11/2017
N. 05489/2017REG.PROV.COLL.
N. 03154/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3154 del 2017, proposto dal comune di Torino, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati D S, L V, G F, con domicilio eletto presso lo studio Studio Legale Bonura Fonderico in Roma, corso Vittorio Emanuele II, N. 173;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati, costituitisi in giudizio;
nei confronti di
Comune di Fiumicino non costituito in giudizio;
per l'ottemperanza della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV n. 5013/2015.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Fonderico e l'Avvocato dello Stato Fabio Tortora;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con il ricorso in ottemperanza che viene alla decisione del Collegio r.g.n. 3154/2017 il Comune di Torino agisce per ottenere la conformazione delle intimate amministrazioni centrali ( Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero dell’Interno) alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, del 30 novembre 2015, n. 5013 che ha in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile l’appello proposto dalla difesa erariale e volto ad ottenere l’annullamento delle sentenze nn. 10436/2013 e 4878/2014 rese dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma -.
2. La complessa vicenda processuale può essere così riassunta:
a) il comune di Torino aveva proposto il ricorso di primo, grado, integrato con motivi aggiunti, dolendosi della circostanza che, sebbene in sede di istituzione dell’Imposta Municipale propria (di seguito denominata IMU) si fosse stabilito che questa ( d.lgs. n. 23/2011) avrebbe sostituito alcune imposte preesistenti il cui gettito era di pertinenza dei Comuni e che fosse stato istituito un Fondo sperimentale di riequilibrio, le cui modalità di alimentazione e di riparto avrebbero dovuto essere stabilite con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previo accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, le intimate amministrazioni avessero di fatto “eluso” la ratio complessiva dell’operazione fiscale;ciò in quanto alla variazione derivante dalla stima del gettito IMU avrebbe dovuto corrispondere una variazione corrispondente delle attribuzioni a valere sul Fondo, di modo da rendere l’operazione neutrale rispetto al complesso delle finanze statali e comunali coinvolte. Senonché, in sede di “stima” dei gettiti rilevanti, invece di limitarsi a prendere atto del gettito effettivo dell’ICI ( sulla base dei certificati di conto consuntivo prodotti dai Comuni,) e procedere alla stima del gettito IMU sulla base di valutazioni oggettive, era avvenuto che le amministrazioni centrali:
I) da un lato, avevano trasformato la prima quantità in un dato “stimato” (in tesi anche erroneamente) anche per i Comuni che avevano regolarmente trasmesso i certificati Ici (anzi che limitarsi a prendere atto di queste ultime);
II) per altro verso, avevano incluso nella determinazione della stima del gettito IMU voci di gettito la cui esclusione era stata (in tesi) espressamente prevista dalla legge, o che, in ogni caso, erano state determinate secondo criteri inesatti e impropri.
Attraverso tale duplice operazione, la sperequazione tra gettito ICI ed IMU è stata implementata (riducendo il primo ed incrementando il secondo), con l’effetto di ridurre illegittimamente le attribuzioni al Comune a valere sul Fondo sperimentale. Detta operazione era illegittima, in quanto era incontestabile che il comune di Torino avesse trasmesso i certificati di conto consuntivo Ici.
2.1. Il T.a.r. con la sentenza nn. 10436/2013 (oggetto di tempestiva riserva di appello proposta dalla difesa erariale) ha esaminato e disatteso le eccezioni processuali sollevate dalla Difesa erariale ed ha disposto che parte appellata estendesse il contraddittorio a tutti i Comuni che beneficiavano delle ripartizioni del FSR;con la sentenza definitiva n. 4878/2014 ha raggruppato le censure in tre gruppi omogenei e le ha accolte.
2.2. Con la sentenza del 3.11.2015, n. 5013, della quale si chiede l’ottemperanza, questa Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile l’appello proposto dalle amministrazioni centrali odierne intimate.
3. Con l’odierno ricorso in ottemperanza il comune di Torino fa presente che:
a) per conformarsi alle menzionate sentenze le intimate amministrazioni centrali avrebbero dovuto determinare nuovamente i gettiti delle due imposte, e conseguentemente le differenze e le compensazioni e variazioni nelle assegnazioni da federalismo municipale (procedendo poi ai conseguenti conguagli);ciò tanto più laddove si consideri che sia in primo grado sia in appello era rimasto espressamente smentito (tanto che era stata disattesa l’eccezione di improcedibilità proposta dalla difesa erariale) che il contributo previsto dal ( medio tempore intervenuto) art. 10 -quater del d.L. n. 35/2013 /2013 -in forza del quale al comune di Torino erano state riconosciute le somme di € 11.854.073,14 per l’anno 2012, ed € 9.698.787,12 per l’anno 2013 e di euro 10.916.524 per il 2014- aveva del tutto restaurato il danno subito, in quanto gli immobili comunali pesavano nella stima del gettito IMU per un importo pari quantomeno a € 15.390.109,42 annui e pertanto al comune era stata attribuita una somma inferiore rispetto a quella spettante;
b) tale attività conformativa non era stata posta in essere (o, almeno, non se ne aveva notizia) in quanto una iniziale interlocuzione tra le parti si era arrestata nel marzo 2017 (in particolare il comune di Torino aveva risposto immediatamente ad una richiesta di chiarimenti proveniente dalle Amministrazioni centrali e poi nulla di ulteriore era accaduto).
Si chiede pertanto alla Sezione di accertare in via istruttoria lo stato del procedimento avviato, e condannare, anche in relazione all’art. 112 comma v del c.p.a,. le amministrazioni intimate a dare integrale esecuzione alla sentenza regiudicata del 3.11..2015, n. 5013 previa verifica, nel contraddittorio delle parti, dei conteggi dei processi di calcolo e delle variabili coinvolte nella complessa operazione, nominando sin d’ora un commissario ad acta per la ipotesi di perdurante inottemperanza.
4. In data 30.5.2017 le amministrazioni intimate si sono costituite nell’odierno giudizio di appello con atto di stile.
5. In data 23.10. 2017 le intimate amministrazioni hanno depositato un’articolata memoria, nell’ambito della quale hanno sostenuto che:
a) il petitum articolato dal comune di Torino (punto 8 del ricorso) lamentava l’inadempimento delle Amministrazioni rispetto a quanto statuito con le sentenze del TAR Lazio n. 4878 del 2014 e del Consiglio di Stato n. 5013 del 2015 dalle quali sarebbe scaturito un “significativo pregiudizio derivante dall’originaria erronea quantificazione del gettito ICI e, in modo più marcato, del gettito IMU e da ciò, a cascata, delle differenze tra i due gettiti e delle corrispondenti riduzioni dei trasferimenti annuali a valere sul Fondo sperimentale, dal 2012 ad oggi”;
b) senonché doveva tenersi conto innanzitutto di due emergenze processuali:
I) la pronuncia del Consiglio di Stato n. 5013 del 2015 si incentrava esclusivamente sul FSR relativo all’anno 2012 in merito alla quantificazione dei gettiti ICI e IMU;
II) la sentenza n. 5013 del 2015 non poteva essere interpretata disgiuntamente dalla sentenza “gemella” dello stesso Collegio n. 5008 del 2015 nell’ambito della quale il Consiglio di Stato aveva deciso un analogo ricorso proposto dall’Anci;
III) e proprio a tale proposito, al considerando n. 3.1. della sentenza n. 5013 del 2015, era stata affermata “la evidente natura inscindibile degli atti gravati”;
IV) da ciò discendeva che, stante l’intrinseca inscindibilità che caratterizzava i provvedimenti relativi alle distribuzioni del FSR 2012, doveva escludersi che per il Comune di Torino potessero essere prese determinazioni che riguardassero esclusivamente quest’ultimo;
c) il nucleo della statuizione demolitoria (confermativa di quella già resa dal T.a.r.) contenuto nella ottemperanda decisione riposava nella affermazione per cui era incomprensibile l’estensione della "operazione di integrazione" alla totalità dei comuni e, quindi, anche a quelli che non avevano presentato certificati di conto consuntivo per le annualità 2009 e 2010 incompleti, visto che la nota metodologica del 16 ottobre 2012 aveva fatto presente che si erano rese necessarie operazioni di integrazione "per risolvere il problema dei dati mancanti od incompleti”;
d) da ciò discendeva che:
I) l’operazione di integrazione era stata ritenuta illegittima (non in assoluto ma) con esclusivo riferimento alla sua estensione (anche) ai comuni (tra cui quello di Torino) che non avevano presentato certificati di conto consuntivo per le annualità 2009 e 2010 incompleti;
II) ciò, comunque, nella consapevolezza che “l’importo del FSR “era stato predeterminato, ed era invariabile” e che tale dato neppure era "errato: la cifra di Euro 9.657 milioni era semplicemente il dato Istat aggiornato ad una data successiva”.”
d) la sentenza conteneva l’affermazione per cui “il dato (gettito stimato dell’Ici pari a 9.193 milioni di Euro), era statoalla base dell’Accordo dell’1 marzo 2012 che aveva definito l’importo della dotazione del Fondo, ed era immodificabile.”.
Non può affermarsi che esso avrebbe dovuto essere modificato mercé le gravate note metodologiche tenendo conto dell’aggiornamento del dato Istat, ne discendeva che era infondato il petitum della parte odierna ricorrente in ottemperanza, laddove si era sostenuto che le intimate amministrazioni “avrebbero dovuto determinare nuovamente i gettiti delle due imposte”;
e) analoghe considerazioni valevano per il gettito Imu.
5.1. Nella seconda parte della memoria, la difesa erariale ha quindi fatto presente che:
a) a seguito di una serrata interlocuzione con l’Anci, le amministrazioni intimate e quest’ultima erano addivenute al convincimento che non fosse possibile un adeguamento per via (meramente) amministrativa alle due sentenze del Consiglio di Stato suindicate;
b) si era quindi proceduto in via legislativa, ed erano state emanate le disposizioni di cui ai commi 433 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 232 del 2016: in particolare, il comma 439 aveva stabilito che “i beneficiari, le finalità, i criteri e le modalità di riparto dei fondi di cui ai commi 433 e 438 sono disciplinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro il 31 gennaio 2017, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281”;
c) acquisita l’intesa in Conferenza nella seduta del 23 febbraio 2017, era stato emanato il D.P.C.M. 10 marzo 2017 recante “Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 1, comma 439, della legge 11 dicembre 2016, n. 232. (Legge di bilancio 2017)” (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
29 maggio 2017, n. 123, S.O.) il cui art. 3, comma 3, aveva stabilito, che “una quota del Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi a favore degli Enti territoriali di cui al comma 438 dell'art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, pari a 28,8 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2026, è attribuita ai comuni sulla base della differenza, ove positiva, tra la quantificazione del gettito dell'imposta comunale sugli immobili iscritto nei rendiconti 2009 e 2010 e la stima del gettito dell'imposta comunale sugli immobili presa a riferimento per le riduzioni di cui al citato comma 17 dell'art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, fermo restando l'importo complessivo su base nazionale pari a 9.193 milioni di euro, nonché i dati finanziari posti a base della determinazione del fondo di solidarietà comunale degli anni dal 2013 al 2016. Il contributo di cui al presente comma spetta ai comuni che alla data del 31 maggio 2013 hanno presentato i certificati di conto consuntivo relativi agli anni 2009 e 2010, ed è riportato nella tabella C allegata al presente decreto”;
d) tale decreto costituiva espressa ottemperanza alla sentenza “gemella” n. 5008 del 2015 del Consiglio di Stato (che era stata espressamente citata nelle premesse al dPCm medesimo) che, come prima rilevato, aveva espresso il principio della inscindibilità degli atti;
d) il comune di Torino non poteva dolersi di non essere stato contemplato nella tabella C in quanto il medesimo non era stato interessato negativamente «dalla complessiva operazione “correttiva a tappeto” dei dati risultanti dai certificati di conto consuntivo»;
e) peraltro il comune non aveva impugnato detto decreto, e su quest’ultimo era stata raggiunta l’intesa in Conferenza Unificata di cui all'art. 8 del D. Lgs. n. 281 del 1997, nella seduta del 23 febbraio 2017;
f) posto che le operazioni di integrazione dei dati non avevano penalizzato il comune di Torino come emerso in sede di Conferenza Unificata per l’approvazione del D.P.C.M. ex comma 439 dell’art. 1 della legge n. 232 del 2016, questi non poteva dolersi né nel merito, né lamentare scarsa trasparenza posto che l’intesa era stata raggiunta nella sede (Conferenza Unificata) più “alta” e trasparente possibile;
g) quanto al capo della ottemperanda decisione relativo alla “illegittimità del computo degli immobili di proprietà comunale nel calcolo del gettito IMU”, in ordine al quale pure era stata denunciata l’inerzia delle intimate amministrazioni, doveva osservarsi che:
I) il Consiglio di Stato nella sentenza n. 5013 e anche nella sentenza n. 5008 del 2015, aveva affrontato la problematica unicamente sotto il profilo dell’incidenza negativa nei confronti del patto di stabilità della non disponibilità delle somme relative agli immobili (capo 6.1. della sentenza n. 5013);
II) effettuate le necessarie verifiche in ordine alla circostanza che lo stesso comune non avesse potuto usufruire delle somme in questione, era risultato, invece, che l’indisponibilità ai fini del patto di stabilità delle somme in contestazione non aveva penalizzato le politiche di spesa del Comune stesso, in quanto , il medesimo Ente aveva autonomamente, per proprie scelte di gestione del bilancio, contratto la propria spesa per un ammontare ampiamente superiore a quello discendente dalla problematica in oggetto;
III) anche per tale specifico punto della sentenza n. 5013 del 2015 le Amministrazioni non potevano ritenersi inadempienti, e di converso nella statuizione della sentenza non si poteva far rientrare la richiesta del Comune – espressa al punto 6 del ricorso, laddove si era preso in considerazione il profilo quantitativo del contributo in esame – diretta ad ottenere un maggior rimborso per gli immobili comunali rispetto a quanto già riconosciuto dallo Stato mediante una rideterminazione del gettito IMU;
IV) anche per l’IMU i Ministeri non erano stati in alcun modo chiamati, sulla base della sentenza, a rivedere il gettito in questione, ma solo a verificare l’incidenza del gettito degli immobili di proprietà comunale non esenti sul rispetto dell’equilibrio finanziario previsto dal patto di stabilità: trattandosi di argomentazioni estranee allo stretto ambito dell’ottemperanza, le richieste articolate dal comune, in proposito, erano da considerarsi inammissibili.
6. In data 27 .10.2017 il comune di Torino ha depositato una memoria di replica, affermando che:
a) il petitum originario atteneva all’annullamento degli atti con i quali le Amministrazioni governative avevano «determinato nei confronti del Comune di Torino le differenze del gettito stimato ad aliquota base, ai sensi dell’art. 13, comma 17, del decreto legge n. 201/2011 […] e le conseguenti compensazioni e variazioni nelle assegnazioni da federalismo municipale per l’anno 2012»;ii) una serie di note metodologiche volte a definire in generale i criteri di determinazione;iii) i successivi atti di “verifica” e “aggiornamento”, sempre per la determinazione “nei confronti del Comune di Torino” (come da epigrafe della sentenza del Tar Lazio, Roma, sez. II, n. 4878/2014, richiamata nell’esordio della sentenza ottemperanda del Consiglio di Stato n. 5013/2015);
b) la sentenza del Tar per il Lazio aveva annullato i provvedimenti impugnati, disponendo espressamente che i Ministeri intimati avrebbero dovuto «procedere a rideterminare le necessarie compensazioni e variazioni nelle assegnazioni da federalismo municipale per l’anno 2012, in conformità a quanto affermato nella presente decisione, nonché ad effettuare i conseguenti conguagli rispetto alle somme già assegnate»;
c) la statuizione dispositiva era stata confermata in appello;
d) ivi era peraltro contenuta l’affermazione per cui « insomma, premesso che nel caso di specie il Comune di Torino ha dimostrato il concreto pregiudizio economico discendente dagli atti gravati, il Collegio non è persuaso che tale “valore” sia l’unico perseguibile, in quanto concretamente monetizzabile. Invero l’Ente esponenziale ha interesse a conoscere anticipatamente quale sia l’importo dei fondi sui quali può fare affidamento per adottare le proprie politiche finalizzate al perseguimento dei fini che gli sono propri;ed ha interesse a contare su una anticipata quantificazione di ciò corretta ed affidabile. Ove sostenga che essa è affetta da errori, ha interesse a contestarla: e ciò, in disparte la futura speranza che detti “errori” vengano in futuro emendati» (par. 4.2.2.).
3.1. Discendeva da ciò ad avviso della ricorrente in ottemperanza che:
a) le amministrazioni intimate avrebbero dovuto ottemperare al decisum : la questione della capienza del relativo fondo, anche se in ipotesi insufficiente, non avrebbe precluso di ricalcolare con specifico riferimento al Comune di Torino il valore dell’ICI e quello dell’IMU per poter, in base alle relative differenze, stabilire quale fosse in ipotesi il valore delle assegnazioni da disporre;
b) la circostanza che l’Anci avesse preferito non insistere nell’esecuzione “in via amministrativa” della sentenza n. 5008/2015 poteva avere privato il Comune di Torino del suo autonomo interesse all’esecuzione della sentenza n.5013/2015, per la parte che lo riguardava direttamente (la determinazione nei suoi confronti dei gettiti ICI e IMU, delle relative differenze e delle compensazioni dovute);
c) la tesi delle intimate amministrazioni era quella per cui la rideterminazione dei gettiti per tutti i Comuni nel rispetto dei criteri indicati dalle sentenze avrebbe potuto fare emergere il diritto a compensazioni maggiori rispetto alle risorse complessivamente disponibili (e che quindi non si potrebbe dar luogo a tali rideterminazioni se non dopo che il Legislatore abbia incrementato le risorse a disposizione);
d) ciò confondeva piani tenuti ben distinti nelle sentenze sia di primo grado che di appello (parr. 5.2., 5.2.1, 5.3., 7.1. in diritto della ottemperanda decisione);
e) peraltro la rideterminazione non avrebbe implicato alcun rischio di “effetto domino” rispetto alla posizione degli altri comuni: se ad esito della determinazione del gettito nel rispetto della sentenza fosse emerso che il comune di Torino avrebbe dovuto avere un quantitativo maggiore di risorse, ciò non avrebbe dato alcun titolo ai Ministeri per sottrarre ad altri comuni le risorse loro dovute e già loro assegnate, né ovviamente per penalizzare ancor di più i Comuni che avessero ricevuto già meno del dovuto: ciò avrebbe unicamente implicato l’emergere dell’incapienza della risorse a disposizione e far divenire eventualmente procedibili quei vizi di costituzionalità la cui formulazione era stata rinviata sia dalla sentenza del Tar (par. 9 in diritto) sia da quella ottemperanda (par. 7 in diritto) a dopo l’esecuzione delle sentenze.
3.2. Nell’ultima parte della memoria di replica la parte ricorrente in ottemperanza ha rilevato, sotto il profilo del merito che:
a) quanto alla rideterminazione del valore dell’Ici (“sottraendo” per calcolare la differenza di gettito) :
I) il mancato rispetto del d.m. 4 maggio 2012 e dei dati dei certificati di rendiconto era stato affermato sia in primo, che in secondo grado con riguardo alla estensione di questa “operazione di integrazione” alla totalità dei comuni e, quindi, anche a quelli che non avessero presentato certificati di conto consuntivo per le annualità 2009 e 2010 incompleti»;
II) la sentenza di appello aveva confermato espressamente che il dato Istat – quale che fosse – non aveva rilievo per quei comuni che, come il Comune di Torino, avessero presentato i certificati di conto consuntivo, ai quali occorreva fare riferimento;
III) l’esecuzione della sentenza richiedeva quindi che i Ministeri rideterminassero il gettito ICI del Comune di Torino alla luce dei soli certificati di conto consuntivo che lo stesso aveva presentato per gli anni 2009 e 2010 e senza alcuna operazione integrativa, in quanto l’unica operazione ammessa –alla luce della ottemperanda sentenza, che aveva dato atto della non contestazione del punto (par. 5.3.1.) – era quella della media tra le due annualità secondo quanto più puntualmente definito a suo tempo in sede tecnica e già fatto dai Ministeri per la generalità delle situazioni;
b) quanto alla determinazione del valore dell’Imu ( “minuendo” della differenza di gettito):
I) la sentenza del Tar, oltre ad avere ritenuto fondato il vizio per violazione di legge
(par. 5 in diritto), aveva espressamente escluso che la materia del contendere fosse cessata in relazione al successivo contributo che era stato disposto, per tale voce, con l’art. 10-quater del d.l. n.35/2013: «il Collegio ritiene che la sopravvenienza della disposizione dell’art. 10-quater del decreto-legge n. 35/2013 non possa determinare la cessazione della materia del contendere, perché la Difesa erariale non ha concretamente dimostrato che la disponibilità di nuove risorse sul FSR valga a superare gli effetti prodotti dall’applicazione dei criteri di calcolo fissati con le suddette note metodologiche del 16 ottobre 2012 e del 31 maggio 2013»
II) la ottemperanda decisione aveva dichiarato che l’appello sul punto era inammissibile, e comunque aveva nel merito escluso che l’azione fosse divenuta improcedibile;
III) anche in questo caso, l’unica forma di esecuzione della sentenza che le Amministrazioni governative avrebbero dovuto assicurare era quella della rideterminazione, nei confronti del Comune di Torino, del gettito IMU, di modo da completare gli elementi della operazione di calcolo delle “differenze” di gettito e da giungere alla cifra idealmente dovuta di riduzione delle compensazioni statali;
IV) appariva poi incomprensibile che le Amministrazioni (che non avevano proceduto ai relativi calcoli) potessero affermare che il risultato finale non sarebbe variato a cagione della circostanza che il comune di Torino era stato virtuoso.
3.3. Infine, nella citata memoria, il comune ha sostenuto che il d.P.C.M. 10 marzo 2017 in tema di fondi per gli enti locali non spiegava alcuna refluenza sulla domanda di ottemperanza: la legge di bilancio 11 dicembre 2016, n. 232, in particolare l’art. 1, comma 438, aveva istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze un fondo, denominato «Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi a favore degli Enti territoriali». In base al successivo comma 439, i beneficiari, le finalità, i criteri e le modalità di riparto del Fondo dovevano essere disciplinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri: la disciplina in questione era stata adottata con il citato d.P.C.M. del 10 marzo 2017 che, tra le altre cose, aveva attribuito un contributo ex post secondo un criterio che non considerava la posizione del Comune di Torino per come tratteggiata nel giudizio cognitorio, tanto che al Comune non era stata assegnata alcuna risorsa.
Il citato decreto non aveva quindi contribuito, neppure in modo puramente materiale, all’esecuzione della sentenza n. 5013/2015 che riguardava il Comune di Torino, avendo invece riguardato l’esecuzione della sola sentenza n. 5008/2015 resa nel giudizio promosso dall’ Anci, per quei comuni che erano stati pregiudicati da un’altra tra le operazioni correttive/integrative effettuate dai Ministeri.
Neppure poteva spiegare rilievo che la circostanza che la sentenza n. 5013/2015 riguardasse (in parte) atti inscindibili oggetto anche della sentenza n. 5008/2015: l’inscindibilità degli atti consentiva semmai l’estensione degli effetti del giudicato ai soggetti non parti, ma non poteva precludere alla parte di avvalersi dell’autorità del giudicato che autonomamente lo riguardava.
5. Alla odierna camera di consiglio del 9 novembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Come fatto presente dal Presidente del Collegio alle parti ex art. 73 comma III del c.p.a. in sede di discussione in camera di consiglio, la prima problematica da risolvere concerne la individuazione del Giudice competente a decidere sulla domanda di ottemperanza.
1.1. Stabilisce infatti l’art. 113 comma 1 del c.p.a. che il ricorso in ottemperanza “si propone, nel caso di cui all'articolo 112, comma 2, lettere a) e b), al giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta;la competenza e' del tribunale amministrativo regionale anche per i suoi provvedimenti confermati in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo dei provvedimenti di primo grado.”
2. Ritiene il Collegio che il ricorso in ottemperanza sia inammissibile, in quanto avrebbe dovuto essere proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio.
3.Si rammenta in proposito che la giurisprudenza più recente (Consiglio di Stato, sez. IV, 1 febbraio 2017, n. 409, ma si veda anche Consiglio di Stato, sez. VI, 2 luglio 2014, n. 3331), pienamente condivisa dal Collegio, ha affermato che “nel processo amministrativo il giudice competente nel giudizio di ottemperanza va individuato, nel caso di conferma della sentenza di primo grado da parte del Consiglio di Stato, con riguardo all'indice testuale contenuto nel dispositivo della sentenza di secondo grado, indipendentemente dal suo percorso argomentativo, cui è connaturale uno sviluppo non meramente ripetitivo della sentenza di primo grado;ne consegue che, ove il dispositivo comporti una statuizione di rigetto dell'appello, vi è certamente identità di contenuto dispositivo tra i provvedimenti di primo e secondo grado, con conseguente attribuzione della competenza al Tar delle questioni sull'ottemperanza;ma, ove il dispositivo in appello contenga statuizioni che evidenzino uno scollamento dal percorso motivazionale e, conseguentemente, dal dispositivo della decisione di primo grado gravata e, quindi, nei casi in cui emergano formule come « respinto con diversa motivazione », allora la competenza per il giudizio di ottemperanza si radica presso il Consiglio di Stato;ancora più precisamente, quanto alle pronunce di appello con la formula « conferma con diversa motivazione », e al fine di individuare il giudice competente ex art. 113 c.p.a. per il successivo giudizio di ottemperanza, occorre fare riferimento alle ragioni o meglio, al motivo di impugnazione che, una volta accolto dal giudice di appello, determina la conferma della pronuncia di primo grado;ed infatti, se la diversa motivazione di conferma si sostanzia in un approfondimento e/o ampliamento e/o arricchimento della motivazione di accoglimento del motivo o dei motivi già positivamente vagliati ed accolti dal giudice di primo grado, il contenuto dispositivo e conformativo del provvedimento di primo grado non può dirsi mutato, con conseguente individuazione del giudice competente nel Tar;invece, ove la sentenza di appello pervenga alla conferma dell'esito dispositivo della sentenza di primo grado, ma in base all'accoglimento di un diverso motivo di impugnazione (ad esempio, (ri)proposto con appello incidentale, ovvero modificando il contenuto del dispositivo di condanna), il contenuto dispositivo o conformativo della sentenza di appello si presenta indubbiamente come differente rispetto a quello della sentenza di primo grado, con conseguente competenza del Consiglio di Stato per il successivo giudizio di ottemperanza.”.
4.Muovendo dal superiore principio, il Collegio ritiene di porre in luce quanto segue:
a) la statuizione dispositiva contenuta nella ottemperanda decisione n. 5013/2015 è stata la seguente: “ 8.Conclusivamente, l’appello va in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile, nei termini e con le integrazioni di cui alla motivazione che precede.
9.La particolare complessità delle questioni esaminate, la natura della controversia, e la novità della medesima, impongono la integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio…..
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, e per l’effetto conferma la sentenza gravata.”;
b) nella motivazione della ottemperanda decisione è stato fatto espressamente presente che “ad avviso del Collegio l’intero appello sarebbe inammissibile per carenza di interesse” (a cagione della omessa censura di uno specifico capo della sentenza di prime cure idoneo a sorreggere, anche isolatamente considerato, la statuizione demolitoria);
c) il Collegio decidente ha comunque, per scrupolo di completezza, vagliato nel merito la controversia;
d) ed effettivamente, in una porzione della motivazione della ottemperanza decisione, è dato leggere la seguente affermazione “5.6. Il Tar ha poi irrobustito la propria motivazione accoglitiva delle censure c.d. “del primo gruppo” ravvisando un difetto di istruttoria riposante nell’avere utilizzato un dato statistico non aggiornato (gettito stimato dell’Ici pari a 9.193 milioni di Euro), sebbene, alla data del maggio 2011 detto dato fosse stato già aggiornato dall’Istat e quantificato in Euro 9.657 milioni.
5.6.1. La difesa erariale ha criticato l’approdo del Tar, evidenziando che il detto dato (gettito stimato dell’Ici pari a 9.193 milioni di Euro) era stato alla base dell’Accordo dell’1 marzo 2012 che aveva definito l’importo della dotazione del Fondo, ed era immodificabile dall’Amministrazione in carenza di una disposizione legislativa e/o di un nuovo Accordo in Conferenza sostitutivo di quello dell’1 marzo 2012 ;esso neppure era “errato”: la cifra di Euro 9.657 milioni era semplicemente il dato Istat aggiornato ad una data successiva.
5.6.2.In parte qua il Collegio concorda con la deduzione della difesa erariale, nei termini che vengono immediatamente chiariti.
5.6.3. Premesso che quanto ci si accinge ad affermare non può condurre al complessivo accoglimento della censura, in quanto la statuizione demolitoria va confermata alla stregua delle considerazioni prima rese circa la difformità della operazione di rettifica dati “a tappeto” e per tutti i comuni rispetto al percorso prescritto nei dM , pare al Collegio che il Tar abbia semplicemente voluto esprimere un auspicio alla coerenza complessiva, ritenendo che esso fosse stato disatteso mercè le gravate “note metodologiche”.
Invero, una volta che ci si era distaccati (e per tutti i comuni) dal criterio determinativo contenuto nei dM del 2012 “media dei certificati di conto consuntivo relativi alle annualità 2009 e 2010” , allora coerenza complessiva avrebbe voluto che, almeno, tale operazione “adeguatrice” venisse svolta tenendo conto del dato statistico relativo al gettito ICI “corretto” (nel senso di aggiornato, e quindi affidabile: il giudizio di correttezza, come avviene in ogni ipotesi di dato statistico, non implica certo che vi fosse un dato “errato”, ma che un dato era da considerarsi “superato” dal secondo, in quanto semplicemente più affidabile, in quanto fondato su parametri più aggiornati,etc).
La difesa erariale ha ragione nell’evidenziare che ciò non potesse avvenire mercè le note metodologiche: ma mercè le note metodologiche, come prima chiarito, non poteva neppure avvenire la complessiva operazione “correttiva a tappeto” dei dati risultanti dai certificati di conto consuntivo, per i comuni ai quali non fossero ascrivibili lacune, carenze, ed errori.
5.7. Nei termini sinora rappresentati, e con le integrazioni alla motivazione del Tar sinora esposte, tale limitato profilo di doglianza di parte appellante va favorevolmente considerato: il dato (gettito stimato dell’Ici pari a 9.193 milioni di Euro), era stato alla base dell’Accordo dell’1 marzo 2012 che aveva definito l’importo della dotazione del Fondo, ed era immodificabile.
Non può affermarsi che esso avrebbe dovuto essere modificato mercè le gravate note metodologiche tenendo conto dell’aggiornamento del dato Istat.”
d) appare ad avviso del Collegio evidente, però, che tale chiosa, da un lato non incide sulla portata confermativa della sentenza e, per altro verso, concerneva una parte della motivazione della sentenza di primo grado espressamente definita dallo stesso Collegio di appello accessoria ed aggiuntiva (“il Tar ha irrobustito..” ) di guisa che essa non può determinare le condizioni per il radicamento della competenza del ricorso in ottemperanza innanzi a questo Consiglio di Stato in grado unico, non incidendo sulla potata conformativa del decisum .
3. Si osserva infine, per completezza, che tale approdo appare altresì coerente con il principio che tende a salvaguardare il doppio grado di giudizio che - seppur per la giustizia amministrativa non espressamente consacrato nella Costituzione- è tendenziale canone interpretativo costantemente rispettato.
3.1. Deve, sul punto, rammentarsi che la Corte Costituzionale ha chiarito che l’art. 125, comma secondo, della Costituzione, prevedendo, nella Regione, l’istituzione di organi di giustizia amministrativa di primo grado, ha costituzionalizzato il principio che vieta di « attribuire al T.A.R. competenze giurisdizionali in unico grado e la conseguente necessaria appellabilità di tutte le sue pronunce, e, quindi, una garanzia del doppio grado riferita alle controversie che il legislatore ordinario attribuisca agli organi locali della giustizia amministrativa»; la stessa Corte Costituzionale ha aggiunto che «solo in tal senso assume rilevanza costituzionale» il principio del doppio grado di giudizio, «non potendo, l’art. 125 della Costituzione comportare l’inverso, perché nessun’altra norma della Costituzione indica il Consiglio di Stato come giudice solo di secondo grado» (Corte Costituzionale, ordinanza n. 395 del 1988;sentenza n. 8 del 1982;da ultimo sentenza n. 108 del 2009).
3.1.1. Tuttavia il Legislatore ha cercato, ove possibile, (ed a più riprese proprio con riferimento al rito dell’ottemperanza) di preservare il tendenziale seppur non costituzionalizzato principio doppio grado di giudizio (si vedano in proposito la sopravvenuta modifica dell’art. 112 del c.p.a. quanto al perimetro dei danni risarcibili e le disposizioni in materia di regime giuridico differenziato quanto alla impugnazione degli atti commissariali che trovano la propria ratio fondante proprio nel perseguimento della garanzia del doppio grado) e tale linea tendenziale deve essere propria anche della giurisprudenza.
4. Conclusivamente, il proposto ricorso in ottemperanza è inammissibile in quanto avrebbe dovuto essere proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, che è il giudice competente a conoscere del ricorso predetto, ex art. 113 comma I del c.p.a..
5. Le spese del procedimento vanno all’evidenza compensate stante la novità e particolarità della questione esaminata.