Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-11-23, n. 201806659
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Pubblicato il 23/11/2018
N. 06659/2018REG.PROV.COLL.
N. 03150/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3150 del 2018, proposto dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
del Fallimento Diffusione Mediterranea s.r.l., in persona del curatore in carica, rappresentato e difeso dall’avv. B C, con domicilio digitale come da PEC Registri di giustizia, e domicilio eletto presso l’avv. Nicola Pagnotta in Roma, Via F. Denza, 15;
del Comune di Catanzaro, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dagli avvocati A M Padino e Saverio Molica, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la Segreteria della VI Sezione del Consiglio di Stato;
per la riforma
della sentenza breve del TAR della Calabria (sezione prima) n. 2068/2017, resa tra le parti, concernente “revoca” di agevolazione;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Fallimento Diffusione Mediterranea s.r.l. e del Comune di Catanzaro;
Vista la memoria di costituzione in giudizio della Cassa Depositi e Prestiti;
Viste le memorie prodotte dal Fallimento e dal Comune di Catanzaro a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del 15 novembre 2018, il cons. M B e uditi, per le parti, l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per l’appellante e l’avv. B C per il Fallimento appellato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Viene in decisione il ricorso in appello con il quale il MISE ha impugnato la sentenza del TAR Calabria - sede di Catanzaro - prima sezione, n. 2068 del 2017, chiedendone la riforma.
Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso presentato dalla curatela del Fallimento Diffusione Mediterranea s.r.l. per l’annullamento del provvedimento (DDG) del Direttore generale del MISE prot. n. 3577 del 29.8.2017, concernente “revoca totale con restituzione” di un’agevolazione concessa in via provvisoria.
Con il DDG n. 3577/2017 è stata disposta la “revoca” di un contributo di € 1.342.787,94 concesso dal MISE nel 1999, in via provvisoria, alla impresa Diffusione Mediterranea, nell’ambito del Patto Territoriale per lo sviluppo di Catanzaro e del suo comprensorio.
A sostegno della revoca il Ministero richiama le ragioni di cui all’art. 12, comma 3, lett. b) del d. m. n. 320 del 2000 - distoglimento dei beni agevolati prima del quinquennio d’obbligo, avvenuto senza la preventiva comunicazione al Ministero e senza la prescritta autorizzazione del Ministero.
Con il medesimo DDG è stato disposto inoltre il recupero dell’importo di € 1.208.509,13, erogato alla impresa in tre quote tra il marzo del 2000 e il giugno del 2004.
(In proposito pare il caso sin da ora di specificare che la “scansione temporale” della vicenda amministrativa per la quale è causa è la seguente: nel maggio del 1999 viene concesso in via provvisoria il contributo;tra il marzo del 2000 e il giugno del 2004 sono “effettuate alla impresa n. 3 erogazioni per il complessivo ammontare di € 1.208.509,13” ;nel novembre del 2005 Diffusione Mediterranea stipula con Enterprise un contratto di affitto di azienda commerciale per l’esercizio, fino al 31 dicembre 2008, della attività di CED, logistica e magazzinaggio merci per conto terzi, con facoltà di sublocazione, previsione di un canone annuale di affitto di € 200.000 e impegno dell’affittuaria a curare l’azienda conformemente alla propria destinazione;Enterprise verrà dichiarata fallita nell’ottobre del 2007;nel giugno del 2007 emerge, in sede di redazione e sottoscrizione del verbale di accertamento finale di spesa da parte della commissione ministeriale, che “in data 3.11.2005 l’impresa, con contratto di fitto, ha ceduto l’unità produttiva agevolata alla società Enterprise”;nel gennaio del 2008 il Consorzio Catanzaro 2000 comunica al MISE l’avvenuta stipula del contratto di affitto della unità produttiva oggetto dell’agevolazione, contratto mai notificato e mai autorizzato;nel giugno 2008 - marzo 2009 il MISE comunica alla impresa l’avviso di avvio del procedimento di revoca;l’impresa agevolata fa istanza di accesso agli atti ma non controdeduce: nel 2016 sarà dichiarata fallita dal Tribunale di Catanzaro;in data 29.8.2017 sopraggiunge il DDG di revoca dell’agevolazione e recupero dell’importo suindicato).
2. Con la sentenza in epigrafe il TAR, dopo avere ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo e avere giudicato irrilevante la circostanza che non fosse andata a buon fine la notificazione del ricorso al Consorzio Catanzaro 2000, non essendo imputabile il provvedimento impugnato a tale soggetto, il quale non è parte necessaria del giudizio, ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato il DDG n. 3577/2017, con condanna del MISE alle spese, sostanzialmente per difetto di motivazione circa le ragioni che hanno portato a differire nel tempo assai a lungo l’esercizio del potere di revoca (dalla lettura della sentenza sembra che il provvedimento impugnato venga fatto ricadere dal primo giudice nell’ambito di applicazione di cui all’art. 21- quinquies della l. n. 241 del 1990). Nella sentenza si precisa che il provvedimento di revoca del contributo è stato adottato a distanza di circa dodici anni dalla stipula del contratto di affitto di ramo di azienda tra Diffusione Mediterranea ed Enterprise, circostanza, questa, ritenuta violativa degli obblighi derivanti dalla concessione del finanziamento, a distanza di circa dieci anni dal momento in cui l’Amministrazione ha rilevato l’esistenza del contratto di affitto, e dopo circa otto anni dalla comunicazione dell’avvio del procedimento. Il TAR soggiunge che la distanza temporale tra provvedimento impugnato e fatti rilevanti “comporta una ingiustificata compromissione dell’affidamento del privato alla stabilità del provvedimento di agevolazione…sia pure con riferimento alla sopravvenuta mancanza dei requisiti soggettivi”, e che l’affidamento del privato è interesse che l’ordinamento valorizza in modo esplicito – cfr. art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990 – e nella specie è stato pretermesso.
3. Il MISE ha proposto appello con due motivi.
Dopo avere premesso che il TAR ha accolto il ricorso avversario senza affrontare le tematiche di merito che avevano indotto il Ministero a decretare la decadenza dal diritto al mantenimento delle agevolazioni, legate alla cessione in affitto a terzi, non autorizzata, del complesso aziendale agevolato, prima del decorso del “periodo di vincolo quinquennale” al mantenimento nella disponibilità, il Ministero deduce, sub 1), violazione dell’art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990, in relazione al DDG n. 3577 del 2017. L’Amministrazione appellante sottolinea in particolare la erroneità della “collocazione della revoca” in discussione entro l’ambito di applicazione di cui agli articoli 21- nonies e 21- quinquies della l. n. 241 del 1990, rientrandosi invece nella categoria della “decadenza accertativa” o della “revoca decadenziale”, espressioni di potere vincolato, caratterizzate dalla mancanza di discrezionalità dell’Amministrazione nell’adozione del provvedimento conclusivo. Sub 2) il Ministero, nel dedurre violazione degli articoli 3 e 21- nonies della l. n. 241 del 1990, sotto un diverso profilo, sostiene che la sentenza avrebbe errato nel riconoscere, in capo alla odierna appellata, un legittimo affidamento circa la stabilità del provvedimento di agevolazione, sia perché il contributo era stato concesso in via provvisoria senza venire esplicitamente confermato dall’Amministrazione concedente, e sia perché la “revoca” è stata adottata quale conseguenza dell’avvenuta cessione in affitto dei beni agevolati senza alcuna comunicazione e autorizzazione e, quindi, per causa imputabile all’appellata stessa.
4. Il Fallimento Diffusione Mediterranea si è costituito, eccependo l’inammissibilità del ricorso per omessa notifica dell’atto di appello a tutte le parti del giudizio di primo grado, vale a dire Comune di Catanzaro, Consorzio Catanzaro 2000, Europrogetti e Cassa Depositi e Prestiti.
Nel merito, la parte ricorrente e odierna appellata ha dedotto la infondatezza della impugnazione. Nella memoria di costituzione viene poi riproposta la censura, non esaminata dal giudice di primo grado, di violazione degli articoli 7 e 8 della l. n. 241 del 1990, per avere, l’Amministrazione emanante, indicato soltanto nel provvedimento finale quale era la ragione posta a base del decreto di revoca (vale a dire l’avvenuta stipula nel 2005 di un contratto di affitto della unità produttiva agevolata, non comunicato né autorizzato). Inoltre, sul piano sostanziale nessun distoglimento o distrazione dall’uso previsto si sarebbe verificata, sì che, diversamente da quanto ritiene il MISE, non emergere alcuna violazione dell’art. 12, comma 3, lett. b) del d. m. 31.7.2000, n. 320. Si deduce infine che il credito del MISE risulta prescritto, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ., sin dal giugno del 2014, dato che la terza rata era stata erogata a Diffusione Mediterranea nel giugno del 2004, e l’avviso di avvio del procedimento del 2008 - 2009 non poteva costituire valido atto di interruzione della prescrizione.
Con atto depositato in data 25.5.2018 la curatela del Fallimento ha presentato istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art. 144 del t. u. n. 115 del 2002.
5.Nel giugno del 2018 l’Amministrazione appellante ha notificato l’atto di appello tra gli altri al Comune di Catanzaro e alla Cassa Depositi e Prestiti (CDP).
Comune e CDP si sono costituiti per eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva.
Il Comune ha evidenziato che il provvedimento finale lesivo è attribuibile in via esclusiva al MISE e che nessuna censura è stata rivolta contro l’Amministrazione comunale.
La CDP da parte propria ha sottolineato di svolgere unicamente la funzione di sportello erogatore nelle procedure di finanziamento dei progetti ricompresi nei patti territoriali.
In prossimità dell’udienza di discussione nel merito il Fallimento ha segnalato che il MISE ha effettuato la integrazione del contraddittorio in assenza di qualsivoglia autorizzazione ovvero ordine del Presidente o del Collegio di appello, come prescritto dall’art. 49 del c.p.a..
6. L’appello è fondato e va accolto.
La soluzione data dal TAR alla controversia non persuade.
Il ricorso di primo grado proposto dal Fallimento Diffusione Mediterranea andava respinto.
Anche le censure formulate dalla ricorrente in primo grado, rimaste assorbite e ripresentate nella memoria di costituzione del 17.5.2018, alle pagine 11 e seguenti, ancorché in carenza di una “espressione formale” di riproposizione esplicita ex art. 101, comma 2, del c.p.a., sono infondate e vanno disattese.
6.1. In via preliminare è priva di fondamento e va rigettata l’eccezione di inammissibilità della impugnazione, sollevata dal Fallimento appellato, in riferimento alla omessa notifica dell’atto di appello a tutte le parti del giudizio di primo grado, vale a dire Comune di Catanzaro, Consorzio Catanzaro 2000, Europrogetti e Cassa Depositi e Prestiti, alle quali il Fallimento Diffusione Mediterranea aveva a suo tempo notificato l’atto introduttivo del giudizio dinanzi al TAR (come rilevato sopra al p. 5., il contraddittorio nel giudizio di appello risulta integrato nel giugno del 2018 a cura del MISE).
In primo luogo, anche a voler seguire l’impostazione di parte appellata, il Collegio osserva che l’atto di appello è stato notificato tempestivamente al Fallimento appellato e interessato a contraddire.
In un secondo momento, il contraddittorio è stato integrato, ancorché a prescindere da un ordine specifico impartito in questo senso dal presidente o dal collegio, ai sensi degli artt. 49 e 95, comma 3, del c.p.a., nei confronti delle altre parti alle quali il ricorso di primo grado era stato notificato a cura del Fallimento ricorrente.
In questa situazione, tuttavia, la circostanza che il contraddittorio sia stato integrato nei confronti di tutte le parti presenti in primo grado su iniziativa della parte appellante e in assenza di un’autorizzazione od ordine “preventivi” del giudice ai sensi degli artt. 49 e 95 cit., anche a voler considerare necessaria l’evocazione nel giudizio di appello di tutti i soggetti ai quali il ricorso di primo grado era stato notificato, non potrebbe comportare la declaratoria di inammissibilità della impugnazione;infatti, a norma dell’art. 95, comma 2, c.p.a., ad impedire l’inammissibilità dell’appello è sufficiente la notificazione dell’impugnazione ad almeno una delle parti interessate a contraddire.
In secondo luogo, e in ogni caso, il richiamo al precedente giurisprudenziale operato dalla parte appellata nella memoria di costituzione (Cons. Stato, IV, n. 5957 del 2014) appare inappropriato dato che esso attiene a una controversia relativa alla contestazione di un accordo di programma mentre, nella fattispecie odierna, pur ricadendosi nella c. d. “materia dei Patti Territoriali” di cui all’art. 2, commi 203 e seguenti, della l. n. 662 del 1996, ragione per la quale la cognizione della controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, come correttamente osservato dal TAR (cfr. Cass., ss. uu. , n. 22747 del 2014), il provvedimento finale lesivo risulta riconducibile in via esclusiva al MISE, sicché unica parte necessaria del giudizio, interessata a contraddire, doveva considerarsi il Ministero.
L’appello dev’essere perciò considerato ammissibile.
6.2. Sempre in via preliminare dev’essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva sia del Comune di Catanzaro e sia della CDP, atteso che nessuna censura specifica è stata mossa nei riguardi di tali enti, da considerarsi estranei alla controversia (e privi di interesse a contraddire: sì che non dovevano necessariamente essere evocati in giudizio – v. sopra, p. 6.1.).
6.3.1. Nel merito, come si è anticipato sopra, al p. 2., il giudice di primo grado sembra avere fatto rientrare il decreto di “revoca delle agevolazioni” n. 3577/2017 all’interno del campo di applicazione della “revoca in senso stretto” del provvedimento amministrativo, di cui all’art. 21- quinquies della l. n. 241 del 1990, anche se, a pag. 4 della sentenza, il TAR, al fine di porre in risalto l’interesse dell’ordinamento a vedere tutelato l’affidamento del privato, “nel caso di specie del tutto pretermesso”, compie un richiamo anche all’art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990 cit., ipotizzando perciò, par di capire, non senza una qualche contraddizione però, una “collocazione” del DDG impugnato nell’alveo degli atti di autotutela di annullamento di ufficio.
Dopo di che, come detto, il TAR accoglie il ricorso sostanzialmente per difetto di motivazione circa le ragioni che hanno portato a differire nel tempo assai a lungo l’esercizio del potere di “revoca”. Nella sentenza si rimarca che il decreto di “revoca” del contributo è stato adottato a distanza di circa dodici anni dalla stipula del contratto di affitto di ramo di azienda tra Diffusione Mediterranea ed Enterprise, circostanza, questa, ritenuta idonea a violare gli obblighi derivanti dalla concessione del finanziamento;a distanza di circa dieci anni dal momento in cui l’Amministrazione ha rilevato l’esistenza del contratto di affitto, e dopo circa otto anni dalla comunicazione dell’avvio del procedimento. A giudizio del TAR, la distanza temporale tra decreto impugnato e fatti rilevanti “comporta una ingiustificata compromissione dell’affidamento del privato alla stabilità del provvedimento di agevolazione…sia pure con riferimento alla sopravvenuta mancanza dei requisiti soggettivi”: affidamento del privato che l’ordinamento valorizza in modo esplicito.
6.3.2. Per quanto riguarda la qualificazione da dare al provvedimento impugnato, va rammentato in primo luogo che nelle premesse del DDG di revoca n. 3577/2017 l’autorità emanante richiama il d. lgs. n. 123 del 1998 e l’art. 12, comma 3, lett. b) del d. m. n. 320 del 2000, rilevando che l’impresa, in data 3.11.2005, con contratto di affitto, aveva ceduto l’unità produttiva agevolata alla società Enterprise. Nel dispositivo del decreto di “revoca” si fa riferimento al “distoglimento dei beni agevolati prima del quinquennio d’obbligo, avvenuto senza preventiva comunicazione e senza la prescritta autorizzazione”.
Ciò posto, precisato ancora in via preliminare che per qualificare un atto amministrativo non è risolutivo l’aspetto strettamente nominalistico, o formale, dovendosi guardare agli aspetti sostanziali dell’atto, questo Collegio di appello, tenuto conto delle ragioni poste a sostegno del DDG n. 3577/2017, ritiene in primo luogo che nel caso in esame non si ricada nel campo di applicazione di cui all’art. 21- quinquies della l. n. 241 del 1990, disposizione che collega la revoca in senso stretto a “sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero … (al) mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, (a una) nuova valutazione dell'interesse pubblico originario”, situazioni nelle quali la fattispecie odierna non può essere ricompresa.
6.3.3. E’ da ritenere inoltre che non si rientri nemmeno in una delle ipotesi di annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo “ab origine”, di cui all’art. 21- nonies della l. n. 241 cit., in relazione alle quali è consentito discrezionalmente l’annullamento in autotutela dell’atto favorevole, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole (comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici) e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, da parte dell’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. L’annullamento d’ufficio infatti “guarda al passato”, nel senso che costituisce un rimedio volto a rimuovere un errore commesso nell’esercizio della funzione di primo grado.
Non così avviene invece nella fattispecie in contestazione.
6.3.4. Nel caso odierno, il venire meno dell’agevolazione è ricollegato non a una ipotesi di
non conformità a legge “ab origine” dell’atto ampliativo, ma a una circostanza, del tutto particolare, di “distoglimento”, dall’uso previsto, delle immobilizzazioni, la cui realizzazione ed acquisizione ha formato oggetto dell’agevolazione, prima di cinque anni dalla entrata in funzione dell’impianto.
6.3.5. Ancora su questo punto, non pare inutile osservare che il profilo di censura formulato dalla parte appellata nella memoria di costituzione e imperniato sulla inosservanza del termine dei 18 mesi di cui al citato art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990, oltre a non essere accoglibile poiché, come subito si dirà, si ricade, come a ragione sostiene il MISE, nella peculiare fattispecie della “revoca sanzionatoria o decadenziale”, o “decadenza sanzionatoria”, va disatteso poiché non era stato dedotto nel ricorso di primo grado, quantunque la “revoca” fosse intervenuta ben dopo la l. n. 124 del 2015.
Costituendo quindi un profilo di censura nuovo e diverso rispetto alle doglianze che avevano delimitato il perimetro del “thema decidendum” in primo grado, come tale dev’essere dichiarato inammissibile.
6.3.6. Esclusa dunque la riconducibilità della fattispecie negli ambiti di applicazione di cui agli articoli 21- quinquies (revoca in senso stretto) e 21- nonies (annullamento d’ufficio) della l. n. 241 del 1990, è da ritenere che il caso in esame sia disciplinato specificamente:
- dall’art. 9, comma 3, del d. lgs. n. 123 del 1998 – revoca dei benefici e sanzioni –, in base al quale “qualora i beni acquistati con l’intervento siano alienati, ceduti o distratti nei cinque anni successivi alla concessione, ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso all’intervento, è disposta la revoca dello stesso, il cui importo è restituito…”;
- dall’art. 12, comma 3, lett. b), del d. m. 31.7.2000, n. 320, puntualmente indicato nel DDG impugnato in primo grado, secondo cui, fermo restando quanto previsto dall’art. 9 del d. lgs. n. 123 del 1998, il Ministero “provvede alla revoca delle agevolazioni alle imprese beneficiarie … b) qualora vengano distolte dall'uso previsto le immobilizzazioni materiali o immateriali, la cui realizzazione o acquisizione è stata oggetto dell'agevolazione, prima di cinque anni dalla data di entrata in funzione dell'impianto;la revoca delle agevolazioni è totale se la distrazione dall'uso previsto delle immobilizzazioni agevolate prima dei cinque anni dalla data di entrata in funzione dell'impianto costituisca una variazione sostanziale del programma agevolato non autorizzata, determinando, di conseguenza, il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati dell'iniziativa;altrimenti la revoca è parziale ed è effettuata in misura proporzionale alle spese ammesse alle agevolazioni afferenti, direttamente o indirettamente, l'immobilizzazione distratta ed al periodo di mancato utilizzo dell'immobilizzazione medesima con riferimento al prescritto quinquennio”;
- e dall’art. 8 del d. m. n. 527 del 1995, recante modalità e procedure per la cessione ed erogazione delle agevolazioni in favore delle attività produttive nelle aree depresse del Paese, disposizione “ratione temporis” applicabile al momento della concessione provvisoria del contributo, in base alla quale, similmente a quanto stabilito con le disposizioni suindicate, “le agevolazioni sono revocate in tutto o in parte (dal MISE) … qualora vengano distolte dall’uso previsto le immobilizzazioni materiali o immateriali, la cui realizzazione od acquisizione è stata oggetto dell’agevolazione, prima di cinque anni dalla data di entrata in funzione dell'impianto…”.
6.3.7. In questa situazione, invero peculiare, sembra opportuno osservare che si fa questione di una agevolazione concessa nel 1999 dichiaratamente in via provvisoria (il che, di per sé, in una controversia sotto taluni aspetti simile a quella odierna, ha condotto questa sezione a non dare peso né a un ipotetico affidamento e neppure al decorso del tempo – “…trattandosi di procedimento non ancora concluso, caratterizzato da agevolazioni concesse solo in via provvisoria e, dunque, ancora assoggettate a determinazione definitiva dell’amministrazione. Né in senso contrario (poteva) incidere il decorso del tempo, venendo in considerazione esborsi di pubblico denaro e, dunque, un interesse erariale che risulta(va), in assenza di atti conclusivi del procedimento, certamente prevalente rispetto a quello del privato …” – così Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 942 del 2016).
6.3.8. Non solo.
Viene in considerazione anche – e soprattutto –, senza che emerga alcuna violazione dei principi di tipicità e nominatività del provvedimento amministrativo, l’esercizio di un potere vincolato di revoca sanzionatoria, o decadenziale, o decadenza sanzionatoria, correlato unicamente alla ricorrenza dei presupposti normativamente richiesti per far venire meno il beneficio assentito, anche alla luce del rilievo preminente da attribuire all’esigenza di recuperare erogazioni indebite di pubblico denaro senza, perciò, che occorra una motivazione specifica in ordine a eventuali ragioni di interesse pubblico a sostegno della “revoca”, emergendo un interesse pubblico “in re ipsa” alla adozione dell’atto sfavorevole in presenza, come detto, di un esborso indebito di denaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato (conf., su fattispecie per certi versi simili a quella odierna, Cons. Stato, VI, nn. 2614 del 2017 e 550 del 2006;sul tema v. anche Cons. Stato, VI, n. 5772 del 2012).
Si ricade all’interno di una potestà pubblicistica di carattere sanzionatorio/ripristinatorio, riconosciuta alla P. A. allo scopo di salvaguardare il medesimo interesse pubblico di settore protetto con la concessione dell’agevolazione;potestà correlata all’accertamento della inosservanza di obblighi che il destinatario dell’agevolazione si era impegnato a osservare.
Detto altrimenti, nella specie è stato compiuto non un riesame dell’atto, alla stregua della sua legittimità od opportunità, quanto invece un apprezzamento del comportamento tenuto dal destinatario dell’agevolazione durante lo svolgimento del rapporto.
6.3.9. Occorre aggiungere che nella vicenda attuale, diversamente da quanto ritenuto dal TAR, non può parlarsi fondatamente di una ingiustificata compromissione e pretermissione di un affidamento legittimo del privato sulla stabilità del beneficio assentito, in ragione del lunghissimo periodo di tempo trascorso (diversi anni – v. sopra, p. 1.) tra i fatti rilevanti e l’adozione dell’atto di “revoca”.
Non può venire fondatamente in rilievo un affidamento legittimo perché, come correttamente osserva l’Amministrazione appellante, è la stessa società appellata che, nel 2005, si è fatta “artefice” del verificarsi di quel presupposto – il distoglimento delle immobilizzazioni dall’uso previsto, non comunicato né autorizzato –, al quale la normativa collega il venire meno dell’agevolazione e il recupero degli importi già erogati.
Impropriamente quindi l’appellata contrappone alla posizione del MIUR la tesi di un “consolidamento della posizione di vantaggio” e della lesione di un affidamento legittimo in relazione a un provvedimento finale sfavorevole sopravvenuto circa nove anni dopo l’avviso di avvio del procedimento e dodici anni dopo l’avvenuta stipula del contratto di cessione in affitto del complesso aziendale.
Nel contesto in discussione, contrassegnato da “irregolarità” della condotta del destinatario del provvedimento di agevolazione, connesse a violazioni di prescrizioni poste a base del provvedimento ampliativo, il privato è venuto a trovarsi in una situazione di “affidamento non legittimo” e, come tale, non meritevole di tutela, l’affidamento tutelabile dovendo essere coerente con il rispetto della buona fede e della lealtà nei rapporti tra privato e P.A..
6.3.10. Il primo e il secondo motivo di appello sono dunque fondati e vanno accolti e, per l’effetto, la sentenza impugnata va riformata.
6.4. Per quanto riguarda le censure formulate dal Fallimento appellato nella memoria di costituzione, quantunque in carenza di una “espressione formale” di riproposizione esplicita dei motivi assorbiti, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 101, comma 2, del c.p.a., le stesse non possono essere accolte.
6.4.1. In primo luogo, sulla denunciata violazione procedimentale di cui agli articoli 7 e 8 della l. n. 241 del 1990, anche a prescindere dal rilievo secondo cui, quando l’Amministrazione è priva di margini di discrezionalità nell’adottare un provvedimento sul quale possa utilmente intervenire il soggetto destinatario del provvedimento medesimo, l’avviso di avvio del procedimento risulta superfluo a vantaggio dei principi di economicità e di speditezza dell’azione amministrativa; dagli atti e documenti di causa, considerati nel loro complesso – anche allo stato degli atti – emerge che il confronto procedimentale tra la P. A. e il destinatario del provvedimento finale sfavorevole non è mancato.
Dalle premesse del DDG n. 3577/2017 di revoca impugnato in primo grado, e dai documenti del fascicolo di primo grado, depositati dalla ricorrente, si ricava che il MISE ha adottato due atti di avviso di avvio del procedimento: il primo, con nota in data 22.6.2008, e il secondo, con nota del 12.3.2009.
Nella nota del 22.6.2008, in atti, si fa chiaramente riferimento alla esistenza delle condizioni previste dall’art. 12, comma 3, lett. b) del d. m. n. 320 del 2000, e si menziona in modo specifico il distoglimento delle immobilizzazioni dall’uso previsto.
Con nota del soggetto responsabile del 7.8.2008 il MISE viene informato che la società beneficiaria delle agevolazioni ha variato la sede legale.
Con nota del MISE datata 12.3.2009, come emerge dalle premesse del DDG di “revoca”, si provvede a inviare al nuovo indirizzo della sede legale della impresa l’avviso di avvio della procedura di revoca (è da ritenere, secondo logica a presumibilmente: lo stesso avviso di avvio del 2008. La nota