Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-05-27, n. 202204279

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-05-27, n. 202204279
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202204279
Data del deposito : 27 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/05/2022

N. 04279/2022REG.PROV.COLL.

N. 08816/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8816 del 2015, proposto da
G D R, rappresentato e difeso dagli avvocati L B, L C L, con domicilio eletto presso lo studio Celli Emiliano Ls Lexjus Sinacta in Roma, via Panama, 52;

contro

Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati L B, N G, con domicilio eletto presso lo studio Marcello Cecchetti in Roma, piazza Barberini 12;
Difensore Civico della Regione Toscana, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) n. 00885/2015, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Toscana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 marzo 2022 il Cons. A F e preso atto delle richieste di passaggio in decisione, senza preventiva discussione, depositate dagli avvocati, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.G D R propone appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana n. 885 del 22.5.2015, con la quale è stato respinto il ricorso dallo stesso proposto avente ad oggetto la domanda di condanna della Regione Toscana e del Difensore civico al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’illegittimo provvedimento del CO.RE.CO (Prot. n.263 del 15.2.1995), annullato dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana con sentenza n. 1740 del 8.7.2008.

Il Comune di Firenze, con deliberazione n. 1820/1321, adottata il 3.5.1994, aveva incaricato G D R, unitamente al collega Enrico Bougleux, della redazione di un progetto di massima concernente il risanamento, la bonifica e la valorizzazione di un terreno di proprietà comunale.

La Giunta del Comune, con deliberazione n. 4553/4784 del 29.12.1994, aveva affidato ai suddetti professionisti anche l’incarico di progettazione esecutiva dell’opera, provvedendo a determinare il relativo compenso.

In data 30.1.1995, nel corso della seduta del Consiglio comunale, un gruppo di ventuno consiglieri formulava la richiesta di rinvio della deliberazione n. 4553/4784 al CO.RE.CO, ai sensi dell’art. 45, comma 2, della legge n. 142 del 1990 (poi sostituito dall’art. 127 del d.lgs. n. 267/2000 – T.U. degli enti locali), al fine di verificare la legittimità della decisione sotto tre diversi profili: a)se, trattandosi di un affidamento di incarico, la competenza fosse della Giunta o del Consiglio;
b) se la proprietà dell’area fosse del Comune;
c) se, nel caso in cui fosse stata accertata la non integrale proprietà dell’area da parte del Comune, un incarico pubblico così formulato fosse ammissibile.

Il CO.RE.CO., con decisione n. 263 del 15.2.1995, annullava la deliberazione della Giunta Municipale sulla base delle seguenti motivazioni: “ i) sulla proposta dell’incarico manca il parere del Segretario generale così come previsto dall’art. 1, comma 3, del Regolamento Comunale per gli incarichi professionali;
ii) l’allegato alla deliberazione non è chiaro se sia stato predisposto sulla base di uno schema generale comunque approvato dal Consiglio Comunale, secondo l’art. 6 ultimo comma del Regolamento Comunale per gli incarichi professionali
”.

A seguito dell’annullamento della delibera di incarico, l’Amministrazione non provvedeva a dare seguito alla propria precedente determinazione, relativa all’affidamento dell’incarico di progettazione esecutiva dell’opera ai due professionisti.

G D R impugnava la decisione del CO.RE.CO. dinanzi al T.A.R. per la Toscana che, con sentenza n. 1740 dell’8.7.2008, accoglieva il gravame, annullando la decisione n. 263 del 15.2.1995. A seguito di tale annullamento, il professionista proponeva ricorso per il risarcimento dei danni patiti, ritenendo che il CO.RE.CO., esercitando il sindacato di controllo sulla deliberazione n. 4553 della Giunta Municipale, aveva illegittimamente e colpevolmente esorbitato dalle competenze specificamente attribuitegli dalla legge, in violazione dell’art. 45 della l. n. 142 del 1990, in quanto il suo sindacato avrebbe dovuto limitarsi ai soli profili di illegittimità rilevati dai consiglieri comunali.

Il ricorrente riteneva la sussistenza del nesso causale, atteso che, a causa dell’illegittimo annullamento della delibera della Giunta Municipale, non si era perfezionato il contratto professionale con il Comune di Firenze avente ad oggetto il progetto esecutivo dell’opera, con grave perdita della opportunità professionale e dei relativi compensi quantificati in ITL 410.000.000. A tale pregiudizio, inoltre, andava aggiunto il c.d. danno curriculare e il danno arrecato all’immagine e al prestigio professionale.

2. L’adito Tribunale, con sentenza n. 885 del 2015, respingeva il ricorso ritenendo che: “ la mera illegittimità dell’atto amministrativo impugnato non è sufficiente per dichiarare la sussistenza di una responsabilità aquiliana per danni, dovendosi provare, oltre al nesso causale e alla sussistenza del danno, anche la colpa dell’Amministrazione”, e precisando che “ ai fini del risarcimento del danno conseguente all’annullamento di un provvedimento dichiarato illegittimo per vizio procedimentale, va distinta l’illegittimità di carattere c.d. ‘sostanziale’ dall’illegittimità di natura ‘formale’.

Il Collegio escludeva la sussistenza dei presupposti per riconoscere il risarcimento, non ritenendo ravvisabile l’elemento psicologico della colpa, atteso che il CO.RE.CO. non aveva espresso ulteriori valutazioni in merito alla legittimità dell’atto, con conseguente possibilità per l’amministrazione di rinnovare il procedimento, eliminando il vizio riscontrato.

3. G D R ha proposto appello, illustrato con memorie anche di replica, denunciando: a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990. Violazione dei principi generali in materia di responsabilità della p.a. e risarcimento del danno causato da un provvedimento amministrativo illegittimo. Omessa, insufficiente, contraddittoria ed incongrua motivazione della sentenza;
b) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod.civ.. Violazione falsa applicazione dei principi generali in materia di responsabilità della pubblica amministrazione per illegittimità dei suoi provvedimenti. Erronea ed incongrua motivazione della sentenza;
c) Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 5, del d.lgs. n. 104 del 2000, in combinato disposto con quanto previsto dall’art. 2935 e dagli artt. 2943 e ss. cod. civ.. Erronea ed insufficiente motivazione della sentenza;
d) Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di legittimazione processuale a seguito della sopravvenuta eliminazione di un soggetto giuridico e successione organica. Omessa ed insufficiente motivazione;
e) Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di condanna alle spese processuali. Violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, cod.proc.civ.. Omessa ed insufficiente motivazione.

3.1. La Regione Toscana si è costituita in resistenza depositando memorie, anche di replica, eccependo l’infondatezza del ricorso di primo grado per decorso dei termini di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, ed evidenziando nel merito la correttezza delle statuizioni illustrate nella sentenza impugnata, non ravvisandosi nella specie né il danno ingiusto, né il nesso di causalità.

4. All’udienza pubblica del 17 marzo 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. Con il primo motivo, l’appellante denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, e violazione dei principi in materia di responsabilità della pubblica amministrazione e del risarcimento del danno causato da un provvedimento amministrativo illegittimo. Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la mera illegittimità dell’atto amministrativo impugnato non è sufficiente a dichiarare la sussistenza di una responsabilità aquiliana per danni, dovendosi provare, oltre al nesso causale e alla sussistenza del danno, anche la colpa dell’amministrazione.

Secondo l’esponente, invece, tale interpretazione sarebbe errata, in quanto richiamare la c.d. concezione formalistica dei vizi dell’atto amministrativo si contrappone al dettato legislativo enunciato dall’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, che sancisce i casi di annullabilità dei provvedimenti amministrativi adottati in violazione di legge e viziati da eccesso di potere o incompetenza, sul rilievo di una concezione sostanzialistica dell’azione amministrativa, qualificando come irrilevanti, dal punto di vista dell’efficacia giuridica del provvedimento, le ipotesi di formazione di quest’ultimo a seguito di violazioni di regole procedimentali che non abbiano tuttavia compromesso il soddisfacimento dell’interesse pubblico. Inoltre, contrariamente a quanto affermato dal T.A.R., anche laddove il vizio del provvedimento amministrativo annullato avesse solo valore procedimentale e formale, in ogni caso la risposta dell’ordinamento imporrebbe di sanzionare la condotta dell’autore della violazione sotto il profilo dell’accertamento della sua responsabilità (art. 21 octies , comma 2, l. 241 del 1990). Nella specie, il provvedimento del CO.RE.CO. sarebbe viziato da eccesso di potere, espressione di un vizio della funzione amministrativa, concernenti gli aspetti sostanziali dell’atto stesso, posto che, come si legge nella sentenza del T.A.R. per la Toscana n. 1740/2008, che quel provvedimento ha annullato, il “ controllo esercitato dal CO.RE.CO. è andato oltre i limiti ammessi dalla legge ” in palese violazione dell’art. 127 della legge n. 267 del 2000, nonché dell’allora vigente art. 45 della legge n. 142/1990.

Si argomenta che se il CO.RE.CO avesse tenuto una condotta legittima, osservando le norme sul procedimento e sulla forma degli atti di propria competenza, non avrebbe mai potuto disporre l’annullamento della delibera di affidamento dell’incarico professionale, con evidente nesso causale tra l’illegittimo annullamento dell’atto e il danno arrecato.

L’appellante lamenta, altresì, l’illogicità del ragionamento seguito dal Tribunale adito laddove sostiene che: “ la pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento qualora il vizio accertato non contenga alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso”, poiché, in tali circostanze, in seguito all’annullamento dell’atto, la pubblica amministrazione conserverebbe il potere di rinnovare il procedimento. Tale assunto sarebbe illogico poiché, sebbene tale principio possa essere considerato in linea teoria corretto, non potrebbe certamente trovare applicazione nel caso di specie, considerato l’enorme lasso di tempo trascorso tra l’adozione della decisione del CO.RE.CO (1995) e la sentenza di annullamento (2008).

6. Con il secondo mezzo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod.civ., in quanto i giudici di prima istanza avrebbero erroneamente escluso la sussistenza del danno per perdita di chance , assumendo che gli asseriti pregiudizi si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche tramite l’esperimento degli strumenti di tutela previsti. Nella fattispecie, secondo l’esponente, sarebbe evidente che sussistono le condizioni per la risarcibilità del danno, posto che l’incarico di progettazione esecutiva era stato già affidato, con la determinazione del relativo compenso.

Ne consegue che sarebbero errate le considerazioni svolte dal Tribunale adito in merito al concetto del c.d. aliunde perceptum. Il principio, non applicabile nel caso di specie, comunque non escluderebbe la rilevanza, sotto il profilo della causazione del danno ingiusto, del nesso causale tra la perdita dell’incarico e l’illegittimità del provvedimento del CO.RE.CO., atteso che la circostanza che il professionista abbia ricevuto altri incarichi dalla stessa amministrazione comunale non escluderebbe, né eliminerebbe la rilevanza del danno causato dall’illegittima condotta dell’amministrazione.

Infine, si lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ritiene insussistente qualsiasi voce di danno prospettata, considerato che tutti gli elementi del pregiudizio sarebbero stati documentati dall’esponente nel corso del giudizio di primo grado.

7. Con la terza doglianza, si denuncia la violazione dell’art. 30 comma 5 del d.lgs. n. 104 del 2000, in combinato disposto con quanto previsto dall’art. 2935 e dall’art. 2943 cod. civ. e ss..

Il ricorrente contesta il capo della sentenza con cui il Tribunale Amministrativo Regionale, incidentalmente, affronta la questione, sebbene ritenuta assorbita, dell’inammissibilità del ricorso per effetto del decorso del termine fissato dall’art. 30, comma 5, del c.p.a., sia per l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno dal medesimo vantato ‘attesa la risalenza al 1995 dei fatti che hanno originato la controversia’. Si precisa che, all’epoca dei fatti in cui è stato presentato il primo ricorso, la materia dei rapporti tra l’azione di annullamento e la domanda risarcitoria era disciplinata dalla regola della ‘pregiudiziale amministrativa’, la quale imponeva il necessario esperimento della domanda volta ad ottenere l’annullamento dell’atto amministrativo prima di azionare un giudizio di risarcimento del danno. Nella fattispecie in esame, in virtù di quanto previsto dagli artt. 2943 e ss. del codice civile, la prescrizione del termine quinquennale si è interrotta per tutta la durata del giudizio di primo grado, giunto a conclusione l’8 luglio 2009 con il passaggio in giudicato della sentenza n. 1740, pertanto solo da quel momento, iniziava a decorrere il termine di cinque anni entro cui l’appellante aveva diritto di azionare la pretesa risarcitoria.

8. Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dei principi in materia di legittimazione processuale, atteso che il Tribunale Amministrativo Regionale, condividendo le conclusioni svolte dalla Regione in merito al difetto di legittimazione passiva del Difensore civico, ha escluso la necessità della sua chiamata in causa, assumendo che non era dato rinvenire nella l. reg. n. 2 del 2002 alcuna norma da cui desumere una sorta di successione organica tra il CO.RE.CO. e il Difensore civico, né tanto meno potevano essere riconosciuti in capo a quest’ultimo organo poteri assimilabili a quelli del suddetto organo di controllo. L’appellante argomenta le ragioni della vocatio in ius del Difensore civico, mai costituitosi nel giudizio, richiamando il disposto dei commi 38 e 39 dell’art. 17 della legge n. 127 del 1997 (c.d. Legge Bassanini), i quali hanno affidato ai Difensori civici comunali e provinciali le funzioni di controllo preventivo di legittimità previste dall’art. 45 della legge n. 142 del 1990 ed attribuite ai Comitati Regionali.

9. Con il quinto mezzo, si denuncia violazione e falsa applicazione dei principi in materia di condanna alle spese processuali, dovendosi nella specie trovare applicazione l’art. 92, comma 2, c.p.c., in ragione della novità delle questioni affrontate, e, quindi, indipendentemente dalla soccombenza, atteso che sussistevano giustificate ragioni per compensare quanto meno le spese di lite.

10. L’appello è infondato e va respinto per i principi di seguito enunciati.

La questione all’esame di questa Sezione concerne la domanda del risarcimento del danno ingiusto (per perdita di chance ), che l’appellante assume di avere subito in ragione dell’annullamento della delibera di conferimento dell’incarico professionale da parte del CO.RE.CO. con decisione n. 263 del 1995, ritenuta illegittima dal T.A.R. Toscana con sentenza passata in giudicato. Il danno con il ricorso in appello è stato quantificato nel ‘compenso a percentuale’ di ITL 410.000.000, mentre in primo grado era stato determinato in euro 69.034,96 in relazione all’intero mancato onorario, maggiorato di interessi e rivalutazione. Con la domanda di risarcimento, il professionista ha chiesto anche il ristoro del danno all’immagine, al prestigio curricolare e all’incidenza negativa sulla formazione professionale.

10.1. Per ragioni di priorità logica, va esaminato il terzo motivo di appello, con cui si lamenta che il giudice di prima istanza, anche se incidentalmente, ha attribuito rilevanza alla questione di inammissibilità del ricorso di primo grado per effetto del decorso del termine fissato dall’art. 30, comma 5, del c.p.a., e per l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno dal medesimo vantato.

Le suddette eccezioni sono state riproposte nel presente giudizio dalla Regione Toscana, la quale ha lamentato anche che la domanda di risarcimento del danno sarebbe inammissibile, avendo il ricorrente esercitato il relativo diritto oltre il termine quinquennale di cui all’art. 2947 cod.civ.

La critica è mal formulata, quindi così come proposta va disattesa, posto che il Tribunale adito non ha affrontato le suddette questioni, ma ne ha dato semplicemente atto, affermando che le stesse potevano ritenersi assorbite giacchè il ricorso era infondato nel merito. La controversia, infatti, per il ‘principio della ragione più liquida’ applicabile al processo amministrativo in ragione del rinvio operato dall’art. 39 c.p.a., è stata correttamente decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che ha comportato la verifica delle soluzione sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituendo il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni (Cass. n. 263 del 2019).

Con specifico riferimento alle questioni processuali, come quelle nella specie argomentate, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che: “ove sussistono cause che impongono di disattendere il ricorso” il giudice è esentato, in applicazione del ‘principio della ragione più liquida’, dall’esaminare le questioni processuali (v. Cass. n. 10839 del 2019) o quelle che riguardano l’esercizio di attività defensionali delle parti, poiché, anche se i relativi adempimenti fossero necessari, la loro effettuazione sarebbe ininfluente e lesiva del principio della ragionevole durata del processo.

Il Collegio condivide tale approccio ermeneutico, dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, con la conseguenza che le critiche proposte con il quarto mezzo, con cui si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata laddove ritiene l’ultraneità della evocazione in giudizio del Difensore civico, devono ritenersi assorbite, in ragione dell’infondatezza del ricorso.

Il terzo motivo di appello va, invece, respinto per le suesposte motivazioni, anche se, per ragioni di completezza, si rammenta che la giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. III, n. 297 del 2014) ha chiarito che il termine di decadenza di 120 giorni, previsto dall’art. 30, comma 4, c.p.a., per la proposizione della domanda risarcitoria, non è applicabile a cause nelle quali, ancorchè proposte nella vigenza del c.p.a., detta domanda assume a suo presupposto vicende e sentenze anteriori all’entrata in vigore del suddetto codice e soggette al solo termine di prescrizione quinquennale. Quanto alla decorrenza del termine di prescrizione, va tenuto conto dell’indirizzo espresso da questo Consiglio all’epoca dei fatti per cui si procede, secondo cui, in tema di pregiudiziale amministrativa, il termine iniziava a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento del provvedimento produttivo del danno, in quanto, essendo necessario il previo annullamento dell’atto amministrativo, la pretesa risarcitoria poteva farsi valere solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, in applicazione della regola civilistica secondo cui la prescrizione comincia a decorrere non già da quando il diritto è sorto, bensì da quando il diritto può essere fatto valere ex art. 2935 c.c. (Cons. Stato n. 5453 del 2008).

La giurisprudenza di legittimità ha, altresì, ritenuto che, se il termine di prescrizione per il risarcimento del danno extracontrattuale conseguente ad un atto illegittimo della P.A. inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, il ricorso giurisdizionale contro un provvedimento della pubblica amministrazione causativo di un danno extracontrattuale può valere ad interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, a condizione vi sia un atto interruttivo ritualmente inserito dall’interessato nel processo (Cass. n. 4846 del 2010).

10.2. Ciò premesso, le doglianze illustrate con il primo e secondo motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono infondate e vanno respinte.

Come si è detto nella parte in fatto, con il giudizio di primo grado, G D R ha proposto domanda di risarcimento del danno nei confronti della Regione Toscana assumendo che, a causa della decisione n. 263 del 15 febbraio 1995 del CO.RE.CO, annullata con sentenza n. 1740 del 2008 dal T.A.R. per la Toscana, l’amministrazione non aveva provveduto a dare seguito all’affidamento dell’incarico professionale per la progettazione esecutiva della bonifica e valorizzazione di un terreno di proprietà comunale.

Secondo i principi generali che regolano la responsabilità civile ex art. 2043 cod.civ., il danneggiato è gravato dell’ onus probandi di dimostrare gli elementi costitutivi del danno e la sua diretta consequenzialità rispetto all’illecito (nesso causale), l’ an e il quantum debeatur .

Invero, correttamente il Tribunale adito ha precisato che la mera illegittimità dell’atto amministrativo impugnato non è sufficiente per dichiarare la sussistenza di una responsabilità aquiliana per danni, dovendosi provare, oltre al nesso causale, la sussistenza del danno, e la colpa dell’amministrazione (Cons. Stato n. 6421 del 2014). Inoltre, ai fini del risarcimento del danno conseguente all’annullamento di un provvedimento, occorre che sia provata in modo certo la spettanza del bene della vita e la correlata lesione derivante dal provvedimento illegittimo, e va verificato anche se l’annullamento per vizio del procedimento sia avvenuto a seguito di una illegittimità di natura formale o di carattere sostanziale (Cons. giust. Amm. Sic. Sez. giurisd. 16.7.2015, n. 555).

10.3. Ciò premesso, partendo dall’esame dell’elemento psicologico della condotta, nonostante la declaratoria di illegittimità dell’atto, di cui alla sentenza n. 1740 del 2008 del T.A.R. Toscana, nella specie non ricorre alcuna “colpa” dell’amministrazione, atteso che il provvedimento n. 263 del 1995 del CO.RE.CO., pur non attenendosi nello specifico alle richieste dei consiglieri comunali, ha, in sostanza, evidenziato profili formali di illegittimità dell’atto di conferimento dell’incarico professionale, che non hanno investito la struttura sostanziale del provvedimento amministrativo di cui è stato disposto l’annullamento. Si è più volte affermato, con indirizzo condiviso, che: “ l’azione di risarcimento conseguente all’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento illegittimo implica la valutazione dell’elemento psicologico della colpa, alla luce dei vizi che inficiavano il provvedimento stesso e della gravità delle violazioni imputabili all’amministrazione, secondo l’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo amministrativo nonché delle condizioni concrete in cui al operato l’amministrazione ,non essendo il risarcimento una conseguenza automatica della pronuncia del giudice della legittimità” Cons. stato n. 4189 del 2013, Cons. stato n. 14 del 2012).

Il giudice è, quindi, tenuto a valutare, esaminando la fattispecie concreta, la natura dei vizi riscontrati nel provvedimento, la gravità delle violazioni che si assumono imputabili all’amministrazione e, soprattutto, se le stesse evidenziano profili di colpa rilevanti ai fini di una tutela risarcitoria, in quanto ciò che rileva, per l’accoglimento della domanda, è la “spettanza del bene della vita”.

Come si è detto, tali aspetti non emergono nella fattispecie in esame, atteso che la natura formale dei vizi riscontrati nella decisione n. 263 del 1995 del CO.RE.CO. non rappresenta una manifestazione di condotte colpose imputabili all’amministrazione. Né può ritenersi ravvisabile, come invece si argomenta nel ricorso in appello, alcun vizio sintomatico di eccesso di potere. Dalla piana lettura della decisione n. 263 emerge all’evidenza l’insussistenza di illogicità, incoerenza e irragionevolezza della determinazione, atteso che il CO.RE.CO. ha semplicemente rilevato che l’atto non era in regola con i requisiti formali, non esprimendo alcuna valutazione di merito in ordine alla legittimità dell’ agere amministrativo sottoposto a controllo.

La decisione n. 263 del 1995 ha annullato la deliberazione della Giunta rilevando che: “ i)sulla proposta dell’incarico manca il parere del Segretario generale come previsto dall’art. 1, comma 3, del Regolamento Comunale per gli incarichi professionali;
ii) l’allegato alla deliberazione non è chiaro se sia stato predisposto sulla base di uno schema generale comunque approvato dal Consiglio Comunale, secondo l’art. 6, ultimo comma del Regolamento Comunale per gli incarichi professionali
”. Pertanto, la frase contenuta nella sentenza del T.A.R. Toscana n. 1740 del 2008, che quel provvedimento ha annullato, secondo cui “ il controllo esercitato dal CO.RE.CO. è andato oltre i limiti ammessi dalla legge ” non sposta la valutazione del contenuto formale delle obiezioni espresse dall’organo di controllo sull’atto sottoposto al suo esame.

L’amministrazione comunale, pertanto, in disparte la riscontrata illegittimità del provvedimento, all’esito della decisione n. 263 del 1995, i cui contenuti motivazionali erano chiaramente comprensibili, avrebbe potuto riproporre un provvedimento dal contenuto analogo a quello emesso in precedenza, depurandolo dei vizi formali riscontrati.

L’assunto è linea con l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di questo Consiglio, che ha recentemente ribadito il principio secondo cui, qualora l’annullamento di un provvedimento amministrativo venga disposto per vizi formali (quali il difetto di istruttoria o di motivazione), non è riconoscibile il risarcimento del danno, in quanto in tal caso non è effettuato alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto nel provvedimento oggetto di impugnazione (Cons. Stato, sez. II, n. 2153 del 2021, ex multis Cons. Stato n. 2534 del 2020, Cons. Stato n. 1610 del 2019, Cons. Stato n. 3505 del 2017).

Invero: “ ai fini del risarcimento del danno conseguente all’annullamento di un provvedimento amministrativo dichiarato illegittimo per vizio procedimentale va distinta l’illegittimità di carattere c.d. sostanziale dall’illegittimità di natura formale, in quanto solo nel primo caso il vizio del provvedimento amministrativo costituisce titolo per il risarcimento del danno subito dall’interessato, purchè risulti comprovata, in modo certo, la spettanza del bene della vita da lui fatta valere e la correlata lesione derivante dal provvedimento illegittimo che, in quella particolare circostanza, contrasta in radice con i presupposti normativi per la sua adozione con un determinato contenuto;
e, per contro, la pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento qualora il vizio accertato non contenga alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, risolvendosi nel risconto di una violazione del procedimento di formazione del provvedimento, il che avviene in particolare quando, in seguito all’annullamento dell’atto impugnato, l’amministrazione conserva intatto il potere di rinnovare il procedimento, eliminando il vizio riscontrato
” (Cons. Stato n. 252 del 2015).

Va, quindi, confermato il principio enunciato nella sentenza impugnata, secondo cui qualora l’annullamento di un provvedimento amministrativo non escluda ma consenta il riesercizio del potere amministrativo, la domanda di risarcimento del danno non può essere valutata che all’esito della nuova manifestazione di detto potere, non potendo essere accolta ove persistano in capo all’amministrazione significativi spazi di discrezionalità. Infatti, mentre la caducazione dell’atto per vizi sostanziali vincola l’amministrazione ad attenersi, nella successiva attività, alle statuizioni del giudice, l’annullamento fondato su profili formali non elimina né riduce il potere della stessa di provvedere in ordine al medesimo oggetto dell’atto annullato, con solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l’illegittimità, sicchè non può ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale (Cons. Stato, n. 2534 del 2020).

10.4. Da siffatti rilievi consegue l’insussistenza della prova della spettanza del bene della vita fatto valere dal ricorrente. Ciò in ragione anche di altri aspetti, che vengono di seguito evidenziati.

Secondo la recente interpretazione offerta dalla giurisprudenza amministrativa, l’approdo alla tutela risarcitoria per perdita di chanche presuppone che ‘la chanche perduta sia seria’, presupposto che si può ritenere sussistente verificando con estremo rigore che la perdita della possibilità di un risultato utile sia effettivamente imputabile alla condotta altrui contraria al diritto (Cons. di Stato n. 4225 del 2018;
Cons. Stato n. 6268 del 2021).

La giurisprudenza prevalente distingue tra rilevante probabilità ( chance risarcibile) e mera possibilità ( chance non risarcibile) “ occorre distinguere tra probabilità di riuscita, che va considerata quale chance risarcibile e mera possibilità di conseguire l’utilità sperata, da ritenersi chance risarcibile;
il risarcimento del danno da perdita di chance richiede dunque l’accertamento di indefettibili presupposti di certezza dello stesso danno, dovendo viceversa escludersi tale risarcimento nel caso in cui l’atto, ancorchè illegittimo, abbia determinato solo la perdita di una mera ed ipotetica eventualità di conseguimento del bene della vita (…)“
(Cons. di Stato n. 4225 del 2018).

La “perdita di una mera ed ipotetica eventualità di conseguimento del bene della vita” per l’appellante è chiaramente desumibile dalle argomentazioni sopra espresse, le quali vengono ulteriormente confortate dalle riflessioni che seguono.

L’esame della domanda risarcitoria impone al giudice di tenere conto delle circostanze del caso concreto e del comportamento assunto dalle parti, secondo i criteri fissati dall’art. 1227 cod. civ. e dall’art. 30 c.p.a. (Cons. Stato Sez. V, n. 6296 del 2011);
sicchè, nella vicenda in esame, sono oggetto di valutazione quei comportamenti assunti da chi asserisce di aver subito un pregiudizio, dai quali si prospetta una chiara violazione dell’ordinaria diligenza. Si fa riferimento al fatto che l’appellante non ha mai prodotto in giudizio alcuna comunicazione intercorsa tra il Comune di Firenze rivolta a sollecitare il riaffidamento dell’incarico professionale dopo l’annullamento della delibera n. 4553 di conferimento (per vizi formali) da parte di CO.RE.CO., incarico che, come si è detto, poteva essere rinnovato, tenuto conto della natura dei vizi riscontrati (la circostanza è stata valorizzata dalla Regione Toscana nelle memorie di replica)

Il Collegio, inoltre, non può non condividere la riflessione del giudice di prima istanza, il quale precisa: “ d’altro canto, l’argomentazione di parte, secondo cui… la delibera di Giunta n. 4553 annullata dal CO.RE.CO. non rientrava tra i provvedimenti sottoponibili a controllo preventiva di legittimità, farebbe emergere anche profili di responsabilità del Comune di Firenze che, tuttavia, non è stato evocato in giudizio”.

Sotto altro profilo, con riferimento al c.d. aliunde receptum, non può non tenersi conto del fatto che i rapporti professionali tra l’appellante e il Comune di Firenze sono continuati nel corso degli anni.

L’adito Tribunale ha rappresentato che, a seguito della quasi contemporaneità di due incarichi professionali, il danno da lucro cessante (o da partita di chance ) lamentato dal ricorrente deve ritenersi completamente eliso dalla seconda delle commesse ricevute dal medesimo Comune, quasi nello stesso periodo di quello per cui si procede.

La Regione Toscana, con memorie di replica, ha, altresì, evidenziato come lo stesso giudizio al T.A.R. avverso la deliberazione del CO.RE.CO. sia rimasto giacente nell’inerzia del ricorrente dal maggio 1995 fino al 2006, anno in cui è stata proposta istanza di fissazione udienza.

Dalla valutazione complessiva delle suddette circostanze, unitariamente considerate, il Collegio desume che il comportamento tenuto dall’appellante è stato contrario all’ordinaria diligenza tanto da escludere, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. e dell’art. 30, terzo comma c.p.a., la responsabilità dell’amministrazione, anche laddove, in ipotesi, fosse stata tenuta al risarcimento del danno (Cons. Stato, n. 6296 del 2011).

Nella fattispecie, la rilevante probabilità del risultato utile non è stata frustrata dall’agire dell’amministrazione (Cons. Stato n. 2907 del 2018), atteso che il professionista aveva al tempo la semplice possibilità di conseguire il risultato sperato, con la conseguenza che su questi presupposti non può mai fondarsi l’accoglimento della domanda risarcitoria non venendo in rilievo un giudicato di spettanza (Cons. Stato n. 826 del 2018;
Cons. Stato n. 1615 del 2017), posto che l’annullamento della delibera di conferimento dell’incarico per vizi meramente formali, non riguardanti aspetti sostanziali dell’agire dell’amministrazione, di fatto non ha impedito il riesercizio, con esito libero, del riaffidamento dell’incarico agli stessi professionisti.

11. Va respinto anche il quinto motivo di ricorso, atteso che, in materia di spese processuali, la compensazione è subordinata alla presenta di gravi ed eccezionali ragioni (Cass. n. 1950 del 2022), nella specie non ravvisabili, in quanto la soccombenza costituisce un’applicazione del principio di causalità (Cass. n. 21823 del 2021).

Ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta certezza che presentino, la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 3977 del 2020). Tali presupposti, sulla base delle illustrate argomentazioni, devono ritenersi insussistenti nella fase del giudizio di prima istanza.

12. In definitiva, l’appello va respinto. L’andamento della lite e la peculiarità della vicenda processuale giustificano, invece, con riferimento a questo grado di giudizio, la compensazione delle spese di lite.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi