Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-04-26, n. 202403796
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Pubblicato il 26/04/2024
N. 03796/2024REG.PROV.COLL.
N. 08492/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8492 del 2023, proposto da M F soc. semplice, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avv. C T, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del medesimo, sito in Udine, via Mercatovecchio, n. 28;
contro
Ader - Agenzia delle entrate-riscossione, Agea - Agenzia per le erogazioni in agricoltura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentate e difese dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Lombardia, Sezione seconda, n. 1901 del 2023.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio e la memoria di Ader - Agenzia delle entrate riscossione e di Agea -Agenzia per le erogazioni in agricoltura;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore il cons. Giuseppe La Greca;
Uditi nell’udienza pubblica del 14 marzo 2024 per le parti l’avv. Emanuela Vergine in sostituzione dell’avv. C T per la parte appellante;l’avv. Massimo di Benedetto per la parte pubblica;
Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- M F soc. sempl. impugnava, in primo grado, con richiesta di annullamento, l’intimazione di pagamento n 06820219009200366000 a titolo di « prelievo latte », per l’importo di € 867.975,26 emessa in conseguenza di precedente cartella di pagamento ivi indicata.
2.- A sostegno della pretesa deduceva i vizi come di seguito sinteticamente compendiati:
- omessa allegazione della presupposta cartella di pagamento, con seguente carenza di motivazione ex art. 3 l. n. 241 del 1990 (anche in relazione alla mancata indicazione della annata lattiera di riferimento);
- illegittima richiesta di interessi e omessa indicazione delle modalità di conteggio dei medesimi sotto il duplice profilo del dies a quo della decorrenza e dei tassi applicati;
- prescrizione quadriennale e quinquennale del credito;
- violazione della disciplina eurounitaria sul rilievo che: sarebbero state violate le statuizioni contenute nella sentenza della Corte di giustizia UE « di data 27.6.2019 » e del Consiglio di Stato nn. 7726/2019 e 7734/2019, ciò che avrebbe imposto ad Agea il ricalcolo dei prelievi, non effettuato;
- omessa esatta determinazione del calcolo matematico effettuato da Agea per determinare l’ammontare del prelievo supplementare ancora dovuto (non sarebbe, in tesi, comprensibile se gli importi posti in riscossione tengano conto o meno dei pagamenti già effettuati, ovvero se detti importi siano il risultato della differenza tra l’importo quantificato a debito da Agea, con gli importi recuperati dall’Amministrazione in pagamento per compensazione: in tal senso sarebbe pure nullo il ruolo).
3.- Agea e Ader si opponevano all’accoglimento del ricorso.
4.- Con sentenza n. 1901/2023 il T.a.r. per la Lombardia in parte dichiarava inammissibile e in parte rigettava il ricorso sul rilievo che:
a) quanto alla statuizione di inammissibilità, la doglianza circa il contrasto della pretesa con i principi espressi dalla Corte di giustizia UE – di censura della normativa italiana in ragione della mancata ridistribuzione delle quote inutilizzate a favore degli allevatori e produttori secondo criteri lineari e paritari – avrebbe dovuto essere proposta avverso gli atti prodromici, previamente notificati (tra cui la cartella di pagamento n. 30020150000008658000 notificata in data 16 marzo 2015);
b) quanto alla statuizione di rigetto, sarebbero infondate le doglianze di carattere c.d. procedimentale e l’eccezione di prescrizione, considerata la mancata maturazione del termine decennale.
5.- Avverso la predetta sentenza ha interposto appello la parte privata, originaria ricorrente la quale ha dedotto i vizi come di seguito esposti:
1) violazione art.3, comma 1, reg. (CE) n. 2988/1995;in via gradata, violazione art. 2948 c.c. Sostiene l’appellante che poiché l’intimazione di pagamento sarebbe stata notificata in data 1° dicembre 2021 e la cartella il 16 marzo 2015 avrebbe dovuto dichiararsi la prescrizione quadriennale, considerata la mancata prova – a carico dell’amministrazione – della notifica dei presupposti atti di accertamento imputazione dei prelievi. In via gradata, sarebbe maturata anche la prescrizione quinquennale, stante il periodo trascorso tra la data di comunicazione agli acquirenti delle imputazioni e dei calcoli di fine periodo di compensazione annuale e degli atti di accertamento presupposti anche alla intimazione di pagamento imputata a titolo di prelievo supplementare;
2) Prescrizione degli interessi ai sensi dell’art. 2948 c.c. Sarebbe decorso il termine quinquennale di prescrizione degli interessi;
3) Illegittimità derivata e diretta della sentenza impugnata per manifesta e grave violazione del diritto unionale. Sostiene l’appellante che:
- il T.a.r. avrebbe disapplicato i principi di diritto sovranazionale cogente inerenti la annullabilità del prelievo supplementare imputato agli allevatori nazionali dal 1995/1996, prima campagna di prelievo del sistema di contingentamento, sino almeno al 2009/2010, periodo della compensazione nazionale del prelievo supplementare latte;
- sarebbe errata la statuizione della sentenza sulla doglianza involgente l’illegittimità comunitaria e unionale delle pretese creditorie sostanziali inerenti al prelievo supplementare sotteso agli avvisi di pagamento, dovendosi, in tesi, dare atto della necessità del ‘ricalcolo’ da parte di Agea del prelievo imputato in Italia (non potendo opporsi comminatorie di decadenza);
4) sulla declaratoria di inammissibilità del ricorso in ragione dei giudizi proposti avverso le imputazioni di prelievo, in cui il ricorrente è risultato soccombente e per omessa impugnazione della cartella di pagamento antecedentemente notificata;violazione di legge. Sostiene l’appellante che:
- la mancata impugnazione della cartella di pagamento da parte dell’obbligato non determinerebbe preclusioni, ben potendo il debitore proporre le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, a norma dell’art. 29 d.lgs. n. 46 del 1999, nelle forme ordinarie, ossia ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c.;
5) Violazione di legge ed eccesso di potere giurisdizionale della statuizione della sentenza impugnata inerente l’eccepito contrasto con il diritto UE per contrasto e disapplicazione dei principi espressi dal Consiglio di Stato in plurime pronunce;vizio di illegittimità diretta, originaria e derivata della statuizione della sentenza impugnata per violazione di legge. Sostiene l’appellante che l’atto di imputazione del prelievo annullato o annullabile per effetto delle pronunce della Corte di giustizia UE avrebbe dovuto essere disapplicato (anche perché « nullo »).
6.- Si sono costituite in giudizio le intimate Amministrazioni le quali, con memoria, hanno concluso per l’infondatezza dell’appello.
7.- All’udienza pubblica del 14 marzo 2024, presenti i procuratori delle parti, l’appello, su richiesta degli stessi, è stato trattenuto in decisione.
8.- L’appello, alla stregua di quanto si dirà, non è meritevole di accoglimento.
9.- L’impugnativa in esame ha ad oggetto non l’atto di accertamento del prelievo supplementare ma un atto, l’intimazione di pagamento, riguardante la fase esecutiva della riscossione del prelievo dovuto, peraltro emessa in conseguenza della pregressa notificazione della cartella di pagamento soprarichiamata.
10.- Nel caso di specie, oggetto dell’impugnazione è un’intimazione di pagamento riferita a pregresse debenze già accertate e oggetto di apposita cartella notificata, vale a dire non già un autonomo atto impositivo, bensì un invito prodromico all’esecuzione forzata, impugnabile unicamente per vizi propri.
11.- L’intimazione di pagamento, infatti, si esaurisce in una (ulteriore) ingiunzione, successiva alla cartella, riguardante la somma dovuta in base all’avviso di accertamento, con la conseguenza che essa resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto di accertamento da cui è sorto il debito e alla conseguente cartella.
12.- D’altronde, in ipotesi di intervenuta caducazione dell’atto di accertamento ( id est : atto di prelievo supplementare, ciò che non è nel caso di specie), e soltanto in quel caso, sia la cartella, sia l’intimazione di pagamento verrebbero automaticamente travolte (Cons. Stato, sez. VI, n. 645 del 2024).
13.1.- In ordine al regime dei provvedimenti amministrativi nazionali assunti in violazione del diritto europeo, la giurisprudenza ampiamente prevalente ha evidenziato che il contrasto di un atto amministrativo con il diritto europeo costituisce sempre e solo motivo di annullabilità e non di nullità (cfr. ex plurimis, da ultimo, Cons. Stato, VI, 29 dicembre 2023, n. 11301;Cons. Stato, VI, 29 novembre 2023, n. 10303;Cons Stato, VI;7 agosto 2023, n. 7609).
13.2.- In altri termini, fermo restando che il contrasto tra un provvedimento amministrativo nazionale e il diritto UE debba generare qualche forma d’invalidità dell’atto in questione, il Consiglio di Stato, almeno a far tempo dalla sentenza di questa Sezione 31 marzo 2011, n. 1983, ha affermato che l’atto amministrativo che viola il diritto dell’Unione europea è affetto da annullabilità per vizio di illegittimità sotto forma di violazione di legge e non da nullità, atteso che l’art. 21-septies della l. n. 241 del 1990, ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo e tra queste ipotesi non rientra il contrasto con il diritto dell’Unione europea.
13.3.- Ne consegue che la nullità è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento amministrativo nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere incompatibile con il diritto europeo e quindi disapplicabile, la cui ipotesi non ricorre nella fattispecie in esame.
13.4.- La violazione del diritto europeo da parte dell’atto amministrativo, quindi, implica un vizio d’illegittimità con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo con esso contrastante e da ciò discende un duplice ordine di conseguenze: I) sul piano processuale, l’onere dell’impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto europeo davanti al giudice amministrativo entro il termine di decadenza di sessanta giorni, pena l’inoppugnabilità del provvedimento stesso;II) sul piano sostanziale, l’obbligo per l’amministrazione di dar corso all’applicazione dell’atto, fatto salvo l’esercizio del potere di autotutela.
13.5.- La natura autoritativa di un provvedimento amministrativo, infatti, non viene meno se la disposizione attributiva di potere è poi dichiarata incostituzionale o si manifesta in contrasto con il diritto europeo (cfr. ex plurimis , Cons. Stato, sez. III, 29 settembre 2022, n. 8380;sez. II, 7 aprile 2022, n. 2580;id. 25 marzo 2022, n. 2194;id. 16 marzo 2022, n. 1920), a maggior ragione quando, come nel caso di specie in materia di quote latte, il contrasto con il diritto europeo non ha riguardato la disposizione attributiva del potere, ma una regola sui criteri da seguire per il legittimo esercizio del potere (Cons. St., sez. III, 20 luglio 2022, n. 6333);più nel dettaglio, le sentenze della Corte di giustizia hanno accertato l’incompatibilità della normativa interna concernente (non già il prelievo supplementare a monte, ma) i criteri di riassegnazione dei quantitativi inutilizzati ovvero i (criteri relativi ai) rimborsi delle eccedenze dei prelievi supplementari.
13.6.- La giurisprudenza europea, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, ha posto ugualmente in rilievo che la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario, sicché «il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza dei termini ragionevoli di ricorso in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza e da ciò deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo» (cfr. sentenza Kuhne &Heitz del 13 gennaio 2004).
13.7.- Nello stesso senso, la giurisprudenza europea successiva ha evidenziato come, nel rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, il principio della certezza nei rapporti giuridici non determina che gli stessi, una volta esauriti, debbano essere messi nuovamente e continuamente in discussione per effetto di una sentenza della Corte di giustizia UE che sancisca la sostanziale incompatibilità di un determinato atto con la normativa europea.
13.8.- Sempre in analoga direzione, con riferimento a sentenze del giudice nazionale passate in giudicato, le recenti sentenze della CGUE Randstad del 21 dicembre 2021 e Hoffmann-La Roche del 7 luglio 2022, nel riaffermare i principi di autonomia procedurale degli Stati membri e la necessità del rispetto dei principi di effettività ed equivalenza, non pongono in discussione che un atto amministrativo, come considerato da una sentenza del giudice nazionale passata in giudicato che sia poi accertata da una sentenza della Corte di giustizia come violativa del diritto europeo, continui a spiegare i propri effetti, in disparte i possibili profili risarcitori legati ad azioni di danni contro lo Stato e, nei casi più gravi ripetuti nel tempo, la possibilità che la Commissione europea dia avvio ad una procedura di infrazione nei confronti dello Stato membro.
14.- Correttamente, dunque, il T.a.r. ha dichiarato l’inammissibilità della doglianza involgente la violazione del diritto UE e dei principi espressi dalla Corte di giustizia avuto riguardo al consolidamento degli atti presupposti, tra cui la cartella menzionata nella impugnata intimazione.
15.- La definizione in rito, in termini di inammissibilità, della domanda caducatoria di primo grado in relazione ai vizi « derivati » impone, comunque, la verifica della prescrizione del credito delle parti pubbliche, la quale va valutata tenendo conto dell’effetto interruttivo spiegato dalla notifica della cartella di pagamento di cui si è detto, perfezionatasi – dato che è incontestato – il 16 marzo 2015.
16. - Premesso che l’impugnazione dell’intimazione di pagamento (così come di una o più cartelle) si configura quale « sostanziale opposizione all'esecuzione, contestazione del quantum debeatur accertato dalla Autorità amministrativa nell’esercizio del suo pubblico potere » (Cass. civ., sez. un., n. 33850 del 2021), deve essere riconosciuto l’interesse del contribuente ad esperire, attraverso l'impugnazione dell’intimazione (ovvero, anche, del ruolo, ove esistente), azione di accertamento negativo della pretesa dell’amministrazione facendo valere la prescrizione del credito maturata dopo la notifica della cartella (quanto alla prescrizione asseritamente maturata prima della notifica della cartella essa avrebbe potuto esser fatta valere, nel caso di specie, con l’opposizione alla medesima: in tal senso, ex aliis , Cass. civ., sez. lav., n. 7156 del 2023).
17.- Le doglianze in punto di prescrizione non sono persuasive.
17.1.- Il Collegio, in primo luogo, non intende discostarsi dall’orientamento maggioritario che ritiene applicabile in subiecta materia , almeno per quanto riguarda la sorte capitale, il termine prescrizionale ordinario decennale ( ex multis Cons. Stato, sez. III, 7 novembre 2022 n. 9706;Cons. Stato sez. III, n. 2730 del 2022, richiamate da Cons. Stato, sez. VI, 2 gennaio 2024, n. 64;secondo cui « gli importi dovuti a titolo di prelievo supplementare e i relativi interessi non sono debiti da pagarsi periodicamente, ma misure a carattere patrimoniale imposte per salvaguardare il sistema delle quote latte, e applicate sul presupposto dello sforamento delle quote individuali, talché la prescrizione rilevante è quella decennale »).
17.2.- In sostanza, poiché il prelievo supplementare non costituisce una prestazione periodica, non è applicabile l’art. 2948 c.c. che disciplina la prescrizione di cinque anni, mentre, quanto al capitale, il termine di prescrizione decennale è previsto in via generale dall’art. 2946 c.c. (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 11050 del 2023).
17.3.- Nella fattispecie, la prescrizione ha carattere decennale anche in considerazione del fatto che se, da un lato, non può essere invocata la prescrizione quinquennale ex art. 2948 cod. civ. (Cons. Stato, sez. II, n. 8659 del 2021), dall’altro, non è neppure applicabile il termine prescrizionale breve ex art. 3, comma 1, Regolamento CE 2988/95, venendo in rilievo nella fattispecie in esame crediti derivanti da norme eurounionali regolatrici del mercato, o meglio, di misure a carattere patrimoniale imposte per salvaguardare il sistema delle quote latte, applicate sul presupposto dello sforamento delle quote individuali.
17.4.- E’ stato, peraltro, di recente affermato che « Anche in materia di aiuti comunitari nel settore dell'agricoltura opera il disposto dell'art. 3 del Regolamento n. 95/2988/CEE, che fissa in quattro anni il periodo entro il quale si deve procedere al recupero di ogni vantaggio indebitamente percepito a carico del bilancio comunitario – sempre che una norma di settore non preveda un termine più breve, comunque non inferiore ai tre anni –, consentendo però a ciascuno Stato di applicare un termine più lungo che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, è desumibile anche da disposizioni di diritto comune anteriori al menzionato Regolamento, purché prevedibili e proporzionate. Per l'ordinamento italiano ciò avviene con la disciplina dell'azione di ripetizione dell'indebito oggettivo, che, ai sensi dell'art. 2946 c.c., si prescrive nel termine di dieci anni, a cui resta estraneo il disposto della L. n. 689 del 1981, art. 28, che regolamenta esclusivamente la prescrizione delle sanzioni amministrative eventualmente connesse all'indebita percezione degli aiuti » (Cass. civ., sez. I, n. 34701 del 2023).
18.- Anche le doglianze in punto di interessi e relativa prescrizione non sono fondate.
18.1.- La mancata specificazione del metodo di calcolo degli interessi non può dar luogo all’invalidità dell’intimazione di pagamento: « allorché segua l'adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, la cartella che intimi al contribuente il pagamento degli ulteriori interessi nel frattempo maturati soddisfa l'obbligo di motivazione, prescritto dall'art. 7 della legge n. 212 del 2000 e dall'art. 3 della legge n. 241 del 1990, attraverso il semplice richiamo dell'atto precedente e la quantificazione dell'ulteriore importo per gli accessori » (Cass. civ., sez. un., n. 22281 del 2022). Con la conseguenza, nel caso di specie, che l’intimazione, anche sotto tale profilo, deve ritenersi adeguatamente motivata considerato, peraltro, che parte appellata non ha denunciato specifici errori di calcolo degli interessi commessi dall’Agente della riscossione.
19.- Alla luce delle suesposte considerazioni l’appello va rigettato con conseguente conferma dell’impugnata sentenza.
20.- Le spese del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.