Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-29, n. 201600812

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-29, n. 201600812
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600812
Data del deposito : 29 febbraio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08657/2015 REG.RIC.

N. 00812/2016REG.PROV.COLL.

N. 08657/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8657 del 2015, proposto da:
Sinergie s.p.a., in proprio e quale mandataria del R.T.I. con T s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati A P, G T, con domicilio eletto presso Michela Reggio D'Aci in Roma, via degli Scipioni, 288;

contro

C s.p.a. a socio unico, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. A B, con domicilio eletto presso Marco Selvaggi in Roma, via Nomentana, 76;

nei confronti di

S s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Marcello Clarich, con domicilio eletto presso il medesimo difensore in Roma, viale Liegi, 32;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio - Roma: Sezione III n. 09350/2015, resa tra le parti, concernente affidamento servizio integrato energia per le pubbliche amministrazioni


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di C s.p.a. e di S s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2015 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Trovato, Bianchi e Clarich;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con bando pubblicato il 23 maggio 2012 sulla G.U.R.I., la C s.p.a. ha indetto una gara per l’affidamento del servizio integrato energia per le P.A., diviso in dodici lotti geografici.

Per il lotto 10 (Basilicata e Calabria) si è classificata al primo posto la S s.p.a. (punti 90,387), seguita dall’A.T.I. con mandataria Sinergie s.p.a. (punti 88,342).

Con determinazione del 12 settembre 2014, C ha disposto l’aggiudicazione definitiva in favore di S.

Avuto notizia della sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 12 novembre 2014, n. 5573, resa in una controversia asseritamente analoga, Sinergie ne ha chiesto C l’annullamento in autotutela, sostenendo che, per effetto del contratto di cessione del ramo d’azienda stipulato il 28 dicembre 2012 con Gestione Integrata s.r.l., l’aggiudicataria, in pendenza di gara, avesse perso i requisiti del fatturato specifico e quello di qualificazione per la categoria OG11, richiesti dalla lex specialis .

Il relativo procedimento è stato avviato, ma non si è concluso nel senso auspicato dalla società istante. Con determinazione n. 1700 del 22 gennaio 2015, C ha dichiarato l’insussistenza dei presupposti per l’annullamento dell’aggiudicazione e ha quindi stipulato la convenzione con S.

2. Sinergie ha impugnato tale determinazione insieme con gli atti presupposti, connessi e conseguenti, proponendo un ricorso al T.A.R. per il Lazio, il quale (sez. III, 13 luglio 2015) ha respinto alcune eccezioni di rito (la determina impugnata avrebbe natura di vero e proprio atto di conferma) e - a fronte del ricorso incidentale di S, dichiarato poi inammissibile per difetto di interesse - ha rigettato il ricorso principale ritenendo che:

pur dopo la cessione del ramo d’azienda del 28 dicembre 2012, S sarebbe rimasta in possesso della richiesta classificazione per la categoria OG11, secondo quanto attestato in data 7 novembre 2013 da Protos SOA s.p.a.;

la stessa Protos SOA, già con la nota del 31 luglio 2013 e con specifico riferimento alla predetta cessione, avrebbe confermato che la cedente S manteneva la categoria OG11;

la predetta attestazione SOA del 7 novembre 2013, con carattere di certificazione, a norma dell’art. 40 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. codice degli appalti pubblici), e funzione in sostanza autorizzatoria, non risulterebbe oggetto di contestazione formale da parte della ricorrente;

l’art. 76, comma 11, del regolamento di esecuzione del codice (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207) - secondo cui l’impresa cedente può richiedere alla SOA una nuova attestazione, riferita ai requisiti abbinati al ramo d’azienda ceduto, solo sulla base di quelli acquisiti successivamente alla cessione predetta - rimarrebbe estraneo alla vicenda controversa, nella quale la cessione del ramo d’azienda non avrebbe prodotto per S la perdita dei requisiti in argomento;

sarebbero inconferenti, a vario titolo, i diversi precedenti giurisprudenziali invocati dalla società ricorrente.

3. Sinergie ha interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.

La società appellante analizza precedenti di giurisprudenza a sé favorevoli, a suo dire perfettamente coerenti con la fattispecie e ben più dettagliatamente motivati rispetto alla sentenza impugnata. A questi l’A.N.A.C. si sarebbe adeguata.

Sinergie reputa che il T.A.R. abbia travisato il contenuto e gli effetti del negozio di cessione del ramo di azienda, dandone una lettura inammissibilmente restrittiva;
sostiene poi l’irrilevanza dell’attestazione di Protos del 7 novembre 2013, che sarebbe incapace di porre rimedio alla soluzione di continuità nel possesso dei requisiti di qualificazione e di fatturato che la cessione avrebbe di per sé prodotto.

In conclusione, l’appellante chiede il risarcimento in forma specifica, con aggiudicazione definitiva e subentro nel rapporto, e, per il lasso di tempo non coperto dalla nuova convenzione da stipularsi, il risarcimento per equivalente del danno sofferto, quantificato secondo un’offerta che la stazione appaltante dovrebbe formulare entro trenta giorni dalla sentenza.

4. Si sono costituiti per resistere all’appello le società S e C, che hanno affidato le proprie difese a successive memorie.

5. C considera l’appello inammissibile (mancherebbero le specifiche censure contro i capi della sentenza gravati) e infondato nel merito. A questo riguardo, ritiene non decisivi i precedenti di giurisprudenza citati dalla controparte, ai quali ne contrappone altri di segno diverso e svolge nel dettaglio argomenti per contrastare le tesi avversarie.

C difende la legittimità del proprio operato. Suo compito sarebbe stato verificare il possesso della SOA - attestata dagli organismi competenti - da parte dei concorrenti, senza potere o dovere interpretare il contratto di cessione di azienda. Essa avrebbe anzi svolto vari controlli sul casellario dell’A.V.C.P. e dalle verifiche sarebbe emersa la validità dell’attestazione presentata dall’aggiudicataria. L’appello di Sinergie finirebbe per risolversi in un illegittimo giudizio di illegittimità di un’attestazione SOA mai impugnata.

6. S, dal canto suo, propone anche appello incidentale, sostenendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto le eccezioni di tardività e inammissibilità del ricorso di Sinergie.

Per la società, il ricorso introduttivo della controparte sarebbe irricevibile per tardività rispetto all’aggiudicazione definitiva del 12 settembre 2014. Il termine di decadenza non potrebbe essere aggirato per effetto del procedimento di autotutela, chiusosi con un atto che, limitandosi a dichiarare l’insussistenza dei presupposti per l’annullamento dell’aggiudicazione, non sarebbe qualificabile come atto di conferma. Il ricorso sarebbe inoltre inammissibile per difetto di interesse, perché l’eventuale annullamento del provvedimento di diniego di autotutela non potrebbe far venire meno un’aggiudicazione definitiva e ormai inoppugnabile, a meno di non cadere nel paradosso di affermare che tale inoppugnabilità si sarebbe prodotta solo se C avesse ignorato la richiesta di autotutela.

La sentenza sarebbe poi erronea nella parte in cui non ha esaminato e accolto il ricorso incidentale di S che, sollevando un’eccezione di carenza di legittimazione della controparte, avrebbe avuto natura escludente e avrebbe perciò dovuto essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale. Nello specifico, la mandante Tagliente s.p.a. avrebbe dichiarato di soddisfare il requisito di partecipazione del possesso di fatturato, prescritto dal bando, mediante un contratto di avvalimento, stipulato con Sinergie, dal contenuto assolutamente generico e indeterminato, come generiche e indeterminate sarebbero le dichiarazioni prodotte dalla stessa Sinergie. Mancando la puntuale indicazione delle risorse destinate allo scopo, il contratto e le dichiarazioni sarebbero astratti e dunque invalidi e inefficaci. Tali conclusioni non muterebbero se l’avvalimento fosse qualificato non come operativo, ma di garanzia.

L’appello di Sinergie, infine, sarebbe inammissibile e infondato. Con il contratto di cessione S avrebbe inteso trasferire a Gestione Integrata solo un circoscritto ramo d’azienda, consistente in una propria sotto-organizzazione aziendale, mantenendo dunque i requisiti relativi. Una diversa ricostruzione della vicenda sarebbe contraria al principio costituzionale della libertà di impresa e confliggerebbe anche con la normativa europea. In subordine, S chiede sia sollevata la questione pregiudiziale di fronte alla Corte di giustizia.

7. Con memoria datata 2 dicembre 2015, Sinergie ha replicato alle censure di irricevibilità e inammissibilità rivolte da S, con il proprio appello incidentale, contro il ricorso introduttivo. A detta di Sinergie, che cita giurisprudenza del Consiglio di Stato, questo sarebbe stato proposto contro un atto di conferma in senso proprio e non meramente confermativo, adottato al termine di una nuova istruttoria e secondo una nuova ponderazione degli interessi. Quanto alla sussistenza del requisito del fatturato specifico in capo alla mandante T, questo sussisterebbe per effetto di un contratto di avvalimento, stipulato con la stessa Sinergie, che, tutt’altro dal risolversi un mero prestito formale del requisito richiesto, sarebbe perfettamente valido ed efficace. Venendo in questione il fatturato, inoltre, non occorrerebbero particolari specificazioni in ordine alle risorse e ai mezzi messi a disposizione. Nella specie, infine, la garanzia della corretta esecuzione delle prestazioni affidate a T sarebbe rafforzata dall’essere entrambe le imprese elemento costitutivo (l’una come mandante, l’altra come mandataria) del medesimo operatore economico R.T.I.

8. Con memoria del 10 dicembre scorso, C richiama le proprie difese, cita giurisprudenza recente e aderisce all’appello incidentale di S.

9. Quest’ultima ha depositato nuova documentazione.

10. Alla camera di consiglio del 15 dicembre 2015, la domanda cautelare è stata chiamata e trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Nella sussistenza dei requisiti di legge e avendone informato le parti costituite e presenti in camera di consiglio, il Collegio è dell’avviso di poter definire sin d’ora il giudizio nel merito con sentenza in forma semplificata, a norma del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a.

2. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.

3. Va esaminato anzitutto l’appello incidentale di S, dall’eventuale accoglimento del quale deriverebbe l’irricevibilità o l’inammissibilità per difetto di legittimazione del ricorso originario di Sinergie.

In primo luogo, S riafferma la tardività del ricorso presentato dalla controparte primo grado, proposto quando i termini per impugnare l’aggiudicazione definitiva sarebbero ampiamente scaduti, e considera infondata la tesi del Tribunale territoriale che, nel respingere l’eccezione, ha ritenuto che l’atto emesso da C all’esito del procedimento di autotutela avrebbe carattere di vero e proprio atto di conferma.

Come detto, i fatti non sono contestati.

Dopo l’aggiudicazione definitiva del 12 settembre 2014 Sinergie - traendo spunto dalla sopravvenuta pubblicazione di una decisione di questo Consiglio di Stato, pronunziata in vicenda analoga - ha chiesto a C di esercitare i propri poteri di autotutela e di avviare un’istruttoria per accertare il possesso in capo a S dei requisiti di partecipazione alla gara (nota dell’11 dicembre 2014).

Con nota del successivo 17 dicembre C ha iniziato il procedimento richiesto che, in data 22 gennaio 2015, si concluso con l’affermazione dell’insussistenza dei presupposti per l’annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione.

Sinergie ha quindi impugnato tale provvedimento innanzi al T.A.R.

4. Il Collegio è consapevole che, sul punto specifico, la giurisprudenza offre orientamenti non univoci.

Secondo una prima tesi, il termine previsto per la proposizione di ricorsi davanti al giudice amministrativo avverso l'aggiudicazione di una gara pubblica non può essere riaperto sollecitando il potere di autotutela dell'Amministrazione. Pertanto il concorrente non aggiudicatario di un pubblico appalto che non abbia tempestivamente impugnato l'atto lesivo dell'aggiudicazione ad altro candidato non può essere così rimesso in termini, posto che la richiesta di un intervento in autotutela conseguirebbe l'elusione del sistema dei termini decadenziali e vanificherebbe l'esistenza di una celere definizione della lite, propria della normativa sulle gare pubbliche (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2554;
Id., sez. III, 2 settembre 2013, n. 4356).

Un diverso indirizzo sostiene che, quando la stazione appaltante non si sia attivata ai sensi dell’art. 243 bis del codice degli appalti (nel qual caso varrebbe il disposto del comma 3), ma abbia instaurato un diverso e autonomo procedimento di autotutela, che si concluda con un provvedimento di conferma assunta sulla base di nuovi accertamenti e approfondimenti, questo abbia natura novativa e non confermativa della determinazione in precedenza assunta e quindi faccia decorrere un nuovo termine per impugnare (sez. V, 21 novembre 2014, n. 5747).

5. Il Collegio ritiene di seguire tale secondo filone, reputandolo maggiormente coerente con la costante giurisprudenza elaborata in tema di atto di conferma.

E’ infatti corretta la tesi che, allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l'atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi. In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l'atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dare luogo a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione. Ricorre invece l'atto meramente confermativo quando l'Amministrazione, a fronte di un'istanza di riesame si limita a dichiararne l'esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2014, n. 1805;
Id., sez. IV, 12 febbraio 2015, n.758).

Nella vicenda, è indubbio che C abbia compiuto una nuova e articolata istruttoria - esposta nel dettaglio nelle quattro pagine in cui si articola la nota n. 1700/2015;
nell’ambito del procedimento S ha ampiamente controdedotto -, all’esito della quale la stessa C ha espresso una valutazione definitiva, dichiarando di considerare insussistenti i presupposti per l’annullamento dei provvedimenti di aggiudicazione contestati (fra quello oggetto della presente lite).

6. Il Collegio ritiene dunque il ricorso originario di Sinergie tempestivo, in quanto rivolto contro un atto di vera e propria conferma e non meramente confermativo. Né è un’obiezione risolutiva quella per cui tale ricorso sarebbe comunque inammissibile per carenza di interesse, posto che l’annullamento giurisdizionale del provvedimento di autotutela non potrebbe avere alcuna incidenza sull’aggiudicazione definitiva, divenuta ormai inoppugnabile.

In disparte la petizione di principio che si cela nell’affermazione dell’intangibile inoppugnabilità dell’aggiudicazione, nonostante il procedimento e il provvedimento di autotutela, va ricordato che, secondo quella stessa giurisprudenza, l'adozione di un nuovo atto, quando non sia meramente confermativo di un provvedimento precedente già oggetto di impugnazione giurisdizionale, ma costituisca (nuova) espressione di una funzione amministrativa, comporta la pronuncia d'improcedibilità del (l’eventuale) giudizio in corso per sopravvenuta carenza di interesse, trasferendosi l'interesse del ricorrente dall'annullamento dell'atto impugnato, sostituito dal nuovo provvedimento, all'annullamento di quest'ultimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 758 del 2015, cit.).

7. S ripropone poi il ricorso incidentale di primo grado, con il quale contesta la validità e l’efficacia del contratto di avvalimento intercorso fra Sinergie e la mandante Tagliacarne s.p.a.

Il ricorso ha natura pacificamente escludente perché, se fosse fondato, Sinergie avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara e risulterebbe dunque priva della legittimazione a impugnare (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 30 gennaio 2014, n. 7, e 25 febbraio 2014, n. 9).

Il bando di gara prevedeva come requisito specifico il possesso di un determinato fatturato realizzato nell’ultimo triennio per servizi analoghi a quello oggetto dell’appalto Il disciplinare ne prescriveva poi il possesso da parte del R.T.I. nella sua interezza e di ciascun singolo componente.

Sinergie ha dichiarato il possesso del requisito in proprio. Tagliacarne ha richiamato il contratto di avvalimento stipulato con la mandataria del raggruppamento.

Secondo S, il contratto e le correlate dichiarazioni degli altri concorrenti (che si leggono in atti) avrebbero un contenuto assolutamente generico e indeterminato.

Ne seguirebbe l’invalidità e l’inefficacia del contratto di avvalimento per violazione dell’art. 49 del codice degli appalti e dell’art. 88 del d.P.R. n. 207 del 2010.

8. Come la Sezione ha avuto modo di osservare in altra occasione (16 gennaio 2014, n. 135, ove citazioni), la giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di avvalimento si è ormai consolidata attorno ad alcuni punti fermi:

sul piano della finalità, l’istituto - di ben conosciuta origine comunitaria - è inteso a promuovere la concorrenza, ampliando la platea dei possibili concorrenti alle gare indette dalle Amministrazioni, consentendo a imprese, di per sé sprovviste di determinati requisiti, di fare propri quelli a esse “prestati” da altri operatori economici;

il limite di operatività dell’istituto, di per sé suscettibile di un amplissimo campo operativo, è dato da ciò, che la messa a disposizione del requisito mancante non deve risolversi nel prestito di un valore puramente cartolare e astratto, essendo invece necessario che dal contratto risulti chiaramente l’impegno dell’impresa ausiliaria a prestare le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti). In altri termini, è insufficiente allo scopo la sola e tautologica riproduzione, nel testo dei contratti di avvalimento, della formula legislativa della messa a disposizione delle "risorse necessarie di cui è carente il concorrente", o espressioni equivalenti.

L’impostazione ora riassunta consente di coniugare l’elasticità dell’istituto con l’esigenza di assicurare l’effettività dell’impegno assunto con il contratto, a tutela sia dell’interesse pubblico, che fa capo alla stazione appaltante (e che potrebbe essere facilmente eluso, se fosse consentito il ricorso a formule puramente verbali), sia delle regole di fondo dell’autonomia privata, secondo le quali la serietà dell’intento e la concretezza dell’obbligo, quali si manifestano nell’oggetto e nella causa negoziale, sono condizione necessaria perché l’accordo delle parti produca l’effetto vincolante tipico dell’atto di autoregolamento.

Sulle considerazioni che precedono vi è accordo unanime, in termini generali.

Il problema nasce piuttosto quando di tali affermazioni di principio occorre fare applicazione pratica in relazione al caso concreto.

Così appunto è dell’ipotesi di specie, nella quale la società appellante e quella appellata, pur convenendo entrambe su quei criteri generali appena detti, ne traggono poi divergenti conclusioni operative, per negare l’una, e affermare invece l’altra, la validità e l’efficacia del contratto di avvalimento oggetto della lite.

9. Il Collegio è dell’avviso che l’idoneità allo scopo del contenuto del contratto di avvalimento vada apprezzata in relazione alle particolarità del caso concreto.

Per meglio dire, l’esigenza di un contenuto “forte” ha uno specifico senso solo quando l'avvalimento riguardi risorse materiali (di prodotto, di processo o di progetto) o anche immateriali (quali brevetti, know how , ecc.) che incidono direttamente sull'organizzazione e l'operatività dell'impresa ausiliare. In tal caso, questa deve dedurre in contratto proprio la messa a disposizione del proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti: cfr. Cons. St., sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3310).

Quando, però, il requisito immateriale fornito riguardi, come nella specie, il solo dato finanziario, allora la rigorosa predeterminazione di tali mezzi e risorse, al di là d'ogni particolare solennità, non si elide, ma va intesa secondo le ordinarie regole sulla determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto, ai sensi dell'art. 1346 c.c.

In questi casi, la serietà della fornitura del requisito e delle relative risorse non va commisurata a tutta l'organizzazione aziendale dell'ausiliare, né alla necessaria e specifica definizione a priori di ogni singola risorsa economica che si intenda render disponibile all'impresa ausiliata e delle relative modalità. Occorre aver riguardo piuttosto a come il requisito ausiliato si ponga e che peso abbia, nel sistema delineato dalla lex specialis , rispetto all'oggetto dell'appalto. Proprio per questo, il requisito solo finanziario non impone altro obbligo negoziale che l'impegno dell'impresa ausiliaria di rispondere, nei limiti che il requisito stesso ha nel contesto della gara, con le proprie e complessive risorse economiche quando, in sede esecutiva, la necessità sottesa al requisito si renda attuale. Ciò non implica per forza il coinvolgimento di aspetti specifici dell'organizzazione di detta impresa, che dunque non vanno necessariamente dedotti in contratto, salvo che non rispondano al concreto interesse della stazione appaltante, desumibile dall'indicazione del requisito stesso.

Nel caso di specie, il contratto di avvalimento lo considera espressamente esteso “ad ogni elemento inerente e costitutivo del predetto requisito di capacità, ovvero tutti i mezzi materiali, le risorse umane, le strutture e le attrezzature riconducibili all’esecuzione delle prestazioni di cui al fatturato sopra indicato ed in quanto strumentali alla realizzazione del relativo importo oggetto di avvalimento”.

Non si vede allora cosa allora dovesse dedursi nel contratto, quando poi solo si consideri che il requisito prestato serve essenzialmente ad accedere alla gara, non già ad arricchire un'impresa ausiliata che, nella specie, già possiede gli altri requisiti di partecipazione e che in realtà le uniche risorse da mettere a disposizione sono quelle economiche, senza effettivo coinvolgimento di mezzi o personale (per le considerazioni che precedono, si vedano Cons. Stato, sez. III, 6 febbraio 2014, n. 584;
Id., sez. III, 2 marzo 2015, n. 1020).

Il ricorso incidentale di S, ripresentato con l’appello incidentale, è infondato e va perciò respinto.

10. Passando all’esame dell’appello principale, va disattesa anzitutto l’eccezione di inammissibilità formulata da C. Sinergie formula un’articolata critica alla motivazione della sentenza impugnata e non si limita a richiamare - come invece sostiene C - la giurisprudenza favorevole alle proprie tesi.

11. C ventila inoltre l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio. Sinergie non avrebbe mai impugnato l’attestazione SOA rilasciata da Protos in data 7 novembre 2013, che attesterebbe il mantenimento delle categorie e delle classifiche di qualificazione possedute da S prima della stipula del contratto di cessione.

L’eccezione non è fondata.

Esaminando le medesime problematiche anche se con riguardo a una diversa stazione appaltante e a un’altra gara, il Consiglio di Stato (sez. III, n. 5573/2014) ha affermato, in termini del tutto condivisibili, che non sono qui in discussione né il rilievo pubblicistico, proprio dell'esercizio d'una funzione di certificazione, dell'attività svolta dalle SOA, pur essendo organismi privati, né l’assenza d'ogni reale soluzione di continuità nell'attestazione del mantenimento dei requisiti, in esito alla verifica triennale (così, per tutte, Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2013, n. 3397, citata da C).

In altri termini, non giova all’appellante il richiamo alla giurisprudenza consolidata secondo cui il rinnovo, come la verifica, di una SOA hanno effetti solutori della relativa validità solo quando venga accertata la perdita medio tempore dei requisiti di qualificazione posseduti, poiché il punto in discussione riguarda il contenuto e gli effetti di una cessione di ramo d’azienda, stipulata dall’impresa interessata con un impresa terza in pendenza di gara, se cioè essa possa giovarsi della regola di continuità o se questo invece non le sia consentito, stante l'effetto traslativo della cessione medesima (e v. anche sul punto Cons. Stato, sez. III, n. 2296/2015, cit., su opposizione di terzo proposta da Protos SOA).

Particolarmente illuminanti sono le seguenti considerazioni, che il Collegio condivide:

<<Protos afferma di essere controinteressata pretermessa.

Ad avviso del Collegio, tale posizione non sussiste.

Infatti, oggetto del giudizio erano l’esclusione di S per anomalia dell’offerta (ricorso principale) e l’ammissione di S nonostante il difetto dei requisiti di partecipazione (ricorso incidentale di CNS), e non investiva le attestazioni di qualificazione rilasciate da Protos a S ai sensi dell’art. 77 del d.P.R. n. 207/2010;
non solo il giudizio non riguardava dette attestazioni, ma, per quanto detto, non si è fatta neanche questione della loro validità. La Sezione, come in precedenza il T.A.R., si è limitata a considerare l’attestazione originaria del 9 novembre 2010 e la revisione triennale del 7 novembre 2013, per concludere (in applicazione dell’art. 76 del d.P.R. 207/2010) che, per effetto della cessione del ramo d’azienda, si era verificata una soluzione di continuità nel possesso dei requisiti che comportava il venir meno del requisito di qualificazione.

In altre parole, nella controversa pregressa non si discuteva della capacità di Protos di rilasciare le attestazioni in discorso, né comunque di alcun vizio – ascrivibile a Protos – che ne inficiasse o sminuisse la validità. Si discuteva, invece, della situazione in cui S si era venuta a trovare, per un fatto esclusivamente suo proprio, che le impediva (così ha giudicato il Consiglio di Stato) di continuare a giovarsi di quell’attestazione che pure aveva regolarmente ricevuto e che sarebbe stata di per sé pienamente valida se S non avesse ceduto il ramo di azienda.

Sembra evidente come Protos fosse non solo formalmente estranea, ma altresì sostanzialmente indifferente alla contestazione che riguardava, si ribadisce, una vicenda soggettiva di S.

Dunque, la società di attestazione non doveva essere chiamata in causa, né avrebbe potuto impugnare autonomamente i provvedimenti della cui legittimità si discuteva>>.

12. Nel merito della questione, come ampiamente riportato in narrativa, la questione si origina dal contratto di cessione d’azienda stipulato il 28 dicembre 2012 fra le società S e Gestione integrata che, nella ricostruzione della società appellante principale, avrebbe necessariamente comportato la perdita delle qualificazioni e dei fatturati richiesti a pena di esclusione dal bando di gara.

Tale bando richiedeva la qualificazione OG11, classifica VI.

Secondo l’allegato A al d.P.R. n. 207/2010, la qualificazione OG11 “riguarda, nei limiti specificati all’articolo 79, comma 16, la fornitura, l’installazione, la gestione e la manutenzione di un insieme di impianti tecnologici tra loro coordinati ed interconnessi funzionalmente, non eseguibili separatamente, di cui alle categorie di opere specializzate individuate con l’acronimo OS 3, OS 28 e OS 30”.

13. S ha richiamato a sostegno del proprio assunto i criteri di interpretazione del contratto.

Il Collegio ritiene di svolgere le considerazioni che seguono.

In relazione all’atto ricordato va anzitutto osservato che esso si qualifica espressamente come “cessione di ramo di azienda”. Trattasi quindi di contratto riconducibile alle prescrizioni dell’art. 2556 e dell’art. 2112, sesto comma, c.c. e la cui esegesi segue le regole ordinarie degli artt. 1362 e segg. c.c., ricercando anzitutto la comune intenzione delle parti, anche al di là del significato letterale delle parole, e interpretando le varie clausole contrattuali non isolatamente, ma nel senso che emerge dal complesso dell’atto.

Solo allorché questa esegesi c.d. soggettiva, incentrata sulla volontà delle parti (v. per tutte Cass. civ., sez. lav., 12 novembre 2008, n. 27021), non dia risultati perché la volontà dei contraenti non risulta manifestata in modo chiaro soccorrono in via sussidiaria (v. Cass. civ., sez. lav., 20 febbraio 2008, n. 4342) le regole della c.d. esegesi oggettiva di cui agli artt. 1366-1370 c.c. (v. da ultimo Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 2008, n. 29029).

Nella specie, non sembra dubbio che le parti abbiano effettivamente voluto porre in essere una cessione di ramo di azienda corrispondente in tutto e per tutto al parametro normativo evincibile dagli artt. 2556, primo e secondo comma, e 2112, quinto e sesto comma, c.c.

L’azienda – come recita l’art. 2555 c.c. – consiste in una pluralità di beni unificata da un’attività, e cioè attività di organizzazione, a sua volta qualificata in senso finalistico, e cioè predisposta per l’esercizio dell’impresa. Da ciò discende pacificamente la possibilità di negozi che abbiano a oggetto l’azienda quale entità produttiva autonoma distinta dagli stessi beni aziendali singolarmente considerati.

Questa concezione unitaria dell’azienda come oggetto di diritti e di possibili negozi giuridici è sempre stata unanimemente riconosciuta oltre che dal legislatore (artt. 2556, 2561, 2562 c.c.) anche dalla giurisprudenza, che è pervenuta da ultimo all’affermazione che l’azienda può essere oggetto di acquisto non solo a titolo derivativo, ma anche a titolo originario e cioè per usucapione (Cass. civ. ss. uu., 5 marzo 2014, n. 5987).

Identiche considerazioni possono farsi riguardo al ramo di azienda che, all’interno di un complesso aziendale maggiore, ne mantiene autonomamente le medesime caratteristiche di organizzazione e attitudine all’esercizio dell’impresa.

La giurisprudenza, da ultimo, ha correttamente ricondotto la nozione del ramo di azienda all’art. 2112, quinto comma, c.c., il quale, ancorché dettato a tutela dei diritti dei lavoratori, si dà carico di definire puntualmente la fattispecie riconducibile alla cessione di ramo di azienda, definito come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità (v. Cass. civ. sez. III, 30 giugno 2015, n. 13319).

L’art. 2112, quinto comma, c.c. prevede inoltre che il ramo di azienda va identificato come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.

Orbene, è agevole osservare come nell’atto di cessione a rogito notaio Zobban del 28 dicembre 2012 siano ravvisabili tutti gli elementi costitutivi e qualificativi della cessione di ramo di azienda.

Nelle premesse dell’atto, S afferma di essere “unica titolare del ramo di azienda esclusivamente mobiliare costituito dal complesso di beni e servizi organizzati per l’erogazione di servizi di gestione integrata di complessi immobiliari pubblici e privati, sia per quanto riguarda servizi di property management che per quanto riguarda servizi di facility management ” e Gestioni Integrate dichiara l’intenzione di acquistare tale ramo d’azienda.

L’art. 1 del contratto reca appunto tale cessione e trasferimento del ramo d’azienda in questione, secondo un’elencazione di cespiti che viene espressamente qualificata come “non tassativa”.

Nella elencazione sono peraltro inclusi, per quanto attiene alla presente fattispecie, “diritti di utilizzo di qualificazioni”.

A dimostrazione poi del carattere unitario e omnicomprensivo del ramo di azienda ceduto l’articolo conclude con la clausola inequivocabile: “Il ramo di azienda G I si intende ceduto nello stato di fatto e di diritto in cui si trova e nella universalità di tutti i di tutti i beni e i rapporti giuridici attivi e passivi che lo compongono, come unità economicamente organizzata e come altresì specificato nella relazione di stima di cui sopra”.

Nell’art. 2 viene trasferito il “coacervo di elementi dell’attivo e del passivo”.

Nell’art. 3 si trasferisce la proprietà “di tutti i beni materiali pertinenti il ramo di azienda”.

All’art. 4 si precede, come effetto, tipico della cessione, il subentro alla S “nei contratti con i clienti inerenti il ramo di azienda G I” elencati in apposito prospetto.

Quale ulteriore effetto del subentro, e ai fini che qui interessano, la cessionaria “subentra altresì alla cedente nel diritto di utilizzo a qualsiasi fine delle qualificazioni dei lavori eseguiti dal ramo di azienda G I”.

All’art. 5 si dispone che la cessionaria subentri alla cedente S “nelle procedure di gare pubbliche da quest’ultima già avviate”.

All’art. 8, coerentemente con le disposizioni dell’art. 2112 c.c. sul trasferimento del ramo di azienda, si prevede il trasferimento del “personale operante nel ramo d’azienda G I costituito da 18 dipendenti”.

Infine, all’art. 16 la cessionaria viene autorizzata a eseguire e far eseguire “tutte le volture nonché l’esecuzione delle formalità nessuna esclusa o eccettuata conseguenti e/o dipendenti dal trasferimento di cui al presente atto nulla escluso o eccettuato”.

S tuttavia sostiene la tesi che non si sarebbe trattato di una cessione di ramo di azienda e cioè “della universalità di tutti i beni e rapporti attivi e passivi della gestione integrata dei patrimoni immobiliari, ma di un cespite ben delimitato e di consistenza minima”.

A tale conclusione S perviene facendo riferimento alla perizia del dottor Gianluca di F, redatta ai sensi dell’art. 2465, secondo comma, c.c.

Effettivamente, sia nelle premesse dell’atto, sia in vari articolo (2, 3, 4, 5, 6 e 7) si fa riferimento a elementi dell’attivo e del passivo, a beni materiali, a contratti, a gare pubbliche, a contratti passivi e a garanzie, il tutto come esplicitamente elencato nella perizia di stima.

Tuttavia non è possibile sostenere che l’atto abbia avuto a oggetto non già un intero ramo di azienda, ma soltanto alcuni specifici componenti delle stesso. E ciò, per un duplice ordine di considerazioni.

Innanzi tutto, se fosse esatto quanto sostenuto da S, non avrebbe avuto senso ribadire nell’atto a più riprese che il ramo di azienda trasferito deve ritenersi omnicomprensivo “senza che l’elencazione debba intendersi tassativa”;
e che viene ceduto “nella universalità di tutti i beni e i rapporti giuridici attivi e passivi che lo compongono”.

Il Collegio ritiene che la volontà dei contraenti di trasferire non già singoli cespiti, ma una unità economicamente organizzata sia inequivocabile sia dal punto di vista letterale sia da quello oggettivo, e ciò coerentemente con quanto previsto dall’art. 2112 c.c.

Il riferimento alla perizia di stima del dottor di F trova la sua spiegazione al suo stesso interno (v. All. da B all’atto di cessione a rogito notaio Z, di cui alla produzione S in data 22 maggio 2015).

Infatti, la S cedente risultava essere socio unico della cessionaria Gestioni Integrate s.r.l. “il cui capitale è interamente posseduto dalla società cedente sino dalla data di costituzione del 3 novembre 2011” (v. la premessa alla relazione peritale).

Conseguentemente, trattandosi di una fattispecie in cui una società (la cessionaria Gestioni Integrate) acquistava beni e diritti da un proprio socio (la S cedente), la normativa civilistica imponeva che dei beni e diritti acquistati nel biennio dalla iscrizione venisse effettuata una stima giurata redatta da un esperto revisore legale a norma dell’art. 2465, secondo comma, c.c.

Lo scopo di tale previsione è chiaramente indicato nella stessa perizia al punto 2: si vuole cioè evitare un acquisto per un prezzo notevolmente superiore all’effettivo valore dei beni, poiché il patrimonio sociale dell’acquirente verrebbe sostanzialmente sopravvalutato e quindi non rimarrebbe interamente rappresentativo dell’effettivo valore delle attività aziendali.

Se tale è la funzione della perizia di stima, come peraltro risulta dal suo testuale tenore, appare evidente al Collegio come la stessa non sia tesa a ridimensionare la cessione di ramo di azienda e gli effetti giuridici omnicomprensivi che ne derivano.

La perizia, che peraltro è redatta in una situazione contingente (acquisto da un socio nel biennio dalla costituzione) vuole più semplicemente fotografare il valore attuale del ramo al momento della cessione al fine di evitare un potenziale pregiudizio ai creditori della società resasi cessionaria.

Che poi si tratti di cessione dell’intero ramo di azienda attinente alla gestione integrata dei patrimoni immobiliari (come testualmente risulta dalle premesse della cessione) è dimostrato indirettamente anche dalla stessa perizio di stima.

Invero, alle pagine 18 e 19 della relazione di stima risulta che su un prezzo di cessione di euro 4.158.606,00 la posta di maggior valore, quantificata in euro 4.000.000,00, è costituita dall’avviamento.

Orbene, “l’avviamento si identifica con la capacità di profitto di una attività produttiva costituita dal maggior valore che il complesso aziendale unitariamente considerato presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono” (così da ultimo Cass. civ., sez. trib., 4 novembre 2015, n. 22503).

E’ perciò evidente come la stessa perizia, nel calcolare il valore della cessione, ha assunto a presupposto della sua valutazione il trasferimento di una entità unitariamente considerata come suscettibile di autonoma capacità di profitto e quindi di un vero e proprio ramo di azienda, anziché una somma di beni singolarmente individuati.

Questa esegesi smentisce la tesi di S, secondo cui il tenore letterale del contratto confermerebbe che oggetto del trasferimento sarebbe stato non l’universalità di tutti i beni e i rapporti attivi e passivi della gestione integrata dei patrimoni immobiliari, ma un cespite ben delimitato e di consistenza minima.

14. Gli elementi ulteriori, che l’appellata S porta a sostegno delle proprie ragioni, possono essere suggestivi, ma non definitivi.

Non vale la comparazione del volume d’affari con il prezzo di acquisto del ramo aziendale (analizzata anche nella perizia giurata dal 26 maggio 2015), perché il dato è sostanzialmente estraneo all’economia del presente giudizio. La circostanza che un’impresa abbia ceduto ad altri uno specifico segmento della propria azienda complessiva, di modestissime dimensioni rispetto alla sua attività totale, non esclude di per sé la perdita dei requisiti di qualificazione che precisamente a tale ramo sono connessi.

L’appellata insiste particolarmente e ripetutamente sulla circostanza di fatturare circa 700 milioni di euro all’anno e di impiegare più di 2.000 dipendenti, laddove il ramo di azienda ceduto vale poco più di 4 milioni di euro e i dipendenti trasferiti con il ramo sono appena 18.

Tali argomentazioni peraltro non giovano.

Non viene qui in discussione né la dimensione di S, sicuramente rimasta notevolissima anche dopo la cessione, e neppure la sua attitudine a partecipare a procedure a evidenza pubblica con le SOA che ha mantenuto.

Ciò che invece costituisce l’oggetto del presente giudizio – si ripete – è verificare se il ramo ceduto comprendesse, pur nella sua limitazione dimensionale, tutti i requisiti per ottenere la qualificazione necessaria per partecipare alla gara de qua .

A questa conclusione non fa ostacolo l’<<atto di precisazione>>
sottoscritto fra le parti il 24 luglio 2013 al fine di “meglio precisare il perimetro dei requisiti nel cui diritto di utilizzo Gestione Integrata s.r.l. è subentrata a seguito della sottoscrizione dell’atto di cessione del ramo d’azienda”.

In proposito, questo Consiglio, nella più volte citata decisione n. 5573/2014, ha ritenuto che la cessione de qua, in quanto contratto a effetti reali, non poteva essere posta nel nulla se non con un nuovo contratto di ritrasferimento al cedente.

Il Collegio condivide tale esegesi, che risulta avvalorata dallo stesso testuale tenore del contratto di cessione.

Invero, negli articoli da 2 a 8 sono specificamente regolati gli effetti del trasferimento dei componenti dell’attivo e del passivo, dei beni materiali e il subentro nei contratti con i clienti, nel diritto di utilizzo delle qualificazioni, nelle procedure di gare pubbliche, nei contratti passivi, nelle garanzie. Di poi all’art. 11 viene espressamente stabilito che gli effetti del contratto sarebbero decorsi dalle ore 24 del 31 dicembre 2012. Inoltre all’art. 9 il contratto veniva sottoposto a condizione risolutiva e non già sospensiva.

E’ pertanto evidente come, al di là di ogni disquisizione teorica, le parti abbiano consensualmente voluto munire l’atto di effetti traslativi reali a far tempo dal 1° gennaio 2013.

Di qui la necessità che, per annullare in tutto o in parte gli effetti traslativi già verificatisi, venisse posto in essere un successivo atto consensuale uguale e contrario.

L’atto di precisazione a rogito notar Rampolla del 24 luglio 2013 non evidenzia affatto una volontà uguale e contraria al trasferimento del ramo di azienda unitariamente considerato;
anzi le parti ribadiscono di voler meglio precisare il perimetro dei requisiti in cui la concessionaria è subentrata “senza alterazione alcuna dell’oggetto contrattuale”.

Di seguito, tuttavia, si afferma che “i requisiti nel cui diritto di utilizzo Gestione Integrata s.r.l. è subentrata a seguito della stipula dell’atto di cessione del ramo di azienda di cui in premessa sono esclusivamente quelli di cui agli allegati “F” e “G” del contratto stesso”.

Ad eccezione di questi, prosegue l’atto, la concessionaria “non è quindi subentrata in alcun altro requisito e qualificazione in capo alla cedente SIRAM”.

Nella decisione impugnata, il T.A.R. romano sembra assumere implicitamente che il contratto di cessione avrebbe riguardato solo singoli cespiti e che S sarebbe rimasta in possesso della qualificazione per la categoria OG11.

La tesi del T.A.R., rapidamente argomentata, non appare comunque convincente.

Già in precedenza si è osservato come sia connaturale alla cessione di ramo di azienda il trasferimento non già di singoli cespiti, ma di un complesso di beni e diritti organizzato per l’esercizio dell’impresa e idoneo a generare profitti.

Si è anche osservato come le clausole generali contenute nell’atto di cessione avvalorano il nomen juris dell’atto perché l’elencazione degli elementi trasferiti di cui in contratto e nella perizia di stima viene espressamente dichiarata elencazione non tassativa, laddove invece si dichiara che il ramo è ceduto nella universalità di tutti i beni e i rapporti giuridici attivi e passivi che lo compongono.

Del pari non è convincente l’affermazione secondo cui il contratto avrebbe trasferito singoli elementi di fatturato, senza alcun riferimento alle qualificazioni SOA.

Al riguardo, è sufficiente fare riferimento all’art. 4, quarto comma, del contratto, il quale proprio con riferimento ai contratti di cui agli allegati F e G (Comune di Milano, Enpam e Poste) stabilisce che la cessionaria subentra altresì alla cedente nel diritto di utilizzo a qualsiasi fine delle qualificazioni dei lavori eseguiti dal ramo di azienda G I e dei relativi fatturati sviluppati dal ramo nel quinquennio 2008-2012”.

Che la volontà delle parti sia intesa anche al trasferimento della qualificazioni è dimostrato, oltre dal testuale tenore dell’art. 4, anche dal combinato disposto degli artt. 5 e 16.

L’art. 5 dispone il subentro della concessionaria nelle procedure di gare pubbliche già avviate, mentre l’art. 16 autorizza espressamente la cessionaria a richiedere e ottenere da qualsiasi autorità tutte le volture e l’esecuzione di tutte le formalità conseguenti e/o dipendenti dal trasferimento.

Sembra perciò evidente che le parti fossero consapevoli che, per subentrare nelle procedure in corso, fosse necessaria per la cessionaria l’esecuzione delle formalità per acquisire la qualificazione in proprio.

Per i contratti in corso era invece necessario che venissero trasferite anche le qualificazioni, non potendo essere eseguite le prestazioni da soggetto non adeguatamente qualificato come previsto dall’art. 116, comma 1, del decreto legislativo n. 163 del 2006, che subordina il subentro alla dimostrazione del possesso delle qualificazioni.

Tale necessità è indubitabile per i quattro contratti in corso con Poste italiane elencati nell’allegato E al contratto di cessione. Questi infatti recavano tutti scadenze successive al 1° gennaio 2013 (Sicilia lotto 1 – 30 aprile 2013;
Sicilia lotto 3 – 15 giugno 2013 e 30 giugno 2013;
Campania e Calabria lotto 4 – 30 giugno 2013;
Lombardia lotto 1 – 31 dicembre 2013).

In tale situazione, emerge con chiarezza l’intrinseca incoerenza dell’atto di precisazione. Da un lato, afferma che viene sottoscritto “senza alterazione alcuna dell’oggetto contrattuale”, ma dall’altro si pone in aperta contraddizione, in parte qua, con il medesimo oggetto contrattuale.

Infatti, nell’art. 4 della cessione, come già ricordato, si dichiara che il subentro si verifica cumulativamente nell’utilizzo delle qualificazioni e dei fatturati in quanto conseguenza diretta del subentro nei contratti in essere (di cui al citato allegato E), tra cui sono compresi quelli di Poste, mentre nell’atto di precisazione si dichiara che nei riguardi dei quattro contratti con Poste italiane il requisito derivante dall’attività della cedente nell’ambito del contratto con Poste è costituito dal solo fatturato.

Tale dichiarazione è in contrasto con la precedente manifestazione di volontà contenuta nell’atto di cessione dell’intero e omnicomprensivo ramo di azienda e contrasta altresì con la stessa dichiarazione contenuta nell’atto di precisazione posto in essere “senza alterazione alcuna dell’oggetto contrattuale”.

Al riguardo il Collegio ritiene che l’antinomia delle clausole dell’atto di precisazione vada risolta a favore della volontà espressa nell’atto di cessione. E ciò, per varie considerazioni.

In primo luogo, se l’atto di precisazione dovesse qualificarsi come negozio di accertamento, lo stesso non avrebbe mai potuto avere contenuto dispositivo.

In tal senso, si esprime così da ultimo la Corte di Cassazione (sez. II, 9 dicembre 2015, n. 24848): “negozio di accertamento e negozio dispositivo sono per loro natura inconciliabili. Infatti, come questa Corte ha avuto modo di affermare, il negozio di accertamento … è caratterizzato quanto alla causa dallo scopo di imprimere certezza giuridica ad un preesistente rapporto o di precisare definitivamente il contenuto e l’essenza quanto agli effetti;
esso non determina ex se il trasferimento di beni e di diritti da un soggetto all’altro né costituisce fonte autonoma degli effetti giuridici da esso previsti in quanto soltanto rende definitiva la situazione connessa con il rapporto preesistente, la quale sia, di per sé, idonea al conseguimento degli effetti definitivamente fissati dal negozio accertativo. La funzione di accertamento propria del negozio così qualificato e la sua efficacia retroattiva sono incompatibili con l’effetto traslativo della proprietà (Cass. 3421/1968, 969/1967, 1024/1962, 2164/1958, 4172/1957 e 1229/1950)”.

Pertanto deve escludersi che con l’atto in questione, così come qualificato dalle parti, le stesse abbiano voluto e potuto modificare le precedenti pattuizioni in sede di cessione che sancivano il trasferimento anche dei requisiti necessari per le qualificazioni relative ai contratti in corso.

Se invece si volesse accettare la tesi di S, e cioè che dei contratti in corso si sono trasferiti solo i fatturati, in tal caso l’atto di precisazione avrebbe sostanzialmente mutato la natura del contratto precedente il quale, malgrado il nomen juris , non avrebbe costituito in parte qua un atto di cessione di ramo di azienda bensì una cessione di contratti che, come già osservato, è colpita da nullità ai sensi del citato art. 118, comma 1, del codice degli appalti, e tale nullità avrebbe integrato la condizione risolutiva dell’intera cessione così come previsto dall’art. 9.

Il fatto che l’Amministrazione non abbia fatto opposizione al subentro ex art. 116, comma 2, del citato codice non rafforza la tesi dell’appellante.

In realtà C dichiara di avere confermato l’aggiudicazione a S sul presupposto del rapporto tra le modeste dimensioni del ramo ceduto rispetto al totale, ma tale argomento, come dianzi osservato, deve ritenersi del tutto fallace.

Comunque, sia che C non abbia valutato l’atto di precisazione, sia che ne abbia travisato la portata, in ogni caso tale atto al più potrebbe valere fra le parti, ma non può essere opposto a terzi per contrastare effetti intervenuti nel frattempo, quale sarebbe - in tesi - la perdita di diritto dei requisiti cui è connessa la qualificazione richiesta dal bando.

Per quanto detto in precedenza, non opera nemmeno in contrario l’attestazione resa da Protos SOA in sede di verifica triennale, perché la dichiarazione di ininterrotto possesso della qualificazione vale se e in quanto soluzione di continuità non ci sia stata.

Il contratto quadro di avvalimento stipulato fra le parti non dimostra nulla di diverso. L’appellata si è impegnata a mettere a disposizione di Gestione Integrata “i requisiti di legge che dovessero mancare a quest’ultima per la partecipazione alla gara e che sono nella disponibilità di S” ed è una petizione di principio sostenere che fra questi requisiti vi siano anche quelli di cui CNS ha affermato la perdita per effetto della cessione del ramo di azienda.

Inoltre, come già condivisibilmente rilevato da questo Consiglio (decisione n. 5573/2014), l’accordo quadro potrebbe influire al più sulla fase di espansione della cessionaria e, quindi, sulla attività futura e comunque diversa e separata da quella regolata con la cessione.

Peraltro, l’ininfluenza dell’accordo quadro di avvalimento rispetto alla cessione è altresì avvalorata dal fatto che l’accordo quadro è anteriore, sia pure di poco, alla cessione stessa (rispettivamente: l’uno è datato 24 dicembre e l’altra 28 dicembre 2012).

Pertanto, potrebbe anche fondatamente sostenersi che, quale possa essere stata la portata dell’accordo quadro, la stessa sarebbe stata comunque ridimensionata dalla successiva cessione di ramo di azienda.

Il Collegio ritiene in conclusione che, con la cessione in discorso, S abbia perso la qualificazione OG11, che il bando di gara richiedeva.

15. Il Collegio è consapevole che, nel vasto contenzioso originato da tale cessione, in sede amministrativa e civile, si sono manifestati orientamenti non univoci.

Per limitarsi tuttavia alle controversie sottoposte al G.A. e alle pronunzie più recenti, reputa non decisive le sentenze citate da S a proprio favore.

In primo luogo, queste sarebbero comunque contraddette dalla ricordata decisione del Consiglio di Stato, sez. III, n. 5573/2014.

La sentenza del T.A.R. Marche n. 863/2015 deve essere ancora sottoposta al vaglio di questo Consiglio di Stato.

Si aggiunga che la stessa sentenza qui impugnata pone un limite alla concludenza del richiamo ai precedenti incrociati, là dove - con riguardo alla decisione della medesima sezione n. 4531/2015 - la svaluta “siccome riferita al lotto 3, con diverso fatturato specifico e in parte categorie, altre parti in causa, differenti motivi di ricorso e dunque difese di controinteressata e stazione appaltante”.

Infine, l’unica sentenza del Consiglio di Stato favorevole all’appellata - nell’escludere un contrasto con quanto deciso con la pronuncia n. 5573/2014 e premesso che si tratta “di verificare quali conseguenze derivino sul piano della perdita del possesso dei requisiti di qualificazione alla luce del contratto di cessione in concreto stipulato” - si limita a negare che il venir meno della SOA OG11 comporti automaticamente il venir meno della SOA OS28, dal momento che l’oggetto delle qualificazioni in questione è differente e è ben possibile che per alcune lavorazioni sia sufficiente solo il possesso della qualificazioni relative alle opere speciali (sez. V, 26 giugno 2015, n. 3245).

Il Collegio, tuttavia, come già in precedenza rilevato, non condivide tali conclusioni alla luce del chiaro disposto dall’Allegato A al d.P.R. 207/2010 circa la qualificazione nella categoria OG11.

16. Peraltro, una volta ceduto il ramo d’azienda concernente l’erogazione di servizi di gestione integrata di complessi immobiliari, S avrebbe dovuto attivare il procedimento previsto dall’art. 76, comma 11, del d.P.R. n. 207/2010.

La disposizione recita: “Ai fini dell'attestazione di un nuovo soggetto, nell'ipotesi in cui lo stesso utilizzi l'istituto della cessione del complesso aziendale o di un suo ramo, le SOA accertano quali requisiti di cui all'articolo 79 sono trasferiti al cessionario con l'atto di cessione. Nel caso in cui l'impresa cedente ricorra alla cessione del complesso aziendale o di un suo ramo, la stessa può richiedere alla SOA una nuova attestazione, riferita ai requisiti oggetto di trasferimento, esclusivamente sulla base dei requisiti acquisiti successivamente alla cessione del complesso aziendale o del suo ramo”.

S sostiene che la disposizione sarebbe dettata per vicende strutturalmente diverse (cessione dell’intera azienda o comunque di un ramo di dimensioni tali a escludere l’idoneità del compendio aziendale rimanente a reggere i requisiti posti a base dell’attestazione SOA) e dunque non varrebbe per il caso di specie, in relazione all’entità ridottissima del complesso aziendale ceduto. Quando l’azienda cedente rimanga nel sostanziale possesso di requisiti sufficienti a supportare la qualificazione, la procedura ex art. 76 non sarebbe necessaria: se così non fosse, diventerebbe incomprensibile il dato letterale che prescrive al cedente di richiedere la nuova attestazione “esclusivamente” sulla base dei requisiti acquisiti in seguito.

Solo con riguardo all’ipotesi per dir così “normale” varrebbe allora la massima giurisprudenziale, secondo cui “nel caso di cessione di ramo d’azienda, né il cedente né il cessionario possono valersi dell’attestazione di qualificazione posseduta dall’azienda ceduta, pur potendo richiederne una nuova alla società di attestazione”.

17. Benché argomentata con finezza, la tesi non può essere condivisa.

Vero è che possono esistere situazioni di fatto in cui, ceduto un ramo d’azienda, la cedente mantenga comunque requisiti sostanziali tali da sorreggere ancora la qualificazione inerente al compendio ceduto, indipendentemente da ulteriori acquisizioni. E in questo senso può essere corretto il dubbio se, occorrendo, non sia possibile dare dell’art. 76 un’interpretazione non strettamente letterale, tale da consentire la nuova attestazione anche allo stato dei requisiti, cioè a prescindere da acquisizioni successive alla cessione.

Quella che è invece insostenibile è l’interpretazione inversa, e cioè che si possano dare cessioni di rami d’azienda senza perdita di diritto dell’attestazione relativa. E ciò perché un’interpretazione di questo segno sarebbe in contrasto con l’impianto di fondo della normativa vigente, alla stregua del quale la qualificazione non è autocertificata dalla parte interessata, ma “viene rilasciata al termine di un procedimento istruttorio diretto ad accertare il possesso dei requisiti previsti dalla legge in capo al solo soggetto giuridico che l’ha richiesta” (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 70/2015, cit.).

In altri termini: la circostanza che, ceduto un ramo d’azienda, il soggetto cedente resti per avventura in dotazione di requisiti sufficienti per una determinata qualificazione non la esonera dal chiedere a una Società Organismo di Attestazione quell’<<attestazione di qualificazione>>
che - a norma dell’art. 60, comma 2, d.P.R. n. 207/2010 - “costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell'esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell'affidamento di lavori pubblici”.

18. Poiché S ha perso il requisito di qualificazione che avrebbe dovuto mantenere “non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità” (principio riaffermato da Cons. Stato, Ad. plen., n. 8/2015, cit.), l’appellante avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara.

A questa conclusione non possono essere opposte le dichiarazioni dell’Organismo di attestazione successive alla cessione, ma antecedenti l’esito della verifica triennale, perché fondate su una ricostruzione degli effetti del negozio di cessione che il Collegio non condivide.

Né vale il fatto che Gestione Integrata non abbia incrementato le proprie qualificazioni dopo la cessione. Come ha ritenuto altre volte questo Consiglio di Stato, non v'è contraddizione qualora, a seguito della cessione di un ramo o di una parte di ramo d’azienda, gli originari requisiti di capacità tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria siano perduti dal cedente senza per questo essere acquistati dal cessionario. Si può allora verificare che lo smembramento di un’articolazione dell’azienda dia luogo a due entità minori della precedente, ciascuna delle quali non possieda per intero detti requisiti o, comunque, che si abbia, come nella specie, una diminuzione del complesso aziendale, tale da far perdere una parte degli specifici requisiti originari (cfr. sez. VI, 25 maggio 2012, n. 3056;
sez. III, n. 5573/2014, cit.).

Infine, non giova né all’una né all’altra delle tesi contrapposte l’orientamento dell’Autorità di vigilanza che, al termine di una complessa istruttoria, ha disposto l’inserimento nel casellario informatico di un’annotazione volta a dare notizia, “in termini strettamente oggettivi”, dell’atto intervenuto fra le parti (si veda la nota del 25 marzo 2014). Si tratta di una “comunicazione in sé ictu oculi ambigua”, che “non è conclusiva né per la configurazione dell'atto stesso come cessione vera e propria, né tampoco per escludere quest'ultima del tutto, ad onta del contenuto del contratto tra tali soggetti” (in questi termini Cons. Stato, n. 5573/2014, cit.).

La successiva nota del 10 giugno 2014, la quale esclude che la cessione abbia prodotto effetti sulla qualificazione posseduta da S (e si veda anche l’appunto del 10 settembre 2015), esprime il punto di vista dell’Autorità, su cui il Collegio non concorda.

19. Contrariamente a quanto richiesto da S, il Collegio neppure ritiene di giungere a conclusioni differenti in base a una interpretazione di altro segno - perché orientata in senso conforme al diritto europeo - della normativa vigente, né di accedere alle richieste formulate in via subordinata dalla medesima appellante.

Non vi sono dubbi di legittimità costituzionale rispetto a una evocata violazione dell’art. 41 Cost. La normativa di sistema rispetta pienamente la libertà di impresa anche nella particolare accezione di libertà di organizzazione e riorganizzazione dei fattori produttivi, fatta salva l’esigenza del rispetto delle disposizioni - come quelle sulle attestazioni - dettate proprio a tutela dell’efficiente funzionamento del mercato concorrenziale.

Non vi sono incertezze interpretative o contrasti di giurisprudenza del Consiglio di Stato che legittimino la rimessione della questione all’Adunanza plenaria.

Infine, non può essere accolta la richiesta di rinvio pregiudiziale alla C.G.U.E., perché la recentissima decisione n. 8/2015 dell’Adunanza plenaria ha reputato del tutto compatibile con il diritto dell’Unione europea l’onere di mantenere il richiesto requisito di qualificazione per tutta la durata della procedura di gara.

Nella fattispecie esaminata dall’Adunanza si trattava analogamente della temporanea perdita di validità della qualificazione in una categoria in un segmento temporale limitato a circa due mesi.

Peraltro, nel ribadire il principio tradizionale secondo cui il possesso dei requisiti di ammissione si impone a partire dalla presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la durata della gara, l’Adunanza ha affermato che:

<<E tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti, è appena il caso di rilevarlo, non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell'esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell'affidabilità del suo interlocutore “operatore economico” (e dunque di poter monitorare stabilmente la perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente), ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest'ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all'ordinaria diligenza, che gli operatori professionali devono tenere al fine di poter correttamente insistere e gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti pubblici;
il che significa, per quanto qui ne occupa, garantire costantemente la qualificazione loro richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica.

Diversamente ritenendo, del resto, la naturale flessibilità temporale dei momenti della procedura che l'Ordinanza di rimessione assume come "esclusivamente" rilevanti si tradurrebbe nella assoluta aleatorietà della collocazione, nell'arco temporale della procedura stessa, dei singoli momenti, nei quali ("soli") sarebbero richiesti il possesso a pena di esclusione dei requisiti e la sua prova;
aleatorietà, questa, che, oltre a contrastare palesemente con i principii indefettibili della trasparenza e della par condicio che presiedono all'evidenza pubblica, finirebbe col collidere con la stessa esigenza, sottolineata dall'Ordinanza di rimessione in collegamento con il diritto dell'Unione, di "un controllo ragionevole, trasparente e proporzionato" in relazione a termini temporali, che la qui assunta (o, meglio, confermata) interpretazione del principio di continuità della sussistenza dei requisiti per tutta la durata della procedura consente, invece, di assicurare con caratteri di sufficiente certezza (quanto meno in relazione alla univocità delle conseguenze della perdita del requisito in qualunque momento della gara essa si collochi) sia per la stazione appaltante che per gli operatori concorrenti.

La qui prospettata inconfigurabilità di una qualsivoglia soluzione di continuità in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione nel corso della procedura di gara tiene poi anche conto del fatto, già accennato, che trattasi di requisiti indispensabili per la stessa partecipazione alla gara (la mancanza dei quali l'amministrazione appaltante può in ogni momento accertare: Cons. St., V, 12 luglio 2010, n. 4477), del cui possesso, nel campo dei lavori pubblici, l'attestazione SOA costituisce lo strumento necessario e sufficiente, nonché esclusivo, di dimostrazione …>>.

Nella discussione orale, S ha focalizzato l’attenzione sull’art. 52, comma 1, della direttiva 2004/18/CE.

Dell’art. 52, il comma 1 autorizza gli Stati membri a “instaurare … una certificazione da parte di organismi pubblici e privati”. E in ciò è implicita la facoltà degli Stati di regolare e articolare tale sistema di certificazione, con modalità che, in quanto ragionevoli e proporzionate ai fini, devono intendersi conformi al diritto europeo.

Né questi limiti di proporzionalità e ragionevolezza sono varcati nella normativa applicabile alla vicenda in giudizio, in quanto il sistema non prevede una nuova causa di esclusione ma, al contrario, assicura ai singoli operatori economici, che si siano privati di una qualificazione a seguito di una scelta di politica dell’impresa (cessione di un ramo dell’azienda), le procedure per riacquisirli senza andare incontro a nessuna conseguenza pregiudizievole, solo che abbiano l’accortezza - e qui gioca il canone dell’autoresponsabilità - di attivarsi tempestivamente e di coordinare le proprie iniziative con i tempi di svolgimento delle procedure di gara alle quali partecipino o intendano prendere parte.

Il comma 2 stabilisce che “i dati risultanti … dalla certificazione non possono essere contestati senza giustificazione”. Per quanto detto sopra, la giustificazione qui è evidente ed è rappresentata dall’avvenuta perdita della qualificazione per effetto della cessione del ramo d’azienda.

20. Dalle considerazioni che precedono discende che:

l’appello incidentale di S è infondato e va respinto;

l’appello principale di Sinergie è fondato e deve essere accolto, con riforma della sentenza impugnata e accoglimento del ricorso introduttivo.

Per l’effetto, va dichiarata l’inefficacia della convenzione stipulata da C con S e il subentro di Sinergie nel rapporto con C.

Per l’eventuale lasso di tempo non coperto dalla convenzione da stipularsi in esecuzione della presente sentenza, C, entro trenta giorni dalla pubblicazione della decisione, formulerà adeguata proposta di risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., tenendo conto dell’offerta dell’appellante e del tempo trascorso sino alla stipula della nuova convenzione (cfr. T.A.R. Lazio, sez. III, 24 marzo 2015, n. 4531).

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Valutata la complessità e la novità della vicenda, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi