Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-16, n. 202007042

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-16, n. 202007042
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007042
Data del deposito : 16 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/11/2020

N. 07042/2020REG.PROV.COLL.

N. 08264/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8264 del 2019, proposto dal signor D A, rappresentato e difeso dall’avvocato G G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Comune di Ripacandida, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato D T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

nei confronti

del signor D C P, rappresentato e difeso dall’avvocato D T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, sezione I, 15 giugno 2020, n. 497.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ripacandida e del signor D C P;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2020, il consigliere Giuseppe Castiglia;

Dato atto che per le parti nessuno è presente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con decreto n. 11 del 20 ottobre 2009, adottato a seguito del mancato raggiungimento di un accordo bonario fra le parti interessate, il Comune di Ripacandica ha disposto l’espropriazione di un’area di proprietà privata sita nel suo territorio e la sua assegnazione ad altro privato per la ridefinizione dei confini dei rispettivi lotti in attuazione delle N.T.A. del piano particolareggiato della zona G - commerciale, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 8 del 2 febbraio 1989.

Il proprietario espropriato ha impugnato il provvedimento proponendo un ricorso che il T.A.R. per la Basilicata, sez. I, ha dichiarato irricevibile per tardività con sentenza 15 giugno 2019, n. 497, compensando fra le parti le spese di lite.

Il Tribunale regionale ha osservato che alla controversia sarebbe applicabile l’art. 23 bis della legge n. 1034/1971, poi confluito dell’art. 119, comma 1, lett. f ), c.p.a., con conseguente riduzione alla metà - fra l’altro - del termine per il deposito del ricorso notificato. Verrebbe infatti in questione un decreto espropriativo adottato in base all’art. 7, comma 1, lett. c ) del d.P.R. n. 327/2001, dunque un potere ablatorio connesso all’interesse di dare attuazione allo strumento urbanistico per finalità di pubblica utilità, mentre la circostanza che la proprietà del bene espropriato sia stata trasferita ad altro privato non inciderebbe sulla preminente finalizzazione pubblicistica dell’acquisizione.

2. L’originario ricorrente ha interposto appello avverso la sentenza n. 497/2019.

In via preliminare l’appellante:

I) denuncia l’ error in procedendo e in iudicando in ordine all’applicazione del procedimento speciale delineato dall’art. 23 bis della legge n. 1034/1971. Il piano particolareggiato non sarebbe soggetto allo speciale termine dimidiato in quanto, essendo suscettibile di esecuzione in dieci anni, non comporterebbe alcuna particolare esigenza di pronta definizione della controversia e la natura speciale della disposizione non ne consentirebbe l’applicazione analogica ai piani urbanistici di primo e di secondo livello;
mancherebbe poi, in concreto, la destinazione dell’area espropriata all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità;

II) denuncia ancora l’ error in procedendo e in iudicando per carenza agli atti della documentazione posta a fondamento della decisione impugnata (delibera consiliare n. 8/1989, recante l’approvazione del piano particolareggiato di zona). Decorso il termine di legge, la relativa dichiarazione di pubblica utilità sarebbe ormai inefficace e ciò confermerebbe ulteriormente l’inapplicabilità del rito ordinario;

III) in via subordinata, chiede la concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile.

Nel merito, l’appellante ripropone poi i motivi del ricorso di primo grado non esaminati dal T.A.R.

I) Difetto della norma che costituisce presupposto dell’espropriazione (l’art. 22 della legge n. 1150/1942, in realtà abrogato a far data dal 1° gennaio 2002 dall’art. 58 del d. lgs. n. 325/2001);

II) Incompetenza assoluta dell’Ufficio tecnico comunale ad adottare l’atto impugnato, che rientrerebbe invece nella competenza del Sindaco ai sensi dell’art. 22 della legge n. 1150/1942 e del par. 12-2 delle N.T.A. al P.P.

III) Avvenuto decorso del termine di efficacia decennale per l’esecuzione del P.P.

IV) Violazione e falsa applicazione del par. 12-2 delle N.T.A. ed eccesso di potere per contraddittorietà, travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. Il provvedimento espropriativo servirebbe solo a soddisfare l’interesse del beneficiario a ottenere il certificato di agibilità o abitabilità dell’immobile di sua proprietà, ricadente su una porzione triangolare di un’area di proprietà dell’appellante che avrebbe dovuto essere acquisita prima del rilascio della concessione edilizia.

V) Violazione degli artt. 20 ss. del d.P.R. n 327/2001. L’espropriato non sarebbe stato chiamato a partecipare alla determinazione dell’indennità di espropriazione e della reale estensione dell’area ablata, sarebbe mancata la determinazione provvisoria della stessa indennità e la corresponsione sarebbe avvenuta prima del decorso dei termini di legge per impugnarla.

3. Il Comune di Ripacandida e il controinteressato si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello.

Con memoria del 14 settembre 2020 l’appellante ha sostenuto la tardività della costituzione dei resistenti in relazione all’art. 46, comma 1, c.p.a., in quanto successiva al termine di sessanta giorni dal perfezionamento della notificazione del ricorso.

All’udienza pubblica del 29 ottobre 2020, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

4. In via preliminare, deve essere dichiarata tardiva la costituzione in giudizio del Comune e del privato controinteressato, avvenuta con atto depositato il 5 giugno 2020 rispetto a un ricorso notificato nei loro confronti il 7 ottobre 2019. Gli atti relativi vanno perciò stralciati dal fascicolo di causa.

5. Il primo motivo dell’appello è infondato, poiché correttamente il primo giudice ha ritenuto applicabile alla controversia il regime dei termini processuali ridotti alla metà.

A questo proposito occorre osservare che:

- il ricorso è stato notificato il 17 dicembre 2009 e depositato l’11 gennaio 2010;

- è impugnato un decreto di esproprio;

- questo si fonda sul par. 12-2 delle N.T.A. al PP secondo il quale, quando gli interessati non abbiano raggiunto un accordo “ per una modificazione bonaria dei confini di proprietà in quanto necessario per l’attuazione del P.P. ”, “ il Comune procede alle espropriazioni indispensabili per attuare la nuova delimitazione delle aree fabbricabili e trasferisce le porzioni espropriate ai titolari dei lotti interessati ”;

- a sua volta, la prescrizione urbanistica ripete quella dell’art. 7, lett. c ), del d.P.R. n. 327/2001, secondo la quale “ il Comune può espropriare gli immobili necessari per delimitare le aree fabbricabili e per attuare il piano regolatore, nel caso di mancato accordo tra i proprietari del comprensorio ”;

- contenuta nel “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità”, è indubbio che la disposizione di legge preveda una fattispecie di ablazione della proprietà finalizzata a soddisfare quello che, per discrezionale valutazione del legislatore, è appunto un interesse di stampo pubblicistico, vale a dire l’attuazione del piano regolatore;
le norme di legge hanno portata generale astratta e la loro applicazione non può essere subordinata a un apprezzamento soggettivo circa la sussistenza di particolari condizioni che ne legittimino l’applicazione;

- i precedenti richiamati dall’appellanti riguardano liti in cui si discuteva dell’impugnazione di piani urbanistici di secondo livello e non di provvedimenti espropriativi adottati sulla base di essi (Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2005, n. 6183;
sez. IV, 3 maggio 2000, n. 2617);

- la costante giurisprudenza amministrativa è nel senso dell’applicabilità della dimidiazione dei termini ogni qual volta si chieda l’annullamento di atti di procedure espropriative, con l’unica esclusione dal regime speciale delle cause che abbiano a oggetto la sola domanda risarcitoria (da ultimo, ad es., Cons. Stato, 28 agosto 2018, n. 5066;
C.G.A.R.S., 15 dicembre 2017, n. 554;
Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 818;

- in definitiva, non vi sono ragioni per considerare tempestivo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, avvenuto dopo 25 giorni dal perfezionamento della notifica, e riformare sul punto la sentenza impugnata.

6. Quanto al secondo motivo dell’appello, questo è del pari infondato in quanto:

- la mancata produzione in atti della delibera di approvazione del P.P. (n. 8/1989) - che peraltro l’appellante invoca solo in questa sede di appello e a fini processuali - è irrilevante, in quanto il ricorrente non ha contestato né l’esistenza di tale piano né che effettivamente il decreto di esproprio censurato in prime cure trovasse in esso il suo fondamento;

- è del pari irrilevante il punto della pretesa perdita di efficacia del P.P., posto che tale circostanza potrebbe semmai costituire un vizio di legittimità del decreto di esproprio impugnato (per essere venuto meno il retrostante vincolo espropriativo), ma non legittima l’inosservanza del termine processuale per il deposito del ricorso.

7. Per ciò che concerne la richiesta di rimessione in termini per errore scusabile, il Collegio non ritiene di potere accordare il beneficio in questione. Premesso l’indiscusso carattere eccezionale della disposizione dell’art. 37 c.p.a., che non può servire a eludere la griglia di termini processuali perentori posti dalla legge a pena di decadenza (per tutte, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2019, n. 6684;
sez. V, 3 maggio 2019, n. 2864;
sez. IV, 28 agosto 2018, n. 5066), non si riscontra nella specie alcuna delle ragioni (obiettive oscurità o difficoltà di interpretazione della norma, particolare complessità della fattispecie concreta, contrasti giurisprudenziali, comportamenti equivoci o contraddittori dell’Amministrazione) che sole potrebbero consentirne la concessione (per considerazioni dello stesso segno, in un analogo contenzioso, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2015, n. 971).

8. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, senza che sia possibile passare all’esame del merito delle questioni sollevate.

Resta dunque confermata la sentenza di primo grado.

Apprezzate le circostanze, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

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