Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-08-31, n. 202207591

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-08-31, n. 202207591
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207591
Data del deposito : 31 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/08/2022

N. 07591/2022REG.PROV.COLL.

N. 06365/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6365 del 2015, proposto dalla sig.ra Pina Rossano, rappresentata e difesa dall’avvocato E S D, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina, 26;

contro

Comune di Melendugno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Assunta R S, domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce (Sezione Terza), n. 03201/2014, resa tra le parti, concernente diniego condono edilizio per tre unità abitative.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Melendugno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 21 dicembre 2021 il consigliere A P e uditi per l’appellante l’avvocato Ugo De Luca per delega dell’avv. E S D;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

A) L’appellante sig.ra Rossano Pina ha impugnato innanzi al TAR per la Puglia il provvedimento prot. n. 17521 del 17 settembre 2010, con cui il Dirigente dell’U.T.C. del Comune di Melendugno ha rigettato le tre domande di condono edilizio da lei presentate in data 10 dicembre 2004 relative a tre unità abitative (due al piano terra e una al piano seminterrato) realizzate su un’area sita in località Torre dell’Orso (distinta in catasto al foglio 41 particella 57), nonché ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.

B) Il provvedimento impugnato ha negato il condono sulla base delle seguenti considerazioni:

<< Considerato e ritenuto:

- che l’immobile abusivo in questione è stato realizzato su un’area di circa mq. 1.350 ... e ricade in zona agricola con edilizia impropria E3 del vigente P.R.G. approvato con deliberazione della G.R. n. 1691 del 14 novembre 2001, nella quale il Titolo III.

6.3 delle N.T.A. prevede un lotto minimo di intervento di 20.000 mq. e un I.F.F. di 0,03 mc/mq;

- che, all’epoca (30 giugno 1985) dell’edificazione abusiva dell’immobile in questione, lo stesso ricadeva in zona agricola E del P.d.F., per la quale il R.E.C. prevedeva un lotto minimo di intervento di 7.000 mq. e un I.F.F. di 0,03 mc/mq;

- che la zona nella quale è ubicato l’immobile abusivo è gravata da vincolo panoramico ex lege n. 1497/1939 imposto con D.M. 1° dicembre 1970 e vincolo idrogeologico di cui al R.D. 30 dicembre 1923 n. 3267 .... anch’esso imposto prima della edificazione del manufatto abusivo in questione;

- che, pertanto, si verte nella fattispecie di cui all’art. 32, comma 27, lett. d) della legge n. 326/2003, giacché l’abuso in questione (sussumibile nella Categoria 1 dell’allegato 1 alla suddetta legge, così come dichiarato dalla stessa richiedente) è stato ultimato in data 30 giugno 1985 in assenza di titolo abilitativo e in difformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della commissione dell’abuso, sia al momento della presentazione della domanda di condono edilizio;

- che, pertanto, non è necessario acquisire il parere di compatibilità paesaggistica ex art. 1, c. 39, l. n. 308/2004, richiesto con istanza del 31 gennaio 2005, in quanto l’abuso non può essere sanato stante la sua non conformità urbanistica, ai sensi dell’art. 32, c. 27 lett. d), della legge n. 326/2003;

- che, da tutti gli atti d’ufficio, dalle sentenze del T.A.R. di Lecce richiamate, nonché dagli stessi atti di parte presentati all’Ufficio Condono di questo Comune, si evince che l’immobile in questione, ultimato per stessa dichiarazione della richiedente il condono, in data 30 giugno 1985, è costituito da un’unica villetta, con scantinato adibito a deposito, per un volume complessivo di mc. 912,50 >>.

C) La sentenza, qui appellata, ha rigettato il ricorso partendo dal presupposto che l’impugnato provvedimento di diniego di condono edilizio si basa su una pluralità di motivi ostativi, autonomamente idonei a sorreggerlo.

La sentenza impugnata individua nell’articolo 32, comma 27, lett. d), del d.l. 30 settembre 2003 n. 269 (convertito dalla legge 24 novembre 2003 n. 326), il maggior ostacolo all’accoglimento dell’istanza di condono perché le opere abusive erano state realizzate su un’area soggetta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, imposto sulla base di leggi statali prima della esecuzione di dette opere, in assenza di titolo abilitativo e non conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti (il P.R.G. del Comune di Melendugno destinava l’area a zona agricola, prescrivendo un lotto minimo di intervento di 20.000 mq).

In ogni caso l’opera doveva essere valutata nel suo complesso (volume eccedente i 750 mc) e non in una prospettiva di futura suddivisione in 3 distinte unità immobiliari (Consiglio di Stato, VI Sezione, 5 settembre 2012, n. 4711).

D) Ha proposto ricorso in appello l’interessata deducendo, in estrema sintesi, quanto segue.

Il giudice di primo grado non ha correttamente valutato il rapporto esistente tra le disposizioni contenute nel comma 27 dell’art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, e la disciplina (espressamente fatta salva) contenuta negli art. 32 e 32 della legge n. 47/1985.

L’avverbio “comunque” (a giudizio di parte appellante) significa che le fattispecie indicate nel predetto comma 27 sono più restrittive di quelle di cui agli articoli 32 e 33 della legge n. 47/1985.

Parte appellante afferma: “In buona sostanza, un’interpretazione del nuovo corpus normativo correttamente basata sulla lettura combinata delle diverse norme ivi contenute in materia di aree vincolate consente di ritenere senz’altro applicabile a tali zone (quelle vincolate di mera inedificabilità relativa) la disciplina sulla sanatoria speciale di cui si discute”.

E) Parte appellante ha riproposto i motivi ritenuti assorbiti in primo grado.

F) Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

G) Alla udienza del 21 dicembre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

H) Il collegio osserva preliminarmente che: “Un atto amministrativo plurimotivato resiste all’annullamento in sede giurisdizionale se risulta sussistente anche una sola delle ragioni che lo sorreggono” (Consiglio di Stato IV, 27 settembre 2021, n. 6470).

Alla luce di questo principio deve valutarsi solamente se gli immobili per i quali è stato negato il condono siano stati realizzati o meno in zona sottoposta a vincolo, essendo tale circostanza, da sola, sufficiente a giustificare il diniego qui opposto.

I) Parte appellante sostiene che l’operatività della disposizione in esame (ossia della lettera “d” del comma 27 dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326) non possa essere riconosciuta in presenza di vincolo apposto con mero atto amministrativo (ossia dal decreto ministeriale 1° dicembre 1970, pubblicato sulla GU n. 53 del 1° marzo 1971: dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona costiera e di parte del territorio comunale di Melendugno) (paragrafo 2.c. del ricorso in appello). Parte appellante sostiene che la zona non poteva ritenersi vincolata perché il vincolo non era stato imposto con “ legge ”.

Il motivo è infondato.

La norma prevede che il vincolo debba essere imposto “ sulla base ” di una legge statale e non “ con ” una legge statale. Ritiene questo Collegio che “ sulla base ” costituisca il riconoscimento che (in determinate condizioni di fatto e con il procedimento indicato nel regolamento attuativo) l’autorità amministrativa (nel caso di specie il Ministro per la pubblica istruzione di concerto con il Ministro per la marina mercantile) può effettuare rendendo la dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, che costituisce il necessario presupposto legislativo per l’adozione del provvedimento di vincolo.

La dichiarazione di notevole interesse pubblico deve essere effettuata con un provvedimento amministrativo e non con una “ legge provvedimento ”.

Il motivo non può trovare accoglimento perché la zona nella quale sono stati realizzati gli immobili su cui si controverte era sottoposta al vincolo derivante dal citato decreto ministeriale 1° dicembre 1970. Non occorreva (così come sostiene parte appellante) una legge (in senso formale) per istituire il vincolo.

L) Il provvedimento impugnato in primo grado nega il condono non solo perché la zona nella quale è ubicato l’immobile abusivo è gravata da vincolo panoramico ex lege n. 1497/1939 imposto con D.M. 1° dicembre 1970, ma anche da vincolo idrogeologico di cui al R.D. 30 dicembre 1923 n. 3267, anch’esso imposto prima della edificazione del manufatto abusivo in questione.

Parte appellante nulla deduce in ordine al vincolo idrogeologico che da solo (alla luce del principio richiamato sugli atti plurimotivati) avrebbe giustificato l’adozione del rigetto della domanda di condono e l’inammissibilità del ricorso di primo grado.

M) Parte appellante propone una lettura (che il Collegio non condivide) complessiva del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (così come convertito) finalizzata all’applicazione dell’articolo 32 della legge n. 47/1985, come introdotto nell’ordinamento dal comma 43 del citato d.l. n. 269/2003.

Il comma 43 stabilisce: “L’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, è sostituito dal seguente:

“32. Opere costruite su aree sottoposte a vincolo”.

Il comma 1 dell’articolo 32 (come modificato e, ratione temporis , disciplinante la fattispecie in esame concernente domande di condono presentate nell’anno 2004 e, quindi nel vigore della norma in esame) dispone:

“Fatte salve le fattispecie previste dall’articolo 33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto. Il rilascio del titolo abilitativo edilizio estingue anche il reato per la violazione del vincolo. Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte”.

Orbene, anche ritenendo applicabile (per mera ipotesi) la norma or ora trascritta (e, quindi, sanabili le opere su cui si controverte), il ricorso in appello non potrebbe trovare accoglimento per la mancanza (nel caso in esame) del parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo.

Parte appellante non ha mai indicato quando questo parere sarebbe stato rilasciato, né ha dedotto (e provato) di aver presentato ricorso avverso il silenzio rifiuto.

N) I motivi riproposti (perché il giudice di primo grado non li avrebbe esaminati) sono inammissibili e in ogni caso da respingere.

Con essi parte appellante censura il provvedimento impugnato in primo grado in quanto non veniva riconosciuta la sua legittimazione a produrre la domanda di condono.

Il giudice di primo grado non ha ritenuto di pronunciarsi sui motivi, decidendo il ricorso nel merito.

Questo giudice d’appello osserva che, quand’anche i motivi detti dovessero essere valutati positivamente, la domanda di condono non potrebbe essere in nessun caso accolta per le ragioni sinora evidenziate.

O) Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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