Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-09, n. 202108205

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-09, n. 202108205
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202108205
Data del deposito : 9 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/12/2021

N. 08205/2021REG.PROV.COLL.

N. 09450/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9450 del 2013, proposto dalla Energetyca s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A C, T M e A L, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via delle Quattro Fontane, n. 20;

contro

- la Regione Puglia, in persona del presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato T T C, con domicilio eletto presso delegazione regionale in Roma, via Barberini, n. 36, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- il Comune di Francavilla Fontana, in persona del sindaco pro tempore , non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione prima, n. 1765/2013, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Puglia;

visti tutti gli atti della causa;

relatore il consigliere Francesco Frigida nell’udienza pubblica del giorno 25 maggio 2021, svoltasi con modalità telematica, e uditi, per la parte appellante, l’avvocato T M e, per la Regione Puglia, l’avvocato T T C;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società odierna appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. 1598 del 2011 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha chiesto, nei confronti della Regione Puglia e del Comune di Francavilla Fontana, il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi e, in ogni caso, riconnessi al ritardo nelle conclusione della procedura, entro il termine massimo di 180 giorni previsto dal decreto legislativo n. 387/2003, volta al rilascio dell’autorizzazione unica relativa ad un impianto fotovoltaico di potenza pari a 3,337 megawatt, localizzato nel Comune di Francavilla Fontana, località “ Palmarino”, da essa avviata con istanza del 30 settembre 2008.

1.1. Il Comune di Francavilla Fontana si è costituito nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso, mentre la Regione Puglia non si è costituita.

1.2. In corso di causa il provvedimento finale, favorevole all’interessata, è stato adottato in data 24 novembre 2011.

2. Con l’impugnata sentenza n. 1765 del 29 luglio 2013, il T.a.r. per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione prima, ha respinto il ricorso e ha compensato tra le parti le spese di lite.

3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 16 dicembre 2013 e in data 24 dicembre 2013 – la parte privata ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando tre motivi.

4. La Regione Puglia si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame.

5. Il Comune di Francavilla Fontana, pur ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio.

6. In vista dell’udienza di discussione, la Regione Puglia ha depositato memoria e l’appellante ha depositato memoria e memoria di replica.

7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 25 maggio 2021, svoltasi con modalità telematica.

8. Va preliminarmente precisato che nel caso di specie si è in presenza di una domanda risarcitoria per ritardo nell’emanazione di un provvedimento favorevole al privato, poi effettivamente emesso, sicché la pretesa del bene della vita (autorizzazione) si è rivelata fondata.

Ciò posto, si evidenzia che l’art. 2- bis , comma 1, della legge n. 241/1990 prevede la possibilità di risarcimento del danno da ritardo/inerzia dell'amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non già come effetto del ritardo in sé e per sé, bensì per il fatto che la condotta inerte o tardiva dell’amministrazione sia stata causa di un danno altrimenti prodottosi nella sfera giuridica del privato che, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento amministrativo;
il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest'ultimo deve fornire la prova sia sull’ an sia sul quantum , deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell'amministrazione, sempreché la legge non preveda, alla scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, un’ipotesi di silenzio significativo.

8.1. Sempre preliminarmente va evidenziato che recentemente l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 7 del 23 aprile 2021, in adesione all’orientamento tradizionale e maggioritario, ha ribadito in generale che « la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale;
è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 cod. civ. - da ritenere espressione di un principio generale dell’ordinamento - i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 cod. civ.;
e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall’art. 1225 cod. civ.
».

L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha inoltre dettato i criteri per il risarcimento del danno conseguente alla ritardata conclusione del procedimento autorizzativo ex art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 (fattispecie in cui è sussumibile anche la vicenda oggetto del presente giudizio), causativa, al privato del mancato accesso agli incentivi tariffari connessi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in ragione di uno ius superveniens sfavorevole al privato (che nel caso di specie va rinvenuto nei decreti del Ministero dello sviluppo economico del 6 agosto 2010 e del 5 maggio 2011).

In particolare è stato chiarito che:

- « con riferimento al periodo temporale nel quale hanno avuto vigenza le disposizioni sui relativi benefici, è in astratto ravvisabile il nesso di consequenzialità immediata e diretta tra la ritardata conclusione del procedimento autorizzativo ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 e il mancato accesso agli incentivi tariffari connessi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili quando la mancata ammissione al regime incentivante sia stato determinato da un divieto normativo sopravvenuto che non sarebbe stato applicabile se i termini del procedimento fossero stati rispettati »;

- « con riferimento al periodo successivo alla sopravvenienza normativa, occorre stabilire se le erogazioni sarebbero comunque cessate, per la sopravvenuta abrogazione della normativa sugli incentivi, nel qual caso il pregiudizio è riconducibile alla sopravvenienza legislativa e non più imputabile all’amministrazione, oppure se l’interessato avrebbe comunque avuto diritto a mantenere il regime agevolativo, in quanto la legge, per esempio, faccia chiaramente salvi, e sottratti quindi all'abrogazione, gli incentivi già in corso di erogazione e fino al termine finale originariamente stabilito per gli stessi »;

- « in ogni caso, il danno va liquidato secondo i criteri di determinazione del danno da perdita di chance, ivi compreso il ricorso alla liquidazione equitativa, e non può equivalere a quanto l’impresa istante avrebbe lucrato se avesse svolto l'attività nei tempi pregiudicati dal ritardo dell’amministrazione ».

9. Delineato siffatto quadro ordinamentale, il Collegio osserva che l’appello è fondato e deve essere accolto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.

10. Attraverso il primo motivo di gravame, l’appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove il T.a.r. ha escluso che vi sia stata un’inerzia della pubblica amministrazione quantomeno fino alla data del 5 novembre 2010, ovverosia alla data di comunicazione da parte della società alla Regione della modificazione del profilo morfologico generale dell’impianto (cosiddetto layout ).

Questa doglianza è fondata, poiché il suddetto profilo non costituisce, con ogni evidenza, né nuovo progetto, né una modificazione sostanziale dell’originale, bensì una mera riduzione dei pannelli fotovoltaici da realizzare (comportante un calo della potenza complessiva da 5,76 megawatt a 3,337 megawatt di potenza) in ottemperanza alle richieste formulate dagli enti interessati nella conferenza di servizi del 18 maggio 2010, rimanendo, per il resto, il progetto del tutto immutato nelle sue caratteristiche. Dunque non vi è stata, a differenza di quanto affermato dal T.a.r., una modificazione progettuale « dettata certamente da esigenze connaturate a politiche commerciali e di investimento proprie delle società », bensì, come emerge dagli atti, soltanto una riduzione della potenza per rispettare l’interesse pubblico di mitigazione dell’impatto ambientale dell’impianto, così come richiesto specificamente dalla pubblica amministrazione.

Tanto premesso, è palese che, rimanendo fermi tutti i pareri e le valutazioni già espressi, l’istruttoria avrebbe dovuto procedere celermente ed esclusivamente in relazione agli aspetti modificati (non voluti direttamente dall’interessata), senza che ciò posa impingere sulla durata complessiva del procedimento (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 27 luglio 2017, n. 3759).

Ne discende che, diversamente da quanto statuito in primo grado, ai fini risarcitori è rilevante l’inerzia della Regione Puglia dal 5 maggio 2010 (data di scadenza del termine per provvedere) al 15 novembre 2011 (data di emanazione del provvedimento favorevole con determinazione dirigenziale n. 297/2011, pubblicata sul bollettino ufficiale regionale n. 184 del 24 novembre 2011). Sul punto si specifica che il termine del 5 maggio 2010 corrisponde al centottantesimo giorno successivo all’apertura ufficiale del procedimento (come statuito dall’art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003), avvenuta in data 7 ottobre 2009, peraltro a fronte di una domanda presentata alla Regione 6 ottobre 2008.

11. Tramite il secondo motivo d’impugnazione, l’appellante ha contestato la sentenza impugnata laddove il T.a.r. ha escluso il nesso di causalità tra la condotta della Regione e i danni patiti dalla società interessata, siccome « avrebbe omesso di compulsare immediatamente la P.A. procedente in vista dell’adozione del provvedimento finale preferendo invece attivare, con il ricorso all’esame, direttamente la richiesta risarcitoria (…) Tanto più che a seguito della chiusura favorevole della conferenza di servizi, l’adozione del provvedimento finale costituiva un adempimento pressoché vincolato da parte dell’amministrazione regionale, ai sensi dell’art. 14 comma 6 bis l. n. 241/90, sicché in caso di inerzia da parte di quest’ultima la ricorrente avrebbe potuto altresì instare, per una pronuncia giudiziale di accertamento della fondatezza dell’istanza, secondo la previsione di cui all’art. 31 co. 3 c.p.a. ».

Tale doglianza è fondata, in quanto l’art. 31, comma 3, secondo periodo del codice del processo amministrativo prevede che « Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti », sicché tali strumenti non possono essere limitati soltanto a quelli giurisdizionali, ma includono necessariamente anche i rimedi stragiudiziali (cfr. Adunanza Plenaria n. 3 del 23 marzo 2011), atteso che la predetta norma utilizza la congiunzione coordinante « anche ».

Orbene, nel caso di specie la società interessata ha attivato gli strumenti stragiudiziali: emerge dagli atti, invero, che essa ha inviato alla Regioni numerosi solleciti, in cui si è diffidata l’amministrazione a concludere quanto prima il procedimento e sono stati rappresentati gli ingenti e crescenti danni cagionati dal ritardo, che poi sono sfociati nell’irrimediabile concreta irrealizzabilità del progetto a causa dello ius superveniens in tema d’incentivi agli impianti fotovoltaici (ovverosia decreti del Ministero dello sviluppo economico del 6 agosto 2010 e del 5 maggio 2011, ambedue successivi al termine finale di conclusione del procedimento, da fissarsi al 5 maggio 2020).

12. Mediante la terza doglianza, la parte privata ha censurato la sentenza gravata nella parte in cui, in modo asseritamente contraddittorio, il T.a.r. ha dapprima escluso la risarcibilità del danno emergente, siccome assorbito dal lucro cessante e poi ha negato il risarcimento anche quest’ultima voce di danno, reputandola non provata, siccome la società non avrebbe « documentato la disponibilità di risorse proprie o, comunque, ragionevolmente finanziabili, per la realizzazione dell’intervento nel periodo in cui si assume il ritardo della P.A. ».

Siffatta contestazione è fondata, giacché dalla documentazione prodotta dalla società già in primo grado emerge che essa disponesse delle suddette risorse finanziarie. Segnatamente l’interessata ha depositato durante l’istruttoria amministrativa sia un piano economico finanziario, asseverato dalla Banca Popolare di Sondrio in data 2 aprile 2009, sia una dichiarazione resa dalla medesima banca in data 16 gennaio 2009, attestante la disponibilità di risorse finanziarie in capo alla società in grado di supportare l’investimento per la realizzazione dell’impianto e idonee a garantire il buon esito dell’iniziativa. Si osserva peraltro che questi documenti sono stati evidentemente apprezzati favorevolmente dalla Regione Puglia, che, seppur con oltre un anno di ritardo, ha rilasciato la richiesta autorizzazione unica.

Erronea è anche l’affermazione del T.a.r. per cui la mancata realizzazione dell’impianto (e il conseguente lucro cessante) non sarebbe stata causata dal ritardo della Regione nel rilascio dell’autorizzazione unica, bensì dalla circostanza che la società sarebbe stata messa in liquidazione (il che peraltro è fatto contestato dall’appellante).

Al riguardo si rileva che tale ricostruzione inverte il rapporto tra causa ed effetto. Ed invero, la società è stata posta in liquidazione solamente quando oramai la realizzazione dell’impianto era divenuta completamente antieconomica, ovverosia quando, a fronte del mutato quadro normativo, era divenuto impossibile l’accesso agli incentivi. Il piano economico finanziario, infatti, era stato predisposto dall’interessata considerando ragionevolmente il termine massimo di 180 giorni risultante dall’art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 per la conclusione del procedimento e la conseguente possibilità di ottenere gli incentivi previsti dalla normativa vigente ratione temporis , sicché lo squilibrio finanziario è stato cagionato, in via diretta e immediata, dal considerevole ritardo nel rilascio dell’autorizzazione unica.

Pertanto il danno da mancata percezione degli incentivi deve essere comunque liquidato, così come sancito dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la già citata sentenza n. 7/2021.

13. In conclusione l’appello va accolto e, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado e di conseguenza la sola Regione Puglia (unico soggetto responsabile del ritardo nel provvedere e non il Comune di Francavilla Fontana) va condannata al risarcimento, in favore dell’appellante, di tutti danni da questa subiti (danno emergente e lucro cessante) a seguito della ritardata emanazione del richiesto provvedimento autorizzatorio in data 15 novembre 2011 (e pubblicato sul bollettino ufficiale regionale il 24 novembre 2011), a fronte di un termine massimo per provvedere scaduto il 5 maggio 2010, secondo i criteri delineati dalla richiamata sentenza del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, n. 7 del 23 aprile 2021. In proposito si rammenta che, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., la Regione Puglia dovrà proporre, entro un congruo termine, a favore della società odierna appellante, che è tenuta a collaborare lealmente, il pagamento di una somma, che dovrà riconoscere una tutela risarcitoria piena ed effettiva all’interessata, sulla base della documentazione in atti.

14. In applicazione del principio della soccombenza, all’accoglimento dell’appello segue la condanna della Regione Puglia al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese di lite di ambedue i gradi di giudizio, che, tenuto conto dei parametri stabiliti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e dall’art. 26, comma 1, del codice del processo amministrativo, si liquidano in euro 15.000 (quindicimila), oltre al 15% per spese generali, agli accessori di legge e al rimborso dei del contributo unificato, se versato;
stante la mancata condanna del Comune e attesa la sua partecipazione marginale al procedimento amministrativo foriero di danni vanno compensate le spese di lite tra l’appellante e l’amministrazione comunale.

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