Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-01-28, n. 201600284

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-01-28, n. 201600284
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600284
Data del deposito : 28 gennaio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05346/2012 REG.RIC.

N. 00284/2016REG.PROV.COLL.

N. 05346/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5346 del 2012, proposto da:
A S, rappresentato e difeso dall'avvocato G F, con domicilio eletto presso G F in Roma, via degli Scipioni 94;

contro

Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati C C, E L e L P, e domiciliato in Roma presso la sede dell’Istituto in via della Frezza, 17;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. BASILICATA - POTENZA: SEZIONE I n. 6/2012, resa tra le parti, concernente risarcimento danni da illegittimo trasferimento della sede di lavoro


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2015, il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Fiore e l’avvocato Massafra per delega dell’avvocato Lanzetta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- S Angelo, all’epoca dei fatti dipendente dell’Inps presso la sede di Potenza, impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Basilicata 10 gennaio 2012 n. 6 che ha accolto soltanto in parte la domanda risarcitoria avanzata dall’odierno appellante per la riparazione dei danni dallo stesso subìti in conseguenza dell’illegittimo trasferimento dalla sede di servizio di Potenza a quella di Villa d’Agri, ove l’appellante ha prestato servizio nel periodo compreso tra il giugno del 1993 ed il maggio del 1995.

L’appellante insiste anche in questo grado nel sostenere la fondatezza della sua pretesa all’integrale riparazione dei danni subìti ed in particolare, oltre al danno patrimoniale liquidato dal Tar nella misura di euro 8154,08 sulla base della cosidetta “indennità chilometrica”, anche del danno biologico (quantificato nella misura di euro 115.033,94) e del danno morale ed esistenziale ( quantificato in euro 57.916,97) .

Si è costituito in giudizio l’intimato ente previdenziale per resistere all’appello e per chiederne il rigetto.

Le parti hanno depositato memorie illustrative in vista dell’udienza di discussione.

All’udienza pubblica del 17 dicembre 2015 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

2.- L’appello è infondato.

3.- La questione giuridica da dirimere attiene alla verifica della fondatezza della pretesa dell’odierno appellante a vedersi riconosciuta la liquidazione di ogni voce di danno subìto in conseguenza del trasferimento di sede ( da Potenza a Villa d’Agri) disposto dall’Istituto previdenziale appellato sulla base di un provvedimento giudicato illegittimo con sentenza definitiva di questo Consiglio di Stato ( cfr. sentenza n.571 del 2001).

Come anticipato, il giudice di primo grado ha riconosciuto soltanto il danno patrimoniale subìto dal ricorrente in ragione dell’illegittimo trasferimento di sede, danno che è stato liquidato nella misura di euro 8.154,08 calcolata sulla base dell’indennità chilometrica. Nella sentenza qui impugnata si è invece escluso che ricorressero le condizioni per far luogo al risarcimento del danno biologico e/o esistenziale rivendicato dall’originario ricorrente, e ciò sia per carenza di prova sulla effettiva evidenza del quadro patologico lamentato dal ricorrente e soprattutto sul nesso eziologico con il provvedimento di trasferimento di sede, sia per carenza degli elementi costitutivi la fattispecie del cosiddetto mobbing .

L’appellante insiste in questo grado perché sia liquidato in suo favore anche il danno biologico ed esistenziale, sul rilievo che il comportamento attribuibile all’istituto datoriale, trasfuso nell’illegittimo provvedimento di trasferimento, avrebbe assunto senz’altro i tratti del mobbing e sia pertanto fonte di responsabilità patrimoniale dell’ente per i danni alla salute conseguiti ad esso appellante.

Sul punto l’appellante adduce di aver contratto una variegata gamma di patologie ( tra le quali: bronchite cronica, colopatia spastica, ernia del disco, disturbi all’apparato oculare, fibrillazione atriale e, da ultimo, un generale stato ansioso depressivo) e ne attribuisce l’eziopatogenesi all’illegittimo trasferimento disposto in suo danno dall’ente datoriale.

4.- Il Collegio ritiene anzitutto che vadano qui richiamati alcuni principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. ex plurimis e da ultimo, Cass., sez. un., 23 marzo 2011, n. 6594;
Cons. Stato, ad. plen., 19 aprile 2013, n. 7;
sez. V, 12 giugno 2012, n. 1441;
sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2974;
sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957;
sez. III, 30 maggio 2012, n. 3245;
sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739;
sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271;
Cons. giust. amm., 24 ottobre 2011, n. 684;
sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8291), in forza dei quali:

a) nel giudizio risarcitorio che si svolge davanti al giudice amministrativo, nel rispetto del principio generale sancito dal combinato disposto degli artt. 2697 c.c. (secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda) e 63, co. 1 e 64, co. 1, c.p.a. (secondo cui l'onere della prova grava sulle parti che devono fornire i relativi elementi di fatto di cui hanno la piena disponibilità), non può avere ingresso il c.d. metodo acquisitivo tipico del processo impugnatorio;
pertanto, il ricorrente che chiede il risarcimento del danno da cattivo (o omesso) esercizio della funzione pubblica, deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda;

b) la qualificazione del danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extra- contrattuale disciplinata dall'art. 2043 c.c. ;
conseguentemente, per accedere alla tutela è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l'interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell'amministrazione reso nell'esplicazione (o nell'inerzia) di una funzione pubblica e la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale dell'interesse legittimo e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali;

c) la prova dell'esistenza del danno deve intervenire all'esito di una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua certezza la quale a sua volta presuppone: l'esistenza di una posizione giuridica sostanziale;
l'esistenza di una lesione, che è configurabile (oltreché nell'ovvia evidenza fattuale) anche allorquando vi sia una rilevante probabilità di risultato utile frustrata dall'agire (o dall'inerzia) illegittima della p.a.;

d) i doveri di solidarietà sociale che traggono fondamento dall'art. 2 Cost. , impongono di valutare complessivamente la condotta tenuta dalle parti private nei confronti della p.a. in funzione dell'obbligo di prevenire o attenuare quanto più possibile le conseguenze negative scaturenti dall'esercizio della funzione pubblica o da condotte ad essa ricollegabili in via immediata e diretta;
questo vaglio ridonda anche in relazione all'individuazione, in concreto, dei presupposti per l'esercizio dell'azione risarcitoria, onde evitare che situazioni pregiudizievoli prevenibili o evitabili con l'esercizio della normale diligenza si scarichino in modo improprio sulla collettività in generale e sulla finanza pubblica in particolare.

e) il mobbing, nel rapporto di impiego pubblico, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica (Cons. Stato, Sez. VI, 12/3/2015 n. 1282).

Pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing , va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati in particolare:

a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;

b) dall'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;

c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore;
d) dalla prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.

La sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. Stato, Sez. III, 14/5/2015 n. 2412).

Conseguentemente un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (Cons. Stato Sez. VI, 16/4/2015 n. 1945).

5.- Facendo applicazione dei suesposti principi al caso di specie, è sufficiente osservare che il comportamento mobbizzante ascrivibile all’ente datoriale non può essere ravvisato nel mero trasferimento illegittimo adottato in confronto del S;
di tal che, anche a prescindere dalla sussistenza effettiva delle lamentate patologie e del nesso eziologico (non provato) con il predetto trasferimento, manca nella specie la stessa condotta illecita ascrivibile all’ente datoriale.

Né appaiono sotto tal profilo rilevanti le pretese resistenze dell’istituto a richiamare presso la sede centrale il dipendente S, trasferito presso la sede di Villa d’Agri, sia perché non provate sia perché, in ogni caso, si deve ritenere che l’istituto abbia voluto riconnettere piena efficacia al provvedimento di trasferimento fino a quando non ne è stata accertata in sede giurisdizionale la sua illegittimità.

6.- Da ultimo, quanto alla pretesa autonoma rilevanza, ai fini risarcitori, della condotta illecita ascrivibile all’istituto, quand’anche la stessa non fosse qualificabile quale mobbing , il Collegio ritiene che la sola illegittimità provvedimentale dell’atto di trasferimento non sia sufficiente ad integrare il comportamento illecito possibile fonte di responsabilità aquiliana, proprio perché manca ( in quanto non provata) proprio la connotazione persecutoria e/o discriminatoria del trasferimento, ciò che rappresenta elemento indefettibile per la verifica della ricorrenza degli ulteriori elementi costitutivi della fattispecie ( e cioè il danno alla salute o alla vita di relazione ed il nesso eziologico tra condotta e danno-conseguenza).

7.- In definitiva, l’appello va respinto e va confermata la impugnata sentenza.

8.- Le spese del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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