Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-06-03, n. 202003462

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-06-03, n. 202003462
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003462
Data del deposito : 3 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/06/2020

N. 03462/2020REG.PROV.COLL.

N. 00099/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 99 del 2011, proposto dal dott. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato G G, con domicilio eletto presso lo studio Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza, n. 24;

contro

Comune-OMISSIS-), in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato F T, con domicilio eletto presso lo studio Nathalie Lusi in Roma, via Flaminia, n. 362;

nei confronti

-OMISSIS-., in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria a’ sensi dell’art. 43 del t.u. approvato con r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Terza) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente condono edilizio - ris. danni


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di -OMISSIS-e di -OMISSIS-.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2020 il Consigliere F R e uditi per la parte appellante l’avvocato Fabrizio Lofoco su delega dell’avvocato G G e per l’appellata -OMISSIS- S.p.a. l’avvocato dello Stato Gianmario Rocchitta;
nessuno comparso per l’appellato Comune di -OMISSIS-;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1.L’attuale appellante, dott. -OMISSIS-, espone di aver presentato in data 24 febbraio 1995 al Comune di -OMISSIS-una domanda di rilascio del condono edilizio contemplato dall’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724, avente ad oggetto “alcuni manufatti edilizi parzialmente abusivi facenti parte di più vasto compendio immobiliare realizzato con regolare licenza edilizia del 23 febbraio 1960 e destinato a stabilimento vinicolo” (cfr. pag. 2 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio), con la precisazione che in tale domanda era ricompreso “anche un locale accessorio di forma trapezoidale di circa mq. 33, staccato dal restante corpo di fabbrica e prossimo ad una complanare -OMISSIS-” (cfr. ibidem ).

Più esattamente, quindi, tale domanda riguardava 1) l’ampliamento di uno stabile ad uso commerciale mediante la chiusura di un porticato;
2) la realizzazione di un locale adiacente al corpo di fabbrica principale;
3) la realizzazione di un locale trapezoidale ad uso di attività commerciale.

Il -OMISSIS-precisa di aver allegato a tale domanda una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, redatta a’ sensi dell’allora vigente art. 4 della l. 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che “le opere oggetto della mia richiesta di sanatoria, presentata al Comune di -OMISSIS-in data 31 gennaio 1995 sono state realizzate nei tempi come segue: … b) dipendenza isolata a ridosso della complanare nel 1962” e che, pertanto, tale costruzione era stata invero realizzata in area assoggettata a vincolo di inedificabilità a’ sensi del d.m. 1 aprile 1968, n. 1404 ma in epoca antecedente all’imposizione del vincolo medesimo e, pertanto, assoggettabile alla disciplina contenuta al riguardo nell’art. 32 della l. 28 febbraio 1985, n. 47.

Peraltro, in data 22 agosto 1995 il Sindaco di -OMISSIS-, reputando mendace tale dichiarazione sostitutiva a’ sensi del combinato disposto dell’allora vigente art. 26 della predetta l. n. 15 del 1968 e dell’art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico), ha segnalato la circostanza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 331 c.p.p.

Con sentenza n. -OMISSIS-– 3 aprile 2000 il Tribunale di -OMISSIS-ha assolto il dott. -OMISSIS-dall’imputazione formulata a suo carico “perché il fatto non sussiste” .

L’attuale appellante precisa che il giudice penale è pervenuto a tale statuizione all’esito dell’escussione di quattro testi, di cui tre indicati dalla stessa Pubblica Accusa (due vigili urbani preposti al controllo dell’attività edilizia e un impiegato dell’Ufficio tecnico comunale) e che nella sentenza medesima si da’ atto che uno dei testi a carico, avendo esaminato l’aerofotogrammetria dei luoghi risalente al 1967, vi aveva individuato il fabbricato in questione, il quale pertanto era a quell’epoca esistente.

A questo punto l’-OMISSIS-, su richiesta del medesimo dott. -OMISSIS-, ha attestato in data 19 ottobre 2000, ai fini dell’art. 32 della l. n. 47 del 1985 e dell’art. 10 della l. 27 dicembre 1997, n. 449, che “le opere edilizie eseguite abusivamente da codesta ditta … in prossimità del raccordo -OMISSIS-non costituiscono pericolo per la circolazione stradale e le strade statali su dette non sono interessate da allargamenti stradali” .

Nondimeno, con provvedimento n. -OMISSIS-e in esito all’istruttoria in sanatoria n. -OMISSIS-, il Capo Sezione dell’Ufficio tecnico comunale di -OMISSIS-,, dopo avere premesso che “sia il locale trapezoidale che il locale ad uso attività commerciale ricadono in zona soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta imposto dal D.M.

1.04.1968 n. 1404 e successivamente dal d.lgs n. 285 del 30 aprile 1992 e risultano realizzati dopo l’imposizione del vincolo (art. 33 l. n. 47 del 1985), inoltre il locale ad uso attività artigianale, alla
data del 31 dicembre 1993, non risultava completo funzionalmente come lo si è rilevato anche in sede con sopralluogo effettuato in data 2 agosto 2000 (art. 3, secondo comma, della l. n. 47 del 1985)” , ha respinto la domanda di rilascio del condono edilizio “limitatamente al locale trapezoidale accessorio ed al locale ad uso attività commerciale” .

1.2. Il dott. -OMISSIS-ha chiesto l’annullamento di tale provvedimento con ricorso proposto sub R.G. n. 995 del 2001 innanzi al T.A.R. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce.

1.3. Peraltro, nelle more di tale giudizio, a seguito dell’entrata in vigore della nova disciplina di condono edilizio contenuta nell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326 ha presentato al Comune di -OMISSIS-due nuove domande di condono edilizio aventi rispettivamente ad oggetto la realizzazione dei medesimi locali per i quali era stata già respinta istanza la precedente domanda presentata a’ sensi dell’art. 39 della l. n. 724 del 1994.

Con provvedimento n. -OMISSIS-dd. 19 dicembre 2008 il Dirigente preposto al Settore Urbanistica e Assetto del Territorio ha assentito il condono per il locale ad uso attività artigianale, nel mentre con il susseguente provvedimento n. -OMISSIS-dd. 29 settembre 2008 ne ha denegato il rilascio per il predetto locale trapezoidale.

1.4. In data 4 dicembre 2008 il dott. -OMISSIS-ha quindi chiesto, limitatamente a tale locale, il riesame della precedete pratica di condono presentata in data 24 febbraio1995 a’ sensi dell’art. 39 della l. n. 724 del 1994 e già definita con l’anzidetto provvedimento n. -OMISSIS-, e ciò con riguardo alla predetta sentenza penale di assoluzione n. -OMISSIS-e al surriferito parere favorevole reso al riguardo -OMISSIS-. in data 19 ottobre 2000.

A seguito di tale richiesta il medesimo Dirigente del Settore Urbanistica ed Assetto del Territorio ha confermato con provvedimento Prot. n. 47589 dd. 14 luglio 2009 il diniego a suo tempo espresso, e ciò sulla base delle seguenti considerazioni motive.

-1) il fabbricato non sarebbe stato realizzato in epoca antecedente al 1967 in quanto non risulterebbe presente nei rilievi aerofotogrammetrici del 1967 e del 1972;

-2) il parere favorevole reso dall’-OMISSIS- in data 19 ottobre 2000 non sarebbe di per sé idoneo a superare un precedente parere contrario reso dalla stessa -OMISSIS- rilasciato con riguardo al medesimo fabbricato in occasione di altra richiesta di condono edilizio in precedenza presentata a’ sensi dell’art. 31 e ss. della l. 28 febbraio 1985, n. 47, e ciò in quanto “oggi la situazione intorno ai manufatti in esame è notevolmente variata in forza delle realizzazioni effettuate dopo l’anno 2000 (variante -OMISSIS- e nuovi insediamenti costruttivi)” ; inoltre le numerose attività commerciali e artigianali esistenti attorno all’immobile determinerebbero una notevole movimentazione di veicoli che il fabbricato in parola intralcerebbe perché collocato sulle vie di esodo;

-3) l’immobile non sarebbe mai stato destinato ad attività commerciale, bensì a locale servizi o, tutt’al più, ad uffici;
nella descrizione delle opere abusive fatta nell’istanza di condono edilizio il locale risulterebbe invero destinato ad attività commerciale, nel mentre nelle planimetrie e nelle foto si riscontrerebbe una destinazione d’uso di agenzia di viaggi.

1.5. Con ricorso proposto sub R.G. n. 1449 del 2009 proposto sempre innanzi al T.A.R. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, il dott. -OMISSIS-ha pertanto chiesto l’annullamento di tale provvedimento e di ogni altro atto ad esso presupposto e conseguente, deducendo al riguardo l’avvenuta violazione del giudicato penale, violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, eccesso di potere, difetto di motivazione, stravolgimento dei fatti e ingiustizia manifesta.

Il ricorrente in primo grado ha – altresì – contestualmente chiesto il risarcimento dei danni a lui causati “dalla condotta illegittima, illecita e persecutoria tenuta dall’Amministrazione comunale nella gestione della domanda di condono edilizio n. -OMISSIS- e nell’adozione dell’atto di diniego impugnato”.

1.6. In tale procedimento di primo grado si sono costituite l’Amministrazione comunale e l’-OMISSIS- S.p.a., eccependo, in via preliminare, l’irricevibilità, l’inammissibilità, l’improponibilità e l’improcedibilità del ricorso e concludendo comunque, in via subordinata, per la reiezione del ricorso.

1.7 Con sentenza n. -OMISSIS-l’adito T.A.R. ha respinto il ricorso, rilevando che la reiezione del riesame della domanda di condono edilizio era stata innanzitutto motivata “sul presupposto che “Il fabbricato accessorio non risulta realizzato in epoca antecedente al 1967, in quanto non è presente e rilevabile nei rilievi aerofotogrammetrici del 1967 e 1972 … mentre appare in quello del 1979” . Lamenta il ricorrente la circostanza che già con sentenza n. -OMISSIS-del Tribunale di -OMISSIS-lo stesso è stato assolto “perché il fatto non sussiste” dal delitto di falsità ideologica, di cui all’art. 483 c.p., in relazione alla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, attestante che le opere oggetto della richiesta di sanatoria, presentata nel 1995, per quanto di interesse, “sono state realizzate nei tempi come segue: … b) Dipendenza isolata a ridosso della complanare nel 1962” . In particolare, sottolinea il ricorrente, nella parte motiva della sentenza si dà atto che “la maggior parte dei testi ascoltati hanno, direttamente o indirettamente, affermato che le opere che l’organo dell’accusa assumeva costruite in data successiva al 1962 in realtà risalgono all’anno menzionato” . Tale verità processuale farebbe stato anche per l’Amministrazione comunale, attestando in modo irrevocabile la sussistenza di un fatto, con conseguente divieto di ritenere il contrario. In realtà, la sentenza richiamata, nel prendere atto che l’imputazione “non ha trovato chiari riscontri nell’istruttoria dibattimentale” , proscioglie l’attuale ricorrente dal reato ascritto, con la formula dubitativa, di cui all’art. 530, comma 2, c.p.p., a norma del quale: “Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”. Pertanto, non potendosi qualificare tale assoluzione con cd. “formula piena” poiché manca un accertamento sull’avvenimento storico, la questione resta aperta ai fini extrapenali e nulla esclude che gli stessi fatti materiali possano essere suscettibili di nuova e diversa valutazione da parte dell’Amministrazione nel procedimento de quo , tenendo conto delle risultanze documentali, ed, in particolare, dei rilievi aerofotogrammetrici del 1967 e 1972, indipendentemente dalle dichiarazioni rese dai testi. La sentenza penale di assoluzione ha, infatti, efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo (ai sensi dell’art. 654 c.p.p.) solo quanto ai fatti accertati e questo non si verifica quando l’assoluzione è pronunciata ai sensi dell’art. 530 ,secondo comma ,c.p.p. (in tal senso,vedi Corte Conti,Sez.I,5 novembre 2007 n.387;Cass. Civ.Sez.trib,22 novembre 2000 n.15089). … Tra i motivi di rigetto si rileva, altresì che “il parere -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS-non supera … i precedenti pareri contrari dello stesso Ente, rilasciati ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985, soprattutto in considerazione che oggi la situazione intorno ai manufatti in esame è notevolmente variata, in forza delle realizzazioni effettuate dopo l’anno 2000 (variante -OMISSIS- e nuovi insediamenti produttivi) – Nel lotto in cui insiste il locale, esistono numerose ed importanti attività commerciali ed artigianali che comportano, nel loro insieme, una notevole concentrazione di veicoli, la cui movimentazione viene intralciata dalla presenza sulle vie di esodo e di marcia del fabbricato suddetto” . A tal proposito il ricorrente si duole, da un lato, della circostanza che immotivatamente l’Amministrazione avrebbe ritenuto prevalenti pareri di segno contrario più risalenti nel tempo e non quelli favorevoli dell’anno 2000 (in realtà, quest’ultimi resi ai sensi dell’art.32 della l. n. 47 del 1985, sull’erroneo presupposto che i vincoli fossero stati imposti successivamente alla realizzazione del manufatto) e, dall’altro, che la medesima si sarebbe sostituita nella valutazione riservata, invece, all’ente preposto alla tutela del vincolo, che, comunque, si era già espresso. … Infine, il provvedimento impugnato sottolinea che “la destinazione d’uso del locale oggetto della richiesta di riesame … non può trovare accoglimento, in quanto esso non è mai stato destinato ad “attività commerciale” ma a “locale servizi” dell’opificio (come risulta dall’accatastamento notificato in data 26 ottobre 1973) o, tutt’al più, ad “uffici” (agenzia viaggi). Nell’istanza presentata si è riscontrata una incongruenza relativamente alla destinazione d’uso dell’immobile: nella descrizione delle opere abusive il locale ha la destinazione di “attività commerciale” , nelle planimetrie e nelle foto allegate, invece, si evince che la destinazione d’uso è “agenzia viaggi” . Osserva il ricorrente, censurando l’operato della Amministrazione, che la domanda di sanatoria presentata attiene esclusivamente ai profili edilizi, sicché ogni valutazione in ordine alla destinazione, peraltro equivalente, sarebbe fuori luogo.

Con riferimento a tali ultime censure, relative ad argomentazioni che valgono meramente ad integrare il motivo principale, già di per sé esaustivo a fondare legittimamente il diniego di sanatoria, ex art. 33, l. n. 47 del 1985 (costruzione successiva al 1967, ed, in particolare, alla data di imposizione del vincolo stradale, ex D.M. n. 1404 del 1968), il Collegio ritiene che le stesse, attesa l’infondatezza del motivo principale, possano considerarsi assorbite in quanto non ulteriormente rilevanti ai fini del rigetto disposto dall’Amministrazione. Sulla base delle sovra esposte considerazioni, il ricorso non è meritevole di accoglimento” .

Il T.A.R. ha integralmente compensato tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.

2.1. Con l’appello in epigrafe il dott. -OMISSIS-chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo al riguardo, con unico e articolato motivo, l’avvenuta violazione del principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), nonché dell’art. 21, quarto e sesto comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034.

L’appellante ha pure riproposto nel presente grado di giudizio la domanda di risarcimento “dei danni causati dall’atto impugnato, costituiti dal mancato utilizzo dell’immobile” illegittimamente non ammesso a condono “per attività commerciale, a cui lo stesso è particolarmente adatto perché posto in comprensorio immobiliare privato in cui ha sede un supermercato, un bar, una rivendita di giornali e tabacchi, un esercizio di vendita di prodotti lattiero – caseari. Tenuto conto che l’immobile per cui è causa è esteso (per) mq. 33, i danni predetti vanno quantificati sulla base del canone annuo, frutto di libera contrattazione, corrisposto all’odierno appellante per la locazione di un equivalente locale (di mq. 30) posto nello stesso compendio, canone annuo ammontante ad € -OMISSIS-.- In subordine il danno potrebbe essere determinato equitativamente” (cfr. pag. 17 e ss. dell’atto introduttivo dle presente grado di giudizio).

La parte appellante ha prodotto pure nel presente grado di giudizio copia dello stralcio dell’ortofotocarta del 1979, copia dello stralcio degli aerofotogrammetrici dell’anno 1967, copia dello stralcio degli aerofotogrammetrici del 1967 aggiornato all’anno 1972, copia dello stralcio aerofotogrammetrici del 1967 aggiornato al 1979, ottenuti previa istanza presentata allo stesso Comune di -OMISSIS-in data 20 ottobre 2010 e riguardanti l’area in cui ricade la costruzione per cui è causa.

Tali aerofotogrammetrie sono accompagnate – altresì – dalla produzione di particolari ingranditi delle stesse, nonché dell’ortofoto evidenziante la costruzione medesima.

2.2. Si è parimenti costituito nel presente grado di giudizio il Comune di -OMISSIS-con mero atto di stile, eccependo l’inammissibilità, l’irricevibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza dell’appello.

2.3. Si è altresì costituita nel presente grado di giudizio, parimenti con mero atto di stile, l’-OMISSIS- S.p.a., chiedendo la reiezione dell’appello.

2.4. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.

3.1.1 Il Collegio deve preliminarmente rilevare che il provvedimento qui impugnato discende da un’istanza del dott. -OMISSIS-risalente al 4 dicembre 2008 con la quale, dopo la reiezione dell’istanza di condono edilizio da lui presentata per lo stesso fabbricato a’ sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 convertito con modificazioni in l. n. 326 del 2003 e non resa oggetto di impugnazione, egli ha chiesto il riesame e l’accoglimento della precedente domanda di condono edilizio presentata con il medesimo oggetto il 24 febbraio 1995 a’ sensi dell’art. 39 della l. n. 724 e respinta con provvedimento del Capo Sezione dell’Ufficio Tecnico del Comune di -OMISSIS-un. -OMISSIS-, ossia ben più di 7 anni prima e mentre risultava ancora pendente innanzi allo stesso giudice di primo grado sub R.G. n. 995 del 2001 il ricorso con il quale egli aveva chiesto l’annullamento di tale precedente provvedimento.

Posto ciò, il Collegio evidenzia che tale istanza di riesame non può che essere ricondotta ad una richiesta di autotutela che il privato ha rivolto all’Amministrazione comunale a’ sensi dell’art. 21- novies della l. 7 agosto 1990, n. 241 e il cui istituto si articola sui seguenti principi fondamentali: I) la competenza ad esercitare il potere, salvo diversa disposizione di legge, pertiene allo stesso organo che ha emanato il provvedimento oggetto di riesame;
II) l’avvio del procedimento di autotutela avviene ad iniziativa d’ufficio, anche se la relativa richiesta a provvedere costituisce comunque una facoltà del privato titolare di una posizione giuridica a ciò legittimante;
III) si è in presenza di un potere discrezionale della P.A., posto che il comma 1 dell’articolo in esame utilizza la locuzione verbale “può” , con la conseguenza che la medesima P.A., in caso di istanza presentata dal privato, non solo non è vincolata a provvedere nel senso da questi richiesto, ma può altrettanto legittimamente opporre un preliminare rifiuto ad aprire il procedimento in autotutela;
IV) le condizioni che devono sussistere per l’annullamento dell’atto sono: a) il riscontro di un’illegittimità ai sensi dell’art. 21- octies della l. n. 241 del 1990, che inficia il provvedimento di primo grado;
b) ) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto illegittimo;
c) l’esercizio del potere entro un termine ragionevole;
d) la necessità della comparazione dell’interesse pubblico alla rimozione del provvedimento illegittimo con gli interessi dei destinatari del provvedimento e degli eventuali controinteressati;
e) il provvedimento di autotutela deve essere motivato, non sottraendosi alla regola generale di cui all’art. 3 della l. n. 241 del 1990.

Si deduce, quindi, da tutto ciò che i procedimenti di autotutela hanno natura discrezionale, attenendo normalmente la relativa discrezionalità sia all’ an del provvedere, sia al contenuto del provvedere medesimo (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 20 giugno 2019, n.4212).

Detto altrimenti, i provvedimenti di autotutela costituiscono pertanto manifestazione dell’esercizio di un potere discrezionale che la P.A. non ha l’obbligo di attivare e che, ove intenda farlo, essa è obbligata a valutare la sussistenza - o meno - di un pubblico interesse che giustifichi l’eliminazione dell’atto amministrativo invalido, ponendo con ciò termine ad un assetto di situazioni fattuali e di conseguenti posizioni giuridiche proprie di soggetti pubblici e privati ormai consolidatosi nel tempo, ancorchè sulla base di una pregressa azione amministrativa illegittima: valutazione, questa, di cui essa sola è titolare e che non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile (così, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. V, 27 agosto 2014, n.4374).

Nel caso di specie, la stessa circostanza del ben consistente lasso di tempo intercorso tra l’adozione del precedente diniego di condono (20 febbraio 2001) e la presentazione dell’istanza di revisione del relativo procedimento (4 dicembre 2008), non disgiunta dall’ulteriore circostanza che il richiesto riesame non si fondava su ulteriori e diversi elementi di valutazione che il dott. -OMISSIS-aveva sottoposto all’Amministrazione comunale, ma aveva riguardo ad elementi già tutti presenti nella precedente istruttoria (ossia l’anzidetto esito del procedimento penale e il parere favorevole reso dall’-OMISSIS- S.p.a. a’ sensi dell’art. 32 della l. n. 47 del 1985 mediante la predetta nota dd. 19 ottobre 2000), induce quindi a ritenere che del tutto legittimamente la medesima Amministrazione comunale avrebbe potuto opporre al riguardo un rifiuto a riaprire il procedimento.

Va in tal senso considerato – altresì – che una giurisprudenza altrettanto consolidata afferma che la deduzione di ulteriori motivi di illegittimità (e, a fortiori e come nella presente fattispecie, la mera riproposizione di motivi di illegittimità già in precedenza dedotti) non può in alcun modo far sorgere l’obbligo giuridico dell’Amministrazione di riesaminare in autotutela i provvedimenti amministrativi non tempestivamente impugnati, ovvero già impugnati per motivi diversi;
e, qualora l’Amministrazione dovesse opporre il silenzio sull’istanza di autotutela presentata dal privato, la medesima giurisprudenza afferma che in tal caso è esclusa la possibilità per lo stesso privato di fare ricorso alla procedura giudiziale del silenzio - rifiuto di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. allo scopo di provocare il ricorso dell'Amministrazione all’autotutela, posto che tale divieto trova il proprio fondamento nell’esigenza di evitare il superamento della regola della necessaria impugnazione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza: siffatto escamotage presuppone, in definitiva, una sequenza procedimentale in cui sussista un provvedimento non impugnato e l’intrapresa della procedura del silenzio - rifiuto allo scopo di provocare l’adozione di un secondo provvedimento, volto a mettere nel nulla quello non tempestivamente impugnato (cfr. al riguardo, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2548).

Ad avviso del Collegio, il principio ora enunciato risulta - altresì - puntualmente sovrapponibile anche al caso - quale quello in esame - in cui il provvedimento sia stato viceversa tempestivamente impugnato, e dove – pur a fronte di ciò – la stessa parte ricorrente voglia di fatto porre nel nulla tale impugnativa provocando, mediante la proposizione della domanda di autotutela (si ribadisce, a distanza di oltre 7 anni) un nuovo provvedimento dell’Amministrazione che si pronunci su di essa in via esplicita o anche implicita: e ciò in quanto l’Amministrazione medesima non deve reputarsi obbligata a provvedere su un’istanza del privato non soltanto nelle ipotesi tradizionalmente individuate dalla giurisprudenza - quali ad esempio un’istanza di riesame dell’atto divenuto inoppugnabile per inutile decorso del termine di decadenza, un’istanza manifestamente infondata o, ancora, un’istanza di estensione ultra partes del giudicato (cfr. per tutte tali ipotesi, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2017, n.2751) - ma anche nelle ipotesi in cui l’istanza volta all’esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto un provvedimento già impugnato in sede giurisdizionale e sub judice al momento della presentazione dell’istanza stessa: e ciò all’evidente scopo di evitare la proliferazione di inutili e dispendiose iniziative giurisdizionali in relazione ad un’unica vicenda sostanziale.

Nel caso in esame va rimarcato, quindi, che l’attuale appellante aveva già – come detto – impugnato in primo grado sub R.G. n. 995 del 2001 il precedente diniego formato sulla domanda di condono edilizio da lui presentata nel 1995 per lo stesso immobile: e tale circostanza avrebbe già di per sé ampiamente giustificato, da parte dell’Amministrazione comunale, anche l’opposizione di un silenzio ex se concludente nei riguardi dell’istanza di autotutela susseguentemente proposta nei riguardi di un provvedimento in ordine al quale era ancora a quel momento pendente il ricorso in sede giurisdizionale.

Ma vi è di più.

Nella stessa udienza in cui, in primo grado, è stata introitata per la decisione la presente causa, è stato pure trattenuto per la decisione l’anzidetto ricorso proposto sub R.G. n. 995 del 2001 e che è stato definito dal medesimo giudice con la coeva sentenza n. -OMISSIS-di improcedibilità in dipendenza della ivi affermata circostanza che lo stesso dott. -OMISSIS-non aveva più interesse alla decisione di un ricorso presentato avverso un provvedimento di diniego del rilascio di un condono edilizio a’ sensi dell’art. 39 della l. n. 724 del 1994, e ciò in quanto era sopravvenuto nelle more del giudizio il condono di cui all’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 convertito con modificazioni in l. n. 326 del 2003, in ordine al quale il medesimo ricorrente aveva presentato apposita istanza al fine di sanare lo stesso fabbricato.

Tuttavia l’attuale appellante ben si è guardato dal riferire in tale precedente sede di giudizio anche che tale nuova domanda di condono edilizio era stata invero non solo da lui presentata ma che la stessa era anche stata medio tempore respinta dall’Amministrazione comunale senza che tale diniego fosse a sua volta impugnato;
per cui, in realtà, l’improcedibilità è stata nella specie di fatto pronunciata in modo che lo stesso giudice potesse emettere la propria sentenza n. -OMISSIS-– qui, per l’appunto, impugnata – sul diniego di autotutela emesso dal Comune in ordine alla ben pregressa pratica di condono presentata a’ sensi dell’art. 39 della l. n. 724 del 1994.

3.1.2. Va a questo punto rilevato che, se l’Amministrazione comunale, nonostante i dianzi riferiti profili che legittimamente avrebbero potuto fondare una scelta del tutto diversa, si è determinata nel senso di aderire alla richiesta dell’attuale appellante di riesaminare in via di autotutela la domanda di condono edilizio da lui presentata nell’ormai lontana data del 24 febbraio 1995 e già definita in senso negativo con provvedimento del 20 febbraio 2001, essa sconta – all’evidenza – una diminuzione della propria discrezionalità, avendo essa stessa predeterminato, in via di vero e proprio autolimite, una preclusione ad esprimersi sull’ an del rinnovo dell’azione amministrativa.

Allo stesso tempo, va anche sin d’ora evidenziato che lo ius poenitendi che la medesima Amministrazione comunale ha reputato di ricavarsi e di esercitare all’interno di tale autolimite, è rigidamente astretto, quanto alla determinazione del contenuto del proprio nuovo provvedimento, dall’inderogabile necessità del rispetto delle condizioni di fatto e di diritto vigenti nell’arco temporale compreso tra l’anzidetta data di presentazione della domanda di condono (24 febbraio 1995) e quella del provvedimento che l’ha ab origine definita (20 febbraio 2001), non potendo in tale contesto essere considerate situazioni in fatto o in diritto susseguentemente venutesi a determinare.

Nel rinnovato esercizio della propria discrezionalità di valutazione della fattispecie risulta, infatti, per certo inibito all’Amministrazione comunale assumere a fondamento della propria determinazione elementi di giudizio che travalichino i termini temporali contemplati dal predetto art. 39 della l. n. 724 del 1994 per l’esercizio della relativa azione amministrativa, ed è parimenti inibita l’introduzione di elementi di giudizio sulla fattispecie attinenti a situazioni in fatto o in diritto venutesi a determinare in epoca successiva alla data dell’atto che ab origine aveva definito il procedimento e che per loro natura non sono suscettibili di dispiegare effetti ex tunc .

3.2. Passando ora alla disamina dei motivi di appello, il Collegio non può che confermare l’assunto del giudice di primo grado secondo cui il giudicato penale che ha visto assolto il dott. -OMISSIS-dall’imputazione di cui all’art. 483 c.p., pur considerando la circostanza che la maggior parte dei testi ascoltati hanno ivi direttamente o indirettamente affermato che il fabbricato in questione risale ad epoca antecedente all’1 settembre 1967 (per l’esattezza, al 1962) e risulterebbe pertanto condonabile, sostanzia una verità processuale che non fa stato per l’Amministrazione comunale, atteso che il proscioglimento dell’imputato è invero avvenuto con la formula per cui “il fatto non sussiste” ;
ma tale formula assolutoria è stata nella specie pronunciata a’ sensi dell’art. 530 cpv. c.p.p., in forza del quale “il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile” .

Invero l’unanime giurisprudenza penale a tutt’oggi afferma che non sussiste l’interesse ad impugnare la sentenza con la quale il giudicante abbia pronunziato l’assoluzione perchè il fatto non sussiste resa a’ sensi dell’anzidetto art. 530 cpv. c.p.p. per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova, “in quanto tale formulazione non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria, nè segnala residue perplessità sulla innocenza dell'imputato, nè spiega minore valenza con riferimento ai giudizi civili, come comprovato dal tenore letterale degli artt. 652 e 654 c.p.p. e che, pertanto, essa non può in alcun modo essere equiparata all’assoluzione per insufficienza di prove prevista dal previgente codice di rito risalente al 1930” (cfr. ex multis : Corte di cassazione, Sezione V^ penale, 27 novembre 2014, n. 49580; idem Sezione III^ penale, 5 giugno 2014, n. 23485; idem Sezione V^ penale, 7 luglio 2009, n. 27917).

Ma, nondimeno, allo stesso tempo la giurisprudenza extrapenale reputa che in tale evenienza difetta un concreto accertamento sull’avvenimento storico, non potendosi tale assoluzione qualificare come effettivamente resa con una c.d. “formula piena”, con la conseguenza che il medesimo giudice extrapenale non esclude che gli stessi fatti materiali possano essere suscettibili, in tale ulteriore e differente sede di giudizio, di un altrettanto nuova e diversa valutazione, posto che la sentenza penale di assoluzione assume, infatti, efficacia di giudicato nei giudizi civili o amministrativi diversi da quelli di danno, a’ sensi dell’art. 654 c.p.p., solo quanto ai fatti accertati: e ciò - per l’appunto - non si verifica se l’assoluzione è pronunciata ai sensi dell’art. 530 ,secondo comma ,c.p.p. (cfr. sul punto, ex plurimis, Corte dei Conti, Sez.I, 5 novembre 2007 n.387;
Cass. Sez. Trib, 22 novembre 2000, n.15089, già correttamente citate nella sentenza impugnata, cui vanno aggiunte, sempre ex plurimis , anche Cass. civ., Sez. II, 26 luglio 2012, n. 13258, Cass. trib., 11 gennaio 2006, n. 320 , 26 ottobre 2005, n. 22851 e 21 giugno 2002, n. 9109).

Va anche qui ribadita, in via consequenziale, la fondatezza dell’assunto dello stesso giudice di primo grado laddove evidenzia che, rispetto a tale potestà del giudice extrapenale di autonoma valutazione della fattispecie rispetto al giudicato attinente al fatto-reato, va ritenuto sussistente un altrettanto autonomo potere di valutazione che deve essere riconosciuto anche alla P.A. e che, nel caso di specie, è stato – per l’appunto – indubitabilmente esercitato pervenendo ad un risultato del tutto antitetico a quello espresso nelle predette testimonianze rese dalla maggior parte dei testi escussi in sede penale.

Per il vero la parte appellante, nell’illustrare nella presente sede di giudizio i propri argomenti, di fatto abbandona la tesi da essa sostenuta in primo grado circa la vincolatività innanzi a questo giudice della predetta pronuncia di assoluzione in sede penale, riconoscendo expressis verbis che “secondo l’indirizzo dominante ( rectius : l’unico indirizzo allo stato esistente) quando la sentenza di assoluzione è con formula dubitativa, il giudice amministrativo ( recte : il giudice extrapenale, nel caso richiamato dall’appellante medesimo si tratta di quello civile) procede ad un autonomo accertamento dei fatti con pienezza di cognizione, e, benchè non vincolato dalla sentenza penale, egli può (anzi, deve , in mancanza di altre prove, n.d.d.) ricavare certezze probatorie da essa o dagli atti del relativo processo (in tale senso vedasi Cass. civ., Sez. II, 25 marzo 2005, n. 6478 e 29 dicembre 2000, n. 27494)” (così a pag. 7 dell’atto introduttivo del presente giudizio).

In tale nuovo ragionamento dell’appellante letteralmente si ammette - pertanto – la sussistenza di un potere di autonoma valutazione di questo giudice in ordine al giudicato penale inerente alla vicenda per cui ora è causa mentre, in via del tutto paradossale, non la si ammette per la valutazione che sulla medesima fattispecie deve esercitare l’Amministrazione comunale prima ancora che della relativa fattispecie venga eventualmente investita la giurisdizione amministrativa.

3.3. Mediante il provvedimento impugnato in primo grado tale autonoma valutazione da parte dell’Amministrazione comunale del contenuto della sentenza penale ha invero avuto luogo, ancorchè essa sia stata espressa mediante un assunto del tutto breviloquente, ossia che “il fabbricato accessorio non risulta realizzato in epoca antecedente al 1967, in quanto non è presente e rilevabile nei rilievi aerofotogrammetrici del 1967 e 1972, in possesso di questo Ufficio, mentre appare in quello del 1979”.

In buona sostanza, quindi, a fronte delle deposizioni testimoniali di segno opposto implicitamente reputate opinabili e comunque non definitivamente risolutive da parte del giudice penale, l’Amministrazione comunale ha reputato a sua volta di contrapporre una propria interpretazione degli aerofotogrammi in questione.

Risulta invero censurabile la circostanza che i medesimi aerofotogrammi non siano stati acquisiti al processo di primo grado, e in dipendenza di ciò è quindi possibile che l’appellante supplisca nel presente grado di giudizio a tale deficit probatorio del primo processo depositando ora agli atti di causa, a’ sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a., le copie degli aerofotogrammi citati nel provvedimento impugnato innanzi al T.A.R. e da lui medio tempore ottenute dalla stessa Amministrazione comunale.

Al riguardo il Collegio non può che prendere atto della circostanza, esplicitamente affermata nella certificazione contestualmente fornita dallo stesso Comune, di non disporre di ortofotocarte – ossia di rilievi aerofotografici della città – risalenti ad epoche antecedenti al 1979 e che per il lasso di tempo che segnatamente interessa la presente causa necessita pertanto consultare delle raffigurazioni topografiche su scala, disponibili sempre presso la medesima Amministrazione comunale e che sono state manualmente elaborate da tecnici senza documenti fotografici di comparazione attualmente disponibili: il che, pertanto, rende impossibile una verifica diretta dello stato dei luoghi temporibus illis .

Ma, come puntualmente denota lo stesso appellante, sul documento fornito dall’Ufficio Urbanistica e Assetto del Territorio del Comune di -OMISSIS-denominato “rilievo Aerofotogrammetrico eseguito nel luglio 1967” , la costruzione di cui trattasi risulta plausibilmente riconoscibile in quanto corrispondente in mappa nella sua collocazione attuale, sebbene nella relativa trasposizione grafica siano stati riportati soltanto tre lati del fabbricato, anziché quattro.

Il medesimo fabbricato compare anche nella mappa cartografica risalente al 1979 nell’identica posizione, ma è ivi rappresentato in forma rettangolare anziché trapezoidale, nel mentre nella coeva ortofoto assume, sempre nella stessa posizione, la propria configurazione trapezoidale: sintomo ben evidente, questo, della mancata precisione nei dettagli delle mappe topografiche di cui il Comune nella specie dispone.

Sul punto, quindi, già l’esame dei supporti cartografici consente di ritenere fondato l’assunto dell’appellante circa la risalenza del fabbricato in questione ad epoca antecedente al 1967.

Dirimente – tuttavia – è un’ulteriore circostanza, costituita dal parere Prot. n. 31116 dd. 19 ottobre 2000 rilasciato dall’-OMISSIS- nel corso della precedente istruttoria relativa all’istanza di condono presentata a’ sensi dell’art. 39 della l. n. 724 del 1994, dove testualmente si legge che, come già precisato al § 1.1 della presente sentenza ai fini dell’art. 32 della l. n. 47 del 1985 e dell’art. 10 della l. 27 dicembre 1997, n. 449, che “le opere edilizie eseguite abusivamente da codesta ditta … in prossimità del raccordo -OMISSIS-non costituiscono pericolo per la circolazione stradale e le strade statali su dette non sono interessate da allargamenti stradali” .

Tale parere risulta esplicitamente rilasciato ai sensi e per gli effetti dell’art. 32 della l. n. 28 febbraio 1985, n. 47 del 1985 e dell’art. 10 della l. 27 dicembre 1997, n. 449 e risulta oltre a tutto confermato nel suo inequivocabile contenuto da ulteriori note della medesima -OMISSIS- secondo le quali il fabbricato medesimo non costituisce pericolo per la circolazione stradale in quanto “l’area sulla quale sorge … è interamente recintata” (cfr. nota Prot. n. 19703 dd. 29 giugno 2000), le strade statali ad esso adiacenti “non sono interessate da allargamenti” (cfr. nota Prot. n. 31116 dd. 19 ottobre 2000) e “non interferisce con i programmi di ammodernamento in corso” dei predetti tratti stradali (cfr. nota 4584 dd. 23 ottobre 2000).

Orbene, lo stesso soggetto istituzionalmente preposto alla tutela del vincolo insistente sull’area in cui sorge il fabbricato di cui trattasi ha con ciò inequivocabilmente negato che nella specie sussista un vincolo di inedificabilità assoluta, a’ sensi dell’art. 33 della l. n. 47 del 1985, posto che ha emesso, a’ sensi dell’art. 32 della l. n. 47 del 1985, nel corso del procedimento deputato al rilascio del condono edilizio, un parere di compatibilità del fabbricato con il vincolo di rispetto della fascia stradale.

Ciò supera ex se ogni questione circa l’asserita risalenza del fabbricato medesimo ad epoca successiva alla data dell’1 settembre 1967, posto che nel procedimento finalizzato al rilascio del condono edilizio per le opere realizzate in difetto del prescritto titolo abilitativo in zone sottoposte a vincolo, l’obbligo di acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, previsto dall’art. 32 della l. n. 47 del 1985, sussiste anche nei casi in cui la disciplina di salvaguardia della zona sia intervenuta in data successiva al completamento dei lavori (cfr. anche Cons. Stato, A.P., 22 luglio 1999, n. 20, nonché, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. VI, 6 giugno 2003, n. 3186, 4 giugno 2002, n. 3143 e 23 febbraio 2002, n. 4812).

In proposito va puntualmente richiamata la giurisprudenza, correttamente riferita dallo stesso appellante, secondo la quale nel contesto dei procedimenti di rilascio del condono edilizio inibisce all’Amministrazione comunale di sostituirsi di fatto all’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo di inedificabilità (cfr. sul punto, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2006, n. 528), per di più in questo caso fondando la propria determinazione non solo su di un suo autonomo e comunque incompetente apprezzamento circa la situazione in essere alla data del nuovo diniego (cfr. ivi: “la situazione intorno ai manufatti in esame è notevolmente variata, in forza delle realizzazioni effettuate dopo l’anno 2000 (variante -OMISSIS- e nuovi insediamenti costrutti). Nel lotto in cui insiste il locale esistono numerose ed importanti attività commerciali ed artigianali che comportano, nel loro insieme, una notevole concentrazione di veicoli, la cui movimentazione viene intralciata dalla presenza sulle vie di esodo e marcia del fabbricato suddetto” ), ma anche - e in via ulteriormente contraddittoria - su di un ben più risalente e negativo parere reso dalla stessa -OMISSIS- in ordine ad una precedente pratica di condono edilizio, a suo tempo presentata dal dott. -OMISSIS-a’ sensi dell’art. 31 e ss. della l. n. 47 del 1985 sempre con riguardo al medesimo fabbricato.

3.4. In tale contesto il Collegio neppure reputa – a differenza di quanto statuito dal giudice di primo grado – di assorbire l’ulteriore ordine di censure formulato dal dott. -OMISSIS-in ordine all’ultima considerazione motiva della reiezione dell’istanza, formulata dall’Amministrazione comunale nel senso che “la destinazione d’uso del locale oggetto della richiesta di riesame, inoltre, non può trovare accoglimento, in quanto esso non è mai stato destinato ad “attività commerciale” , ma a “locale servizi” dell’opificio (come risulta dall’accatastamento notificato in data 26 ottobre 1973) o, tutt’al più, ad “uffici” (agenzia viaggi). Nell’istanza presentata si è riscontrata una incongruenza relativamente alla destinazione d’uso dell’immobile;
nella descrizione delle opere abusive il locale ha la destinazione di “attività commerciale”, nelle planimetrie e nelle foto allegate, invece, si evince che la destinazione d’uso è
“agenzia viaggi” (cfr. ivi).

Sul punto - infatti - a ragione l’appellante ha evidenziato che il condono edilizio delle costruzioni abusive e quello rilasciato per i mutamenti abusivi delle destinazioni d’uso degli immobili realizzati anche in assenza di opere edilizie sono istituti del tutto diversi e tra di loro indipendenti.

In particolare, a’ sensi dell’art. 31, comma 2, della l. n. 47 del 1985 come richiamato dall’art. 39 della l. n. 724 del 1994, per il condono riferito alla costruzione delle opere abusive si chiede che le stesse siano perlomeno completate nel c.d. “rustico” entro la data stabilita al riguardo ex lege (cfr. al riguardo, ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4287), nel mentre per il condono dell’abusivo mutamento della destinazione d’uso di un immobile è sufficiente che lo stesso sia stato “completato funzionalmente” entro la stessa data, vale a dire che l’immobile deve comunque risultare a quel momento già fornito delle opere indispensabili a rendere effettivamente possibile un uso diverso da quello assentito ( cfr. sul punto, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. V, 9 maggio 2011, n. 2750), laddove per “completamento funzionale” deve intendersi la realizzazione delle principali opere necessarie per attuare il mutamento di destinazione, sicché non è sufficiente che siano state realizzate opere incompatibili con la precedente destinazione, ma è altresì necessario che siano state poste in essere opere atte a rendere effettivamente possibile un uso diverso da quello assentito (cfr., ad es., tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 11 luglio 2014 n. 3558).

In dipendenza di ciò, pertanto, le relative istanze e i conseguenti procedimenti per il rilascio dei rispettivi titoli in sanatoria sono perfettamente distinti e non interferiscono tra di loro.

Nel caso di specie il dott. -OMISSIS-ha indubitabilmente presentato la propria domanda di condono

a’ sensi dell’art. 31, primo comma, della l. n. 47 del 1985 come richiamato dall’art. 39 della l. n. 724 del 1994 senza proporre ulteriori istanze in ordine alla destinazione d’uso del fabbricato.

Pertanto, l’Amministrazione comunale non poteva respingere la domanda presentata dall’attuale appellante per motivi in alcun modo attinenti alla richiesta della legittimazione dell’avvenuta realizzazione del fabbricato, semmai potendo – poi, e ove del caso – sanzionare il proprietario per l’abusiva variazione della destinazione d’uso dell’immobile.

Né, peraltro, va sottaciuto che la stessa logica delle cose imporrebbe di concludere nel senso che, se il fabbricato di cui trattasi era stato abusivamente realizzato, per ineludibile conseguenza esso non poteva che essere del tutto sprovvisto di qualsivoglia destinazione d’uso legittimamente conseguita: e, se così è, in alcun modo potrebbe ravvisarsi nella specie una qualsivoglia ipotesi di destinazione abusiva;
senza ulteriormente sottacere che, in linea di principio, l’attività di agenzia di viaggi rientra a pieno titolo tra le attività commerciali, e non può pertanto essere, in via del tutto apodittica, considerarsi distinta da esse.

Del resto, e sempre in tal senso, va soggiunto che il mutamento di destinazione di uso viene di per sé escluso nella sua sussistenza nel caso di mutamento del tipo di attività industriale o in caso di cambio di attività commerciale, che può definirsi urbanisticamente irrilevante, coinvolgendo categorie funzionalmente non autonome, mentre è rilevante il mutamento di destinazione d’uso che comporti il passaggio ad una tipologia considerata urbanisticamente differente ovvero tra categorie autonome , con conseguente mutamento del carico urbanistico (cfr. sul punto, ex multis , Cons. Stato, Sez. IV, 13 gennaio 2010, n., 45).

3.5. In dipendenza di tutto quanto sopra, la domanda di annullamento del provvedimento impugnato nel primo grado di giudizio va pertanto accolta e, per conseguenza, il diniego di condono edilizio va annullato, salve e riservate restando le ulteriori determinazioni di competenza dell’Amministrazione comunale, da emanarsi in ogni caso nell’osservanza dei principi di ordine generale enunciati al § 3.1.2 della presente sentenza.

3.6. Da tale statuizione di annullamento, che lascia pertanto integro il potere - dovere di riedizione dell’azione amministrativa di competenza dell’Amministrazione comunale pur negli anzidetti e ben ristretti limiti propri dell’autolimite dell’Amministrazione medesima descritto nel predetto § 3.1.2 della presente sentenza, discende l’impossibilità – allo stato – di una pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno, che va pertanto in questa sede respinta, senza comunque sottacere né la complessità in fatto degli accertamenti sulla data di erezione dell’immobile nè che la dilatazione dei tempi processuali, da ascriversi per ampia parte al complessivo comportamento dell’attuale appellante così come descritto nel § 3.1.1 della presente sentenza, va sin d’ora ricondotto a rilevante concausa del danno (in tesi) lamentato, a’ sensi del principio di ordine generale sancito dall’art. 1227 c.c.

4. Anche quest’ultima notazione di fondo induce pertanto il Collegio a compensare integralmente tra tutte le parti le spese e gli onorari di entrambi i gradi del giudizio.

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