Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-08-06, n. 202004955

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-08-06, n. 202004955
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202004955
Data del deposito : 6 agosto 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/08/2020

N. 04955/2020REG.PROV.COLL.

N. 08314/2015 REG.RIC.

N. 09612/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8314 del 2015, proposto dalla società Fratelli Ruggiero s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A C e S D C, con domicilio eletto presso lo studio della seconda, in Roma, via Aureliana 63;

contro

il Comune di Montecorice, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A B e A L G, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Taranto n. 18;

nei confronti

della società Sistema Cilento s.c.p.a., non costituitasi in giudizio;
del S.U.A.P. Cilento, non costituitosi in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 9612 del 2015, proposto dalla società Fratelli Ruggiero s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A C e S D C, con domicilio eletto presso lo studio della seconda, in Roma, via Aureliana n.63;

contro

il Comune di Montecorice, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A B e A L G, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Taranto n. 18;

nei confronti

del S.U.A.P. Cilento, non costituitosi in giudizio;

per la revocazione

quanto al ricorso n. 8314 del 2015:

della sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n.2689 del 29 maggio 2015, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 9612 del 2015:

della sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1750 del 7 aprile 2015, resa tra le parti.


Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Montecorice;

Visti tutti gli atti delle cause;

Relatore alla pubblica udienza del giorno 25 giugno 2020 – tenutasi in videoconferenza da remoto ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6 del d.l. n. 18 del 2020 - il consigliere Silvia Martino;

Preso atto che gli avvocati A B e A L G, difensori del Comune di Montecorice, hanno presentato in data 22 giugno 2020, richiesta di passaggio in decisione della causa, con presenza, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4, d.l. n. 28 del 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

ELEMENTI DI FATTO COMUNI AI DUE GIUDIZI DI REVOCAZIONE

1. Con istanza n. 1169 del 28 settembre 2010, la società Fratelli Ruggiero s.r.l. chiedeva al S.U.A.P. Cilento l'autorizzazione per la realizzazione di una struttura turistico-ricettiva, a rotazione d’uso, adibita a case ed appartamenti per vacanze nel Comune di Montecorice, in località Agnone.

L'area di intervento (che si estende per circa 6.000 mq.) era ricompresa in zona “di sviluppo turistico” dell’allora vigente Programma di fabbricazione ed è sottoposta a una pluralità di vincoli paesaggistico -ambientali.

Il progetto presentato al S.U.A.P. Cilento prevedeva l’edificazione, in una zona scarsamente urbanizzata, di un complesso residenziale di circa venti unità abitative autonome per un volume complessivo di circa 4.000 mc. e con un incremento abitativo medio di circa cento persone.

Il S.U.A.P. Cilento dava corso al procedimento convocando una Conferenza di servizi, all’esito della quale veniva rilasciata l’autorizzazione unica n. 1317 del 7 novembre 2011.

Con questa, il responsabile del S.U.A.P. autorizzava la Fratelli Ruggiero a realizzare l’intervento, pur dando espressamente atto, nello stesso titolo, che “ l'efficacia del presente provvedimento è subordinata alla sottoscrizione della convenzione prevista dalla normativa del P.T.P., per addivenire alla quale, secondo le prescrizioni urbanistiche locali, almeno il 25% della superficie territoriale deve essere ‘sistemata e ceduta gratuitamente al Comune’ ”.

A tal fine, la società - con istanza n. 6063 del 28 novembre 2011 (cui ha fatto seguito l’istanza prot. n. 280 del 20 gennaio 2012) – chiedeva che il Comune addivenisse alla stipula della convenzione, peraltro proponendo che “ l'area destinata alla cessione per la realizzazione del verde pubblico sia in parte oggetto di monetizzazione per una estensione di mq.

1.106.87 circa, limitando la cessione alla residua porzione pari a mq. 419,44 circa, che rappresenta da una fascia di larghezza di metri 10,00 lungo tutta la sponda riparia
” (dell'adiacente torrente Rio Lapis).

2. Non avendo il Comune dato corso a tale istanza, la società agiva in sede giurisdizionale ex art. 117 c.p.a.

3. Con sentenza 5 settembre 2012, n. 1639, il TAR per la Campania, sezione staccata di Salerno, accoglieva il ricorso proposto dalla società limitandosi a dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione comunale in merito alla richiesta di provvedere - ai sensi dell’art. 14, punto 6, del Piano Territoriale Paesistico del Cilento Costiero, approvato con decreto ministeriale del 4 ottobre 1997 - alla stipula della convenzione richiesta.

3.1. Con delibera del Consiglio Comunale n. 50 del 19 novembre 2012, il Consiglio comunale di Montecorice respingeva l’istanza della Fratelli Ruggiero prot. n. 6063 del 28 novembre 2011, nonché la successiva nota prot. n. 280 del 20 gennaio 2012.

3.2. Da questo momento, la società ha avviato una serie di iniziative contenziose, sull’assunto dell’inottemperanza del Comune al giudicato formatosi sulla sentenza n. 1639 del 2012.

Invero, oltre ai ricorsi che hanno originato le pronunce d’appello all’odierno esame, ve ne sono almeno altri quattro (per quanto consta al Collegio), i quali hanno preso l’abbrivio dalla suddetta delibera del Consiglio Comunale di Montecorice n. 50 del 19 novembre 2012, con cui è stata respinta l’istanza del 28 novembre 2011 (successivamente integrata) con la quale la società, nel sollecitare la stipula della convenzione cui era subordinata l’autorizzazione unica rilasciatale il 7 novembre 2011, aveva contestualmente richiesto la “monetizzazione” parziale delle aree a standard che avrebbe dovuto invece cedere gratuitamente al Comune.

Il primo ricorso, in ordine di tempo, è quello iscritto al numero di R.G. 152/2013 del TAR di Salerno, avente ad oggetto “l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza del TAR Salerno Sez. I n. 1639/2012” nonché l’annullamento della delibera n. 50 del 19.11.2012, “con la quale sono state rigettate, in violazione del suddetto giudicato le istanza delle ricorrente prot. n. 6063 del 28.11.2011 e prot. n. 280 del 20.1.2012 tese alla stipula della convenzione, cui è stata subordinata l’efficacia dell’autorizzazione unica del

SUAP

Cilento prot. n. 1317 del 7.11.2011”.

Il secondo è quello iscritto al numero di R.G. n. 543 del 2013, avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti “in conseguenza del silenzio serbato dalla p.a. sulle istanze prot. n. 6063 del 28.11.2011 e prot. n. 280 del 20.1.2012”.

Questi ricorsi, unitamente a quelli R.G. n. 1994/2015 e n. 2133/2016, sono stati riuniti e definiti in senso sfavorevole alla società dalla sentenza del TAR di Salerno n. 1000 del 25 giugno 2018, appellata con ricorso attualmente pendente dinanzi alla VI Sezione di questo Consiglio (R.G. n. 715 del 2019;
la definizione del merito, con ordinanza collegiale n. 559 del 23 gennaio 2020, è stata rinviata all’esito della definizione delle due revocazioni in esame).

3.3. Nel frattempo, con determinazione prot. n. 002007 del 19.9.2013, adottata dal S.U.A.P. Cilento, il Comune di Montecorice disponeva la revoca del titolo autorizzativo unico prot. n. 1317 del 7.11.2011.

3.4. La società impugnava siffatta determinazione con il ricorso iscritto al n. R.G. 1712/2013 innanzi al TAR di Salerno.

Il ricorso, peraltro, reiterava anche la domanda di ottemperanza della sentenza n. 1639 del 2012.

3.5. Con la sentenza n. 53 del 10 gennaio 2014, il TAR, per quanto qui interessa:

- accoglieva in parte il ricorso ed annullava la determinazione di revoca impugnata, fatto salvo l’atto di avvio del procedimento di riesame del titolo autorizzativo;

- respingeva la domanda di ottemperanza della sentenza n. 1639/2012 e la connessa domanda di condanna del Comune di Montecorice alla stipula della convenzione attuativa del titolo autorizzativo unico n. 1317/2011.

3.6. Questa Sezione, nella resistenza del Comune di Montecorice, con sentenza n. 1750 del 7 aprile 2015, rigettava l’appello proposto dalla società avverso la sentenza del TAR di Salerno n. 53 del 2014.

In particolare, il Collegio d’appello riteneva che la domanda riguardante l’ottemperanza alla sentenza del TAR n.1639 del 2012 fosse infondata “ non potendosi prescindere dalla circostanza che il Comune di Montecorice a seguito di detta sentenza ha adottato la deliberazione consiliare n.50/2012 ”. Con tale deliberazione, il Comune, aveva infatti “ ottemperato già alla sentenza T.A.R. n. 1639/2012, avendo obiettivamente rimosso la propria inerzia sulla detta istanza ”.

3.7. Sempre nell’asserito presupposto del perdurante inadempimento del Comune, la società aveva peraltro proposto in primo grado un ulteriore ricorso per l’ottemperanza alla sentenza n. 1639 del 2012 (R.G. n. 340/2014), che il medesimo TAR di Salerno dichiarava inammissibile con sentenza 14 luglio 2014, n. 1262.

Facendo applicazione del principio del ne bis in idem , il Tribunale regionale riteneva infatti che la questione (domanda di ottemperanza della sentenza n. 1639/2012 e connessa domanda di condanna del Comune alla stipula della convenzione) fosse stata già definita, nel senso della reiezione, con la propria precedente sentenza 10 gennaio 2014, n. 53.

3.8. In sede di appello al Consiglio di Stato la società sosteneva che i ricorsi che avevano dato origine alle sentenze ricordate non sarebbero stati affatto identici quanto a petitum e causa petendi in quanto:

a) uno (n. 1712/2013) sarebbe stato introdotto esclusivamente per censurare il comportamento dell’amministrazione che non solo non avrebbe stipulato la convenzione, ma, dopo avere escluso la possibilità di annullare in autotutela l’autorizzazione in precedenza rilasciata, ne aveva disposto la revoca con determinazione n. 2007 del 19 settembre 2013;
con la sentenza n. 53/2014, il TAR aveva accolto il ricorso, annullando l’atto di revoca e gli atti comunali propedeutici, ma facendo salvo l’atto di avvio del procedimento di riesame;

b) l’altro (n. 340/2014), depositato successivamente, aveva come oggetto l’esecuzione della sentenza n. 1639 del 2012.

Sarebbero state inoltre diverse le parti e le domande giudiziali proposte (di annullamento, in un caso;
di ottemperanza, nell’altro).

La difformità delle azioni le avrebbe rese reciprocamente inidonee a creare preclusioni sulla base del divieto del bis in idem .

Inoltre, la sentenza n. 53/2014 avrebbe respinto la richiesta consequenziale di ottemperanza solo alla luce della necessità di rinnovare il procedimento in esame.

In seguito - come attesterebbe anche una nota del responsabile del settore - l’amministrazione avrebbe continuato a non ottemperare all’obbligo di stipulare la convenzione né avrebbe manifestato la volontà di rinnovare il procedimento;
da ciò l’esigenza del nuovo ricorso.

Annullata la revoca del provvedimento autorizzatorio, questo sarebbe tornato a rivivere e avrebbe reso necessaria la stipula della convenzione, come prescritto dalla sentenza n. 1639/2012. D’altronde, la reiezione di una domanda di ottemperanza, proposta in un determinato momento, non ne escluderebbe la riproposizione al mutare dei presupposti, anche perché il giudice, oltre a verificare l’esatto adempimento da parte dell’amministrazione, dovrebbe apprezzare anche le eventuali sopravvenienze di fatto e di diritto.

3.9 . In conclusione, la società appellante chiedeva che fosse ordinata al Comune l’esecuzione della sentenza n. 1639/2012, con nomina di un commissario ad acta nell’ipotesi di persistente inadempimento dell’amministrazione e condanna al risarcimento dei danni ex art. 112, comma 3, c.p.a.

3.10 Nelle resistenza del Comune di Montecorice, questa Sezione, con la sentenza n.2689 del 2015, respingeva il gravame.

3.11 In particolare rilevava che, decidendo definitivamente sull’appello proposto dalla società contro la sentenza n. 53/2014 per contrastare la reiezione di alcune domande, fra le quali quella di ottemperanza, la Sezione - con la sentenza n. 1750/2015 – aveva già ritenuto infondata la domanda riguardante l’ottemperanza alla sentenza n. 1639/2012, “ non potendosi prescindere dalla circostanza che il Comune di Montecorice a seguito di detta sentenza ha adottato la deliberazione consiliare n. 50/2012 ”.

Con la deliberazione consiliare n. 50 del 19 novembre 2012, il Comune aveva infatti ritenuto non accoglibile la proposta monetizzazione ed aveva respinto l'istanza della Fratelli Ruggiero prot. n. 6063 del 8.11.2011. Pertanto “ non pare si possa dubitare che con tale deliberazione consiliare il Comune abbia ottemperato già alla sentenza T.A.R. n. 1639/2012, avendo obiettivamente rimosso la propria inerzia sulla detta istanza ”.

Con la sentenza revocanda n. 2689 del 2015, la Sezione ha poi ritenuto irrilevante il fatto che la delibera n. 50/2012 sia stata impugnata innanzi al Tribunale territoriale;
la questione dell’avvenuta ottemperanza della prima delle decisioni ricordate era stata ormai definita dal Consiglio di Stato “ con efficacia di giudicato ”.

Né valeva obiettare in contrario una presunta difformità delle parti dei precedenti giudizi, per essere stato il ricorso n. 1712/2013 notificato solo al S.U.A.P. Cilento e il ricorso n. 340/2014 notificato anche al Sistema Cilento s.c.p.a., perché quest’ultima notifica era ultronea.

IL GIUDIZIO DI REVOCAZIONE N.R.G. 8314/2015

4. Avverso la sentenza n. 2689 del 2015 la società ha proposto ricorso per revocazione deducendo quanto segue:

a) nessun precedente giudicato sarebbe riscontrabile nel caso in esame perché la sentenza n. 1750 del 2015 non era passata in giudicato (avendo formato a sua volta oggetto di istanza di revocazione);

b) quanto all’osservazione secondo cui la sentenza n. 1750 del 2015 della Sezione “ ha ritenuto infondata la domanda riguardante l’ottemperanza alla sentenza n. 1639 del 2012 ” la società ha ribadito che il giudizio di primo grado RG n. 1712 del 2013 non era un giudizio di ottemperanza

Lo stesso dicasi per il giudizio di appello conclusosi con la sentenza n. 1750 del 2015;

c) sarebbe comunque inconferente ai fini dell’ottemperanza della sentenza n. 1639 del 2012, la delibera del Consiglio comunale di Montecorice n. 50 del 2012.

4.1. Nello specifico gli errori di fatto sarebbero i seguenti.

La sentenza revocanda avrebbe erroneamente ritenuto:

- I) formato il giudicato sulla sentenza n. 1750 del 2015;

- II) qualificato la domanda proposta con il ricorso R.G. n. 1712 del 2013 e il successivo ricorso in appello concluso con la sentenza n. 1750/2015 quale domanda di ottemperanza;

- III) ritenuto la delibera del Consiglio Comunale di Montecorice n. 50/2012 quale provvedimento satisfattivo dell’interesse della ricorrente cristallizzato nella pronuncia del TAR n. 1639/2012

Per quanto riguarda il primo punto, la società ha fatto osservare che la sentenza n. 1750 del 2015 è a sua volta oggetto di revocazione.

Non essendo passata in giudicato, non sarebbe stato applicabile il principio del ne bis in idem .

Non vi sarebbe comunque stata identità tra il ricorso RG. n. 1712/2013, deciso dal TAR con sentenza n. 53/2014 (che era un giudizio di annullamento) mentre l’RG n. 340 del 2014 era un giudizio di ottemperanza.

L’unico ricorso in ottemperanza per l’esecuzione della sentenza n. 1639 del 2012 sarebbe quello introdotto con ricorso R.G. n. 340 del 2014 del TAR di Salerno.

Con il precedente ricorso n. 1712 del 2013 la Fratelli Ruggiero non avrebbe formulato, invece, alcuna domanda di ottemperanza.

Ciononostante con la sentenza n. 53/2014 il TAR aveva respinto la “ domanda di ottemperanza della sentenza n. 1639 del 2012 ”.

La sentenza n. 2689 del 2015 si è basata sulla sentenza n. 1750 del 2015, a sua volta intervenuta sull’appello proposto avverso la sentenza n. 53 del 2014.

Anche questa sentenza sarebbe affetta da gravi errori di fatto che si concretizzerebbero in altrettanti motivi di revocazione ex art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c..

Questa pronuncia non ha affrontato la principale questione proposta dall’appellante che aveva impugnato la sentenza n. 53 del 2014 per avere escluso dall’effetto caducatorio l’atto di avvio del procedimento di riesame dell’autorizzazione rilasciata.

Al contrario avrebbe esaminato la pretesa domanda di ottemperanza, ritenendo che fosse infondato l’assunto secondo cui l’unica forma di rimozione del silenzio dovesse essere rappresentata dalla stipula di una convenzione di lottizzazione e che, invece, il Comune avesse ottemperato con la delibera n. 50 del 2012.

Con riferimento al punto III) ha richiamato l’attenzione sulla propria istanza prot. n. 6063 del 28 novembre 2011 con la quale, se, da un lato, si era disponibile alla monetizzazione di parte dell’area destinata alla cessione per la realizzazione di verde pubblico, dall’altro aveva insistito per la stipula della convenzione scaturente dal titolo abilitativo.

Con la delibera n. 50 il Comune di Montecorice ha respinto l’istanza di monetizzazione in luogo della cessione originariamente prevista ma non ha poi dato seguito alla stipula.

Si tratta comunque di una delibera ancora sub iudice in primo grado.

4.2 In sede rescissoria la società ha infine chiesto l’accoglimento della domanda di ottemperanza originaria, oltre al risarcimento dei danni ex art. 112, comma 3, c.p.a.

4.3. Si è costituito, per resistere, il Comune di Montecorice, articolando le proprie difese con dovizia di argomentazioni.

4.4. Le parti hanno depositato ulteriori memorie

4.5. La società ha infine depositato anche note di udienza ex d.l. n. 18 del 2020.

IL GIUDIZIO DI REVOCAZIONE N.R.G. 9612/2015

5. Questo giudizio riguarda la sentenza di questa Sezione n. 1750 del 2015.

5.1. La ricorrente evidenzia anzitutto che nel giudizio n.r.g.1712/2013 innanzi al TAR di Salerno, la questione relativa all’ottemperanza della sentenza n. 1639/2012 sarebbe stata oggetto di domanda solo nella fase cautelare.

Pertanto:

I) il principale errore di fatto da cui sarebbe affetta la sentenza di questa Sezione n. 1750 del 2015, sarebbe quello di avere qualificato il ricorso di primo grado n. 1712 del 2013 e il successivo ricorso in appello quale giudizio di ottemperanza;

II) ulteriore errore sarebbe di avere attribuito rilevanza alla impugnativa, all’epoca ancora pendente presso il TAR di Salerno (RG n. 152 del 2013), della delibera n. 50 del 2012, sull’assunto che anche tale ricorso riguardasse la sentenza n. 1639 del 2012. Ulteriore e connesso errore sarebbe quello di avere ritenuto la delibera n. 50 satisfattiva dell’interesse della ricorrente come cristallizzato in tale ultima sentenza;

III) la sentenza n. 1750 non avrebbe affrontato la principale questione proposta dall’appellante, relativa alla parte della sentenza n. 53/2014 che aveva “salvato” dall’effetto caducatorio l’avvio del procedimento di revoca. In tal modo la sentenza sarebbe incorsa in omissione di pronuncia.

Inoltre, per quanto riguarda il carattere “satisfattivo” della delibera n. 50/2012, la sentenza n. 1750 non ha considerato che, con essa, è stata solo negata la monetizzazione ma è stata mantenuta ferma la cessione, lasciando intatto l’obbligo di stipula;

IV) In sede rescissoria la società ha quindi riproposto la domanda di riforma della sentenza n. 53 del 2014 nella parte in cui non ha disposto l’annullamento dell’atto di avvio del procedimento di riesame del titolo abilitativo posseduto dalla ricorrente.

5.2 Anche in questo giudizio si è costituito, per resistere, il Comune di Montecorice.

5.3 Con memoria del 10 febbraio 2020 la civica amministrazione ha articolato le proprie deduzioni difensive.

In particolare, ha fatto rilevare che la società ricorrente non avrebbe più alcun interesse ad una nuova pronuncia giurisdizionale di appello sulla sentenza del TAR n. 53/2014, neanche nella parte in cui aveva fatto salvo l’avvio del procedimento di riesame.

E tanto perché:

- da un lato, il Comune ha già sostanzialmente rinunciato ad attivare nuovamente il procedimento di annullamento e/o di revoca dell’originaria autorizzazione unica rilasciata dal S.U.A.P. con atto n. 1317/2011 (e di questo ne ha preso atto la stessa società ricorrente), né ciò sarebbe più possibile alla luce dei successivi accadimenti;

- dall’altro, soprattutto, tra il 2015 e il 2017, il Comune ha provveduto a dotarsi del nuovo strumento urbanistico (il P.U.C. adottato con deliberazione giuntale n. 50 del 30.4.2015 e approvato con deliberazione consiliare n. 7 del 20.2.2017) che ha classificato l’area - ove avrebbe dovuto essere realizzato l’intervento edilizio della Fratelli Ruggiero s.r.l. - come zona “S” destinata a “servizi privati di interesse collettivo e generale”, ove non è più consentita l’edificazione di case e appartamenti per vacanze;

- onde, allo stato, essendo divenuto incompatibile con la nuova previsione urbanistica sopravvenuta, il progetto della società ricorrente non può essere più realizzato, fatto salvo soltanto l’esito del giudizio di appello (R.G. n. 715/2019) proposto avverso l’ultima sentenza del T.A.R. n. 1000/2018, ancora pendente innanzi alla VI Sezione del Consiglio di Stato.

5.4 L’appellante ha depositato una memoria di replica, nella quale ha ribadito che, a suo dire, la sentenza revocanda n. 1750 del 2015 contrasta con il giudicato interno formatosi sulla sentenza n. 53/2014, ed anche con il giudicato esterno della sentenza n. 1639/2012, entrambe del TAR Salerno, le quali sono state sempre ferme nello stabilire che l’unica forma di soddisfazione dell’interesse del ricorrente fosse la stipula della convenzione.

5.5 La società ha depositato note di udienza ai sensi del d.l. n. 18 del 2020 mentre il Comune ha richiesto il passaggio in decisione della causa, con presenza, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4, d.l. n. 28 del 2020

5.6. Entrambi i ricorsi, infine, sono stati trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 25 giugno 2020 svoltasi ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6 del d.l. n. 18 del 2020.

6. In via preliminare, si procede alla riunione dei ricorsi in epigrafe in quanto soggettivamente e oggettivamente connessi.

7. E’ possibile prescindere dall’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse, sollevata dal Comune di Montecorice, in quanto entrambe le domande di revocazione sono manifestamente inammissibili.

8. Giova richiamare, in sintesi, i consolidati principi in materia di errore di fatto revocatorio.

8.1. Come noto, l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del suo convincimento.

Così, ad esempio, si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4, c.p.c. allorché il giudice - per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo - sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo, ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o l’anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita.

In tutti questi casi non sarà possibile censurare la decisione tramite il rimedio - di per sé eccezionale - della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento.

L’errore di fatto riconducibile all’art. 395, n. 4, c.p.c., è quindi un errore di percezione, o una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato (Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5;
20 gennaio 2013, n. 1;
17 maggio 2010, n. 2;
11 giugno 2001, n. 3;
successivamente, fra le tante, sez. V, 29 novembre 2017 n. 5609;
22 gennaio 2015, n. 274).

L’errore in questione presuppone il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione (Cass. civ., sez. trib., sentenza n. 442 del 11 gennaio 2018).

8.2. In sintesi, l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, deve rispondere a tre requisiti:

a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso ovvero inesistente un fatto documentale provato;

b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

Infine, l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti o documenti del giudizio (Cons. Stato, sez. V, n. 5609 del 29 novembre 2017;
Cass. civ., sez. VI, n. 20635 del 31 agosto 2017).

9. Ciò posto, nel caso di specie, va anzitutto ribadito che l’esecuzione della sentenza del TAR di Salerno n. 1639 del 2012 ha costituito l’oggetto di plurimi ricorsi presentati dalla società odierna ricorrente nel corso del tempo, come in precedenza illustrato.

10. Altro punto centrale delle controversie in esame è quello rappresentato dal contenuto della sentenza del TAR di Salerno n. 1639 del 2012.

Al riguardo, nella sentenza n. 1750 del 2015 della Sezione, è stato chiarito – con apprezzamento di natura giuridica, non contestato in sede di revocazione e, comunque, incontestabile - che tale pronuncia si era limitata a dichiarare il mero obbligo del Comune di esitare l’istanza della società, senza in alcun modo vincolare l’esito procedimentale e pertanto – va soggiunto – senza in alcun modo accertare la fondatezza sostanziale della pretesa della società di conseguire la richiesta monetizzazione in una con la stipula della convenzione.

11. Venendo poi all’oggetto dei ricorsi R.G. n. 1712 del 2013 e n. 340 del 2014 del TAR di Salerno, è possibile rilevare quanto segue.

11.1 Il primo – definito in primo grado con la sentenza del TAR n. 53 del 2014, e in appello con la sentenza n. 1750 del 2015 – era stato proposto, oltre che per l’annullamento della determinazione prot. n. 002007 del 19 settembre 2013 del

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