Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-02-02, n. 202200729

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-02-02, n. 202200729
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200729
Data del deposito : 2 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/02/2022

N. 00729/2022REG.PROV.COLL.

N. 00876/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 876 del 2020, proposto da
M C e G C, rappresentati e difesi dall'avvocato R L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Marcianise, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato S R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. VI n. 00177/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Marcianise;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 novembre 2021 il Cons. F D L e uditi per le parti gli avvocati R L e S R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, i Sig.ri Michele e G C chiedono la revocazione della sentenza n. 177 del 2020, con cui la Sezione ha confermato la sentenza di prime cure, di rigetto dei motivi di ricorso proposti dalle parti private, diretti ad ottenere l’annullamento del diniego di condono e del conseguente ordine di demolizione assunti dal Comune di Marcianise in relazione ad un manufatto abusivo in comproprietà, sito in via Lucca 17 in Marcianise.

In particolare, secondo quanto dedotto dagli odierni ricorrenti:

- i Sig.ri Ciano hanno impugnato, in prime cure, dinnanzi al Tar Campania, Napoli, il diniego opposto dal Comune di Marcianise sull’istanza di istanza di condono ai sensi dell'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito dalla L. 24 novembre 2003, n. 326) e la successiva ordinanza di demolizione del manufatto abusivo in comproprietà, composto da due piani avente superficie complessiva pari a170 mq., realizzato in via Lucca 17 in Marcianise;

- il Comune ha respinto l'istanza, contestando il mancato pagamento dell'esatta cifra relativa all'oblazione e degli oneri concessori;
di conseguenza, ritenendo le opere abusive, in mancanza della sanatoria, l’Amministrazione ha adottato come "atto dovuto" l’ordinanza di demolizione, impugnata con motivi aggiunti;

- il Tar ha rigettato i motivi di doglianza articolati dai ricorrenti, ritenendo che il mancato o inesatto pagamento dell’oblazione nonché il tardivo pagamento delle residue rate di oneri concessori fossero ostativi al condono, con la conseguente necessità di procedere alla demolizione delle opere abusive;

- i ricorrenti hanno appellato la sentenza di prime cure, deducendone l’erroneità, in quanto il Tar non avrebbe considerato che l’oblazione era stata versata nella misura autoquantificata e che, per effetto del decorso di 36 mesi dall’avvenuto pagamento, era maturata la prescrizione del diritto di percepire il conguaglio;
peraltro, i termini per versare l’oblazione non risultavano perentori, ragion per cui l’Amministrazione, prima di provvedere al diniego, avrebbe comunque dovuto richiedere l’integrazione dei documenti carenti o l’esibizione della prova dell’avvenuto pagamento, eseguibile anche in tale momento;

- la Sezione ha rigettato l’appello incorrendo, tuttavia, in un errore di fatto di natura revocatoria.

2. In particolare, gli odierni ricorrenti, proponendo un unico motivo di revocazione (riferito alla fase rescindente), rubricato “ errore di fatto. Erronea e/o omessa percezione del contenuto materiale degli atti del giudizio di appello r.g. 7017/2015 ”, hanno ritenuto che questo Consiglio sia incorso in una errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, avendo “ ritenuto erroneamente che il Comune di Marcianise avesse il 24 novembre 2006 richiesto ai Germani Ciano l’integrazione documentale ed il versamento dell’oblazione dovuta il condono ex legge 326/2003 del manufatto abusivo in comproprietà, composto da due piani avente superficie complessiva pari a 170 mq., realizzato in via Lucca 17 in Marcianise… ” (pagg. 5/6 ricorso).

Secondo quanto contestato in ricorso, infatti, nessuna richiesta di integrazione documentale o di integrazione dell’oblazione era pervenuta ai ricorrenti o, comunque, era stata versata in atti, né risultava depositata la prova della notifica di tali inesistenti richieste comunali.

Al riguardo, gli stessi ricorrenti hanno precisato che “ tale eccezione è stata ripetutamente proposta sia in primo grado che in appello ” (pag. 6 ricorso).

Tale preteso errore di fatto avrebbe indotto l’organo giudicante a decidere la controversia sulla base di un falso presupposto, ritenendo come documentalmente provata la circostanza fattuale per cui il Comune di Marcianise avesse richiesto ai ricorrenti il 24 novembre 2006 l’integrazione documentale ed il versamento dell’oblazione dovuta per il condono ai sensi del D.L. n. 326/03 cit. del manufatto per cui è causa.

Per l’effetto, un tale errore di fatto avrebbe influito sull’esito della controversia, tenuto conto che “ se non vi fosse stato questo macroscopico errore sul fatto della mancata notifica della richiesta dell’integrazione dell’oblazione e dei documenti da parte del Comune di Marcianise, sicuramente Codesto Ecc.mo Consiglio di Stato avrebbe accolto l’appello r.g. 7017/2015 e per, l’effetto si avrebbe avuto come diretta conseguenza: - la maturazione del termine dei 36 mesi di prescrizione per l’esercizio dell’eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti al Comune di Marcianise ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985, come modificato dall’art.4 convertito con modificazioni dalla legge 13 marzo 1988 n. 68. - la maturazione del termine di 36 mesi per la formazione del silenzio accoglimento di cui all'art. 35, comma 18 della legge citata, che decorre dalla presentazione dell'istanza di condono (circolare del Ministero dei lavori pubblici del 6 febbraio 1989 n. 142), con la prescrizione maturata a far data dal dicembre 2007 ” (pagg. 7/8 ricorso).

Per la fase rescissoria i ricorrenti ripropongono i motivi di doglianza proposti nel giudizio a quo , insistendo nel ritenere inesistente o comunque non provata la richiesta comunale di integrazione documentale e dell’oblazione, con conseguente maturazione del termine di prescrizione per l’esercizio del diritto comunale al conguaglio o al rimborso e formazione del silenzio assenso ex art. 35, comma 18, L. n. 47/1985.

Nella specie, difatti, secondo quanto dedotto in ricorso, le parti istanti avevano provveduto al pagamento dell’oblazione, senza ricevere alcuna contestazione comunale in ordine al quantum debeatur ;
l’eventuale carenza documentale, inoltre, non avrebbe potuto giustificare l’immediato rigetto delle istanze di condono, occorrendo preliminarmente chiedere agli istanti l’integrazione dei documenti (oltre che dell’oblazione) occorrenti per pervenire alla decisione conclusiva del procedimento;
il che non si era verificato nella specie.

Peraltro, il giudice a quo avrebbe dovuto ravvisare l’avvenuta formazione del silenzio assenso e la prescrizione del diritto comunale al conguaglio.

In ogni caso, nella specie l’entrata in vigore della L.R. n. 10/2004 avrebbe creato alcune incertezze sulla corretta quantificazione degli importi dovuti a titolo di oblazione e di oneri concessori;
una volta rimossi tali dubbi interpretativi, per effetto della dichiarazione di incostituzionalità della legge regionale (cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2006), gli istanti avrebbero tempestivamente provveduto al versamento degli importi dovuti, non potendo, dunque, tradursi l’incertezza normativa in un danno per le parti ricorrenti.

3. Il Comune intimato si è costituito in giudizio, eccependo con memoria del 25 marzo 2020 l’inammissibilità e comunque l’infondatezza sia della revocazione che dei motivi di appello riproposti per la fase rescissoria.

4. In vista dell’udienza pubblica di discussione le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni con il deposito di memorie conclusionali e repliche.

I ricorrenti hanno pure prodotto nuovi documenti, riguardanti un giudizio di ottemperanza pendente dinnanzi al Tar Campania, Napoli, riferito all’esibizione di copia del documento del 24 novembre 2016, con cui il Comune avrebbe chiesto il versamento dell’oblazione riguardante la domanda di condono edilizio per cui è causa, nonché di copia della relativa notifica nei confronti degli istanti.

I ricorrenti, anche sulla base di tali nuovi documenti, hanno chiesto un rinvio della controversia in attesa della decisione che il Tar avrebbe dovuto assumere in sede di ottemperanza, nonché hanno chiesto in via istruttoria di ordinare al Comune di Marcianise di depositare i provvedimenti prot. 2154 e 32653 del 21 agosto 2008 (con relative notifiche), riguardanti la richiesta, formulata dal Comune di Marcianise e rivolta all’appellante Ciano Giuseppina, avente ad oggetto il versamento dell’oblazione a valere sull’istanza di condono edilizio prot. n. 8847.

L’Amministrazione comunale ha insistito per la decisione della controversia.

5. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza dell’11 novembre 2021.

6. Preliminarmente, deve essere disattesa l’istanza di rinvio della causa, presentata dalle parti appellanti e motivata sulla base della pendenza, alla data in cui l’odierna causa è stata trattenuta in decisione, del giudizio di ottemperanza dinnanzi al Tar Campania, Napoli, avente ad oggetto l’acquisizione della richiesta comunale di integrazione documentale del 24.11.2016.

Ai sensi dell’art. 73, comma 1 bis, c.p.a. ( ratione temporis applicabile alla specie, in quanto vigente alla data di celebrazione dell’udienza di discussione), “[i] l rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che dispone il rinvio

Del resto, come precisato da questo Consiglio, “ la decisione finale in ordine ai concreti tempi della discussione spetta comunque al giudice, il quale deve verificare l'effettiva opportunità di rinviare l'udienza, giacché solo in presenza di situazioni particolarissime, direttamente incidenti sul diritto di difesa delle parti, il rinvio dell'udienza è per lui doveroso, e in tale ambito si collocano, fra l'altro, i casi di impedimenti personali del difensore o della parte, nonché quelli in cui, per effetto delle produzioni documentali effettuate dall'Amministrazione, occorra riconoscere alla parte, che ne faccia richiesta, il termine di sessanta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti (Consiglio di Stato sez. V, 22/02/2010, n.1032;
Cons. Stato, Sez. III, 30 novembre 2018, n. 6823;
Consiglio di Stato sez. II, 27/11/2019, n.8100)
” (Consiglio di Stato, sez. III, 3 marzo 2021, n. 1802).

Avuto riguardo al caso di specie, non sussistono quelle “situazioni particolarissime” o comunque quei casi eccezionali ex art. 73, comma 1 bis, c.p.a. che giustificano un rinvio della causa.

Come si osserverà amplius nel prosieguo, l’acquisizione dei documenti oggetto della sentenza di condanna pronunciata dal Tar Campania, Napoli non risulta rilevante ai fini della decisione;
parimenti, non risultano rilevanti i documenti oggetto dell’istanza istruttoria formulata nel presente grado di giudizio.

Difatti, la revocazione per cui è causa – alla stregua delle considerazioni che saranno infra svolte – risulta inammissibile, in quanto avente ad oggetto un preteso errore di fatto privo del carattere della decisività e, comunque, perché afferente ad un punto controverso tra le parti, non integrando, dunque, gli estremi del vizio revocatorio deducibile nella presente sede.

Posto che è possibile pervenire ad una decisione di inammissibilità della revocazione a prescindere dai documenti oggetto del ricorso per ottemperanza proposto dinnanzi al Tar Campania ovvero richiesti con l’istanza istruttoria presentata nell’odierno giudizio, la richiesta di rinvio e l’istanza istruttoria articolate nelle memorie depositate in vista dell’udienza pubblica di discussione del ricorso non sono meritevoli di favorevole apprezzamento.

A fronte, dunque, delle conclusioni formulate dall’Amministrazione intimata, nel senso di una decisione della controversia (altresì) in ragione dell’irrilevanza dell’ulteriore documentazione valorizzata dai ricorrenti, tenuto conto della effettiva inidoneità di detti documenti ad influire sulla decisione della controversia, prevale l’esigenza di sollecita definizione del giudizio, ostativa alla concessione di rinvii non funzionali all’effettivo esercizio del diritto di difesa della parte processuale.

7. Ciò premesso, la revocazione, come correttamente eccepito dall’Amministrazione comunale, deve essere dichiarata inammissibile, difettando un errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.

Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. III, 06 novembre 2020, n. 6842), l’errore di fatto "revocatorio" - da distinguere dall'errore di diritto, tale da non dare luogo ad esito positivo della fase rescindente del giudizio di revocazione, non potendo l'istituto della revocazione, attesa la sua eccezionalità, essere impiegato come terzo grado di giudizio -, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 106 del c.p.a. e 395 n. 4 del c.p.c., deve rispondere a tre requisiti:

a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così esistente un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;

b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

Tale errore, inoltre, deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche;
esso è configurabile nell'attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.

Per l’effetto, “ si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4, c.p.c. allorché il giudice - per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo - sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo, ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o l’anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita ” (Consiglio di Stato, sez. IV, 6 agosto 2020, n. 4955).

Peraltro, affinché possa ritenersi sussistente l'errore di fatto revocatorio nell'attività preliminare del giudice relativa alla lettura ed alla percezione degli atti, è necessario che “ nella pronuncia impugnata si affermi espressamente che una certa domanda o eccezione o vizio - motivo non sia stato proposto o al contrario sia stato proposto ” (Consiglio di Stato, sez. V, 4 gennaio 2017, n. 8).

8. Avuto riguardo al caso di specie, emerge che la Sezione ha rigettato il ricorso in appello proposto dagli odierni istanti sulla base di due autonome rationes deidendi , ciascuna delle quali idonea a sostenere la decisione revocanda.

In particolare, la Sezione ha rilevato che:

- ai sensi dell’art. 32, comma 37, D.L. n. 269/2003 cit., il mancato pagamento dell’oblazione nei termini previsti dalla legge inibisce il rilascio del condono, non essendo consentito l’adempimento tardivo;
pertanto, “ ove, come nel caso in esame, le opere siano state realizzate senza titolo, il mancato pagamento dell'oblazione nei termini previsti comporta l'applicazione delle sanzioni e, quindi, la rimessione in pristino (ovvero la demolizione) ”;
il che risponde (secondo quanto precisato dal giudice a quo ) alla ratio sottesa alla normativa condonistica, volta a far percepire alle Amministrazioni le somme conseguentemente spettanti, “ sicché non avrebbe senso consentire ritardi nel pagamento delle oblazioni (di per sé tali da poter condurre anche alla prescrizione del diritto alla percezione), in quanto verrebbero meno i ricavi finanziari auspicati per colmare i disavanzi delle casse comunali ”;
del resto, anche il tardivo versamento della seconda e della terza rata dell'oblazione di per sé è sufficiente a fondare la legittimità del provvedimento amministrativo di reiezione dell'istanza di condono edilizio e, conseguentemente, dell'ordine di demolizione;

- “ In ogni caso, quanto all’asserita maturata prescrizione del diritto al conguaglio per effetto del decorso di 36 mesi dall’avvenuta pagamento dell’oblazione autodeterminata, il Comune ha tempestivamente richiesto l’integrazione documentale prima dello spirare di tale termine, interrompendo il decorso del termine ”.

Emerge, dunque, che la Sezione ha ritenuto di rigettare l’appello, escludendo l’ammissibilità di pagamenti tardivi, non solo prelusi dalla normativa di riferimento, ma neppure idonei al soddisfacimento delle esigenze di tutela sottese alla disciplina condonistica, rappresentate dalla percezione dei ricavi finanziari auspicati per colmare i disavanzi delle casse comunali, suscettibili di essere lese da ritardi nel pagamento delle oblazioni (di per sé tali da poter condurre anche alla prescrizione del diritto alla percezione).

Ne deriva che, secondo quanto statuito nella sentenza revocanda, a fronte di un ritardo nella corresponsione dell’oblazione, l’Amministrazione non avrebbe dovuto avanzare alcuna richiesta di integrazione economica (o documentale), stante l’emersione di una causa ostativa al rilascio del condono edilizio, correttamente riscontrata nel caso di specie dal Comune intimato.

Il riferimento all’esistenza di una richiesta di integrazione documentale è stato operato nella sentenza revocanda quale ulteriore e autonoma ragione idonea a sostenere la decisione assunta, essendosi precisato come una tale richiesta, in assenza della quale sarebbe stato comunque possibile pervenire al rigetto della domanda di condono – stante l’omesso tempestivo ed integrale pagamento dell’oblazione – nella specie era stata “ in ogni caso ” presentata dall’Amministrazione comunale, con l’effetto di interrompere il termine di prescrizione del diritto al conguaglio.

Gli odierni ricorrenti hanno impugnato con il ricorso per revocazione soltanto tale secondo capo decisorio, riferito all’esistenza di una tempestiva richiesta di integrazione documentale, il cui annullamento, tuttavia, non potrebbe condurre ad un esito diverso della presente vertenza, permanendo altro e autonomo capo decisorio, non investito dall’odierna impugnazione, in grado di sorreggere la decisione revocanda di rigetto dell’appello.

A prescindere, infatti, dall’esistenza della tempestiva richiesta di integrazione documentale ed economica, la Sezione ha ritenuto che il diniego di condono e il conseguente ordine di demolizione fossero giustificati dal mancato pagamento dell’oblazione, nella misura e nei termini prescritti dalla normativa di riferimento.

Per l’effetto, posto che ai fini dell’ammissibilità della proposta revocazione occorre un rapporto di causalità tra l'asserita erronea presupposizione e la pronuncia stessa, non essendo il vizio dedotto dai ricorrenti idoneo a determinare un diverso esito della causa di appello, come correttamente eccepito dall’Amministrazione comunale, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.

9. Per mera completezza argomentativa, si osserva che la revocazione risulta inammissibile anche perché afferente ad un punto controverso tra le parti, che nell’ambito del giudizio a quo ha formato oggetto di apposita censura formulata dagli appellanti e di specifica controdeduzione svolta dall’Amministrazione intimata, sul quale la decisione ha espressamente motivato.

In particolare, avuto riguardo agli atti processuali del giudizio definito con la sentenza revocanda, emerge che:

- il Tar Campania, Napoli, nel pronunciare sul ricorso di primo grado, ha argomentato la propria decisione di rigetto, ritenendo che l’Amministrazione comunale avesse richiesto “ il 24 novembre 2006 […] l’integrazione documentale ed il versamento dell’oblazione dovuta, ed i ricorrenti hanno presentato unicamente copia delle ricevute del versamento di euro 2.000 per ciascuno (complessivi euro 4.000 per l’edificio abusivo), effettuato il 26 aprile 2006, senza integrare i documenti presentati e riservandosi di inviare “ulteriori documenti e documentazione in approntamento ”;

- i ricorrenti, proponendo appello, hanno censurato l’erroneità della sentenza di prime cure, rilevando, tra l’altro, che “ il presupposto su cui il Tar ha fondato la propria decisione è che, nonostante il comune avesse concesso la possibilità di integrare documenti e il pagamento successivamente, a tanto non avrebbero ottemperato i ricorrenti. Orbene non risulta depositata agli atti la richiesta di integrazione documentale e pertanto non può negarsi il maturarsi del termine per il silenzio assenso non essendo, fino al maturarsi dei 36 mesi, mai richiesta l’integrazione e quindi il Comune ha ritenuto corretta la quantificazione presentata ” (pag. 5 ricorso in appello);

- l’Amministrazione comunale, nel controdedurre rispetto alle avverse contestazioni, ha rilevato che “ In data 24.11.2006 il resistente Comune ha chiesto ad i ricorrenti sia l’integrazione documentale e sia il versamento dell’oblazione, condizione di ammissibilità della domanda di condono ex lege 326/2003. Tale richiesta non è stata in alcun modo riscontrata dagli odierni istanti ai quali, in data 21.04.2008, è stata notificata comunicazione prot. n°1457 di avvio del procedimento, anche ai sensi dell’art.10 bis della legge 241/1990, con la quale si sono comunicati ai ricorrenti i motivi sottesi ai provvedimenti di diniego oggetto dell’odierno giudizio ” (pagg. 2/3 memoria del 28 ottobre 2019);

- la Sezione, con il capo decisorio censurato nella presente sede (il cui ipotetico annullamento, come osservato, non sarebbe decisivo ai fini di un diverso esito del giudizio di appello), ha ritenuto che “ il Comune ha tempestivamente richiesto l’integrazione documentale prima dello spirare di tale termine, interrompendo il decorso del termine ”.

Ne deriva che la circostanza fattuale data dalla esistenza di una richiesta comunale di integrazione documentale, tempestivamente presentata dal Comune, costituiva un punto controverso della vertenza – in quanto negata dai ricorrenti e affermata dal Comune, alla stregua di quanto pure statuito sul punto dal Tar – sul quale la decisione impugnata ha espressamente motivato.

Per l’effetto, posto che sulla circostanza fattuale oggetto dell’odierna revocazione si erano manifestate posizioni contrapposte tra le parti, fonte di un contrasto risolto dal giudice a quo , la pronuncia revocanda non potrebbe comunque configurarsi come il risultato di una mera svista percettiva: l’errore censurato dai ricorrenti assume infatti natura valutativa - in ordine alla valutazione dell’esistenza di un fatto controverso (richiesta di integrazione documentale trasmessa dal Comune alle parti) –,risultando come tale sottratto al rimedio revocatorio.

Come precisato dalla giurisprudenza, del resto, se vi è valutazione di un contrasto tra le parti, non può infatti esservi una svista percettiva, ma piuttosto la formulazione di un giudizio volto a risolvere il suddetto contrasto, “ che si sottrae al rimedio revocatorio, così che restano escluse dall'ambito della revocazione l'erroneità della valutazione dei fatti storici o della loro rilevanza ai fini della decisione ” (Cass. civ. Sez. VI - 1, 5 febbraio 2020, n. 2726).

10. Alla luce delle considerazioni svolte, deve dichiararsi l’inammissibilità della revocazione;
il che osta all’esame delle censure riproposte dai ricorrenti in via rescissoria.

11. Le spese di giudizio devono essere regolate in applicazione del criterio della soccombenza, venendo, dunque, poste a carico dei ricorrenti e in favore dell’Amministrazione intimata nella misura liquidata in dispositivo.

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