Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-10-19, n. 202006304

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-10-19, n. 202006304
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202006304
Data del deposito : 19 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/10/2020

N. 06304/2020REG.PROV.COLL.

N. 10357/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10357 del 2019, proposto da
MSC Cruises s.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A L e M M, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Autorità Nazionale Anticorruzione - ANAC, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesoa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

L M, Autorità di Sistema Portuale del Mar Liguria Occidentale, non costituiti in giudizio;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 7411/2019, resa tra le parti.


Visto il ricorso per revocazione;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 84 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 ( Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 ), convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, che, tra altro, stabilisce ai commi 5 e 6, rispettivamente, che “ Successivamente al 15 aprile 2020 e fino al 31 luglio 2020, in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo, tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell'articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso”, e che “Il giudice delibera in camera di consiglio, se necessario avvalendosi di collegamenti da remoto. Il luogo da cui si collegano i magistrati e il personale addetto è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge ”;

Visto l’art. 4 del d.-l. 30 aprile 2020, n. 28 ( Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19 ), convertito dalla l. 25 giugno 2020, n. 70, che dispone al comma 1, tra altro, che “ A decorrere dal 30 maggio e fino al 31 luglio 2020 può essere chiesta discussione orale con istanza depositata entro il termine per il deposito delle memorie di replica ovvero, per gli affari cautelari, fino a cinque giorni liberi prima dell’udienza in qualunque rito, mediante collegamento da remoto con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori all’udienza, assicurando in ogni caso la sicurezza e la funzionalità del sistema informatico della giustizia amministrativa e dei relativi apparati e comunque nei limiti delle risorse attualmente assegnate ai singoli uffici […] In alternativa alla discussione possono essere depositate note di udienza fino alle ore 12 del giorno antecedente a quello dell’udienza stessa o richiesta di passaggio in decisione e il difensore che deposita tali note o tale richiesta è considerato presente a ogni effetto in udienza […]”;

Relatore nell’udienza del 2 luglio 2020 il Cons. A B e uditi per le parti, ai sensi dell’art. 4 del d.-l. n. 28 del 2020, convertito dalla l. n. 70 del 2020, l’avvocato A L e l’avvocato dello Stato C P;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Con delibera n. 207/2018 l’Autorità Nazionale Anticorruzione - ANAC accertava la violazione dell’art. 53, comma 16- ter del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche , in relazione all’assunzione del dottor L M, già Presidente dell’Autorità Portuale di Genova nel periodo novembre 2012-novembre 2015, dell’incarico di direttore dei rapporti istituzionali per l’Italia della MSC Cruises s.a. a decorrere dal 3 gennaio 2017.

La norma in parola, recante la c.d. “incompatibilità successiva”, o il c.d. “divieto di pantouflage ”, recita: “ I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti ”.

MSC Cruises e il dottor Merlo impugnavano la delibera con autonomi ricorsi proposti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.

L’adito Tribunale, nella resistenza dell’Autorità, con sentenza della Sezione prima n. 11494/2018, riuniva i ricorsi e li accoglieva, ritenendo fondata la censura, formulata da entrambe le parti ricorrenti, di assoluta carenza di potere dell’Autorità, perché priva di un potere di intervento diretto nell’ambito del regime del “ pantouflage ”. Concludeva pertanto per la nullità del provvedimento, compensando tra le parti le spese del giudizio.

L’Autorità appellava la predetta sentenza.

Con sentenza n. 7411/2019 questa Sezione del Consiglio di Stato, nella resistenza di MSC Cruises e del dottor Merlo, accoglieva l’appello e riformava la sentenza impugnata, respingendo entrambi i ricorsi proposti in primo grado;
condannava le parti resistenti alle spese di lite del doppio grado di giudizio.

La decisione, in estrema sintesi:

a) ha disatteso le questioni preliminari sollevate da MSC Cruises;

b) ha ritenuto fondata la tesi spesa dall’Autorità appellante secondo cui la medesima Autorità, anche in difetto di una espressa previsione, è competente a garantire il controllo e l’accertamento sulle ipotesi di inconferibilità e incompatibilità previste dall’art. 53, comma 16- ter , del d.lgs. n. 165 del 200, e a provvedere all’esecuzione delle previste conseguenze sanzionatorie, rilevando al riguardo il richiamo operato alla norma dall’art. 21 del d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (che così dispone: “ Ai soli fini dell'applicazione dei divieti di cui al comma 16-ter dell’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. Tali divieti si applicano a far data dalla cessazione dell'incarico ”), nonché il generale potere di vigilanza in materia di inconferibilità e incompatibilità attribuito all’Autorità dall’art. 16 dello stesso d.lgs. n. 39 del 2013;

c) ha osservato che il regime di cui all’art. 53, comma 16- ter , del d.lgs. n. 165 del 2001 è volto a prevenire il rischio che coloro che, alle dipendenze di un’amministrazione, ove esercitino “poteri autoritativi o negoziali”, possano avvantaggiarsi della propria posizione per precostituirsi un vantaggio futuro per ottenere un incarico professionale dal soggetto privato destinatario dell’attività della medesima amministrazione datrice di lavoro, ovvero in particolare a evitare che determinate posizioni lavorative, subordinate o autonome, possano essere anche solo astrattamente fonti di possibili fenomeni corruttivi (o, più in generale, di traffici di influenze e conflitti di interessi, anche a effetti differiti), e ciò mediante la limitazione per un tempo ragionevole, secondo la scelta insindacabile del legislatore, dell’autonomia negoziale del lavoratore dopo la cessazione del rapporto di lavoro, e in vista di una finalità posta a tutela dell’interesse pubblico generale che non si profila né illogica né irragionevole;

d) ricostruito come sopra il contenuto e la ratio del divieto in esame, ha osservato che non vi è ragione per escluderne l’applicabilità alle Autorità portuali, in quanto queste, ai sensi della l. 28 gennaio 1984, n. 94, svolgono funzioni di regolazione e di controllo di un’attività finalizzata all’erogazione di servizi, e pertanto costituiscono non enti pubblici economici, bensì enti pubblici non economici, da ricomprendersi nel novero delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001;

e) rilevato come le predette argomentazioni conducessero all’accoglimento dell’appello, ha esaminato gli ulteriori motivi di censura sollevati in primo grado dagli originari ricorrenti, non esaminati dalla sentenza appellata perché assorbiti, pervenendo alla loro reiezione.

Con il ricorso all’odierno esame MSC Cruises ha domandato la revocazione della detta sentenza della Sezione n. 7411/2019, ex artt. 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4, Cod. proc. civ., sostenendo che la stessa presenterebbe quattro errori revocatori, in quanto “ ha ignorato ben tre motivi (ma in realtà, molti di più se si considera le autonome censure di cui al motivo VI, sub lettere a, b, c e d) proposti al TAR, da questo assorbiti, e ritualmente riproposti in appello (si tratta dei §§ VI VII VIII del ricorso) e, ulteriormente, nel paragrafo §8.4., dedicato a stabilire, con esito positivo, se l’Anac avesse o meno il potere di irrogare le sanzioni previste dalla legge una volta che le prescrizioni di quest’ultima siano state accertate come violate, si è pronunziata “ su una domanda non proposta da nessuna delle parti e che, comunque, non si rinviene negli atti ”, da cui la svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, che ha comportato sia una “ omissione di pronuncia ” che una estensione della “ decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo ”.

In dettaglio, MSC Cruises ha dedotto, ai fini rescindenti: 1) Omessa pronuncia in relazione ai motivi di ricorso VI-VIII riproposti in appello con memoria ex art. 101, comma 2, Cod, proc. amm.;
2) Ultra petizione in relazione all’esistenza del potere sanzionatorio dell’Anac (§8.4 della sentenza). Ai fini rescissori, ha riprodotto i motivi ricaduti nella asserita svista e i connessi rilievi difensivi. Ha concluso per l’annullamento della deliberazione impugnata in primo grado, previa eventuale disapplicazione delle disposizioni nazionali in contrasto con l’ordinamento eurounitario e rimessione delle dedotte questioni alla Corte Costituzionale, e per la revoca e lo stralcio dell’intero §8.4 della sentenza, formulando anche “ domanda di accertamento in ordine all’inesistenza, nella delibera, di un esercizio di potere sanzionatorio, e, a fortiori, dell’attribuzione, per via giurisdizionale, di concreto effetto sanzionatorio alla stessa (sub specie di ipotesi di interdittiva a contrarre con l’AP e/o nullità dei relativi contratti) ”.

L’Autorità si è costituita in resistenza, concludendo per la reiezione del ricorso, di cui ha illustrato l’infondatezza.

Nel prosieguo, le parti hanno affidato a memorie e a documenti lo sviluppo delle rispettive tesi difensive e la confutazione di quelle avverse.

Merita di essere segnalato che nelle dette memorie la parte ricorrente ha rappresentato, tra altro, che: avverso la sentenza qui impugnata per revocazione pendono ricorso per cassazione e giudizi per opposizione di terzo;
l’Autorità ha avviato nei confronti della società, successivamente alla sentenza stessa, un procedimento sanzionatorio a carattere interdittivo, incidente sulla capacità della società di stipulare contratti con le pubbliche amministrazioni per un periodo di tre anni, ai sensi dell’art. 53, comma 16- ter , del d.lgs. n. 165 del 2001.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 2 luglio 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del d.-l. n. 18 del 2020, convertito dalla legge n. 27 del 2020, e dell’art. 4, comma 1, del d.-l. n. 28 del 2020, convertito dalla l. n. 70 del 2020, meglio indicati in epigrafe.

DIRITTO

1. Viene in esame il ricorso per revocazione proposto da MSC Cruises s.a., ex artt. 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4, Cod. proc. civ., avverso la sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato n. 7411/2019, che ha riformato la sentenza della Sezione prima del Tar Lazio n. 11494/2018 di accoglimento dei ricorsi riuniti proposti dalla società e dal dottor L M avverso la delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione di cui in fatto, disponendo, per l’effetto, la reiezione dei ricorsi stessi.

2. In via preliminare, osserva il Collegio che l’invocata fattispecie revocatoria costituisce il peculiare rimedio previsto dal legislatore per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, a causa di “svista” o “abbaglio dei sensi” (Cons. Stato, IV, 8 maggio 2020, n. 2898;
V 29 ottobre 2014, n. 5347).

Esso ha indi natura straordinaria e, per consolidata giurisprudenza ( ex multis , Cons. Stato, V, 25 febbraio 2019, n. 1254;
5 maggio 2016, n. 1824), l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4 Cod. proc. civ., deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431).

Inoltre, l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006).

Ancora, l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura e alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento. Insomma, l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali;
ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n. 1640).

Così si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4) Cod. proc. civ. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o a eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, III, 24 maggio 2012, n. 3053);
ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita.

In tutti questi casi non è possibile censurare la decisione tramite il rimedio - di per sé eccezionale - della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento ( ex multis , Cons. Stato, IV, 8 marzo 2017, n. 1088;
V, 11 dicembre 2015, n. 5657;
IV, 26 agosto 2015, n. 3993;
III, 8 ottobre 2012, n. 5212;
IV, 28 ottobre 2013, n. 5187).

Peraltro, affinché possa ritenersi sussistente l’errore di fatto revocatorio nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura e alla percezione degli atti, è necessario che “ nella pronuncia impugnata si affermi espressamente che una certa domanda o eccezione o vizio - motivo non sia stato proposto o al contrario sia stato proposto ” (Cons. Stato, V, 4 gennaio 2017, n. 8);
inoltre, ricorre l’errore revocatorio in ipotesi di mancata pronuncia su di una censura sollevata dal ricorrente “ purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima;
si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame o di valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione, non censurabile in sede di revocazione
” (Cons. Stato, VI, 22 agosto 2017, n. 4055).

3. Ciò posto, il ricorso si rivela inammissibile.

3. Con il primo motivo la società denunzia l’errore consistente nell’omessa pronunzia sui suoi motivi di ricorso da VI a VIII, che la riformata sentenza di primo grado aveva assorbito e che la società ha riproposto in sede di appello con memoria ex art. 101, comma 2, Cod. proc. amm..

La lamentata omissione – laddove sussistente – non è rimediabile con la proposta revocazione, non trattandosi di svista materiale sugli elementi della causa, bensì, al più, di difetto di motivazione.

3.1. La sentenza in esame ha specificamente riportato (in fatto) tutti i motivi di censura in parola, provvedendo non solo all’esposizione dei loro titoli ma anche a una sintetica descrizione del contenuto delle relative doglianze.

Non si versa, pertanto, in una ipotesi di errore revocatorio: questo è configurabile, nell’ipotesi di omessa pronuncia su una censura, solo quando risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura stessa;
si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame e di valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione (Cons. Stato, V, 12 maggio 2017, n. 2229;
5 aprile 2016, n. 1331;
22 gennaio 2015, n. 264;
IV, 1° settembre 2015, n. 4099).

Ancora più precisamente, per la giurisprudenza, laddove una sentenza menzioni nella parte descrittiva in fatto un motivo di doglianza, pur se ometta di pronunciarsi espressamente su di esso nella parte motiva, ciò non configura un vizio di omessa pronuncia, dovendosi considerare la pronuncia sul punto implicita nella statuizione complessiva della sentenza (Cons. Stato, III, 20 marzo 2020, n. 1978;
V, 19 ottobre 2017, n. 4842).

Ulteriormente, è stato chiarito che l’errore revocatorio di cui al n. 4 dell’art. 395 Cod. proc. amm. che legittima la revocazione della sentenza impugnata per omesso esame di un motivo di ricorso sussiste non già per il solo fatto che dalla motivazione della sentenza risulti non esaminato un motivo pur presente, naturalmente senza l’enunciazione di alcunché che possa giustificare in iure tale mancato esame, bensì allorquando la sentenza riveli che l’omesso esame del motivo è stato frutto di un’erronea convinzione circa l’inesistenza del motivo stesso, che invece era incontestabilmente presente nel ricorso, al contrario di quanto supposto dal giudice: ammettendo, infatti, la revocazione anche nel primo caso, si censurerebbe una mera dimenticanza e dunque la violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ. per error in procedendo ovvero in iudicando , e non la falsa supposizione dell’inesistenza di un fatto processuale invece esistente (così Cons. Stato, VI, 6 febbraio 2020, n. 947, che richiama Cass. civ., VI, ordinanza 6 marzo 2019, n. 6455 e sentenza 6 giugno 2016, n. 11530).

3.2. Non conducono a diversa conclusione alcune ulteriori osservazioni formulate dalla società.

In particolare:

- non rileva che uno dei motivi di cui si lamenta la mancata valutazione (VI) contenesse censure “distinte e autonome” che, vieppiù, erano state fatte oggetto di precisazione in sede di memoria. Vale al riguardo il principio secondo cui il vizio revocatorio non può mai riguardare il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono “fatti” ai sensi dell’art. 395, n. 4, Cod. proc. civ. e perché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa e interpretativa del giudice (Cons. Stato, IV, 24 giugno 2020, n. 4027;
13 febbraio 2020, n. 1157;
Cass., 22 marzo 2005, n. 6198);
ulteriormente, non costituisce motivo di revocazione per errore di fatto la circostanza che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni proposte a sostegno delle censure (Cons. Stato, Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 21);

- l’ammissione della contestazione avanzata in questa sede in relazione al motivo VIII, inerente la violazione del principio di territorialità delle sanzioni amministrative, a fronte di quanto statuito dalla sentenza impugnata nel secondo periodo dell’ultima pagina, in cui l’argomento è trattato, refluirebbe nella trasformazione del mezzo revocatorio in un terzo grado di giudizio, che, come visto, non è contemplato nell’ordinamento del processo amministrativo.

4. Con il secondo mezzo la società ricorrente ventila l’errore revocatorio costituito dal fatto che la sentenza impugnata si è pronunziata su una domanda (il potere sanzionatorio dell’Autorità, susseguente al potere di accertamento della violazione) non proposta da alcuna delle parti e che non si rinviene negli atti del giudizio.

Anche tale censura si rivela preordinata a una nuova valutazione di merito della sottostante questione, ed esula pertanto dalla fase rescindente del giudizio di revocazione.

4.1. Dalla lettura della decisione qui impugnata emerge che la stessa è frutto di una complessiva valutazione della vicenda controversa. Essa, come detto in fatto, ha riguardato la legittimità della delibera n. 207/2018 con cui l’Autorità, in relazione all’assunzione da parte del dottor L M, già Presidente dell’Autorità Portuale di Genova nel periodo novembre 2012-novembre 2015, dell’incarico di direttore dei rapporti istituzionali per l’Italia della MSC Cruises s.a. a decorrere dal 3 gennaio 2017, ha accertato la violazione dell’art. 53, comma 16- ter ( c.d. “incompatibilità successiva”, o “divieto di pantouflage”), del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche .

In tale valutazione, il Collegio decidente ha bene percepito la questione sulla quale era stato chiamato a decidere.

In particolare, nella parte qui in rilievo, costituita dal capo 8.4., la sentenza impugnata non ha fatto altro che chiarire la portata generale della norma di riferimento della fattispecie, nei limiti del solco tracciato prima dal provvedimento impugnato e poi dall’appello dell’Autorità, che era volto alla dimostrazione della sua legittimità.

Più in dettaglio, il provvedimento in parola precisava che “ l’ANAC ha uno specifico potere di controllo e di accertamento sulle ipotesi di inconferibilità ed incompatibilità disciplinate dal d.lgs. 39/2013 ed, in generale, sulla corretta applicazione della suddetta normativa. In particolare, come già evidenziato in premessa, l’art. 16, comma 1 del d.lgs. 39/2013 individua nell’ANAC l’Autorità competente a vigilare ‘sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al presente decreto, anche con l’esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi’. Recentemente il suddetto potere è stato oggetto di una sentenza del Consiglio di Stato, il quale ne ha escluso la natura meramente ricognitiva, affermandone il carattere costitutivo-provvedimentale. Più precisamente, il potere di accertamento attribuito all’ANAC dall’art. 16, co. 1, d.lgs. 39/2013 si sostanzia in un provvedimento di accertamento costitutivo di effetti giuridici e come tale impugnabile davanti al giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato n. 126/2018, sopra già citata). La norma di cui l’art. 53, co. 16 ter del d.lgs. 165/2001 disciplina una fattispecie di ‘incompatibilità successiva’, espressamente richiamata nel testo del d.lgs. n.39/2013, al fine di estenderne, come già ampiamente argomentato, l’ambito di applicazione. Tuttavia, la suddetta disposizione - ferme restando le competenze di vigilanza ed accertamento dell’ANAC sulla corretta applicazione del testo normativo del d.lgs. n. 39/2013 - non ha individuato l’autorità competente a garantire l’esecuzione delle conseguenze sanzionatorie previste della norma stessa, una volta accertata l’effettiva violazione ”.

A sua volta, l’Autorità nell’atto di appello (pag. 24) deduceva, tra l’altro, che “ Ne discende che l’affermazione del TAR, mutuata dai rilievi di parte ricorrente, di un potere di ANAC qualificato alla stregua di ‘un meccanismo diffuso, in cui l’ANAC è coinvolta ex ante, con pareri facoltativi ed ex post, con attività di ispezione e vigilanza …’, non pare corretto, e pertanto se ne chiede la riforma. L’esercizio del potere di accertamento dell’ANAC, in forza del rispetto delle norme del decreto 39/2013 si pone, lo si ribadisce, come garanzia della corretta applicazione della disciplina sull’inconferibilità degli incarichi da parte dei vari soggetti coinvolti, non potendo l’intero impian-to sistematico consentire che rimangano inapplicate norma a presidio di così rilevanti interessi pubblici;
che incarichi nulli mantengano la loro validità;
che i soggetti che li hanno attribuiti non vengano sanzionati
”: l’Autorità ha indi espressamente posto al giudice il tema della sanzionabilità delle condotte accertate come contra-legem .

Il capo 8.4. della sentenza di appello in esame, nel rilevare, per le articolate ragioni ivi esposte (che non mette conto qui riportare, attenendo esse al merito della decisione), che “ l’art. 13 del d.lgs. n. 39 del 2013 sancisce una specifica, ancorché non testuale, attribuzione di competenza in favore dell’ANAC anche in ordine all’accertamento della nullità dei contratti di cui si tratta (in quanto naturale e coerente predicato dell’attribuzione della competenza ad accertare le violazioni del sistema) ”, è del tutto coerente con il contesto emergente dal provvedimento impugnato e dall’atto di appello.

In altri termini, la sentenza in esame non ha fatto altro che interpretare il quadro normativo di riferimento della controversia e declinare i poteri dell’Autorità anche quanto al profilo delle conseguenze dell’accertamento, su cui era stata espressamente sollecitata.

La prospettazione della società che la sentenza non avrebbe potuto pronunziare sul punto in quanto non esisteva una domanda in tal senso non trova quindi conforto negli atti della causa, mentre il fatto – pure evidenziato dalla società – che il provvedimento oggetto di impugnazione ha dato atto che l’art. 53, comma 16- ter del d.lgs. 165/2001 non ha individuato espressamente l’autorità competente a garantire l’esecuzione delle conseguenze sanzionatorie, alla luce del puntuale contenuto dell’atto di appello sopra evidenziato, rafforza, più che sconfessare, la stretta aderenza del capo della decisione alla fattispecie controversa.

5. Per tutto quanto precede, assorbite le censure dedotte in sede rescissoria, il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile.

Tuttavia il Collegio, stante la peculiarità della controversia, ravvisa la sussistenza dei giusti motivi che consentono di disporre la compensazione delle spese del giudizio.

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