Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-10-12, n. 201604214

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-10-12, n. 201604214
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201604214
Data del deposito : 12 ottobre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/10/2016

N. 04214/2016REG.PROV.COLL.

N. 09498/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9498 del 2015, proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Di C A s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato C D V C.F. DLLCRL63H10H501W, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via V. Bachelet, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’Abruzzo – sez. staccata di Pescara, sez. I, n. 177/2015.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Di C A s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2016 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni per l'Amministrazione appellante e l’avvocato C D V per la società appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. A seguito di verifiche svolte fra il 2013 e il 2014, l’Ufficio delle dogane di Pescara ha accertato il mancato versamento, da parte della società Di C A s.r.l., delle accise relative alle estrazioni a consumo dei prodotti alcolici avvenute a far data dal 16 ottobre 2013, per un importo complessivo superiore a euro 311.000.

2. In seguito, rilevato che la società - in violazione del divieto posto dall’art. 3, comma 4, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (c.d. testo unico delle accise;
d’ora in avanti: T.U.A.) - aveva continuato l’estrazione dal deposito fiscale di prodotti alcolici prima dell’estinzione del debito d’imposta, ha disposto dapprima la sospensione dell’attività e poi - con provvedimento n. 7664 dell’11 marzo 2014 - la revoca della licenza fiscale di esercizio ai sensi dell’art. 5, comma 5, T.U.A.

3. La società ha impugnato il provvedimento di revoca, proponendo un ricorso che il T.A.R. per l’Abruzzo – Pescara, sez. I, ha accolto con sentenza 20 aprile 2015, n. 177, ritenendo che - alla luce delle concrete circostanze e secondo una lettura della disciplina di settore costituzionalmente orientata - la revoca della licenza fosse sproporzionata e non assistita da una sufficiente istruttoria, in quanto lo svolgimento dell’attività di impresa, sebbene irregolare, sarebbe utilmente attuato con vantaggio anche della stessa Amministrazione, peraltro garantita dalla polizza fideiussoria offerta dalla ricorrente (e accettata dall’Agenzia), comunque beneficiaria del pagamento di un acconto di euro 25.000, destinataria di una richiesta di rateizzazione del debito d’imposta con contestuale autorizzazione a riprendere l’attività di prelievo dal deposito fiscale.

4. L’Amministrazione ha interposto appello contro la sentenza e ne ha anche chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva, formulando una domanda cautelare che la Sezione ha accolto con ordinanza 4 dicembre 2015, n. 5443.

5. L’Amministrazione deduce:

a) l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse. Dopo che il T.A.R. aveva accolto “ai fini di un riesame motivato” la domanda cautelare della società ricorrente (ordinanza 8 settembre 2014, n. 128), l’Amministrazione ha provveduto a rinnovare l’istruttoria, procedendo al riesame del provvedimento impugnato e adottando un nuovo provvedimento di conferma della revoca (n. 29690 dell’8 dicembre 2014). Questo, essendo espressione di una nuova e autonoma valutazione della situazione, non avrebbe natura di atto solo confermativo e avrebbe dovuto dunque essere autonomamente impugnato, in quanto sostitutivo del provvedimento precedente. In difetto di ciò, l’interesse al ricorso originario sarebbe venuto meno;

b) il carattere vincolato e non discrezionale del provvedimento di revoca, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 5 T.U.A.;

c) nel merito, la legittimità del proprio comportamento, riguardo all’accertamento della sussistenza di un ingente debito di imposta insoluto e iscritto a ruolo, dell’estrazione di prodotti dal deposito fiscale senza fattura, senza dichiarazione telematica e senza pagamento di imposta, alle consultazioni intervenute con Equitalia Centro s.p.a., alla considerazione che la controparte avrebbe comunque potuto proseguire nell’attività commerciale di prodotti “ad accisa assolta”, senza dunque essere costretta a cessare l’impresa e a licenziare i dipendenti (come invece erroneamente ipotizzato dal T.A.R.).

6. La società Di Cicco si è costituita in giudizio per resistere all’appello, contestandone gli argomenti.

7. All’udienza pubblica del 6 ottobre 2016, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

8. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.

9. Il primo motivo dell’appello è fondato.

9.1. A questo proposito, va ricordata la costante giurisprudenza elaborata in tema di atto di conferma.

9.2. Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l'atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi. In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l'atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dare luogo a un atto propriamente di conferma, in grado, come tale, di costituire un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione. Ricorre invece l'atto meramente confermativo quando l'amministrazione, a fronte di un'istanza di riesame, si limita a dichiararne l'esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2014, n. 1805;
sez. IV, 12 febbraio 2015, n.758;
sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 812).

9.3. Nella vicenda, il remand disposto dal primo giudice si articolava lungo tra direttrici: il pagamento dei debiti, la possibilità di svolgere l’attività d’impresa, quella di evitare l'eventuale fallimento.

9.4. Prima di giungere alla conferma della revoca, il successivo provvedimento n. 29690/2014 espone una dettagliata analisi della situazione debitoria della società, osserva che la revoca non impedisce “la prosecuzione dell’attività commerciale di prodotti ad accisa assolta, come da autorizzazione all’esercizio libero dell’opificio di trasformazione dei prodotti alcolici prot. A/8766 del 28/04/2014 ed autorizzazione alla figura professionale di destinatario registrato rilasciata in data 29/04/2014 con prot. A/8836”, rileva che nessuna procedura concorsuale è pendente e che la revoca del titolo non incide sull’eventualità che la società fallisca.

9.5. E’ indubbio che, così facendo, l’Amministrazione abbia compiuto una nuova e articolata istruttoria, il cui atto conclusivo rappresenta l’esito di una rinnovata valutazione della situazione controversa. Atto di conferma per le ragioni che si sono dette, dunque;
e perciò atto che ha preso il posto di quello impugnato in primo grado e che, per essere dotato di una propria e autonoma efficacia lesiva, avrebbe richiesto una separata impugnazione, la mancanza della quale rende il ricorso introduttivo improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, trasferendosi l'interesse del ricorrente dall'annullamento dell'atto impugnato, sostituito dal nuovo provvedimento, a quest'ultimo.

9.6. Non vale a giungere a conclusioni di segno diverso l’argomento svolto in sede di discussione orale dalla difesa della parte privata, secondo la quale l’impugnazione del nuovo provvedimento dell’Agenzia sarebbe da intendersi comunque ritualmente proposta, per essere stato il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado rivolto avverso anche “ogni altro provvedimento presupposto e/o connesso e/o consequenziale”. Infatti, secondo una costante giurisprudenza, formule di stile di tal genere non sono idonee a identificare uno specifico oggetto di impugnativa anche perché, ove mai fossero invece considerate idonee allo scopo, finirebbero per ledere il diritto alla difesa della controparte, costituzionalmente garantito, che per potersi esplicare pienamente presuppone la precisa determinazione del petitum processuale (Cons. Stato, sez. IV, 21 giugno 2001, n. 3346;
sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6711;
sez. VI, 20 maggio 2009, n. 3105;
sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36). Né infine, anche in punto di fatto, sarebbe possibile consentire su ciò, che un ricorso spedito per la notifica in data 9 maggio 2014 abbia esteso i suoi effetti a un atto adottato il successivo 8 dicembre.

10. Accolto il primo motivo dell’appello, per ragioni di economia processuale non occorre esaminare gli altri due, che restano assorbiti (Cons. Stato, ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5).

11. Con particolare riferimento al secondo motivo, tuttavia, il Collegio ritiene opportuno - in omaggio a esigenze di necessaria completezza della decisione su una questione delicata, quale quella che viene in esame in questa sede - esprimere il proprio dissenso rispetto alla tesi su cui il T.A.R. ha fondato la propria decisione. Infatti, i rigidi passaggi degli artt. 3, comma 4, e 5 T.U.A. sono scanditi a tutela del pubblico interesse e non lasciano margine alcuno a un apprezzamento discrezionale (da esercitarsi per di più al metro di generici parametri costituzionali) che potrebbe mettere a rischio proprio quell’interesse generale al puntuale ed esatto pagamento che le disposizioni ricordate intendono invece tutelare;
dal che discende che la revoca della licenza di esercizio (come già ha anticipato la Sezione in sede cautelare) è conseguenza ex lege (propriamente: una decadenza) dell’incontestato inadempimento dell’obbligo di versare le accise dovute.

12. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello dell’Amministrazione è fondato e va pertanto accolto, con declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse. Ne conseguono l’annullamento senza rinvio della sentenza gravata e la conferma del provvedimento impugnato.

13. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).

14. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

15. La novità della controversia nei suoi profili sostanziali giustifica la composizione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

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