Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-08-26, n. 201905870
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Testo completo
Pubblicato il 26/08/2019
N. 05870/2019REG.PROV.COLL.
N. 03853/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3853 del 2010, proposto dalla signora T B, in proprio e quale titolare dell’omonima impresa individuale, rappresentata e difesa dagli avvocati F V e A M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F V in Roma, via Varrone, n. 9,
contro
il Comune di Trinitapoli, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato N S M, con domicilio eletto presso lo studio Placidi S.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30,
nei confronti
- il Comune di San Ferdinando di Puglia, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito in giudizio;
- la Regione Puglia, in persona del Presidente
pro tempore
, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 641/2009, resa tra le parti, concernente il diniego di approvazione di un progetto per la costruzione di un complesso alberghiero con annesso centro benessere in variante semplificata al piano regolatore generale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Trinitapoli;
Vista l’ordinanza n. 3235 del 26 giugno 2007 della Sez. IV del Consiglio di Stato;
Viste le memorie e le memorie di replica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2019, il Consigliere A M e udito per il Comune di Trinitapoli l’avvocato Bruno Taverniti, su delega dell’avvocato N S M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso dinanzi al T.A.R. per la Puglia (n.r.g. 187/2007), la signora T B, in proprio e quale titolare dell’omonima ditta, impugnava, chiedendone l’annullamento, la deliberazione del Consiglio comunale di Trinitapoli n. 33 del 18 settembre 2006 avente ad oggetto la mancata approvazione della proposta di variante ex art. 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, per la realizzazione di un complesso alberghiero con annesso centro benessere in località “San Tommaso”, nonché gli atti ad essa presupposti, in particolare il parere negativo della Commissione consiliare “Politica del territorio”, reso in data 8 settembre 2006 (verbale n. 43).
2. Il T.A.R. per la Puglia, con la sentenza n. 641 del 2009, depositata in data 24 marzo 2009, respingeva il ricorso, condannando la parte alle spese di giudizio.
In particolare, il giudice di prime cure riteneva dirimente l’avvenuta approvazione, in corso di iter istruttorio, del Piano regolatore generale del Comune di Trinitapoli con “stralcio” da parte della Regione dell’intera zona destinata ad attività ricreative (zona “DS”) in quanto « carente di specifiche analisi di settore che ne giustifichino la previsione ed il dimensionamento » (delibera di Giunta regionale n. 641 del 19 aprile 2005, peraltro non impugnata dall’interessata). D’altro canto, la riconosciuta titolarità della potestà pianificatoria esclusivamente in capo al Consiglio comunale avrebbe reso ininfluente rispetto alla decisione assunta la valutazione favorevole della Conferenza dei servizi indetta allo scopo. Infine, del tutto legittimamente il Comune avrebbe dato spazio alle osservazioni proposte dal Sindaco e dall’ex Sindaco del Comune di San Ferdinando di Puglia, in quanto l’ubicazione dello stesso giustificherebbe ex se la legittimazione ad intervenire a supporto degli interessi economici del proprio territorio, siccome consentito dalla richiamata l. n. 1150/1942, applicabile in parte qua , sussistendo il requisito della vicinitas che « la giurisprudenza amministrativa prende in considerazione in sede di impugnativa in materia urbanistico-edilizia ».
3. Con ordinanza n. 3235 del 26 giugno 2007 la Sez. IV di questo Consiglio di Stato respingeva il ricorso avverso il diniego della richiesta misura cautelare, « in relazione alle risultanze emerse nel corso del giudizio ».
4. La signora B ha proposto appello per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.
5. Con una prima memoria difensiva depositata in data 26 luglio 2011 si è costituito in giudizio il Comune di Trinitapoli, eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello, in quanto meramente reiterativo dei motivi di ricorso di primo grado, peraltro già respinti nel procedimento cautelare cristallizzatosi con la confermata reiezione, da parte del Consiglio di Stato, della relativa istanza (v. ordinanza n. 3235/2007, cit. in epigrafe). In particolare, tale profilo di inammissibilità riguarderebbe il capo della sentenza ove si riconosce legittimità alle osservazioni del Sindaco e di un cittadino del Comune di San Ferdinando di Puglia, già a sua volta Sindaco dello stesso, non avendo l’interessata mosso alcuno specifico rilievo critico alle argomentazioni del Tribunale sul punto.
6. Anche in vista dell’odierna udienza le parti hanno presentato memorie e memorie di replica. L’appellante, in particolare, nel confutare l’asserita inammissibilità dell’appello, ha enfatizzato il richiamo esplicito alla violazione dell’art. 10 della l. 17 agosto 1942, n. 1150, in relazione all’errata valutazione dei contenuti della delibera di Giunta regionale n. 641/2005 e al conseguente vizio di istruttoria e di motivazione della sentenza n. 641/2009.
7. All’udienza del 9 luglio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
8. Preliminarmente la Sezione ritiene di dover esaminare l’eccezione di inammissibilità presentata dal Comune di Trinitapoli.
Il Collegio non intende affatto discostarsi dal ben noto principio, costituente jus receptum , secondo cui nel giudizio amministrativo d’appello è specifico onere dell’appellante formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, posto che l’oggetto di tale giudizio è costituito da quest’ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado, donde la necessità di dedurre specifici motivi contro la correttezza dell’ iter argomentativo della sentenza (cfr., per tutti, Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392). Esso tuttavia non richiede necessariamente l’impiego di formule solenni, ma ammette che le censure possano essere desunte dal contesto dell’atto di gravame, purché il Giudice dell’appello sia posto in condizione di comprendere con chiarezza i principi, le norme e le ragioni per cui il Giudice di prime cure avrebbe dovuto decidere diversamente (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 12 luglio 2017, n. 3427).
8.1. Il che è quanto accaduto anche nel caso di specie, ad una serena lettura dell’appello in epigrafe. Esso, infatti, risulta anche strutturalmente articolato in due parti, delle quali la prima (rubricata “A”) volta espressamente a criticare le conclusioni della sentenza del T.A.R. per la Puglia;la seconda (“B”), avente ad oggetto il provvedimento avversato, con puntuale riproposizione, in verità senza specifico riferimento critico alla pronuncia di prime cure, delle doglianze originarie.
Ciò consente di perimetrare l’oggetto dell’odierno giudizio al lamentato difetto di istruttoria, motivazione e travisamento dei presupposti in relazione ai contenuti della delibera n. 641/2005 della Giunta regionale della Puglia, cui sarebbe stata attribuita una valenza indebitamente ostativa all’accoglimento della proposta di variante, in immotivata contraddizione con le risultanze della prevista Conferenza di servizi. La coincidenza parziale di tali censure con quelle già mosse avverso l’ordinanza cautelare n. 201/2007 non ne inficia la legittimità, vuoi perché esse sono state delibate solo in maniera sommaria, come è connaturato alla tipologia di procedimento all’esito del quale sono state assunte, vuoi perché richiamate testualmente dal T.A.R. per la Puglia, che ne ribadisce l’asserita valenza, senza tuttavia nulla dire circa la diversa prospettazione della parte (« Come già osservato in sede cautelare, la ricorrente non ha provveduto ad impugnare il nuovo PRG la cui approvazione non poteva non avere riflessi sul corso dell’istruttoria sollecitata dall’attuale ricorrente » ).
9. Sotto tale profilo, il Collegio ritiene il ricorso fondato, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi di doglianza, il che consente di prescindere da un più approfondito scrutinio degli eccepiti profili di inammissibilità.
La decisione, infatti, al pari del resto della deliberazione impugnata, non dà conto delle ragioni per cui tale sopravvenuta approvazione del P.R.G. avrebbe dovuto vincolare il contenuto delle scelte del Consiglio comunale, ma non quello della sottesa Conferenza dei servizi, cui non viene neppure chiesto conto delle ragioni della divergente opzione, in fatto e in diritto, pur a parità di disciplina urbanistica di riferimento.
10. Al fine di meglio chiarire i confini dell’odierna vicenda e delle suesposte considerazioni, la Sezione ritiene opportuno richiamarne, seppure sinteticamente, i presupposti.
10.1. La signora Basile ha presentato in data 20 ottobre 2004 al Comune di Trinitapoli una richiesta concernente la realizzazione, in un’area classificata dal vigente P.R.G. come zona “E” agricola, di un complesso turistico ricettivo di elevato livello qualitativo, con annesso centro benessere. L’originaria incompatibilità urbanistica ha indotto l’ufficio ad avviare, sussistendone evidentemente tutti gli ulteriori requisiti di compatibilità, comunque incontestati tra le parti, la procedura “di favore” di cui all’art. 5 del “ Regolamento recante norme di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l’ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per l’esecuzione di opere interne ai fabbricati, nonché per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi, a norma dell’articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59 ” (il richiamato d.P.R. n. 447/1998, poi confluito nel d.P.R. n. 160/2010, per quanto qui di interesse art. 8).
11. Trattasi di una disposizione innovativa il cui obiettivo è stato quello di incentivare e facilitare l’insediamento di attività produttive lato sensu intese in un momento in cui esse erano attraversate da una crisi di competitività, pur non sacrificando a tale esigenza anche i “valori” e gli obiettivi della pianificazione urbanistica. Da qui la scelta di concentrare in un unico contesto “semplificato”, appunto, l’approvazione della necessaria variante e quella della singola progettualità, anticipando l’avallo della Regione all’espressione del parere del proprio rappresentante in tale contesto condiviso, purché, ovviamente, favorevole (in caso di parere negativo, infatti, non può certo ritenersi “consumata” la competenza esclusiva della Regione all’approvazione dello strumento urbanistico comunale).
La norma prevede dunque che, qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, ma conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro e lo strumento urbanistico non individui aree destinate all’insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, « il responsabile del procedimento può, motivatamente, convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall’articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n.127, per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso ». Il successivo comma 2 prevede poi che: « Qualora l’esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17 agosto 1942, n.1150, si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale. Non è richiesta l’approvazione della regione, le cui attribuzioni sono fatte salve dall’articolo 14, comma 3-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241 ».
12. Per giurisprudenza costante, dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, tale procedura semplificata di variante urbanistica ha carattere eccezionale e derogatorio della disciplina generale, sicché non può trovare applicazione al di fuori delle ipotesi specificamente previste dalla norma, e i presupposti fattuali, da cui si assume nascere l’esigenza di tale variante, vanno accertati in modo oggettivo con il dovuto rigore ( Cons. Stato, Sez. IV, 3 marzo 2006, n. 1038; id ., 25 giugno 2007, n. 3593;15 luglio 2011, n. 4308;8 gennaio 2016, n. 27).
Detti presupposti fattuali, tuttavia, si identificano in primo luogo proprio nell’incompatibilità urbanistica dell’intervento in uno con l’impossibilità di una sua delocalizzazione, stante la ricordata mancanza di aree destinate all’insediamento di impianti produttivi ovvero la loro inadeguatezza quantitativa.
13. La proposta di variazione dello strumento urbanistico assunta dalla Conferenza di servizi, tuttavia, è da considerare alla stregua di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica, di per sé non vincolante per il Consiglio comunale, che conserva le proprie attribuzioni e valuta autonomamente se aderirvi (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4151).
In altri termini, diversamente da come sembra sostenere l’appellante, il ricorso alla procedura semplificata in questione, pur ispirata a facilitare ed accelerare la realizzazione di iniziative produttive, non comporta l’abdicazione da parte del Consiglio comunale alla sua fisiologica capacità pianificatoria, dovendo comunque prevalere sulle soggettive esigenze del singolo quelle pubbliche al complessivo e ordinato governo del territorio (v. ancora Cons. Stato, Sez. IV, 1 marzo 2017, n. 940 nonché id ., 6 marzo 2017, n. 1017).
14. Chiarito quanto sopra, occorre ora valutare in che misura il Comune di Trinitapoli ha fatto corretta applicazione dei ridetti principi, esercitando la propria discrezionale potestà pianificatoria, ma in maniera coerente e non avulsa dal contesto giuridico di riferimento, ovvero dai precedenti arresti del procedimento conseguitone.
Ritiene infatti la Sezione che la peculiarità del caso di specie risieda proprio, come rilevato dall’appellante, nell’aver posto a base della motivazione della sentenza la ritenuta legittimità della decisione assunta in ragione dell’avvenuto stralcio della zona urbanistica “DS” dal P.R.G. del Comune da parte della Regione Puglia, senza che fosse minimamente necessario valutare, seppure in chiave critica, le diverse risultanze della Conferenza dei servizi. Ciò in quanto la proposta della stessa non avrebbe potuto in alcun modo comprimere la « discrezionalità propria dell’amministrazione comunale nel disporre o meno una variante ».
15. La ricostruzione non appare condivisibile.
16. Il T.A.R. per la Puglia, nel dare conto del procedimento seguito, ne ha sostanzialmente parcellizzato lo scrutinio, facendo discendere sillogisticamente dalla – condivisibile - affermazione di singoli principi la complessiva correttezza dello stesso. In pratica, da un lato la ricordata competenza esclusiva del Consiglio comunale in materia di governo del territorio;dall’altro le indicazioni vincolanti della Giunta regionale avrebbero sostanzialmente vanificato l’intera procedura semplificata pregressa, rendendone superflua perfino un’esaustiva e completa disamina.
Quanto detto, tuttavia, non tiene conto della oggettiva circostanza che le indicazioni regionali sono antecedenti anche al perfezionamento dei lavori della Conferenza, senza che risulti in atti che egli se ne sia, almeno formalmente, fatto carico in sede di avallo della progettualità esaminata. La decisione finale della Conferenza dei servizi, infatti, datata 13 giugno 2005, è successiva all’approvazione del nuovo P.R.G. (19 aprile 2005) e finanche alla sua pubblicazione sul B.U.R. (3 maggio 2005) e sulla G.U. (14 maggio 2005): essa, cioè, ai fini della valutata persistenza dei requisiti della variante semplificata, considera del tutto neutra la – ribadita - carenza di zone destinate alla richiesta tipologia di insediamenti produttivi, a prescindere dalla suggerita necessità di studi di settore funzionali alla propedeutica analisi della domanda. Orientamento seguito anche dalla Commissione consiliare “Politica del territorio” nella seduta del 3 maggio 2006 (verbale n. 41), successivamente “ribaltato”, pur a situazione di fatto e di diritto immutata, in quella dell’8 settembre 2006, posta a base della deliberazione n. 33/2006.
17. La riconosciuta possibilità, nell’ambito dei suoi mantenuti poteri, di disattendere la proposta di variante semplificata, non fa venire meno, rileva la Sezione, l’esigenza di un’appropriata istruttoria e motivazione, a maggior ragione tenuto conto della preesistente decisione, pur non vincolante, assunta dalla Conferenza di servizi. L’assenza di sufficiente attività istruttoria (ed il conseguente difetto di motivazione) non può, infatti, essere superata in considerazione della portata della discrezionalità dell’azione amministrativa nella fattispecie, la quale, attese le peculiarità della variante in esame, deve peraltro essere maggiormente circoscritta.
17.1. Invero, diversamente da quanto sostenuto dal Comune appellato, il Collegio osserva che, secondo i consolidati principi della giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24 ottobre 2018, n. 6063; id . 11 ottobre 2017, n. 4707, e 12 maggio 2016, n. 1917):
a ) in linea di massima, l’onere di motivazione delle scelte urbanistiche gravante sulla Pubblica amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e “mirata”;
b ) tuttavia, le scelte urbanistiche richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un’area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative.
18. Nel caso di specie, il Comune ha ritenuto di non approvare una variante semplificata allo strumento urbanistico generale, consistente nella legittimazione alla costruzione di un complesso ricettivo, sul quale tuttavia aveva già espresso il proprio assenso malgrado il - rectius , proprio in ragione del - contrasto della richiesta localizzazione con le previsioni di piano, in assenza di localizzazioni alternative. Lo “stralcio” della cosiddetta zona “DS”, a ciò riservata, in sede di approvazione del P.R.G. ha reso casomai ancor più cogente ridetta carenza, potendo, in direzioni diametralmente opposte, o imporre il “congelamento” anche di eventuali procedimenti speciali in itinere , quali quello di specie;ovvero, al contrario, consentirne comunque la definizione, non ritenendo applicabili agli stessi, proprio per la loro natura eccezionale e derogatoria, le esigenze istruttorie imposte a livello generale per la programmata zonizzazione. Ma non ha automaticamente imposto l’una o l’altra opzione, siccome affermato dal T.A.R. per la Puglia, né ha esonerato il Consiglio comunale dal motivare sul punto, chiedendo se del caso conto alla Conferenza dei servizi dell’opzione ermeneutica seguita, anche in termini di supplemento istruttorio, con specifico riguardo alla posizione assunta dal rappresentante della Regione.
18.1. L’avvenuta attivazione del procedimento speciale di cui al d.P.R. n. 447/1998 per il richiesto cambio di destinazione urbanistica mirato e circoscritto alla superficie interessata dall’intervento ha fatto sorgere peraltro in capo alla ricorrente in primo grado un affidamento legittimo, proprio in ragione del positivo esito dell’istruttoria, pur dopo l’avvenuta approvazione del nuovo P.R.G.
Esso avrebbe potuto comunque essere superato, ma palesando validi argomenti di diverso avviso, per contro del tutto mancati o comunque non esplicitati nel caso di specie.
In sintesi, avendo la stessa amministrazione comunale, con una serie univoca di atti, considerato procedibile il ricorso allo strumento dell’approvazione della variante per l’insediamento di impianti produttivi ex art. 5 del d.P.R. n. 447/98, che presuppone peraltro una preventiva e completa istruttoria;essendo nel corso del procedimento stati espressi i favorevoli pareri culminati nella proposta di tutte le autorità pubbliche e dei soggetti interessati, compresi il Comune e la Regione, riuniti in conferenza di servizi;avendo infine finanche la Commissione consiliare “Politica del territorio” avallato l’opzione positiva (verbale n. 41 in data 3 maggio 2006, successivamente mutato nella seduta dell’8 settembre 2006), andavano valutate attentamente, con particolare pregnanza sul versante motivazionale, le scelte contrarie effettuate, richiedendosi, nell’ambito delle valutazioni urbanistiche, anche una ponderazione degli opposti interessi, in considerazione delle aspettative sorte in capo agli istanti e delle particolari situazioni di affidamento.
19. In sintesi e conclusivamente, riordinando le complesse (e non sempre perspicue) argomentazioni difensive versate dall’appellante, se è vero che l’avvenuta approvazione della delibera n. 641/2005 non si palesa preclusivo ex se della localizzazione sul territorio di strutture produttive, astrattamente rinforzando casomai la pregressa carenza di disponibilità di zone a ciò destinabili;lo è altrettanto che ciò non imponeva comunque al Consiglio comunale una decisione favorevole alla variante proposta. Semplicemente, rendeva necessario scrutinare la specifica istruttoria (eventualmente) effettuata sul punto, retrocedendo alla fase tecnica il completamento del quadro necessario ad assumere la decisione finale, ovvero comunque motivando sul punto. Diversamente opinando si finirebbe infatti per vanificare del tutto la possibilità di ricorrere alla procedura semplificata, consentendo all’organo politico di prescindere dalle relative risultanze senza esplicitarne le ragioni e finanche in caso di palese incompletezza delle informazioni trasmesse.
20. A prescindere, pertanto, dalla qualificazione giuridica della delibera della Giunta regionale come annullamento parziale ovvero, al contrario, approvazione condizionata del P.R.G., sulla quale insiste particolarmente l’appellante, gli argomenti portati a sostegno della determinazione reiettiva risultano illegittimi e non sufficienti a fondarne la scelta. Ciò in considerazione della loro inidoneità a superare le risultanze del procedimento fino a quel momento svolto (favorevoli ad una conclusione positiva dello stesso, benché successivo alla richiamata delibera di approvazione del P.R.G.) e ponendosi, dunque, con le stesse in ingiustificata contraddizione, con lesione del legittimo e rilevante affidamento in proposito maturatosi in capo al privato.
21. Quanto detto conferma infine che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati si palesino per il Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
22. Conclusivamente, pertanto, l’appello va accolto e conseguentemente va annullata la delibera n. 33 del 18 settembre 2006, limitatamente ai vizi di istruttoria e di motivazione sopra esplicitati. Sulla base della ricordata titolarità del potere di pianificazione in capo al Consiglio comunale ed alla astratta possibilità per questo organo, con esaustiva ed adeguata motivazione, di pronunciarsi in difformità dalla proposta di variante, nel disporre l’annullamento del diniego, va fatto salvo il potere dell’organo deliberativo di rideterminarsi, attenendosi peraltro alle coordinate tracciate dalla sentenza.
22. Sussistono giuste ragioni per compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio.