Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-07-31, n. 201703809

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-07-31, n. 201703809
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201703809
Data del deposito : 31 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/07/2017

N. 03809/2017REG.PROV.COLL.

N. 02730/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2730 del 2016, proposto da G M, rappresentato e difeso dall'avvocato E P S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Frezza, 59;

contro

Comune di Avellino, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato R P in Roma, via della Giuliana, 74 int. 2;

nei confronti di

I B, rappresentata e difesa dall'avvocato R M, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso il Cons. di Stato, Segreteria, in Roma, piazza Capo di Ferro 13;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Campania – Salerno – Sez. II n.1844 dell’11 settembre 2015, resa tra le parti, concernente provvedimento in esito a procedimento di verifica della legittimità del permesso di costruire.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Avellino e di I B;

Viste le memorie difensive dell’appellante, in data 20 marzo 2017;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2017 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati Sandulli e Meandro.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia concerne il recupero abitativo di un sottotetto, di proprietà della sig.ra I B, sito in un edificio (costruito dalla cooperativa edilizia Esperanza con concessione edilizia del 1995), dove un altro appartamento, con sovrastante sottotetto, adiacente e confinante con quello di proprietà della sig.ra Buono, è di proprietà del sig. G M.

2. Per la migliore comprensione della vicenda processuale ora rilevante è opportuno premettere la ricostruzione dei fatti.

2.1. Il Comune di Avellino (in data 2 ottobre 2008) rilasciò il permesso di costruire alla sig.ra Buono per il recupero abitativo del sottotetto, ai sensi della legge regionale Campania n. 15 del 2000;
l’avvenuta ultimazione dei lavori fu comunicata al Comune in data 20 settembre 2009.

2.2.Con nota del 4 febbraio 2010 rivolta al Comune, il sig. M invocò l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire, deducendo – oltre alla non esatta indicazione del piano (terzo anziché secondo) – la non esistenza di tale piano nella concessione edilizia del 1995 rilasciata alla cooperativa edilizia. In particolare, sostenne che nel titolo abilitativo originario risultavano solo tre locali di sgombero e che, comunque, anche se fosse intervenuta successiva sanatoria, il recupero abitativo non sarebbe stato assentibile per l’impossibilità di rispettare l’altezza media interna e l’aero illuminazione naturale dei locali.

2.3. Il Comune, ai fini dell’eventuale annullamento in autotutela, avviò il procedimento volto alla verifica della legittimità del permesso di costruire. All’esito, in data 6 aprile 2010, comunicò agli interessati:

a) che in ordine al piano vi era un errore materiale;
quindi si trattava del terzo anziché del secondo piano;

b) che la legittimità dell’unità immobiliare, riportata nella variante della concessione edilizia n. 7580/ quater relativa all’intero immobile, poteva ricavarsi da una decisione del giudice civile, iscritta con ricorso del 2006, e dalla consulenza espletata nell’ambito di quel processo;

c) che, sulla base della verifica effettuata, risultavano rispettate sia l’altezza media interna che l’aero illuminazione;

2.4. Con nuova istanza del 26 aprile 2010, il sig. M contestò le determinazioni suddette anche quanto alla conformità dello stato di fatto rispetto alla originaria concessione edilizia n. 7580 quater per il presunto innalzamento del sottotetto;
invitò il Comune a procedere all’annullamento del permesso del 2008, previo controllo anche in loco per le altezze a l’aero illuminazione.

2.5. Il Comune, nel maggio 2010, avviò un altro procedimento di verifica della legittimità dello stesso permesso di costruire;
in esito ai sopralluoghi, con il rapporto del 30 settembre 2010 diffidò la sig.ra Buono a provvedere all’adeguamento per l’aero illuminazione relativa al locale del sottotetto destinato a soggiorno.

2.6. A conclusione del procedimento di verifica del permesso di costruire del 2008, il Comune (con nota del 22 novembre 2010) ne confermò la legittimità, previa necessaria rettifica catastale rispetto al soggiorno, da destinarsi a ingresso/disimpegno.

In tale occasione il Comune - preso atto della dichiarazione della proprietaria relativa alla destinazione del soggiorno a ingresso/disimpegno - ritenne che tale destinazione “non implica (sse) in base alla legislazione vigente, il rispetto del rapporto aero illuminante” e che, non essendo necessarie opere edilizie, fosse necessaria la sola variazione catastale. Diede atto che, anche detraendo la superficie del vano in argomento risultava rispettato il parametro di superficie minima.

3. Il sig. M ha proposto ricorso al T.a.r. (il 31 gennaio 2011), prospettando 4 motivi di censura. Ha chiesto l’annullamento del suddetto ultimo provvedimento dirigenziale del 22 novembre 2010 (comunicatogli il 3 dicembre successivo) e di ogni altro provvedimento, anche istruttorio, ivi compreso quello dell’aprile precedente, del rapporto di sopralluogo e, comunque di ogni atto, “preordinato, connesso, presupposto e/o conseguenziale”.

Con successivi motivi aggiunti ha impugnato (il 6 agosto 2012) il certificato di agibilità, del 7 novembre 2011, assunto come conosciuto il 19 giugno 2012.

4. Il giudice di primo grado, con la sentenza (specificata in epigrafe) ha dichiarato il ricorso principale irricevibile per tardività e inammissibili i motivi aggiunti.

4.1. Nella parte in fatto, ha dato atto:

a) dell’impugnazione, sia del permesso di costruire del 2008, sia del provvedimento (del novembre 2010), emesso in esito alle istanze del sig. M di annullare in autotutela il permesso del 2008, che dei motivi aggiunti avverso il certificato di agibilità;

b) del giudizio civile iniziato nel 2006 con il quale il sig. M aveva chiesto l’abbattimento del manufatto della sig.ra Buono, concluso con la sentenza di rigetto del 2009.

4.2. Nella parte in diritto, richiamando l’eccezione sollevata dalla controparte, il T.a.r. ha ritenuto non plausibile l’assunto del ricorrente di aver avuto cognizione del permesso di costruire in data ben successiva alla ultimazione dei lavori (del settembre 2009) poiché si trattava di lavori interni all’immobile.

A tal fine, il primo giudice ha evocato il giudizio civile intentato dallo stesso M nel 2006 (conclusosi in primo grado nel 2009) per la demolizione del sottotetto della Buono, nel corso del quale, tramite la consulenza tecnica vi era stato accesso agli atti amministrativi in contraddittorio con i consulenti di parte. Ha aggiunto che, già nell’anno 2009, il ricorrente doveva ritenersi a conoscenza del permesso di costruire, tanto che nel febbraio dell’anno successivo ne chiedeva l’annullamento in autotutela alla amministrazione.

Sulla base della irricevibilità del ricorso principale, ha poi dichiarato inammissibili per concreta carenza di interesse i motivi aggiunti perché non autonomi.

5. Avverso la suddetta sentenza il sig. M ha proposto appello affidato a tre motivi.

Si sono costituiti il Comune di Avellino e la sig.ra. Buono.

L’appellante ha depositato memoria il 20 marzo 2017.

6. Con il primo motivo, l’appellante ha dedotto la nullità della sentenza, per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., mancando la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Il primo giudice avrebbe erroneamente pronunciato sull’annullamento del permesso di costruire del 2008, rilevando la tardività dell’impugnazione, e non sul richiesto annullamento del provvedimento dirigenziale - adottato il 22 novembre del 2010 e comunicato il 3 dicembre successivo - recante le determinazioni finali dell’amministrazione a conclusione del procedimento finalizzato alla verifica di legittimità, in autotutela, del permesso del 2008 attivato dall’appellante nel febbraio 2010.

6. La censura è fondata e va accolta.

6.1. Dal ricorso proposto dinanzi al T.a.r. emerge in modo inequivocabile che oggetto dell’impugnazione non era il permesso di costruire del 2008, ma la determinazione dirigenziale del novembre 2010, emanata in esito al procedimento di verifica in autotutela attivato dal confinante. Invero, il ricorrente aveva espressamente chiesto l’annullamento del suddetto provvedimento “ recante la comunicazione delle determinazioni conclusive assunte a definizione del procedimento finalizzato alla verifica della legittimità del permesso a costruire n. 11559 rilasciato ….in data 2 ottobre 2008 per il recupero abitativo del sottotetto …..ed avviato, su istanza del ricorrente, in data 4/2/10, giusta comunicazione prot. 5962-5235-URB del 18/2/2010;
ogni altro provvedimento anche istruttorio, ivi compresi la nota prot. 10962/10217 URB del 6/4/2010, il Rapporto di sopralluogo redatto dai tecnici del Settore Pianificazione ed Uso del Territorio in data 30/9/2010, antecedente, o successivo, comunque preordinato, connesso, presupposto e/o conseguenziale, anche se non cognito dal ricorrente.

6.2. Il primo giudice, invece, dopo aver erroneamente riportato nella descrizione del fatto processuale che era impugnato il permesso del 2008, oltre al provvedimento emesso in esito a istanza di autotutela, ha motivato la tardività rispetto al solo permesso di costruire del 2008. Ha completamente omesso di affrontare quella che era l’unica domanda proposta;
cioè l’impugnazione del provvedimento emesso in esito alla sollecitazione della verifica della legittimità del primo ai fini dell’autotutela. Solo se il primo giudice avesse scrutinato la legittimità dell’unico provvedimento impugnato - verificandone il carattere “meramente confermativo” (e perciò non impugnabile dello stesso), ovvero “propriamente conformativo” (e quindi idoneo a dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente suscettibile di autonoma impugnazione) - avrebbe potuto assumere rilievo la mancata tempestiva impugnazione dell’originario permesso di costruire, nel presupposto dell’assodato carattere meramente confermativo del provvedimento impugnato (tra le tante Cons. Stato, sez. IV, n. 758 del 2015).

6.3. La decisione gravata è stata emessa in violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.

Costituisce approdo indiscusso che il principio della domanda e quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, hanno dignità di clausole generali nel processo civile (cfr. Sez. un., nn. 26242 e 26243 del 2014 cit.) ed in quello amministrativo (cfr. Ad. plen. n. 4 del 2015, n. 9 del 2014 e n. 4 del 2011). Il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato comporta il divieto di attribuire un bene della vita non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ed è da ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi identificativi dell'azione, cioè il petitum e la causa petendi , attribuendo quindi un bene della vita diverso da quello richiesto ovvero ponendo a fondamento della propria decisione fatti o situazioni estranei alla materia del contendere, salvo il potere di qualificazione giuridica dei fatti e della domanda giudiziale (Ad. plen. n. 7 del 2013).

6.4. Il primo giudice ha violato la regola della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, consacrata nell’art.112 c.p.c., non essendosi attenuto alla domanda di annullamento dell’unico provvedimento gravato, ma avendo esteso il suo giudizio e la sua pronuncia ad un precedente provvedimento della cui illegittimità non era stato investito dal ricorrente e che non era legittimato ad esaminare in via diretta, siccome estraneo all’oggetto del giudizio.

Risulta quindi fondata - ed assorbente di ogni altra - la dedotta censura di violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.

7. Accertata l’illegittimità della decisione gravata, si tratta di verificare le conseguenze processuali del vizio riscontrato.

7.1. La questione di diritto all’attenzione del Collegio è se la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. integri o meno una ipotesi di rimessione della causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 105, co. 1, c.p.a.

Il Collegio ritiene che al quesito debba darsi risposta positiva.

7.2. Per inquadrare correttamente la fattispecie in decisione, è opportuna una precisazione preliminare. Nonostante il dispositivo della sentenza gravata sia di irricevibilità per tardività del ricorso, non viene in questione il vizio tipico di errore di giudizio nello scrutinio della tempestività del ricorso, rispetto al quale la giurisprudenza amministrativa, prima e dopo il codice del processo amministrativo – non rinvenendo vizio di procedura o di forma, ma vizio sul contenuto della decisione - ha sempre ritenuto che l'erronea declaratoria di irricevibilità del ricorso non comporti il rinvio della causa al giudice di primo grado, ma l'obbligo per il giudice di appello di procedere all'esame del merito della questione sollevata (Cons. Stato, sez. IV, n. 1558 del 2016;
sez. III, n. 6453 del 2011;
sez. V, n. 9398 del 2010).

Si tratta, invece, di totale mancanza di corrispondenza tra domanda e pronuncia del giudice, come dapprima precisato (§§ 6.2, 6.3 e 6.4).

7.3. Inoltre, nella fattispecie, non rileva il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale l’accoglimento dell’impugnazione, per violazione dell’art. 112 c.p.c., non conduce all'annullamento della statuizione gravata costituendo jus receptum (ribadito dall'attuale testo dell'art. 105 c.p.a.) il principio per cui "l'omessa pronuncia su una o più censure proposte col ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado, ma solo un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa." (Consiglio Stato, sez. IV, n. 846 del 2016;
sez. V, n. 279 del 2016;
sez. IV, n. 376 del 2015;
sez. IV, n. 3346 del 2014;
sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3289).

7.4. Rilevano, piuttosto, quelle pronunce che, giudicando in applicazione della disciplina processuale previgente, hanno distinto tra “mera omessa pronuncia” e “totale omessa pronuncia”.

Il “difetto di procedura”, richiesto a suo tempo dall’art. 35, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, ai fini dell’annullamento della sentenza e del rinvio al giudice di primo grado, è stato esteso alla ipotesi di totale omissione di pronuncia sui motivi dedotti in primo grado, non potendo la nozione di “difetto di procedura” essere circoscritta alla sola violazione delle regole poste a presidio del contraddittorio, ma dovendo essere estesa a tutte le ipotesi di inosservanza dei precetti che presiedono al valido governo del processo (Cons. Stato, sez. IV, n. 1781 del 2008).

Nella stessa direzione, in altra decisione, questo Consiglio ha ricondotto la “totale omessa pronuncia”, quale violazione delle regole basilari che governano il processo, alla violazione del principio del giudice naturale ed al “diniego di giustizia”, ed ha ritenuto possibile la riconducibilità del vizio all’interno di quello “di procedura” previsto dalla previgente disposizione processuale citata, argomentando anche dalla diversità con il processo civile. Ha, infatti, ritenuto che, mentre nel processo civile l’omessa pronuncia non è fra i casi di rimessione della causa al primo giudice, in quanto essi sono tassativamente indicati dagli artt. 353 e 354 c.p.c., nel processo amministrativo – pur dovendosi ritenere che l’erronea declaratoria dell’inammissibilità del ricorso non comporta, di norma, la rimessione della causa al primo giudice - la questione è regolata diversamente essendo consentita la rimessione al primo giudice più largamente per vizio di forma o di procedura. (Cons. Stato, sez. V, n. 7235 del 2009).

7.5. Con l’entrata in vigore del codice del processo non vi sono state, per quel che consta, pronunce che abbiano deciso la questione in argomento.

7.5.1. Nella stessa direzione dell’ampliamento delle ipotesi di rimessione al primo giudice – oltre i consolidati confini dei casi riconducibili alla violazione del contraddittorio e del diritto di difesa – si muove una sentenza (Cons. Stato, VI, n. 4914 del 2013), che fa assumere rilievo alla totale assenza di motivazione. E’ stata ritenuta la nullità della sentenza perché completamente priva delle regioni di fatto e di diritto. Riconosciuta l’esigenza di assicurare l’”autosufficienza” della motivazione, ai sensi dell’art. 88 c.p.a., si è ravvisata la violazione del diritto di difesa della controparte per essere la stessa impedita dall’articolare adeguate ragioni sostanziali di critica avverso la sentenza impugnata, non essendo possibile ricostruire dalla sentenza la vicenda amministrativa e le ragioni della decisione.

7.6. In riferimento alla regolazione delle ipotesi di annullamento con rinvio al primo giudice, ritiene il Collegio che, dal confronto tra la disciplina previgente e il codice del processo amministrativo, emerga un accentuarsi della diversità rispetto al modello del processo civile, nella direzione dell’ampliamento dei casi di regresso del giudizio per vizi del processo. Si prescinde, perché non rileva ai fini del decidere, dalla disciplina relativa alla giurisdizione e alla competenza.

7.6.1. Secondo la previsione dell’art. 354 c.p.c., il giudice di appello civile può rimettere la causa al primo giudice solo se: a) dichiari nulla la notificazione della citazione introduttiva;

b) riconosca che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte;

c) dichiari la nullità della sentenza di primo grado a norma dell’art. 161 secondo comma c.p.c. e, cioè, per mancanza della sottoscrizione del giudice.

7.6.2. Nel processo amministrativo previgente, ai sensi dell’art. 35 della l. n. 1034 del 1971, il rinvio al T.a.r. era consentito per “difetto di procedura” o “per vizio di forma” della decisione di primo grado e la norma si coniugava con l’art. 34 della stessa legge, che individuava le ipotesi di annullamento senza rinvio, oltre che per la giurisdizione e competenza, nella nullità del ricorso introduttivo, nell’esistenza di cause impeditive o estintive del giudizio.

7.6.2.1. La giurisprudenza ha ricondotto all’art. 35 cit., rimettendo la causa al primo giudice, un’ampia serie di vizi di procedura: dalle varie declinazioni del difetto di contraddittorio, alle varie declinazioni delle violazioni del diritto di difesa, anche in riferimento ai riti speciali del processo amministrativo, alla nullità della sentenza. Ha, in contemporanea, delimitato il confine dell’”errore di procedura”, in contrapposizione all’”errore di giudizio”, rinvenendo il quale la causa restava radicata presso il giudice di appello per la decisione nel merito (art. 35, co. 3 l. cit.). Con una certa dose di semplificazione può dirsi che l’errore di giudizio - ravvisato nel caso di erronea declaratoria dal parte del primo giudice della irricevibilità, inammissibilità, decadenza del ricorso originario;
di erronea dichiarazione dell’improcedibilità;
di mancata ammissione di un mezzo di prova;
di omessa pronuncia su una o più censure;
di difetto di motivazione – si espandeva tutte le volte che l’effetto devolutivo dell’appello consentiva di porre rimedio al vizio dell’attività giurisdizionale svolta in primo grado.

7.6.2.2. Il diritto pretorio sinteticamente descritto è stato legittimato dalla Adunanza Plenaria (27 ottobre 1987, n. 24). Nel definire il rapporto tra le norme speciali del processo amministrativo e l’applicazione analogica di quelle specifiche e tassative previste per il processo civile, si è messo in risalto la diversità della tecnica legislativa, collegata alla diversità strutturale dei due processi, e si è affermato che la formula generica prevista per il giudizio amministrativo lasciava all’interprete la possibilità di aggiungere ulteriori ipotesi non nominate all’art. 354 c.p.c.

7.6.3. Con l’art. 105, il codice del processo amministrativo tipizza i casi di annullamento con rinvio, ma con rimando a categorie generali (mancanza del contraddittorio, lesione del diritto di difesa, nullità della sentenza) e aggiunge specificamente casi che, come l’erronea dichiarazione dell’estinzione o della perenzione del giudizio, erano restati dubbi nel vigore delle norme pregresse. Si avvicina alla tipizzazione propria del rito civile, ma con un grado di elasticità assente in quest’ultimo, caratterizzato al contrario dalla tassatività dell’elenco, così consentendo una maggiore estensione delle ipotesi di rinvio al primo giudice.

Sono emblematiche del nuovo sistema delineato dal codice (nonché confermative del pregresso indirizzo esegetico):

a) sez. VI, n. 5601 del 2013 (relativa ad una violazione incidente sul termine di costituzione in giudizio);

b) sez. V, n. 5610 del 2013 (relativa ad una vizio del contraddittorio nella interlocuzione fra c.t.p. e c.t.u.);

c) sez. VI, n. 4914 del 2013 (relativa alla mancanza di motivazione della sentenza del T.a.r.);

d) sez. IV, n. 5595 del 2012 (relativa alla omessa pronuncia del T.a.r. su una domanda risarcitoria).

Per completezza può aggiungersi che l’ampliamento dei casi di annullamento con rinvio trova un bilanciamento, sul piano sistematico, nella circostanza che al Consiglio di Stato è attribuito il potere di sostituire una errata pronuncia di merito con una pronuncia di rito, in tutti quei casi (inammissibilità, irricevibilità, improcedibilità del ricorso originario erroneamente non dichiarata) in cui, secondo la disciplina previgente ed attuale, il giudizio di impugnazione si conclude con una riforma della sentenza senza rinvio.

7.6.3.1. Proprio il richiamo contenuto nell’art. 105 c.p.a. alla nullità della sentenza, senza ulteriore specificazione, laddove l’art. 354 primo comma, c.p.c. specifica che deve trattarsi di nullità ai sensi dell’art. 161, secondo comma dello stesso codice, consente di trarre la conseguenza che nel processo amministrativo – a differenza che nel processo civile – la integrale violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, rientra a pieno titolo nei casi in cui il principio devolutivo cede il passo al principio del doppio grado di giudizio.

7.6.4. La tesi cui il Collegio è pervenuto, peraltro, appare coerente con la peculiarità del processo amministrativo, specie per quello impugnatorio di legittimità, legato al controllo sull’esercizio della funzione pubblica, cui si collega il doppio grado di giudizio imposto dall’art. 125 Cost. (sia pure in senso solo ascendente) e declinato dagli artt.

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