Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-05-18, n. 201803010

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-05-18, n. 201803010
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201803010
Data del deposito : 18 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/05/2018

N. 03010/2018REG.PROV.COLL.

N. 02149/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 2149 del 2017 proposto dal signor A F, in nome proprio e in qualità di legale rappresentante p.t. della società Ampa 2 &
S.a.s., rappresentato e difeso dall'avvocato A D L, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S M in Roma, via Pelagio I, 10;

contro

Comune di Pimonte, non costituito in giudizio;
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in persona del Ministro p.t. e la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, in persona del Soprintendente p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione VII, n. 5536 del 29 novembre 2016, resa tra le parti, concernente, diniego di rilascio di permesso di costruire preceduto da diniego di autorizzazione paesaggistica.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2017 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti l’avvocato Danneo (su delega dell’avvocato Di Lieto) e l’avvocato dello Stato Urbani Neri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia riguarda l’azione proposta dal signor A F, in proprio e quale legale rappresentante p.t. della società Ampa 2 &
Sas, per l’annullamento:

a) quanto al ricorso principale:

a.1) dell’atto n. 135 del 12 gennaio 2016 del Responsabile del Settore Urbanistico – Edilizio del Comune di Pimonte con il quale è stata respinta la richiesta di rilascio del permesso di costruire avanzata il 17 novembre 2014 con nota prot. n. 8427;

a.2) dell’atto n. 21030 del 26 novembre 2015 del Soprintendente Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Napoli – pervenuto il 2.12.2015 -, con il quale è stato espresso parere negativo al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di un immobile adibito ad attività artigianale – casearia;

a.3) di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, ivi comprese la nota prot. n. 4298 del 6 maggio 2015 della Soprintendenza (concernente comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della suindicata richiesta) e la nota n. 9121 del 10 dicembre 2015 del Responsabile dell’Area tecnica del Comune di Pimonte (avente ad oggetto la comunicazione di avvio del procedimento di diniego del permesso di costruire);

b) quanto ai motivi aggiunti depositati il 29.6.2016:

b.1) dell’atto n. 135 del 2016 del Responsabile del Settore Urbanistico – Edilizio del Comune di Pimonte, col quale è stato confermato il diniego di rilascio di permesso di costruire;

b.2) dell’atto n. 8930 del 18 aprile 2016 del Soprintendente Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Napoli, con il quale è stato confermato il parere negativo al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di un immobile adibito ad attività artigianale – casearia;

b.3) di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, ivi compresa la nota n. 3017 del 3.5.2016 del Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Pimonte, di avvio del procedimento di diniego del permesso di costruire.

1.1. Il signor A F, titolare e amministratore del caseificio Ampa 2, rappresenta che:

a) l’attività casearia è attualmente svolta in un piccolo immobile di appena 80 mq, sito in comune di Pimonte, alla via Nazionale, distinto in catasto al foglio 2, particella 485;

b) l’immobile, a seguito dell’entrata in vigore delle più recenti norme in maniera igienico-sanitarie, risulta inadeguato (sarebbero mancanti o comunque inidonei i servizi per il personale e i locali di stagionatura e affumicatura dei formaggi);

c) l’attività è svolta prevalentemente nelle ore notturne, con disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone che vivono negli immobili sovrastanti o posti nelle immediate vicinanze;

d) le anzidette problematiche potrebbero essere agevolmente risolte con la delocalizzazione dell’attività presso un nuovo immobile da costruirsi su un terreno, sempre di sua proprietà, di circa 440 mq, ricadente in zona 4 del Piano Urbanistico Territoriale della Costiera Sorrentino – Amalfitana, di cui alla l.r. Campania n. 35/1987, e in zona D-Artigianale produttiva nel P.R.G. comunale;

e) il fondo è delimitato, rispetto alla sede viaria, da un muro di contenimento e il piano di campagna è posto ad una quota superiore rispetto alla sede viaria variabile da 3,70 ml a 7 ml;

f) in progetto è prevista la realizzazione di un opificio costituito da un piano interrato e da un piano terra che non fuoriesce rispetto all’attuale piano di campagna, in modo tale da non produrre alcuna alterazione dello stato dei luoghi, né ostacolo della visuale: l’unico lato fuori terra è quello prospiciente alla sede viaria, da cui è previsto l’arretramento di circa 6 metri. Gli unici effettivi interventi visibili riguardano la demolizione della muratura di contenimento lato strada e la demolizione di un preesistente casotto in muratura. È previsto che il locale interrato dell’edificio abbia una superficie complessiva di 223 mq e che sia adibito al carico e allo scarico delle merci, nonché a locali di servizio (spogliatoi, bagni, locali per la stagionatura e l’affumicazione). Il piano terra, invece, presso il quale è previsto lo svolgimento dell’attività casearia, ha una superficie di circa 145 mq. È, altresì, previsto che parte della copertura sia ricoperta con terreno vegetale e sia attrezzata a verde, secondo l’originale configurazione del piano di campagna.

g) in relazione alla nota prot. n. 8427 del 17 novembre 2014, concernente richiesta di rilascio del permesso di costruire, hanno espresso parere favorevole, sotto il profilo paesaggistico alla realizzazione dell’intervento, sia la commissione comunale per il paesaggio (seduta del 4 marzo 2015, verbale n. 8/2), sia il responsabile del procedimento dell’area tecnica – tutela del paesaggio del comune di Pimonte (relazione prot. n. 1997 dell’11.3.2015). Sotto il profilo urbanistico, invece, ha espresso parere favorevole il responsabile dell’area tecnica – servizio urbanistica del comune di Pimonte (atto n. 896 del 3 febbraio 2015);

h) gli anzidetti pareri sono stati acquisiti al protocollo n. 1114 del 30 marzo 2015 della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Napoli, la quale – al contrario – ha ravvisato la sussistenza di motivi ostativi al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per il mancato rispetto della normativa urbanistica e la “ forzatura del contesto

paesaggistico ” che opererebbe il progetto, che eliminerebbe “ una delle residue aree verdi del centro urbano e l’alterazione del profilo collinare, testimonianza dell’episodica edificazione dell’agglomerato pedemontano ” (atto n. 4298 del 6 maggio 2015);

i) al suddetto atto ha fatto seguito la relazione del responsabile del comune di Pimonte, datata 13 novembre 2015, con la quale è stata ribadita la conformità urbanistica dell’intervento progettato;

l) nonostante ciò, con l’atto n. 21030 del 26 novembre 2015, il Soprintendente ha espresso parere negativo al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per le opere de quibus ribadendo il preteso mancato rispetto della normativa urbanistica comunale e l’incompatibilità dello sbancamento rispetto all’esistente profilo collinare e alla presenza del verde;

m) al suddetto parere ha fatto seguito, dapprima, l’atto n. 9121 del 10.12.2015 del responsabile dell’area tecnica del Comune di Pimonte, di comunicazione dell’avvio del procedimento di rigetto del permesso di costruire e, poi, il provvedimento n. 135 del 12.1.2016 del Responsabile del settore urbanistico-edilizio del predetto Comune, col quale è stato disposto il diniego del permesso di costruire.

n) avverso i suddetti atti è stato proposto ricorso giurisdizionale;

o) a seguito dell’accoglimento dell’istanza cautelare proposta in via incidentale (ordinanza del T.a.r. per la Campania, Napoli, Sezione VII, n. 423 del 15 marzo 2016) la vicenda è stata riesaminata dalle competenti autorità;

p) la Soprintendenza, tuttavia, con l’atto n. 8930 del 18 aprile 2016, ha sostenuto che “ dai grafici pervenuti l’estensione della particella è assai inferiore ai 438 mq. dichiarati ”, risultando essere “ all’incirca di 370 mq ” e che “ insostenibile risulta poi la pretesa che il ricoprire il solaio di sommità dell’edificio con aiuole, peraltro per non più del 30% della copertura, possa costituire effettiva mitigazione dell’impatto paesaggistico dell’intervento, che, come sopra illustrato, modifica radicalmente l’orografia del sito e dell’ambito urbano-paesaggistico ” e che “ di tutta evidenza.....è il fatto che la costruzione occupa l’intera superficie dell’area, da ricavarsi a mezzo dei sopra descritti sbancamenti, mentre il secondo livello dell’edificio si estende per quasi il 60% della copertura del volume sottostante ”. Ha ribadito, pertanto, “ il carattere fortemente invasivo dell’intervento, suscettibile di alterare irreversibilmente l’ambito paesaggistico, sia per quanto riguarda la percezione consolidata, sia per quanto riguarda le caratteristiche intrinseche ”, confermando il precedente provvedimento n. 21030 del 26.11.2015;

q) il responsabile dell’area tecnica comunale, allineandosi a quanto osservato dalla Soprintendenza, ha comunicato (atto n. 3017 del 3 maggio 2016) i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza;

r) a ciò ha fatto riscontro l’integrazione documentale prot. n. 3048 del 4 maggio 2016, concernente il rilievo tachiometrico approvato dall’Ufficio Tecnico catastale, col quale si attesta che il suolo ha realmente le dimensioni di mq 438;

s) ciononostante, il responsabile del settore urbanistico-edilizio comunale, pur non condividendo quanto asserito dal Soprintendente con l’atto n. 8930/16 (sia in ragione dell’effettiva dimensione del fondo, sia perché dal “ rilievo fotografico ed aerofotogrammetrico....si può appurare che l’area in esame ricade in pieno centro urbano vista la densità edilizia presente sul posto ”, sia perché “ il sito non appartiene ad un “profilo collinare”, rilevandosi piuttosto una lieve acclività ”, sia in ragione del rispetto della normativa edilizio-urbanistica) ha denegato il rilascio del permesso di costruire a motivo della vincolatività del parere della Soprintendenza;

t) avverso i suddetti sono stati proposti i motivi aggiunti.

2. Il T.a.r. per la Campania, Napoli, Sezione VII, con la sentenza n. 5536 del 29 novembre 2016 ha respinto sia il ricorso principale che i motivi aggiunti, sulla scorta delle seguenti considerazioni:

a) l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico può richiamare, nella valutazione concernente la compatibilità dell’intervento programmato, anche profili di eventuale contrarietà rispetto alla normativa urbanistico-edilizia, laddove questi ultimi avvalorino e supportino ulteriormente le argomentazioni di natura ambientale e paesistica;

b) le valutazioni espresse rappresentano l’esercizio di un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, caratterizzata da elevati margini di opinabilità e sindacabile in sede giudiziale esclusivamente sotto i limitati profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione;

c) nel caso all’esame non si riscontrano profili di incoerenza o illogicità tali da mettere in dubbio l’attendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta, giacché il riferimento alle prescrizioni edilizio-urbanistiche è stato compiuto solo in funzione di supporto alla valutazione sfavorevole sotto il profilo paesaggistico, mentre le ragioni autentiche del parere sfavorevole hanno riguardato, nella sostanza, gli aspetti (meramente paesistici) dell’eliminazione di una “delle residue aree verdi del centro urbano” e dell’alterazione “del profilo collinare, testimonianza della episodica edificazione dell’agglomerato pedemontano”;

d) non è neppure fondata la censura, di carattere procedimentale, concernente la mancata comunicazione del preavviso di diniego in relazione al secondo parere adottato dalla Soprintendenza, giacché sollecitato in via propulsiva dal T.a.r. con l’accoglimento dell’istanza cautelare e non già conseguente ad un procedimento iniziato su istanza di parte.

2.1. Il T.a.r. ha integralmente compensato tra le parti le spese di lite.

3. Il signor A F ha impugnato la sentenza deducendo i seguenti motivi:

3.1. “ Vizio in iudicando - Eccesso di potere per carenza istruttoria, travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti e di motivazione, illogicità, perplessità e contraddittorietà evidenti - Violazione e falsa applicazione dell’art. 146 del D.lgs. n. 42/2004, degli artt. 17 e 26 della l.r. Campania n. 35/1987, degli artt. 117 e 118 della Costituzione e delle norme di attuazione del p.rg. comunale (in particolare art. 4) e del r.u.e.c. (in particolare art. 8) – Incompetenza ”. Si assume l’erroneità della sentenza nella misura in cui si è ritenuto che:

a) il parere sfavorevole riposasse su valutazioni di natura prettamente paesaggistica (l’eliminazione di una delle residue aree verdi del centro urbano e l’alterazione del profilo collinare, testimonianza della episodica edificazione dell’agglomerato pedemontano), quando - invece – la Soprintendenza ha espresso considerazioni di carattere urbanistico (la misura dell’estensione della particella interessata dall’intervento e l’asserito mancato rispetto delle prescrizioni del P.R.G. in relazione alla zona D1 (indice di copertura pari a 0,40, distanze dai fabbricati limitrofi pari a 10,00 ml., distacco dai confini pari a 5,00 ml.) esulanti dal perimetro di sua competenza, preposto alla (sola) cura dell’interesse paesaggistico;

b) il riferimento agli anzidetti rilievi urbanistici fosse finalizzato esclusivamente a corroborare e supportare le (sfavorevoli) considerazioni espresse sul piano paesistico, quando – invece – tale legame non è ravvisabile, non essendoci nesso diretto e immediato tra le (ritenute) alterazioni dell’area verde e del profilo collinare e le (altrettanto, solo ritenute) violazioni della legge urbanistica;

c) i pareri e il provvedimento finale fossero corredati da adeguato supporto motivazionale e risultassero immuni dai lamentati vizi di illogicità, irrazionalità e irragionevolezza, sulla scorta del riconoscimento dell’ampia discrezionalità che caratterizza la valutazione e l’apprezzamento degli elementi di fatto in materia di tutela del paesaggio.

3.2. “ Vizio in iudicando - Violazione degli artt. 34 e 88 del d.lg.vo n. 104/2010 e dell’art. 112 del c.p.c. - Violazione e falsa applicazione dell’art. 146 del d.lg.vo 42/04, come succ. mod. ed int., e dell’art. 17 bis della l. 241/1990, come succ. mod. ed int. – Incompetenza ”. Si assume che la sentenza è affetta da vizio di infra petizione per omessa pronuncia sul secondo motivo del ricorso introduttivo, concernente l’illegittimità dell’atto n. 21030 del 26.11.2015, anche perché emesso allorquando si era già consumato il relativo potere alla luce del novellato 9° comma dell’art. 146 del D.lg.vo 146/2004, nonché della recente normativa sul silenzio assenso di cui all’art. 17 bis della l. 241/1990. Si sostiene, in particolare, che in virtù della formazione del silenzio sull’istanza di rilascio di permesso di costruire a motivo della preliminare valutazione favorevole del comune anche sul piano paesaggistico e ambientale, la Soprintendenza non avrebbe potuto assumere diverso convincimento.

3.3. “ Vizio in iudicando - Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990, come succ. mod. ed int. ”. Si reitera il motivo (il secondo dei motivi aggiunti) già respinto in primo cure, concernente l’illegittimità dell’atto n. 8930/2016, anche perché emesso senza la previa comunicazione dei motivi ostativi all’espressione del parere favorevole, in violazione – dunque -dell’art. 10- bis della l. 241/90. Si sostiene che il riesercizio dell’azione amministrazione sollecitato in via propulsiva dall’ordinanza cautelare del Tar n. 423/2016, non abbia sortito l’effetto di derogare alle norme sul procedimento amministrativo: pertanto, anche il disposto riesame, nel caso di nuovo esito sfavorevole, avrebbe dovuto vedere il relativo atto preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi.

4. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per il comune di Napoli si sono costituite con mero atto di stile. Il comune di Pimonte, invece, non si è costituito.

5. Alla camera di consiglio del 27 aprile 2017 l’appellante ha chiesto il differimento dell’esame dell'istanza cautelare alla pubblica udienza per la trattazione del merito.

6. All’udienza pubblica del 14 dicembre 2017 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.

7. L’appello è fondato nei termini di cui appresso.

7.1. Dai documenti versati agli atti di causa risulta che:

a) il diniego comunale di rilascio di permesso di costruire (nota prot. n. 135 del 12 gennaio 2016) si è fondato esclusivamente sul parere negativo reso dalla Soprintendenza di Napoli (nota prot. n. 21030 del 26 novembre 2015), giacché l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto ai fini dell’efficacia del titolo autorizzativo.

b) l’anzidetto parere negativo è stato emesso sulla base di due diverse e concorrenti motivazioni:

b.1) per un verso, la ritenuta inidoneità urbanistica dell’area. Si rileva che il complesso ricade in zona territoriale 4 del vigente p.u.t. relativa alla riqualificazione insediativa e ambientale di primo grado, nonché in zona D del p.r.g. comunale;
che il lotto di terreno interessato è caratterizzato da un versante collinare la cui quota sul fronte anteriore è di circa 3,00 ml sopraelevata rispetto alla quota stradale;
che il progetto prevede lo sbancamento del terrazzamento e del sovrastante pendio, nonché lo scavo di tutta l’area fino alla profondità di 3,50 ml per realizzare un piano interrato che occuperebbe l’intero lotto, e la realizzazione di un piano terra per una estensione pari al 60% della copertura del volume sottostante;
che la vigente normativa di p.r.g., nella zona interessata, prevede l’indice di copertura pari a 0,40, la distanza dai fabbricati limitrofi pari a 10 ml e il distacco dai confini pari a 5,00 ml;

b.2) per un altro verso, la ritenuta forzatura del contesto paesaggistico. Si ritiene che il progetto, nella misura in cui importa l’eliminazione di una delle residue aree verdi del centro urbano e l’alterazione del profilo collinare, non sia idoneo a prospettare soluzioni architettoniche atte a contemperare le esigenze della produzione con quelle di tutela del paesaggio e di riqualificazione della scena urbana, che invece necessiterebbero di interventi di più elevato livello qualitativo;

c) la relazione istruttoria degli Uffici comunali urbanistici (prot. n. 896 del 3 febbraio 2015) ha invece riscontrato la compatibilità dell’intervento edilizio rispetto alla vigente normativa edilizio-urbanistica, a motivo dell’idoneità della zona D a ospitare nuovi insediamenti industriali o artigianali;
del rispetto dell’indice di copertura pari a 0,40 mq/mq;
del rispetto delle distanze dai confini e dai vicini fabbricati per la porzione edificata al piano terra e dell’irrilevanza delle distanze per la parte interrata;
della previsione di idonei spazi adibiti a parcheggio;

d) la relazione istruttoria degli Uffici comunali paesaggistici (prot. n. 1997 dell’11 marzo 2015) ha, anch’essa, riscontrato la compatibilità dell’intervento programmato rispetto al paesaggio nel quale si inserisce, giacché il manufatto si colloca a ridosso del terrapieno e risulta prevalentemente interrato, non occlude visuali panoramiche esistenti, utilizza materiali compatibili e adatti al contesto, prevede idonee sistemazioni a verde ai fini della mitigazione dell’impatto;

e) la relazione istruttoria degli Uffici comunali urbanistici, sollecitata dalla Soprintendenza con la nota prot. n. 4298 del 6 maggio 2015, ha confermato che:

e.1) in merito allo sbancamento di terra, le norme di p.r.g. comunale non vietano né movimenti di terra né diverse sistemazioni del piano di campagna;

e.2) in merito alle distanze, l’immobile risulta progettato a oltre 5,00 ml dal lato strada e a confine coi tre lati. La porzione “controterra” risulta completamente interrata rispetto ai fondi finitimi, sicché è ammessa la costruzione sul confine;

e.3) in merito alla superficie al piano terra, l’indice di copertura è rispettato perché il lotto misura 438 mq e il fabbricato 175 mq. Il livello interrato non concorre nel computo della volumetria (art. 4, lett. f delle NTA);

f) il nuovo parere sfavorevole emesso dalla Soprintendenza a seguito di riesame sollecitato dal Tar in sede cautelare (prot. n. 8930 del 18 aprile 2016) ha, nella sostanza, riprodotto gli stessi motivi già enunciati nel precedente parere negativo, sia dal punto di vista urbanistico che da quello paesaggistico;

h) il diniego di rilascio di permesso di costruire che ne è seguito (prot. n. 3203 del 10 maggio 2016) ha continuato a riscontrare - invece – la conformità urbanistica dell’intervento, sia in relazione all’indice di copertura volumetrica (è stato accertato, con rilievo tacheometrico depositato e approvato dall’ufficio tecnico catastale, che il fondo misura effettivamente 438 mq, in luogo dei 370 mq ipotizzati dall’amministrazione statale), in riferimento all’orografia del sito (sono stati eseguiti appositi rilievi fotografici e aerofotogrammetrici dai quali risulta una notevole densità edilizia dell’area e una lieve acclività del pendio).

7.2. Le anzidette risultanze inducono a ritenere illegittimamente esercitato, da parte della Soprintendenza, il potere discrezionale conferitole dalla legge.

7.3. Ciò, tanto in relazione alle valutazioni concernenti il profilo urbanistico dell’opera, quanto in riferimento a quelle propriamente pertinenti il profilo paesaggistico e ambientale.

7.3.1. Quanto al primo aspetto, infatti, va precisato quanto segue.

In astratto il Collegio concorda con il ragionamento seguito dal giudice di prime cure circa la giuridica possibilità, per l’amministrazione preposta alla cura dell’interesse ambientale e paesistico, di implementare e rafforzare le proprie valutazioni di competenza attraverso il riferimento a nozioni e concetti pertinenti – più propriamente - alla disciplina urbanistica del sito.

Tale operazione, tuttavia, è consentita dall’ordinamento – in ossequio al riparto di competenze tra i diversi livelli territoriali nella materia complessa e traversale del governo del territorio – solo nei limiti in cui il dato fattuale appartenente alla scienza urbanistica (di pertinenza dell’amministrazione comunale) sia utilizzato dalla diversa autorità preposta alla cura dell’interesse ambientale in modo funzionale al perseguimento di quest’ultimo, e non già come inutile (e non consentita) duplicazione di giudizi e di valutazioni che pertengono alle diverse amministrazioni coinvolte.

Nel caso all’esame la Soprintendenza (con entrambi i pareri sfavorevoli impugnati) ha violato detto principio, formulando giudizi e valutazioni di spettanza della sola amministrazione comunale e privi di nesso funzionale e teleologico rispetto alle valutazioni ad essa spettanti.

Ad ogni modo, pur volendo lasciare in disparte il profilo concernente l’esatto riparto di competenze, gli anzidetti giudizi e valutazioni appaiono – sotto l’aspetto strettamente urbanistico – pure del tutto erronei nel merito.

L’amministrazione comunale, infatti, anche da ultimo ha evidenziato – del tutto correttamente – tutte le evidenze fattuali e giuridiche che rendono l’intervento programmato compatibile rispetto alla disciplina edilizio-urbanistica, e segnatamente:

1) l’idoneità della zona D a ospitare nuovi insediamenti industriali o artigianali, avendo la stessa legge urbanistica manifestato un decisivo favor per la delocalizzazione, nelle aree decentrate e circostanti il centro urbano, dei presidi industriali o artigianali molesti o divenuti inidonei per la sopravvenienza di leggi di settore, soprattutto in tema di sicurezza;

2) il rispetto dell’indice di copertura pari a 0,40 mq/mq: è stato definitivamente accertato, con rilievo tacheometrico depositato e approvato dall’ufficio tecnico catastale, che il fondo misura effettivamente 438 mq e il fabbricato sopra terra 175 mq. Il livello interrato, invece, non concorre nel computo della volumetria (art. 4, lett. f delle NTA);

3) l’osservanza delle distanze dai confini e dai vicini fabbricati per la porzione edificata al piano terra, essendo la residua parte completamente interrata;

4) la previsione di idonei spazi adibiti a parcheggio;

5) la non occlusione di visuali panoramiche esistenti: il manufatto è quasi completamente interrato, tranne una piccola parte soprastante;

6) l’utilizzazione di materiali compatibili e adatti al contesto;

7) la previsione di idonee sistemazioni a verde ai fini della mitigazione dell’impatto;

8) l’assenza di un divieto di sbancamento o di movimentazione di terra, né di diverse sistemazioni del piano di campagna;

9) l’assenza di un vero e proprio profilo collinare del sito: appositi rilievi fotografici e aerofotogrammetrici evidenziano una lieve acclività del pendio;

10) lo stato urbanizzato dell’area, caratterizzata da notevole densità edilizia.

7.3.2. In relazione, invece, al profilo prettamente paesaggistico e ambientale (l’unico di competenza della Soprintendenza), va osservato che la valutazione negativa si è concentrata sui profili dell’eliminazione di una delle residue aree verde della zona e dell’alterazione del profilo collinare.

Entrambi i rilievi non colgono nel segno e sono, anzi, smentiti dai fatti di causa.

In particolare, quanto alla consistenza dell’area destinata a verde, il progetto prevede che la maggior parte del fabbricato venga realizzato sotto terra e che la parte più piccola soprastante sia ricoperta da manto erboso e altre essenze.

Quanto, invece, all’asserito danneggiamento del profilo collinare, va osservato in via preliminare che i rilievi fotografici e aerofotogrammetrici in atti evidenziano una lieve acclività del pendio, non già un vero e proprio declivio collinare o pedemontano.

Pertanto, allo stato degli atti e dei documenti acquisiti al processo, appaiono illogiche e non convincenti le ragioni ambientali e paesaggistiche prospettate come ostative dall’amministrazione statale.

Vi è, infatti, intrinseca irragionevolezza tra la premessa posta (la necessità di trovare un preciso contemperamento tra le opposte esigenze delle produzione e quelle della tutela dell’ambiente e del paesaggio), le caratteristiche formali (la destinazione urbanistica D, che consente la realizzazione di nuovi impianti industriali e artigianali) e naturali del sito (la lieve acclività e lo stato urbanizzato dell’area), le caratteristiche dell’edificio erigendo (per la gran parte sottoterra e solo per una piccola residua parte fuori terra, ma ricoperto da manto erboso) e la conclusione esitata (il parere sfavorevole).

L’indirizzo tradizionalmente seguito dalla giurisprudenza amministrativa, del resto, valorizza l’obbligo di motivazione specifica delle effettive ragioni di contrasto tra l’intervento progettato e i valori paesaggistici oggetto della tutela.

Anche da ultimo, il Consiglio di Stato (Sez. VI, sentenza 19 giugno 2017 n. 2968, cui si rinvia anche ai sensi del disposto degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a.) ha puntualizzato la necessità di spiegare, da parte della Soprintendenza, se e con quale tipo di accorgimento tecnico o di modifica progettuale l'intervento potrebbe (o no) essere invece assentito. E ciò al fine precipuo di impedire che la motivazione, fondata su estrinseche ragioni di contrasto ambientale, si riveli del tutto astratta e sganciata dalla reale situazione dei luoghi e dal tipo di intervento in concreto progettato.

Il parere negativo, infatti, attesa la sua natura ostativa e fortemente limitativa della legittima aspettativa del privato alla realizzazione dell’intervento in zona edificabile e vocata, per formale classificazione, ad ospitare proprio l’insediamento di nuovi impianti industriali e artigianali, a maggior ragione deve essere assistito da un ragionamento logico-giuridico che espliciti le circostanze di fatto e gli elementi specifici che sono stati ritenuti tali da implicare, in concreto, un intollerabile danno e pericolo sotto il profilo della salvaguardia del valore del paesaggio, argomentando e delucidando con precisione e chiarezza i motivi impeditivi (Consiglio di Stato, sez. IV, 8 gennaio 2018, n. 67).

Nel caso all’esame, tale operazione ermeneutica avrebbe dovuto essere compiuta tenendo conto di tutti i riscontri fattuali sopra elencati al punto 7.3.1. numeri da 1 a 10 o, quantomeno, motivando le ragioni del dissenso attraverso una spiegazione logica atta a confutare la verità o l’attendibilità degli avversate evidenze, mediante rilievi controfattuali positivamente apprezzabili e suscettibili di oggettivo riscontro (così, ad esempio, le evidenze che pertengono alla misurazione del fondo e all’accertamento della pendenza del declivio naturale).

La costituzione (solo formale) del Ministero dei beni culturali e della Soprintendenza (tale anche nel primo grado di giudizio, mediante l’atto di costituzione dell’8 marzo 2016) non ha consentito a questo Collegio, del resto, di ipotizzare una diversa, possibile, alternativa interpretazione dei fatti processuali, sicché il giudizio è rimasto circoscritto – di necessità – al thema decidendum et probandum versato agli atti da parte dell’interessato.

8. Il Collegio, attesa la palese fondatezza del primo motivo di appello e facendo applicazione del criterio della ragione più liquida derogatorio, per ragioni di economia dei mezzi processuali, dell’ordine delle questioni da trattare ex artt. 276 c.p.c. e 39 c.p.a., secondo le coordinate esegetiche fornite dall’Adunanza plenaria, sentenza n. 5 del 2015, ritiene di dovere prescindere dall’esame degli ulteriori due motivi - i quali restano dunque assorbiti - anche perché l’accoglimento del primo motivo rappresenta ragione di maggiore satisfazione dell’interesse della parte appellante.

9. All’accoglimento dell’appello consegue l’annullamento degli atti impugnati.

9.1. Resta ferma, ovviamente, la facoltà, per le amministrazioni preposte alla cura dei rispettivi interessi pubblici coinvolti, di riesercitare il potere amministrativo loro conferito dalla legge in vista della migliore tutela degli anzidetti interessi, nel bilanciamento col contrapposto interesse (privato) alla produzione e secondo i parametri, anche conformativi, di cui alla presente decisione.

10. Le spese di lite del doppio grado possono essere equitativamente compensate tra le parti in ragione dell’estrema difficoltà ricostruttiva della fattispecie e della delicatezza delle questioni trattate.

11. Ai fini del pagamento del contributo unificato deve essere considerata soccombente la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli.

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