Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-04-09, n. 202403256
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 09/04/2024
N. 03256/2024REG.PROV.COLL.
N. 04304/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4304 del 2019, proposto da
-OMISSIS-S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati P V G, N M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato N M in Roma, piazza dell'Orologio n. 7;
contro
Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A I, N O, Nicolo' Paoletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Nicolo' Paoletti in Roma, via Barnaba Tortolini n.34;
Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. 00980/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Venezia e di Regione Veneto;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 gennaio 2024 il Cons. Roberta Ravasio e uditi per le parti gli avvocati ;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’appellante società nel 1994 acquistava il compendio immobiliare sito nel centro storico di Venezia Mestre, censito in catasto al NCEU fg. 14 mapp. 1241/2, 228, 734, 565/1, 564/2, 564/3, 1241/1 e al CT mapp. 564, 565, 566 e 728, sul quale esisteva una costruzione di circa 15.000 mc con destinazione commerciale.
2. Con delibere di Consiglio Comunale n. 445/1991 e n. 133/1992 veniva adottata una “variante di dettaglio” allo strumento urbanistico approvato nel 1962, circoscritta al centro storico di Mestre;la variante prevedeva la possibilità di recuperare tutta la volumetria esistente, ma esigeva la preventiva presentazione di un piano di recupero estesa all’area dell’intero comparto edificatorio, nel cui ambito il compendio immobiliare si situava.
3. In sede di esame delle osservazioni alla variante adottata, il Consiglio Comunale accoglieva una osservazione (la n. 42) relativa alla edificabilità per sub-comparti, nonché l’osservazione di un terzo (la n. 58), estraneo alla proprietà, che limitava l’edificabilità a 10.000 mc. Seguivano i conformi pareri della Commissione Tecnica Regionale, della Commissione di salvaguardia della Città di Venezia, nonché l’approvazione regionale, con D.G.R. n. 2572 del 15 luglio 1997.
4. Va precisato che sin dal 30 novembre 1992 la precedente proprietà – peraltro dopo aver già stipulato un preliminare di vendita alla -OMISSIS-s.r.l. - presentava un progetto di ristrutturazione edilizia, che però veniva respinto con provvedimento del 7 dicembre 1994, sul presupposto della necessità della preventiva approvazione di un piano attuativo: a tale proposito il firmatario dell’atto richiamava anche la variante tecnica approvata D.G.R. n. 28/1993 nonché la variante al P.R.G. per la terraferma adottata con delibera di C.C. n. 60/1993, le quali richiedevano, entrambe, la preventiva approvazione di uno strumento attuativo.
4.1. Tale diniego veniva impugnato innanzi al Tribunale Amministravo Regionale, ma il gravame non veniva coltivato, e il giudizio era dichiarato perento con decreto n. 1335/2006.
4.2. Agli atti di causa risulta anche
5. Avverso la variante di cui sopra, approvata con D.G.R. n. 2572 del 15 luglio 1997, proponeva impugnazione la società appellante: con sentenza n. 1515/98 il TAR per il Veneto accoglieva e per l’effetto annullava gli atti impugnati “ nella parte in cui, in conseguenza della modifica apportata alla variante al P. R. G. per il "centro storico di Mestre", riducono da mc. 15.000 a mc. 10.000 la volumetria ammessa sugli immobili di proprietà della ricorrente, e riducono l'altezza a m. 9.5. Come ulteriore effetto, rivivono le prescrizioni risultanti dalla variante adottata, prima dell'accoglimento dell'osservazione C .”. Non risulta che detto pronunciamento sia stato impugnato.
5. Dopo tale pronuncia:
- nel 1999 la società presentava istanza di modifica delle previsioni del previgente PRG, in modo da poter edificare il comparto per stralci: il Comune non valutava positivamente tale istanza per mancanza di utilità aggiuntiva;
- nel 2001 la Società avviava una interlocuzione per addivenire alla approvazione di un programma integrato di interventi: il Comune si mostrava interessato, la società presentava un progetto, il Comune chiedeva integrazioni, ma la società poi non coltivava ulteriormente l’iniziativa;
- nel gennaio 2008 il Comune d’ufficio approvava una variante che suddivideva il comparto in 5 sub-comparti;
- nell’agosto 2008 l’appellante presentava un piano di recupero per un subcomparto: tale Piano è stato definitivamente approvato con delibera di Consiglio Comunale n. 32/2011: ciò nonostante la società non dava corso all’intervento;
- solo nel 2017 la Società presentava una proposta propedeutica alla formazione del Piano degli Interventi;
- nel corso del 2023 la società otteneva un permesso di costruire in deroga.
6. Con ricorso notificato il 25 gennaio 2002 la Società, rappresentando di aver sollecitato più volte il Comune, all’indomani del pronunciamento del TAR per il Veneto, a “ procedere all’adozione degli atti volti a consentire la effettiva realizzazione di quanto previsto dal PRG….operando uno stralcio dell’area interessata dal PdR……e comunque la necessità di procedere alla predisposizione a approvazione dello strumento urbanistico attuativo, onde consentire la demolizione e riedificazione nell’ambito considerato dal Piano ”, evocava in giudizio il Comune di Venezia e la Regione Veneto, per sentir condannare il Comune di Venezia a risarcire il danno patito dalla Società in relazione alla circostanza che non aveva potuto ancora procedure al recupero dell’area. In particolare la Società prospettava:
- un danno conseguente al diniego di concessione edilizie opposto con il provvedimento del 7 dicembre 1994, danno da correlarsi alla immobilizzazione del capitale erogato per l’acquisto dell’immobile, le spese di progettazione e il mancato utile: secondo l’appellante tale danno dovrebbe quantificarsi nel 10% del valore che l’immobile avrebbe acquisito se eseguiti i lavori negati, valore che secondo una perizia di parte era – al momento della notifica del ricorso- pari a €. 1.032.900,00;
- danno conseguente alla inerzia del Comune di Venezia nella approvazione del piano di recupero: secondo l’appellante spettava al Comune di Venezia la predisposizione a approvazione del piano di recupero, che avrebbe dovuto avvenire entro il termine quinquennale di cui all’art. 2 della L. n. 1187/68;oltre a ciò il Comune di Venezia ha anche respinto la domanda in tal senso presentata dalla Società, tra l’altro anche una domanda limitata alla realizzazione di una autorimessa sotterranea;l’Amministrazione, insomma, avrebbe in ogni modo impedito l’utilizzazione dell’area;anche tale danno dovrebbe correlarsi alla immobilizzazione del valore che il fabbricato avrebbe assunto dopo la ristrutturazione del fabbricato, dovendosi aggiungere le spese notarili e di registro, e quindi circa 139.000,00 euro l’anno, oltre alle spese di gestione della società e all’ICI;il tutto con decorrenza dalla approvazione dello strumento urbanistico che imponeva lo strumento attuativo (avvenuta con D.G.R. n. 28 del 12 gennaio 1993), oppure dal diniego del 7 dicembre 1994;
- in subordine la Società ha chiesto il risarcimento del danno correlato alla diminuzione della volumetria edificabile: anche tale danno dovrebbe correlarsi alla immobilizzazione del capitale secondo il rateo annuo già indicato, per tutto il periodo intercorso tra la introduzione della modifica in sede di controdeduzioni e l’annullamento della variante, per effetto della sentenza del TAR Venezia n. 1515/98;
- in conclusione l’appellante ha chiesto un risarcimento del danno pari al 10% del valore dell’immobile acquisito all’esito della ristrutturazione, quantificato in €. 142.9950,00 annui, o il valore maggior o minore ritenuto di giustizia, oltre alla rivalutazione monetaria a decorrere dal 1990 e agli interessi;in via subordinata ha chiesto la condanna del Comune e della Regione Veneto, al risarcimento per equivalente in ragione dell’importo sopra indicato, con rivalutazione e interessi dal 13 febbraio 1995 al 10 settembre 1998 e condanna del Comune di Venezia a risarcire il danno correlato alle spese per ICI e progettazione dell’intevrento;
- l’appellante ha chiesto l’ammissione di consulenza tecnica d’ufficio per la valutazione della proprietà attuale dell’immobile “anche ristrutturato”.
7. Nel corso del giudizio intervenivano gli accadimenti menzionati al paragrafo che precede.
8. Il TAR per il Veneto, con sentenza n. 980 del 23 ottobre 2018, lo ha respinto. A motivo della decisione ha rilevato che:
- il diniego di concessione edilizia opposto dal Comune di Venezia con provvedimento del 7 dicembre 1994 si era consolidato a seguito della perenzione del ricorso proposto avverso lo stesso;non poteva quindi ritenersi accertata l’illegittimità dell’atto impugnato, e correlativamente il contegno processuale tenuto dalla Società nell’occasione doveva apprezzarsi quale comportamento contrario alla diligenza che determinava la non risarcibilità del danno, che avrebbe potuto essere evitato;
- quanto al danno conseguente alla inerzia mantenuta dal Comune nella approvazione di un piano attuativo, il TAR, precisato che l’avvenuta approvazione, con la delibera di C.C. n. 32/2011, del piano di recupero non determinava automaticamente il venir meno dell’interesse alla domanda risarcitoria, per il periodo pregresso;tale danno, tuttavia, non era risarcibile, ancorquì a cagione della mancanza di iniziative della Società volte a reagire a tale inerzia, segnatamente mediante ricorso avverso il silenzio;
- circa il danno derivante dalla illegittimità della variante approvata con la DGR del 15 luglio 1997, poi annullata in sede giurisdizionale, il TAR ha ritenuto dirimente il fatto che “ dopo la sentenza del 1998 la potenzialità edilizia era stata interamente ripristinata;quella riduzione era però meramente potenziale per aver la stessa parte ricorrente provato di essere stata sin dal 1992 nell’assoluta impossibilità (giuridica e/o fattuale) di ottenere il titolo edilizio ”, precisando che, l’inerzia del Comune nella approvazione del piano di recupero, integrerebbe solo l’evento dannoso, che non può da solo essere fonte di danno, non ammettendosi nel nostro ordinamento “danni punitivi”;
- il TAR ha, infine, respinto la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio in ragione della infondatezza delle domande proposte dalla ricorrente.
8. Avverso tale pronuncia ha proposto appello la -OMISSIS-s.r.l.
9. Il Comune di Venezia e la Regione Veneto si sono costituiti in giudizio per resistere al gravame.
10. La causa è stata chiamata all’udienza straordinaria dell’10 gennaio 2024, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
11. I motivi d’appello articolati dalla -OMISSIS-possono riassumersi come segue:
(i) si contesta l’affermazione del TAR secondo cui la mancata presentazione della domanda di sospensione dell’esecutività avrebbe interrotto il nesso di causalità tra il provvedimento e l’evento dannoso, così come la mancata coltivazione del ricorso impedendone la perenzione avrebbe a sua volta rappresentato elemento causativo del danno reclamato.
Osserva l’appellante che all’epoca di proposizione del ricorso avverso il diniego del 7 dicembre 1994 le domande cautelari non trovavano, normalmente, accoglimento;quanto alla perenzione, essa avrebbe potuto essere evitata dal Comune stesso;in ogni caso, posto che l’annullamento del provvedimento non è richiesto, ai fini del risarcimento, quest’ultima poteva essere promossa nonostante l’estinzione del procedimento giurisdizionale avente ad oggetto l’annullamento del diniego del 7 dicembre 1994;soggiunge l’appellante che se il Comune avesse avuto interesse a far dichiarare l’illegittimità del provvedimento, avrebbe potuto evitare la perenzione del ricorso. Il TAR, insomma, non avrebbe fatto corretta applicazione dell’art. 1227 c.c.
(ii) si contesta il capo della sentenza che ha respinto la domanda risarcitoria connessa alla inerzia del Comune nell’approvare il piano attuativo di recupero, preliminare al rilascio della concessione edilizia.
Deduce l’appellante che lo strumento attuativo richiesto dallo strumento urbanistico era un piano di recupero ex art. 28 L. n. 457/78, di iniziativa pubblica: la parte, quindi, non avrebbe potuto sostituirsi al Comune nella predisposizione e approvazione del piano di recupero, che non poteva essere di iniziativa privata né essere sostituito da altra tipologia di piano attuativo;nel caso di specie l’attuazione dello strumento urbanistico era reso particolarmente difficoltoso dalla circostanza che i fondi compresi nel comparto erano molteplici, quindi diventava essenziale l’approvazione di un piano attuativo a carattere coattivo;significativa è la circostanza che solo nel 2011 il Comune ha finalmente approvato un piano di recupero, con la delibera di Consiglio Comunale n. 32/2011.
Secondo l’appellante, inoltre, il fatto che la Società non abbia efficacemente contrastato questa inerzia non potrebbe, di per sé, precludere il risarcimento: la mancata attivazione dell’azione prevista con l’inerzia del Comune, infatti, avrebbe potuto essere valutata, al limite, come concausa del danno ai sensi dell’art. 1227 c.c.
L’appellante invoca, inoltre, l’art. 2 bis della L. n. 241/90 per sostenere che il ritardo nel provvedere costituisce un bene della vita che va risarcito indipendentemente dalla spettanza del bene della vita.
Sostiene, ancora, che nella specie, non essendo previsti dei termini per l’Amministrazione, non avrebbe potuto essere attivato il rito del silenzio, tenendo presente che “all’epoca dei fatti e della introduzione del contenzioso non era codificato il principio secondo il quale all’interessato è
data la possibilità di ricorrere avverso il silenzio dell’Amministrazione, mentre il richiamo alla elaborazione giurisprudenziale in materia non può valere ad integrare un obbligo (o anche solo onere) in capo al creditore ai sensi dell’art. 1227 cc, più volte ricordato dal Giudice di primo grado.”.
(iii) la Società impugna, ancora, il capo della sentenza che ha respinto la domanda subordinata volta ad ottenere il risarcimento del danno derivato dalla riduzione della volumetria realizzabile, a seguito della approvazione della variante poi annullata, per il periodo di tempo in cui essa è rimasta in vigore.
Evidenzia l’appellante che la riduzione della volumetria, da 15.000 a 10.000 mc, determinata dalla approvazione di quella variante era così significativa da rendere antieconomico lo sviluppo di qualsiasi operazione, ragione per cui il solo fatto della intervenuta riduzione della capacità edificatoria avrebbe cagionato, per il periodo di tempo trascorso tra l’approvazione della variante e l’annullamento della stessa, un danno in termini di diminuzione del valore dell’investimento. Avrebbe pertanto errato, il primo giudice, a ritenere che la situazione non abbia costituito fonte di danno autonomo. Né si potrebbe seguire il ragionamento del primo giudice secondo cui la nessun danno autonomo era stato cagionato dalla variante illegittima, dal momento che in mancanza del piano di recupero nessun intervento avrebbe potuto essere autorizzato e realizzato: osserva l’appellante che “in tal modo si attribuisce alla predetta inerzia il valore e comunque l’effetto positivo di elidere la responsabilità dell’Amministrazione a fronte del danno derivante dal provvedimento da essa colpevolmente adottato.
(iv) infine, l’appellante ha riproposto la domanda di risarcimento, con rinvio ai documenti che dimostrerebbero l’entità del danno subìto.
12. I primi tre motivi d’appello possono essere esaminati congiuntamente e richiedono una premessa.
13. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio la -OMISSIS-s.r.l. ha proposto tre distinte domande risarcitorie, correlate a tre distinte condotte: la prima domanda è correlata alla illegittimità del diniego di concessione edilizia del 7 dicembre 1994, la seconda domanda è correlata alla diminuzione della volumetria deliberata con la variante, sino a che questa non è stata annullata dal TAR Veneto con la sentenza n. 1515/1998;la terza domanda è correlata alla inerzia del Comune nel pervenire alla approvazione del necessario piano attuativo.
13.1. Proponendo le indicate tre distinte domande la Società appellante ha parcellizzato, sulla base di differenti cause, il danno-evento di cui chiede il risarcimento, danno-evento che in realtà, come meglio infra si dirà, è unico ed è riconducibile al mancato recupero del patrimonio edilizio.
13.2. Va, in primo luogo, rammentato che il danno conseguente alla illegittimità di atti amministrativi è ascrivibile, in conformità alla giurisprudenza consolidata, all’archetipo dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c.: come ha chiarito la sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 7 del 2021, la natura extracontrattuale di tale responsabilità si collega al fatto che il rapporto tra privato e Pubblica Amministrazione, nell'ambito di un procedimento amministrativo, non è riconducibile ad un rapporto obbligatorio, che è caratterizzato dal rapporto paritario tra le parti: nel procedimento amministrativo, al contrario, non v’è parità tra le parti, in quanto la Pubblica Amministrazione è titolare del potere, e il privato è titolare dell’interesse a che detto potere sia esercitato in conformità alla legge.
13.3. Quanto sopra implica che è onere del danneggiato, ovvero di colui che pretende essere risarcito dalla Pubblica Amministrazione in relazione ad una fattispecie di responsabilità da provvedimento amministrativo illegittimo, dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi di detta responsabilità, ovvero: il danno, l’ingiustizia del danno, il nesso di causalità tra il danno e l’attività provvedimentale illegittima e la colpa della Pubblica Amministrazione.
13.4. Considerazioni del tutto identiche valgono con riferimento alla responsabilità della Pubblica Amministrazione per ritardo, ovvero per l’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento (ex multis, tra le più recenti: Cons. Stato, Sez. IV, n. 6958 del 17 luglio 2023;Adunanza Plenaria n. 7 del 2021,cit.).
13.5. Inoltre, va in generale tenuto presente che la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. in particolare, Adunanza Plenaria n.3 del 2011;Cons. Stato, Sez. VII, n. 6262 del 19 luglio 2022) segue, in materia di danni risarcibili, l’orientamento della Cassazione Civile ispirato alla teoria causale del danno, secondo cui il pregiudizio risarcibile non è determinato, in sé, dalla lesione della situazione giuridica, ma dal danno conseguenza derivato dall'evento di danno corrispondente alla detta lesione.
13.5.1. La distinzione fra causalità materiale e causalità giuridica si può dire definitivamente acquisita dalle pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 11 gennaio 2008, n. 576 e 11 novembre 2008, n. 26972, le quali hanno differenziato, nell'ambito dell'illecito aquiliano, a) la causalità materiale, rilevante ai fini dell'imputazione del danno-evento ad una determinata condotta secondo i criteri di responsabilità previsti dalla disciplina del fatto illecito, e b) la causalità giuridica, di cui sono espressione gli artt. 1223 e 2056, la quale, in funzione di selezione delle conseguenze dannose risarcibili, attiene al nesso eziologico fra il danno-evento ed il c.d. danno-conseguenza, quest’ultimo costituente l'oggetto dell'obbligazione risarcitoria. Anche nella giurisprudenza costituzionale, secondo la linea evolutiva che va da Corte cost. 14 luglio 1986, n. 184, a Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372, è emersa la distinzione fra danno-evento e danno-conseguenza. La distinzione fra causalità materiale e causalità giuridica è stata da ultimo ripresa da Corte cost. 15 settembre 2022, n. 205.
13.5.2. Occorre in particolare rammentare che la citata sentenza delle SS.UU. n. 576/2008 ha statuito che “ Se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non vi è l'obbligazione risarcitoria ”, intendendo con ciò affermare che se non verifica un danno-conseguenza non c’è danno ingiusto e quindi non si perfeziona l’illecito: causalità materiale e causalità giuridica non sono, quindi, le fasi di una successione cronologica, ma sono i due diversi punti di vista dell'unitario fenomeno del danno ingiusto, il quale non è identificabile se non alla luce di ambedue questi nessi causali, l'uno informato al criterio della regolarità causale, l'altro a quello della conseguenzialità immediata e diretta. Cagionato l'evento di danno, la fattispecie del fatto illecito è integrata con la realizzazione delle conseguenze pregiudizievoli, senza che fra evento e conseguenza vi sia un distacco temporale. Pertanto, il danno-conseguenza assume rilevanza giuridica solo in quanto cagionato da un evento lesivo di un interesse meritevole di tutela ad un determinato bene della vita, secondo la fondamentale definizione contenuta in Cass., Sez. un., 22 luglio 1999, n. 500;reciprocamente, l'evento di danno è giuridicamente rilevante solo se produttivo del danno-conseguenza quale concreto pregiudizio al bene della vita.
13.5.3. Come è stato ulteriormente chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 33645 del 15 novembre 2022, “ Quando l'azione dannosa attinge sulla base del nesso di causalità materiale il bene, l'evento di danno è rappresentato dalla lesione del diritto per il pregiudizio cagionato alla cosa oggetto del diritto di proprietà, ma affinché un danno risarcibile vi sia, perfezionandosi così la fattispecie del danno ingiusto, è necessario che al profilo dell'ingiustizia, garantito dalla violazione del diritto, si associ quello del danno conseguenza, e perciò la perdita subita e/o il mancato guadagno che, sulla base del nesso di causalità giuridica, siano conseguenza immediata e diretta dell'evento dannoso. È quanto accade ad esempio nel caso del danno da c.d. fermo tecnico di veicolo incidentato, per il quale è richiesta la prova della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo (si vedano Cass. 14 ottobre 2015, n. 20620, e le altre conformi fino alla recente Cass. 19 settembre 2022, n. 27389). Quando l'azione lesiva attinge invece il contenuto del diritto di proprietà ("il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo"), ciò che viene in primo luogo in rilievo è la violazione dell'ordine giuridico. L'ordinamento appresta lo strumento di ripristino dell'ordine formale violato, ossia la tutela reale di reintegrazione del diritto leso…. ”
14. Tenendo a mente questi principi è possibile procedere alla disamina dei motivi d’appello, principiando dal terzo, afferente la domanda di risarcimento del danno conseguente alla riduzione della volumetria sancita dalla variante, nel periodo in cui essa è stata in vigore.
14.1. Si tratta di una circostanza che in effetti potrebbe aver determinato una diminuzione di valore di mercato del compendio immobiliare, la quale può essere riguardata quale lesione al bene patrimonio e che, pertanto, si può qualificare quale evento-danno.
14.2. Per quanto sopra detto, la risarcibilità di tale danno-evento richiedeva la dimostrazione del danno-conseguenza, ovvero del concreto e irreversibile pregiudizio determinato dalla diminuzione di valore dell’immobile;con l’ulteriore precisazione che, essendo stata la variante annullata ed essendo stata ristabilita in seguito la potenzialità edificatoria di 15000 mc., il danno-conseguenza risarcibile doveva essersi manifestato, in maniera irreversibile, prima dell’annullamento della variante, poiché dopo quel momento il compendio immobiliare ha riacquistato automaticamente la precedente potenzialità edificatoria, e il correlativo valore di mercato.
14.3. Dunque, ad avviso del Collegio, nella vigenza della variante annullata danni-conseguenza si sarebbero apprezzati, per esempio: (i) se il compendio immobiliare fosse stato venduto, prima dell’annullamento della variante, a un prezzo ribassato proprio a causa della diminuita volumetria, e in tal caso il pregiudizio subìto sarebbe coinciso con la differenza di prezzo, non incassata;oppure (ii) se Finimmobiliare, avendo in corso trattative per la vendita del compendio, avesse dimostrato che queste erano naufragate proprio a causa della diminuzione della volumetria utilizzabile: e in tal caso il pregiudizio riparabile sarebbe stato da identificare nella perdita della chance di vendita;o, ancora, (iii) se, avendo portato a termine un progetto di recupero del compendio immobiliare, con soli 10.000 mc di volumetria utile, la Società avesse visto limitare l’utile sulla rivendita del compendio immobiliare o del relativo reddito locativo, ed in tal caso il pregiudizio sarebbe coinciso con il mancato guadagno, o con la perdita di chance del guadagno, ritraibile dalla collocazione sul mercato di 5.000 mc in più.
14.4. L’appellante non ha neppure provato a indicare di aver risentito i danni-conseguenza citati a titolo di esempio, o altri della medesima natura. Pertanto, in disparte la considerazione che anche dell’evento-danno -OMISSIS-non ha fornito alcun indizio concreto, il terzo motivo d’appello deve essere respinto perché non v’è evidenza del fatto che la presunta diminuzione di valore di mercato del complesso immobiliare si sia manifestata in maniera effettiva, nel suo patrimonio, prima dell’annullamento della variante e con effetti irreversibili, tali, cioè, da non poter essere vanificati dall’annullamento della variante e dal ripristino della potenzialità edificatoria relativa a 15.000 mc.
15. Possono invece essere esaminati congiuntamente i primi due motivi d’appello e il quarto, aventi ad oggetto, rispettivamente, il danno conseguente all’illegittimo diniego di concessione edilizia del 7 dicembre 1994 nonché alla condotta omissiva tenuta dal Comune di Venezia, e consistente nella mancata approvazione del piano di recupero necessario per il rilascio del titolo edilizio.
15.1. Questi tre motivi possono essere trattati congiuntamente perché l’appellante, confondendo il piano della causalità con quello dei danni risarcibili, ha moltiplicato le voci di danno di cui chiede il risarcimento: in realtà, sia il mancato rilascio della concessione edilizia, opposto con il provvedimento del 7 dicembre 1994, sia la mancata approvazione del piano di recupero portano ad un unico risultato, che costituisce l’unico danno-evento subìto dalla appellante, ovvero: la mancata ristrutturazione edilizia e/o urbanistica del complesso immobiliare dalla stessa acquistato, la quale
costituisce lesione di un interesse tutelato afferente il diritto di proprietà, risolvendosi, anche in questo caso, nell’interesse al mantenimento dell’integrità del patrimonio;quindi, per le ragioni già evidenziate, tale danno-evento è risarcibile solo se declinato in danni-conseguenza.
15.3. L’appellante, con riferimento a entrambe le domande ha quantificato il danno subito facendo riferimento alla immobilizzazione dell’investimento, alle spese progettuali, notarili, di registro, ICI/IMU, e spese varie di gestione della proprietà e della società (l’appellante indica, infatti, tra le voci di danno, gli onorari del commercialista per la tenuta dei libri contabili).
15.4. Il Collegio rileva che tali spese non possono costituire di per sé oggetto di risarcimento del danno: la spesa per l’acquisto di un immobile, le spese di manutenzione e le imposte, sono naturalmente correlate alla proprietà; lo stesso dicasi per le spese generali di gestione di una società, quali possono essere le spese di tenuta dei libri contabili. Dunque, affinché tutte le voci di danno menzionate possano assurgere a parametro per la individuazione e quantificazione di un danno-conseguenza, colui che reclama il risarcimento deve dimostrare che sarebbe stato in grado di evitare tali spese, o quantomeno dimostrare di aver avuto, e di aver perso per colpa del danneggiante, la chance di evitare le suddette spese.
15.5. Per quanto riguarda le spese di gestione della società, si può subito affermare che esse, nel caso di specie, debbono essere escluse dal compendio delle spese risarcibili poiché non risulta che la -OMISSIS-s.r.l. sia stata costituita per un’unica operazione immobiliare, ovvero per l’acquisto e la ristrutturazione del complesso immobiliare oggetto del giudizio. Si deve dunque presumere che la Società avrebbe continuato ad operare anche una volta portata a termine l’operazione immobiliare, e che le suddette spese di gestione sarebbero comunque state sostenute, in quanto spese generali.
15.6. Un discorso più articolato va fatto con riferimento alle spese relative alla gestione del complesso immobiliare, in sé considerato, alla immobilizzazione dell’investimento e alle spese di progettazione.
15.6.1. In linea teorica la -OMISSIS-avrebbe dovuto dimostrare, secondo quanto sopra precisato, che se non fosse stato per le condotte illecite addebitate al Comune di Venezia, essa avrebbe potuto a) evitare le spese di mantenimento degli immobili e b) rientrare del capitale erogato per l’acquisto, evitando così anche l’esborso dei relativi interessi;c) rientrare delle spese per la progettazione del recupero edilizio. Per arrivare a un simile risultato l’appellante avrebbe dovuto dimostrare che, dopo la ristrutturazione edilizia e/o urbanistica, essa avrebbe potuto vendere l’intero complesso immobiliare, rientrando (più o meno) immediatamente del capitale investito per l’acquisto e la ristrutturazione, oltre che delle spese nel frattempo sostenute per il mantenimento dell’immobile;oppure concederlo in affitto, rientrando in questo caso gradualmente del capitale investito e fruendo nel tempo di una rendita che avrebbe consentito di coprire le spese di gestione, e possibilmente garantire un utile.
15.6.2. L’appellante, tuttavia, a tale scopo avrebbe dovuto produrre una perizia tecnica che spiegasse, in funzione delle possibilità di sfruttamento garantite dallo strumento urbanistico, dell’andamento del mercato immobiliare di Mestre nonché della propria capacità economica, che tipologia di ristrutturazione edilizia e/o urbanistica intendeva e poteva, realizzare, e quindi che tipologia di operazione immobiliare (vendita o messa a rendita) avrebbe potuto portare a compimento. Una simile documentazione avrebbe quantomeno consentito al Collegio di valutare se e quali chance avesse l’appellante di portare a termine una operazione immobiliare, e quindi di stimare il danno da perdita di tale chance , danno che avrebbe dovuto tenere conto non solo delle spese già sostenute dalla Società, ma anche di quelle necessarie per portare a termine l’operazione immobiliare, che ovviamente incidono sull’utile complessivo della stessa.
15.6.3. L’appellante non ha fatto nulla di quanto sopra indicato, limitandosi a chiedere l’ammissione di una consulenza tecnica del tutto inammissibile, in quanto avente una finalità all’evidenza esplorativa: si rammenta, a tale proposito che la consulenza tecnica d’ufficio non é un mezzo di prova in senso stretto, e sebbene sia consentito al giudice fare ricorso a quest'ultima per acquisire dati la cui valutazione sia poi rimessa allo stesso ausiliario (c.d. consulenza percipiente) è necessario che la parte abbia allegato i corrispondenti fatti, ponendoli a fondamento della sua domanda (Cass. Civ. Sez. I, n. 20695 del 10 settembre 2013). Nel caso di specie non può ritenersi sufficiente, a quantificare il danno, l’allegazione secondo cui, acquistato l’immobile, il recupero edilizio è stato bloccato dal Comune: era necessario, come già precisato, che l’appellante descrivesse la tipologia di recupero che intendeva portare avanti e producesse almeno un progetto di massima e la stima dei relativi costi: solo a partire da tali dati il consulente sarebbe stato in grado di valutare la fattibilità e la convenzione economica del progetto, i costi e gli utili.
15.6.4. Deve, conclusivamente, ritenersi che l’appellante non abbia compiutamente assolto all’onere di allegazione e all’onere probatorio relativo al danno-conseguenza, ragione per cui il danno-evento, come sopra individuato, non può essere risarcito.
15.7. Peraltro, non sono stati acquisiti, al fascicolo del giudizio neppure sufficienti elementi per ritenere illecite le condotte ascritte al Comune di Venezia, le quali si sono compendiate prima nel diniego di concessione edilizia del 7 dicembre 1994, e quindi nell’inerzia mantenuta nella approvazione di un piano di recupero.
15.7.1. La legittimità del piano di recupero, ancorché esteso all’intero comparto, non risulta sia mai stata contestata dall’appellante: al fascicolo di causa, infatti, non v’è prova del fatto che l’appellante abbia impugnato la variante adottata con le delibere di Consiglio Comunale n. 445/1991 e n. 133/1992 né le variante tecnica approvata con D.G.R. n. 28/1993, né, infine, la variante al P.R.G. per la terraferma adottata con delibera di C.C. n. 60/1993, le quali richiedevano, tutte, la preventiva approvazione di uno strumento attuativo ed erano state richiamate nel diniego del 7 dicembre 1994
15.7.3. Copia del ricorso proposto dalla appellante avverso il diniego del 7 dicembre 1994 è stata prodotta dal Comune di Venezia (doc. 2), e da essa si evince che non era oggetto di impugnazione la previsione - della variante in allora solo adottata – che imponeva la preventiva approvazione di un piano di recupero esteso all’intero comparto: oggetto di quel ricorso era, chiaramente, solo il diniego del 7 dicembre 1994 (comunicato alla -OMISSIS-il 20 dicembre 1994): di tale diniego si assumeva l’illegittimità in quanto – pare di capire – il progetto presentato doveva considerarsi anche Piano di Recupero di iniziativa privata, che a detta della ricorrente era conforme alle norme vigenti, sicché a fondamento del ricorso si deduceva il difetto di motivazione, circa le ragioni per cui il P.d.R. non era stato valutato.
15.7.4. V’è da dire, soprattutto, che la variante approvata in via definitiva il 15 luglio 1997 alla fine, per effetto del recepimento dell’osservazione presentata da un terzo, consentiva il recupero per sub-comparti. Ciò é quanto si desume dalla sentenza del TAR per il Veneto n. 1515/98, ove, a pag. 2, si dà atto del fatto che il Comune aveva accolto l’osservazione n. 42, proposta da tale Calzavara, circa l’edificabilità per sub-comparti. L’appellante, che peraltro non aveva presentato osservazioni, aveva poi impugnato la suddetta variante solo in ragione della riduzione della volumetria. Nello stesso senso é anche la previsione di cui all’art. 6, comma 5, delle NTA relative alla variante del centro storico di Mestre, approvata il 15 luglio 1997: tale norma prevede che “ i perimetri dei Piani di Recupero individuati nelle tav.