Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-01-15, n. 202000381

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-01-15, n. 202000381
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000381
Data del deposito : 15 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/01/2020

N. 00381/2020REG.PROV.COLL.

N. 08315/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8315 del 2016, proposto dal sig.-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G M, domiciliato presso la Segreteria della IV Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

contro

Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – Bari - Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il consigliere Luca Lamberti e uditi per le parti l’avvocato Giacomantonio Russo Walti su delega dell’avvocato G M e l'avvocato dello Stato Maria Letizia Guida;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Oggetto del presente giudizio è il provvedimento del 1 marzo 2012, con cui il Direttore generale per il personale militare del Ministero della difesa ha inflitto al ricorrente, brigadiere dell’Arma dei carabinieri in s.p.e., la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, a seguito della -OMISSIS-, disposta dal Tribunale di Milano con sentenza in data 14 luglio 2009 per il-OMISSIS-.

L’Amministrazione riteneva che i fatti ascritti all’odierno ricorrente (consistenti nella coltivazione di “ stretti rapporti ” con soggetto dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti, che ne ripagava la vicinanza con la cessione di “ modici quantitativi di cocaina e hashish, nonché altre regalie ”) fossero di gravità tale da “ richiedere l’applicazione della massima sanzione disciplinare di stato ”;
di converso, non sarebbe valsa in senso contrario la sentenza della Corte di Appello di Milano del 10 novembre 2010, con cui era stato dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato: in tale provvedimento giurisdizionale, infatti, era esplicitamente affermata la fondatezza dell’imputazione.

2. Il ricorrente impugnava l’atto, articolando una censura d’ordine procedimentale (asserito superamento dei termini fissati ex lege per il procedimento disciplinare) ed una di carattere sostanziale (asserita violazione del principio di proporzionalità).

All’esito del giudizio di prime cure (nel corso del quale l’istanza cautelare formulata dal ricorrente veniva respinta, per difetto del fumus boni juris , sia dal T.a.r., sia dal Consiglio di Stato), il T.a.r. rigettava il ricorso con l’onere delle spese.

3. Il ricorrente proponeva appello, in cui coltivava la sola censura afferente all’assunta violazione del principio di proporzionalità ed instava altresì, in subordine, per la riforma della sentenza impugnata quanto al regolamento delle spese.

Si costituiva in resistenza l’Amministrazione.

In vista della trattazione del ricorso parte ricorrente depositava memoria e parte resistente memoria di replica.

Il ricorso veniva discusso alla pubblica udienza del 12 dicembre 2019 e, quindi, introitato per la decisione.

4. Il ricorso non merita accoglimento.

4.1. Il Collegio osserva, preliminarmente, che la memoria depositata dal ricorrente in data 12 novembre 2019 è tardiva per violazione del termine a ritroso di 30 giorni liberi sancito dall’art. 73 c.p.a. e, dunque, inutilizzabile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 5649 del 2012);
inoltre, la censura ivi introdotta è inammissibile perché nuova rispetto al ricorso di primo grado e, oltretutto, tardiva ex artt. 92 e 101 c.p.a (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 5277 del 2018).

4.2. Ciò premesso, il Collegio rileva che la censura di violazione del principio di proporzionalità è infondata.

Invero, il principio di proporzionalità consiste in un canone legale di raffronto che consente di rilevare macroscopici profili di abnorme distonia fra condotta e sanzione, escluso ogni controllo del merito dell’azione amministrativa: il principio, in sostanza, veicola un mero riscontro ab externo della scelta amministrativa, strutturalmente incapace di penetrarne il nucleo vivo, afferente alla sfera discrezionale riservata.

Più in generale, possono richiamarsi, sul punto, le argomentazioni svolte nelle pronunce di questa Sezione n. 1302 del 22 marzo 2017 e n. 5053 del 2 novembre 2017, con particolare riferimento:

- all’ampio spatium deliberandi riconosciuto dalla legge alla potestà sanzionatoria dell’Amministrazione militare, non prosciugato né circoscritto dall’eventuale emanazione, in sede penale, di pronuncia dichiarativa della prescrizione del reato;

- al fatto che -OMISSIS-riveste, per gli appartenenti all’Arma dei carabinieri, un carattere di frontale ed intollerabile violazione dei doveri di stato, atteso che l’Arma costituisce un Corpo militare dello Stato specificamente preposto, tra l’altro, proprio al contrasto della diffusione degli stupefacenti ed alla repressione dei reati connessi al relativo commercio.

4.3. Ad abundantiam , il Collegio osserva che:

- negli atti del procedimento, debitamente richiamati nel provvedimento impugnato, l’Amministrazione ha operato un’analitica ricostruzione dei fatti;

- i precedenti di servizio del ricorrente non lumeggiano un percorso professionale di particolare rilievo (il ricorrente risulta avere sempre conseguito, nell’arco della carriera, la qualifica di “ nella media ”, con l’eccezione di due periodi, in cui ha riportato la qualifica di “ inferiore alla media ”;
in un’occasione, inoltre, ha ricevuto la sanzione disciplinare del “ rimprovero ”);

- la (per vero relativa) risalenza della condotta delittuosa non ha, di per sé, rilievo ostativo all’emanazione della massima sanzione di stato, in considerazione dell’oggettiva gravità dei fatti.

4.4. Di converso, l’infondatezza del ricorso giustifica appieno, in considerazione del disposto dell’art. 26 c.p.a., la condanna alle spese disposta dal Tribunale.

Invero, la regolazione delle spese costituisce esercizio di potere discrezionale del Giudice nel quadro di quanto prescritto dagli artt. 91 ss. c.p.c. - non censurabile in sede di impugnazione se non in presenza di evidenti abnormità (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, n. 5400 del 2015) - e la compensazione delle medesime è da ritenersi evento eccezionale (cfr. Corte cost. n. 77 del 2018;
successivamente Cons. Stato, sez. III, n. 4275 del 2018).

5. Per le esposte ragioni, pertanto, il ricorso deve essere respinto con l’onere delle spese, liquidate come in dispositivo.

In proposito, il Collegio osserva che la pronuncia si basa su ragioni manifeste, sì che risultano integrati i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 1, c.p.a., secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. IV, nn. 1117 e 1186 del 2018;
Sez. IV, 24 maggio 2016, n. 2200;
Cass. civ., Sez. VI, 2 novembre 2016, n. 2215, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d], c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria).

La condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2- quinquies , lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, n. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208.

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