Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-01-05, n. 202300185

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-01-05, n. 202300185
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202300185
Data del deposito : 5 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/01/2023

N. 00185/2023REG.PROV.COLL.

N. 07710/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7710 del 2016, proposto da
Comune di Arzano, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G A, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F M in Roma, via G.G. Belli, n. 39;

contro

A L, rappresentato e difeso dall'avvocato O A, con domicilio eletto presso lo studio legale Traisci-Titomanlio in Roma, via Nicolò Porpora, n. 12;
R V, rappresentato e difeso dall'avvocato G A, domiciliato presso la segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania n. 2204/2016.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di A L e di R V;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2022 il Cons. Giordano Lamberti e udito l’avvocato Giuseppe Romano, in sostituzione dell'avvocato O A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 – Parte appellata ha impugnato avanti il TAR per la Campania il provvedimento n. 19684 del 15/9/2015, con il quale il Comune appellante ha annullato in autotutela il permesso di costruire n. 6/2011, con cui era stato autorizzato un mutamento di destinazione d’uso da deposito a locale comune, con realizzazione di servizio igienico, controsoffittature, impianto elettrico e idraulico, chiusura vani di accesso, sistemazione dell’intonaco interno ed esterno e tinteggiatura interna ed esterna.

1.1 – Il provvedimento impugnato si fonda sulle seguenti ragioni: a) per l’area in cui ricade l’immobile lo strumento urbanistico attualmente prevede una differente destinazione;
b) l’intervento realizzato avrebbe determinato un pesante aggravio urbanistico;
c) originariamente il Comune aveva assentito, con permesso di costruire n. 19 del 19 maggio 2010, non un locale deposito, bensì una tettoia, la quale è un tipo di manufatto non convertibile in un locale commerciale;
d) l’intervento era stato realizzato in assenza di un piano attuativo, che è invece requisito obbligatorio.

1.2 – Con il medesimo ricorso sono stati altresì impugnati il provvedimento n. 21480 del 30/9/2015 di declaratoria di improcedibilità della SCIA del 4/11/2014, finalizzata all’apertura di un lounge bar nell’immobile, e l’ordinanza di demolizione n. 19 del 28/9/2015.

2 – Con il ricorso avverso tali provvedimenti i ricorrenti in primo grado hanno dedotto la violazione degli artt. 7 e 21- nonies della Legge n. 241/1990, dell’art. 9 del DPR n. 380/2001, dell’art. 24 NTA, nonché il difetto di istruttoria.

3 – Il TAR adito, con la sentenza indicata in epigrafe, premesso che “ il potere di autotutela decisoria in capo all'Amministrazione non ha in verità come unica finalità il mero ripristino della legalità, costituendo una potestà discrezionale che deve contemplare la verifica di determinate condizioni, previste dall'ordinamento e concernenti l'opportunità di correggere l'azione amministrativa svoltasi illegittimamente ”, ha accolto il ricorso in ragione dell’illogicità dell’istruttoria espletata (“ ai fini dell’accoglimento secondo il Collegio rileva in maniera assorbente l’illogicità dell’istruttoria espletata dall’Amministrazione ”), rilevando inoltre:

- il decorso di un termine ragionevole per intervenire in autotutela;

- che il permesso di costruire n. 19 del 19 maggio 2010, a dispetto di quanto risultava dalla sua stessa epigrafe, aveva assentito un manufatto chiuso su tutti e quattro i lati, e non una tettoia aperta su tre lati.

4 – Avverso tale pronuncia ha proposto appello il Comune di Arzano.

In disparte i potenziali profili di inammissibilità delle censure contenute nell’atto di appello ai sensi dell’art. 40, comma 1, lett. d), del c.p.a. (norma applicabile anche al ricorso in appello in virtù dell’art. 38 c.p.a.) - in quanto esposte, almeno in parte, in un ordine non coerente e che limita la possibilità di delineare compiutamente la materia del contendere ( cfr . Cons. St. 4016/2010) - per quel che è dato comprendere, nonostante tale criticità, il Comune appellante ha sostanzialmente dedotto che:

- l’attività provvedimentale è stata posta in essere per curare una specifica esigenza di ripristino della legalità, tenuto conto che con il D.P.R. del 29 aprile 2015 è stato disposto lo scioglimento degli organi elettivi del Comune di Arzano, anche in ragione alla necessità di ripristino della legalità nei settori dell’urbanistica e del SUAP;

- tale esigenza sarebbe prevalente rispetto alla necessità di rispettare il termine previsto dall’art. 21- nonies della Legge n. 241/1990;

- il TAR ha omesso di motivare sulla possibilità di creare una struttura di “ lounge bar-pasticceria-ristorante-pizzeria-disco pub in una zona omogenea per attrezzature tecniche e tecnologiche, servizi a servizio delle industrie, e senza la previa approvazione di un progetto urbanistico di dettaglio. Invero, l’intervento in oggetto risulta realizzato su un immobile ricadente in una zona dove qualsiasi intervento doveva essere attuato mediante la presentazione di un progetto edilizio subordinato alla preventiva approvazione di un progetto urbanistico di dettaglio (Piano Urbanistico Attuativo ai sensi di quanto disciplinato dalla L. R. 16/2004) e non mediante l’approvazione di un intervento edilizio diretto.

5 – L’appello è infondato.

La sentenza impugnata ha accolto il ricorso in ragione della ravvisata illogicità dell’istruttoria espletata (“ ai fini dell’accoglimento secondo il Collegio rileva in maniera assorbente l’illogicità dell’istruttoria espletata dall’Amministrazione ”).

Tale dato priva di ogni rilevanza processuale le censure con le quali si suppone che il Giudice di primo grado abbia fondato la decisione solo in ragione del superamento del termine di 18 mesi previsto dalla vigente formulazione dell’art. 21- nonies della l. 241/90.

5.1 – Deve inoltre osservarsi che la circostanza per cui il Comune era stato sciolto con il D.P.R. del 29 aprile 2015 non appare suscettibile di essere considerata nel presente giudizio, né comparata con la regola che prevede un termine per intervenire in autotutela, dal momento che il provvedimento impugnato la trascura completamente, non specificando neppure il contesto nel quale versava l’ente nel momento in cui è stato adottato il provvedimento;
né durante il giudizio di primo grado il Comune ha dedotto tale aspetto, integrando la predetta deduzione, solo nel presente giudizio di appello, un’inammissibile integrazione postuma della motivazione, dovendo il giudice vagliare la legittimità del provvedimento unicamente alla stregua delle motivazioni in questo riportate, senza poter considerare eventuali ragioni ulteriori che emergano nel corso del giudizio ( cfr. Consiglio di Stato, IV, 17 giugno 2020, n. 3896).

5.2 – In ogni caso, in riferimento alla tempistica di adozione del provvedimento, il richiamo del TAR al termine entro il quale è necessario intervenire in autotutela - che, come anticipato, non appare comunque assumere un valore decisivo nell’economia complessiva della motivazione della sentenza impugnata - non appare di per sé censurabile.

Al riguardo, deve osservarsi come nella specie siano passati quattro anni e mezzo tra il provvedimento di primo e quello di secondo grado, durante i quali parte ricorrente ha affermato di aver compiuto cospicui investimenti (dell’ordine di euro 300.000) in riferimento all’immobile.

Questo Consiglio ha affermato che “ con riferimento all'annullamento di provvedimenti di primo grado adottati prima della modifica normativa che ha introdotto il termine di 18 mesi per l'esercizio del potere di autotutela, è fatta comunque salva l'operatività del “termine ragionevole” già previsto dall'originaria versione dell' articolo 21-nonies della l. n. 241/1990, aggiungendo che — per quanto i diciotto mesi non possano considerarsi ancora decorsi — è anche vero che la novella non può non valere come prezioso indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell'osservanza della regola di condotta in questione ” (Consiglio di Stato, sez. VI, 08/05/2019, n. 2974). Infatti, già prima della cd. riforma Madia, l’art. 21 nonies della l. 7 agosto 1990 n. 241 tutelava l’affidamento del privato anche in ragione del tempo trascorso dall’originario provvedimento assoggettato all’intervento in autotutela (Consiglio di Stato, sez. V, 13/03/2014, n. 1265: “ Ai sensi dell'art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990 n. 241 l'annullamento in autotutela presuppone, oltre all'illegittimità dell'atto, valide ed esplicite ragioni di interesse pubblico ed il provvedimento deve intervenire entro un termine ragionevole e previa valutazione degli interessi dei destinatari dell'atto da rimuovere;
l'autotutela non può essere finalizzata al mero ripristino della legalità violata, dovendo essere il risultato di un'attività istruttoria adeguata che dia conto della valutazione dell'interesse pubblico e di quello del privato, tanto più ove intervenga dopo un considerevole lasso di tempo e si sia consolidato l'affidamento del privato
”).

5.3 – Per le ragioni esposte risulta irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21- nonies della L. 241/90 nella parte in cui, prevede che “ il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici ”.

Secondo l’appellante tale norma si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali che sovrintendono l’esercizio del potere di scioglimento degli organi elettivi dell’Ente locale, ai sensi dell’art. 143 TUEL, e della gestione straordinaria ex art. 145, quarto comma, TUEL.

Come già evidenziato, le supposte esigenze di ripristino della legalità connesse all’intervenuto scioglimento degli organi comunali non sono state poste a fondamento del provvedimento impugnato, la cui motivazione non reca alcun riferimento al riguardo, né riferisce di supposte condotte dolose o penalmente rilevanti dei soggetti interessati, da cui l’irrilevanza della questione posta dall’appellante.

6 – Oltre alla rilevata mancata ponderazione dell’interesse del proprietario, la sentenza di primo grado si fonda inoltre sull’illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, il quale non considera che il permesso di costruire n. 6/2011 “ aveva assentito il progetto con relazione tecnica ed elaborati del geom. Zinno Vincenzo nella parte in cui si aveva riguardo al cambio di destinazione d’uso con opere da locale deposito ad attività commerciale in ordine a struttura di 6 vani di circa mq. 395,36 con struttura portante e pilastri ancorati a fondazione in c.a. e muratura perimetrale con funzioni da tompagnatura ”.

In altri termini, la modifica di destinazione d’uso sarebbe intervenuta su un manufatto già esistente (chiuso su tutti e quattro i lati), e non su una tettoia aperta su tre lati, come prospettato nel provvedimento impugnato.

6.1 – Tale circostanza non è oggetto di una specifica censura da parte del Comune, che con l’appello non critica il merito di tale affermazione, limitandosi ad eccepire che la relazione del geometra Zinno sarebbe una mera relazione di parte che non potrebbe costituire fonte di prova.

Al riguardo, deve tuttavia osservarsi che la relazione del geometra Zinno non è stata prodotta da parte ricorrente a sostegno delle proprie argomentazioni difensive, trattandosi invece della relazione di accompagnamento all’istanza volta ad ottenere la sanatoria del locale deposito e, dunque, parte integrante del permesso di costruire in sanatoria n. 19 del 19 maggio 2010.

Per tale ragione, appaiono condivisibili le valutazioni del TAR, dovendosi ritenere che l’intervento in autotutela doveva essere preceduto da un’adeguata valutazione dell’effettiva situazione dei luoghi e dei titoli posti a legittimazione dell’immobile, sussistendo un’evidente contrasto con quanto affermato nel provvedimento impugnato, secondo cui il Comune aveva assentito, con permesso di costruire n. 19 del 19 maggio 2010, non un locale deposito, bensì una tettoia, e la documentazione posta a corredo della relativa domanda a suo tempo presentata dall’interessato.

7 – Le considerazioni che precedono confermano il difetto istruttorio già accertato dal TAR, il quale incide necessariamente sulle ulteriori questioni circa la conformità (o meno) del titolo annullato alla disciplina edilizia dell’area, essendo evidentemente ben diversa la valutazione di conformità di un manufatto preesistente, di cui è stato mutata la destinazione d’uso, rispetto alla trasformazione di una mera tettoia aperta in un locale commerciale.

7.1 – Infatti, anche il rilievo con il quale il Comune lamenta che il TAR non avrebbe tenuto conto che le norme tecniche attuative, nella zona in cui ricade la proprietà di parte appellante, subordinavano la realizzazione di ogni intervento alla preventiva approvazione di un piano attuativo, che nella specie invece mancava, non appare convincente, una volta accertato che l’intervento contestato consiste nel solo mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato che, per quanto innanzi esposto, potrebbe ritenersi già esistente ed autorizzato, indipendentemente dalla sussistenza del piano attuativo.

7.2 – Quanto al rilievo per cui il TAR avrebbe dovuto valutare l’aggravio urbanistico non alla stregua degli standards minimi, bensì di quelli previsti dall’art. 5, comma 2, del d.m. 1444/1968, parte appellata ha chiarito (e parte appellante nulla ha controdedotto) che il relativo passaggio motivazionale del TAR richiama i dati riportati nella perizia depositata in giudizio finalizzata proprio a dimostrare che l’intervento era rispettoso degli standards di cui all’art. 5, comma 2, del dm 1444/968 .

8 - Deve precisarsi che l’esito del presente giudizio non esclude la possibilità per l’amministrazione di rideterminarsi, colmando le lacune motivazionali ed istruttorie che caratterizzano il provvedimento impugnato nel presente giudizio, tenuto anche conto delle successive vicende che hanno interessato il medesimo manufatto ( cfr . la sentenza del TAR per la Campania n. 1881/2022).

9 – Per le ragioni esposte l’appello va respinto.

Le spese di lite, ad una valutazione complessiva della vicenda, possono essere compensate.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi