Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-11-07, n. 202209786
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Pubblicato il 07/11/2022
N. 09786/2022REG.PROV.COLL.
N. 08381/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8381 del 2017, proposto da
C s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato S P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato S S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
e con l'intervento di
ad adiuvandum
:
R B, rappresentata e difesa dagli avvocati Annalisa Cetrano, Giovanni Luca Nibali, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II TER n. 05878/2017, resa tra le parti, concernente la decadenza dell'autorizzazione amministrativa per l'esercizio di attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, nel locale sito in Via dell'Arco di San C n. 45-50.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le memorie delle parti;
Relatore nell'udienza straordinaria del giorno 20 settembre 2022 il Cons. Annamaria Fasano e uditi per le parti gli avvocati Petrucci, Cetrano e Nibali, in collegamento da remoto;
Ai sensi dell’art. 87, comma 4-bis c.p.a. e dell’art. 13-quater disp. att. c.p.a. (articolo aggiunto dall’art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113), preso atto del deposito delle note di passaggio in decisione, è data la presenza dell' avv. Siracusa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.La società C s.r.l., titolare di un’autorizzazione amministrativa, esercitava attività di somministrazione di alimenti e bevande in Roma, nei locali siti in Via dell’Arco di San C 45-50.
1.1. Con la determinazione dirigenziale CA/184/2017 del 23 gennaio 2017, notificata in data 24 febbraio 2017, il Comune di Roma disponeva la decadenza dall’autorizzazione amministrativa per l’esercizio di tale attività. Il provvedimento veniva adottato sul presupposto che il locale in cui si svolgeva l’attività commerciale non era in regola dal punto di vista edilizio/urbanistico, poiché catastalmente diviso in tre unità indipendenti, mentre urbanisticamente risultava come un unico locale, e per tali variazioni non erano stati dichiarati i relativi titoli edilizi. L’amministrazione aveva accertato anche che le unità immobiliari civ. 45-47 e civ. 49-50-51 appartenevano ad unità edilizie diverse per le quali, ai sensi dell’art. 25, comma 6, delle N.T.A. del P.R.G., in Città Storica, non era consentito l’accorpamento.
Roma Capitale, in ragione di tali irregolarità, riteneva essere venuta meno la rispondenza ad uno dei requisiti richiesti per lo svolgimento dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, ossia la conformità edilizio – urbanistica, come previsto dagli artt. 5 e 26, comma 2, lett. c) della Delibera del Consiglio Comunale n. 35/2010.
2. La società C s.r.l. impugnava il suddetto provvedimento dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, lamentando che la disciplina delle autorizzazioni per la somministrazione di alimenti e bevande non comprendeva, tra le cause di decadenza previste, l’abusivismo dei locali, denunciando anche il difetto di motivazione dell’atto impugnato, atteso che non vi era alcun riferimento ai requisiti previsti dalla normativa statale e comunale in materia. La ricorrente eccepiva, inoltre, che la determinazione impugnata era stata assunta in violazione del principio di ragionevolezza e logicità in relazione alla sanzione da comminare, che invece doveva essere gradatamente proporzionale rispetto all’infrazione rilevata.
3. Il T.A.R. per il Lazio, con sentenza n. 5878/2017, respingeva il ricorso. Il Collegio di prima istanza riteneva che, nella fattispecie, le accertate irregolarità/difformità edilizio-urbanistiche, ovvero l’esistenza di abusi edilizi nel locale in cui si svolgeva l’attività commerciale, incidendo sulla destinazione urbanistica degli stessi, avevano determinato un significativo mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, anche in termini di destinazione d’uso dei beni, pertanto, la C s.r.l. avrebbe potuto esercitare correttamente l’ attività commerciale solo se munita anche dei necessari titoli edilizi.
Il provvedimento impugnato, inoltre, aveva natura vincolata, tenuto conto che l’art. 5 della Delibera di C.C. n. 35/2010 subordinava l’attività di somministrazione al requisito della conformità della stessa alle norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e di destinazione d’uso.
Il Tribunale adito precisava che l’art. 26, comma 2, lett. c) della stessa Delibera sanzionava con la decadenza la difformità del locale alle norme urbanistiche, prevedendo come unica eccezione la presenza di un condono edilizio, purché non relativo ad immobili ricadenti nel territorio del Municipio I, quali sono quelli oggetto della presente causa, sicchè nella specie l’eccezione non era applicabile.
4. Con ricorso in appello, notificato nei termini e nelle forme di rito, C s.r.l. ha impugnato la suddetta pronuncia, chiedendone l’integrale riforma, denunciando: a) “ Violazione e falsa applicazione della Legge n. 287/1991 e del d.lgs. n. 59/2010. Violazione dei principi di buon andamento, ragionevolezza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. e all’art. 1 della Legge n. 241/1990. Eccesso di potere per errore dei presupposti, contraddittorietà ed illogicità manifeste. Difetto assoluto di istruttoria. – Error in iudicando e/o in procedendo sotto il profilo della errata valutazione dei presupposti, illogicità manifesta”; b) Error in iudicando e/o in procedendo in relazione all’art. 11 delle disposizioni sulla Legge in Generale ;c) Error in iudicando e/o in procedendo sotto il profilo della errata valutazione dei presupposti, genericità. Difetto di pubblico interesse. Mancato bilanciamento degli interessi in conflitto”.
5. Si è difesa Roma Capitale, chiedendo il rigetto dell’appello.
6. Con atto di intervento, R B si è costituita ad adiuvandum dell’amministrazione resistente, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
7. Con ordinanza n. 5593/2017, questo Consiglio ha respinto la domanda cautelare proposta dall’appellante, ritenendo, prima facie , l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento.
8. Con nota prot. CA/90890 del 16.5.2018, la Direzione Tecnica del Servizio Edilizia Privata del Municipio Roma I Centro ha comunicato che “… la parte del locale di via dell’Arco di S. Callisto non interessato da istanza di concessione in sanatoria n. 510145/2004 è quello individuato dai civici 45-46-47-48”.
Con D.D. prot. CA/112823/2018 del 14.6.2018, il Municipio Roma I – U.O. Amministrativa e Affari Generali, nelle more del giudizio pendente dinanzi al Consiglio di Stato, ha autorizzato la società C s.r.l. alla somministrazione di alimenti e bevande nella sola parte del locale sito in Via dell’Arco di S. C n. 45, oggetto della licenza di somministrazione del 17.9.1984.
9. Le parti, con successive memorie, hanno articolato in maniera più approfondita le proprie difese.
10. All’udienza straordinaria del 20 settembre 2022, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
11. Con il primo mezzo, la società C s.r.l. censura la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di primo grado hanno ritenuto che il richiamo alla domanda di condono edilizio non è conferente, in quanto ‘condono edilizio di cui non si allega l’esito’, anziché considerare che l’esame della domanda di condono, al contrario, costituiva una necessaria operazione preliminare alla definitiva affermazione dell’asserita irregolarità ‘edilizio urbanistica’ posta dal Comune a fondamento della decadenza dell’autorizzazione commerciale, che, in quanto provvedimento a carattere sanzionatorio, non poteva essere legittimamente assunto prima della definizione della domanda di condono. Il Comune di Roma, infatti, avrebbe erroneamente disposto la decadenza dall’autorizzazione amministrativa per l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande sul presupposto che il locale non risultava ‘regolare dal punto di vista edilizio- urbanistico’, omettendo di considerare che la pretesa irregolarità urbanistico – edilizia, posta ad esclusivo fondamento della determinazione stessa e, quindi, il mutamento di destinazione d’uso e l’accorpamento con il contiguo locale, aveva formato oggetto di istanza di concessione in sanatoria prot. n. 510145/2004.
12. Con il secondo motivo, l’appellante lamenta che i giudici di prime cure avrebbero erroneamente ritenuto non applicabile alla fattispecie l’art. 5, comma 2, della Deliberazione del Consiglio Comunale n. 35 del 2010, secondo cui in presenza di una domanda di condono edilizio, ai sensi della vigente normativa, l’autorizzazione all’esercizio di attività di somministrazione viene rilasciata, ferma la revoca della stessa in caso di rigetto dell’istanza, qualora il titolo non venga assentito. Secondo l’appellante, benchè l’immobile oggetto di causa sia ubicato nel Municipio I, il T.A.R. avrebbe erroneamente applicato con effetto retroattivo una disposizione che incide sfavorevolmente su una situazione già consolidata che si è determinata nel 2004, a seguito della presentazione della domanda di condono edilizio.
13. Con la terza censura, l’appellante lamenta che il T.A.R. avrebbe omesso di valutare che il Comune di Roma, nel disporre il provvedimento di decadenza, ha omesso di effettuare una comparazione degli interessi in conflitto, pertanto, non tenendo conto del gravissimo pregiudizio derivante dal provvedimento di decadenza dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale, a fronte del contrapposto interesse del mero ripristino della legalità violata.
14. Il Collegio rileva che va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum di R B per carenza di interesse, proposta dalla società C s.r.l.. L’appellante riferisce che, a seguito dell’ordinanza cautelare n. 04617/2021 del 26 agosto 2021 di questo Consiglio di Stato, Roma Capitale, con nota del 1 ottobre 2021, ha comunicato che: “ …il 6 settembre 2021 il SUAP con nota CA/144839 ha trasmesso la sopracitata ordinanza del Consiglio di Stato alla direzione tecnica municipale chiedendo, alla luce di quanto ivi disposto, di procedere ad una rivalutazione della SCIA CA/118248/20. Il 21 settembre 2021 la Direzione Tecnica con prot. 153812 comunicava che ‘fermo restando l’oggettiva specifica personale responsabilità…, l’unità immobiliare ritiene conforme alle vigenti normative edilizie urbanistiche, limitatamente all’attività ai civici 45-47-48’. Per quanto sopra si ritiene che gli atti approntati da codesta società…hanno determinato di fatto, allo stato attuale, il superamento dei motivi ostativi di carattere edilizio urbanistico rilevati ab origine… ne consegue pertanto che l’accorpamento con il locale al civico 47 di Via dell’Arco di San C possa essere ora legittimamente richiesto presentando una nuova SCIA di ampliamento locali presso il SUAP municipale ”.
Secondo C s.r.l., tenuto conto di siffatti provvedimenti, sarebbe inammissibile l’intervento ad adiuvandum di R B per carenza di legittimazione derivante dall’evidente assenza di interesse al presente giudizio, atteso che, dopo lunga e complessa vicenda amministrativa e giudiziaria, i locali dove è esercitata l’azienda di ristorazione (i civici 45 e 47 di Via dell’Arco di San C), regolarmente autorizzata con D.D. prot. CA/112823/2018 del 14 giugno 2018 e SCIA di ampliamento prot. n. CA/2022/40411 del 12.03.2022, sono estranei alla domanda di concessione in sanatoria relativa agli abusi che non consentono l’esercizio dell’attività. L’unico interesse dichiarato dal difensore della sig.ra B è la cessazione dell’attività del ristorante ‘Arco di San C’, fatto che, alla luce dei fatti dedotti, ben noti alla interveniente, sarebbe del tutto inverosimile che si possa verificare, neppure nella denegata ipotesi di parziale conferma della sentenza impugnata.
14.1. L’eccezione è infondata.
Secondo l’indirizzo prevalente della giurisprudenza processualistica, dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, il criterio giuridicamente rilevante al fine di verificare la sussistenza della legittimazione e dell’interesse a ricorrere è dato dallo ‘stabile collegamento’ tra il ricorrente e il contesto territoriale nel quale si trova l’area presa in considerazione dal provvedimento impugnato: tale principio ha, inoltre, un rilievo anche quando si impugna un atto che pianifica diversamente un terreno vicino. Il concetto di ‘ vicinitas ’ costituisce una formula riassuntiva atta ad indicare una situazione nella quale, secondo l’ id quod plerumque accidit , il pregiudizio derivante dalla concessione a meno di autorizzazioni amministrative sussiste, senza bisogno di particolari dimostrazioni, secondo il comune apprezzamento, trattandosi di una situazione che di regola, ma non con assoluta certezza, può comportare un danno almeno presumibile al vicino, che ammette in ogni caso una specifica contestazione della controparte (Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2021, n. 3247;cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5596;Cons. Stato, sez. III, 14 dicembre 2016, n. 5268;Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre, n. 4487;Ad. Plen., 28 gennaio 2015, n. 1).
Nella specie, la sig. R B, nella qualità di proprietaria di un appartamento, ha interesse ad intervenire nel presente giudizio, avendo rappresentato “ la situazione di perdurante illegittimità edilizio – urbanistica che di fatto incide sulla legittimità della licenza di somministrazione ”.
La sig. B ha precisato che l’intervento è finalizzato ad ottenere una pronuncia che, accogliendo la tesi di Roma Capitale, rigettando il ricorso in appello della C s.r.l., soddisfi a pieno le proprie aspettative ed esigenze consistenti nell’interesse della stessa alla cessazione dell’attività di ristorazione, in quanto non risulta regolare dal punto di vista edilizio/urbanistico, essendo presenti abusi edilizi insistenti sulle parti comuni dell’edificio in cui la interveniente è proprietaria di un appartamento.
Si tratta di un interesse che, pur essendo di fatto, tale cioè da non consentire di agire in giudizio in qualità di parte, è comunque dipendente ed accessorio rispetto a quello azionato in via principale, in modo tale che dal rigetto dell’appello in sostanza deriva un vantaggio, indiretto o riflesso, all’intervenuta (Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 2014, n. 1669;Cons. Stato, Sez. V, 12 ottobre 2020, n. 6037).
L’atto di intervento è pertanto ammissibile.
15. Ciò premesso, i motivi di appello, da esaminarsi congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono infondati.
15.1. L’esame delle questioni impone una sintesi in fatto della vicenda processuale.
La società C s.r.l. esercita l’attività di somministrazione di alimenti e bevande in virtù di autorizzazione rilasciata con licenza n. 657 del 17.9.1984, nei locali ubicati in Via dell’Arco di San C n. 45.
In virtù di SCIA prot. CA/12938 del 16.2.2012 di subingresso per cessione di azienda, la C s.r.l. è titolare di autorizzazione amministrativa per l’esercizio di attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande per il locale sito in Roma, in Via dell’Arco di S. C n. 45-50.
Successivamente la società, con riferimento al locale sito ai civici n. 45-50 ha chiesto l’ampliamento della superficie per attività di somministrazione di alimenti e bevande per complessivi mq. 19.90.
Con nota prot. CA/151398 del 21.9.2016, la Direzione Tecnica del Servizio Edilizia Privata del Municipio Roma I Centro ha comunicato che il locale sito in Via dell’Arco S. C 45-50 non risulta regolare dal punto di vista edilizio/urbanistico, poiché dal punto di vista catastale è diviso in tre unità indipendenti, mentre dalla società C s.r.l. è stato rappresentato come un unico locale e per tali variazioni non sono stati dichiarati i relativi titoli edilizi. Inoltre, le unità immobiliari civ. 45-47 e 49-50-51 appartengono ad unità edilizie diverse per le quali in Città Storica non è consentito l’accorpamento ai sensi dell’art. 25, comma 6, N.T.A. del P.R.G..
Per le suddette ragioni, Roma Capitale, con D.D. n. CA/184/2017 del 23.1.2017, ha comunicato alla società C s.r.l., la decadenza dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio di attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande nei locali di Via dell’ Arco San C n. 45-50, essendo venuta meno la conformità edilizio – urbanistica, requisito richiesto per lo svolgimento delle suddette attività ai sensi degli artt. 5 e 26, comma 3, lett. c) della Delibera del Consiglio Comunale n. 35/2010.
15.2. Orbene, la circostanza di fatto che assume rilievo ai fini della decisione è che i locali, nei quali viene esercitata l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, costituiti dai civici 45-47 e 49-50-51, sono divisi in tre unità indipendenti che appartengono ad unità edilizie diverse, per le quali non è consentito l’accorpamento ai sensi dell'art. 25 comma 6 delle N.T.A. del P.R.G. in Città Storica.
Pertanto, non si può tenere conto del fatto sopravvenuto, valorizzato dall’appellante, secondo cui con D.D. prot. CA/112823/2018 del 14.6.2018 il Municipio Roma I – U.O. Amministrativa e Affari Generali - ha autorizzato la società C s.r.l. alla somministrazione di alimenti e bevande nella sola parte del locale sito in Via dell’Arco di S. C n. 45, oggetto della licenza di somministrazione del 17.9.1984.
Il Tribunale amministrativo adito, con la sentenza impugnata, ha, infatti, correttamente respinto il ricorso proposto da C s.r.l., in ragione della irregolarità edilizio/urbanistica delle unità immobiliari ai civici 45-47 e quelle ai civici 49-50-51, in quanto oggetto di accorpamento senza i relativi titoli edilizi, in violazione delle norme di cui all’art. 25, comma 6, delle NTA del PRG (Città Storica). Tale situazione non è mutata anche a seguito della autorizzazione ottenuta dalla società appellante, in data 14 giugno 2018, per la sola parte del locale sita al civico n. 45, oggetto della licenza di somministrazione del 17.9.1984.
15.3. La società ritiene rilevanti ai fini dell’accoglimento della domanda le seguenti sopravvenute circostanze. Riferisce che la società C s.r.l. ha presentato una S.C.I.A. di ampliamento riferita anche al civico n. 47 per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. Roma Capitale, con determinazione dirigenziale prot. n. CA/129727 del 28 luglio 2020, ha comunicato l’inefficacia della suddetta S.C.I.A. sul presupposto che, in relazione al civico n. 47, non era stata ancora stata “ rilasciata la concessione in sanatoria di cui alla domanda presentata con prot. n. 47737/2004”. Quest’ultimo provvedimento è stato impugnato dalla società appellante, con contestuale istanza cautelare, che è stata prima disattesa dal Tar Lazio e poi accolta con ordinanza del Consiglio di Stato, sez. V, 26 agosto 2021, n. 4617. L’ordinanza ha imposto al Comune di Roma di riesaminare l’istanza di ampliamento della superficie di somministrazione presentata dall’appellante per il civico n. 47, accertando se anche la parte per la quale era stata presentata la SCIA di ampliamento fosse interessata dall’istanza di concessione in sanatoria a suo tempo chiesta dalla ditta e chiarendo quali fossero, allo stato, i motivi ostativi ad autorizzare la somministrazione anche nel civico n. 47.
A seguito di tale ordinanza, Roma Capitale ha comunicato, con una nota del 1 ottobre 2021, che l’unità immobiliare si ritiene conforme alle vigenti normative edilizie urbanistiche, limitatamente all’attività ai civici 45-47-48 e che dunque possa essere legittimamente richiesto l’accorpamento con il locale al civico n. 47 di via dell’Arco di San C.
Il Collegio rileva che tali evenienze non superano la circostanza di fatto dirimente ai fini del rigetto delle critiche illustrate con l’appello, ossia che l’attività di ristorazione continua ad essere svolta in tre unità abitative distinte, accorpate, senza che sussistano i relativi titoli edilizi.
Dalla documentazione depositata in atti, è emerso che il locale al civico n. 47/48 è stato abusivamente collegato al civico 49 tramite un’apertura su mura perimetrali, mettendo in comunicazione due edifici catastalmente diversi e tale accorpamento risulta ancora esistente.
Ne consegue che la situazione di illegittimità urbanistica perdura, tenuto conto che la società appellante ha proceduto all’accorpamento, con opere in muratura, di tre unità distinte e separate, senza titoli autorizzativi, atteso che l’attività di ristorazione viene svolta ai civ. 45, 47, 48, utilizzando anche i locali siti ai civici 49,50, 51, in quanto strutturalmente comunicanti tra loro.
Tali circostanze sono state evidenziate da R B nei propri scritti difensivi, a fronte delle quali l’appellante non è stato in grado di fornire adeguate obiezioni confortate dal necessario supporto probatorio. L’interveniente ha, altresì, precisato che per i locali di cui ai civici 49,50,51 sussiste una domanda di condono per cambio di destinazione d’uso e accorpamento, per la quale è stato emesso un preavviso di rigetto da parte dell’UE.
Né possono assumere rilievo le deduzioni difensive illustrate dall’appellante con il secondo mezzo, tenuto conto che non vale a supportare il consolidamento del diritto al godimento del bene della vita e, quindi, a ingenerare un legittimo affidamento nell’interessato, il fatto che l’amministrazione è intervenuta dopo anni a contestare la situazione di irregolarità, oltre al fatto che nella specie non si è provveduto ad applicare retroattivamente la Deliberazione n. 35 del 2010, atteso che l’amministrazione procedente era comunque tenuta a valutare la situazione di fatto e giuridica esistente al momento del decidere, in osservanza del principio tempus regit actum.
15.4. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è da tempo nel senso che nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico – edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo, ove fondato su rappresentate ed accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr. Cons. Stato, IV, 14 ottobre 2011, n. 5537;Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2012, n. 5590).
Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è, pertanto, ancorato alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico – edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere – dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi, che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2015, n. 4880).
L’affermazione che la regolarità urbanistico edilizia dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività commerciale nel suo intero, con la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico – edilizia è stata riferita anche alla disciplina del commercio di cui alla legge n. 426 del 1971 (Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2002, n. 5656, e 28 giugno 2000, n. 3639). Si è, quindi, assistito al consapevole e definitivo superamento del precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di annullamento o di trasferimento di esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l’interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 1997, n. 380).
E’ stato di recente precisato che: “ il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio di buona amministrazione per cui non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio” (Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2018, n. 3212).
Da qui il legittimo esercizio, da parte di Roma Capitale, del potere sanzionatorio, stante l’irregolarità dell’attività di somministrazione di bevande e alimenti esercitata nei locali che risultano abusivi, in ragione della difformità delle prescrizioni urbanistico- edilizie della zona in cui è esercitata.
15.5. La regolarità urbanistica dell’opera va valutata per l’intero e per l’intero condiziona l’esercizio dell’attività commerciale, anche perché, diversamente opinando, ne scaturirebbe l’elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi.
Pertanto, le rilevate difformità non possono essere riferite alla singola unità abitativa, delle tre che compongono l’esercizio commerciale, ma all’intero complesso accorpato in violazione delle disposizioni urbanistiche della zona denominata Municipio I.
Nella specie, l’attività di ristorazione, come si è detto, è svolta nei civici 45,47, 48, 49, 50, 51, ossia in diversi locali, il cui totale accorpamento è privo di titoli autorizzativi, a nulla rilevando che in alcuni di essi sarebbe in ipotesi consentito svolgere attività di somministrazione di alimenti e bevande, atteso che la conformità urbanistica ed edilizia va valutata nel complesso della struttura ove si svolge l’attività, persistendo, nella specie, un accorpamento di locali appartenenti a due unità edilizie diverse, non consentito, ai sensi dell’art. 25, comma 6 delle N.T.A. del P.R.G. in Città Storica.
15.6. Da tali considerazioni consegue che la pronuncia di primo grado non merita censura, posto che la Deliberazione di C.C. n. 35 del 2010 all’art. 5 prevede, espressamente, che l’attività di somministrazione di alimenti e bevande debba essere subordinata al preciso requisito della conformità del locale alle norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e di destinazione d’uso. Come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure, la circostanza che sia stata presentata, per alcuni civici, domanda di condono, è irrilevante.
L’art. 26, comma 2, lett. c) della medesima Deliberazione sanziona con la decadenza la difformità del locale alle norme urbanistiche, con l’unica eccezione della presenza di un condono edilizio, purché non relativa ad immobili che ricadono nel territorio del Municipio I.
In questo caso, il provvedimento di decadenza risulta vincolato dal fatto che i locali ricadono proprio nel territorio del Municipio I, con la conseguenza che l’eccezione prevista dall’art. 25, comma 2, lett. c) della Deliberazione, ossia la presentazione di istanza di condono, non può trovare applicazione.
Trattandosi di un provvedimento vincolato, contrariamente a quanto sostiene l’appellante, non è invocabile neppure la valutazione alla stregua dei principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, atteso che quando l’amministrazione adotta un provvedimento vincolato non ha nessun margine di apprezzamento discrezionale, senza che sia possibile una comparazione tra interessi pubblici e interessi privati.
16. In conclusione, l’appello va respinto.
Le spese di lite del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.