Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-07-18, n. 201804376
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Testo completo
Pubblicato il 18/07/2018
N. 04376/2018REG.PROV.COLL.
N. 04753/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 4753 del 2016 proposto dalla società Siram S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati M P e M C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M C in Roma, viale Liegi, 32;
contro
S S.p.A in proprio e quale mandataria del RTI con T s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G T, A P e E F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Michela Reggio D'Aci in Roma, via degli Scipioni, 288;
nei confronti
Consip S.p.A, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato Alberto Bianchi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marco Selvaggi in Roma, via Nomentana, 76;
per la revocazione
della sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato n. 812 del 29 febbraio 2016, resa tra le parti, concernente affidamento del servizio integrato energia per le pubbliche amministrazioni.
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle società S S.p.A e Consip S.p.A;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2018 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati M P, M C, G T e Marco Selvaggi (su delega dell’avvocato Alberto Bianchi);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia riguarda il ricorso instaurato dalla società Siram s.p.a. contro la società S s.p.a., in proprio e quale mandataria del RTI con T s.p.a. (“RTI S”) e nei confronti di Consip s.p.a. per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 812 del 29 febbraio 2016, resa sull’appello n. 8657/2015 proposto da S per la riforma della sentenza n. 9350 del 13 luglio 2015 pronunciata dal T.a.r. per il Lazio, Roma, Sezione III, sul ricorso da quest’ultima azionato, in proprio e quale mandataria del R.T.I. con T s.p.a., per l’annullamento dell’aggiudicazione relativa all’affidamento del servizio integrato energia per le pubbliche amministrazioni.
2. In fase rescindente la Sezione, con la sentenza non definitiva n. 2531 del 26 aprile 2018, ha:
a) dichiarato l’inammissibilità del primo, del secondo e del terzo motivo di revocazione, riguardanti i pretesi errori di fatto in cui sarebbe caduto il giudice di appello in dipendenza, rispettivamente:
a.1) dell’erronea lettura delle difese di Siram in ordine al ramo d’azienda ceduto (primo motivo);
a.2) della mancata considerazione dell’Accordo Quadro (secondo motivo);
a.3) della considerazione gravemente parziale, estrinseca, sommaria degli atti negoziali (terzo motivo);
b) accolto il quarto motivo di revocazione, concernente la totale omessa percezione, da parte del giudice d’appello, del contenuto materiale della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, reputandola fattispecie assimilabile a quella (già ammessa dalla giurisprudenza amministrativa) della totale omessa pronuncia sul contenuto materiale di domande o di eccezioni di parte, derivante dall'omessa percezione del contenuto degli atti di causa;
c) per l’effetto, revocato in fase rescindente la sentenza impugnata;
d) fissato in fase rescissoria l’udienza pubblica del 14 giugno 2018 per la discussione del merito della lite;
e) riservato al definitivo la regolazione delle spese di lite.
3. In data 28 maggio 2018, la società S ha depositato una memoria difensiva in cui:
3.1. ha ricordato che la Sezione con la sentenza non definitiva n. 2531 del 26 aprile 2018 ha dichiarato l’inammissibilità dei primi tre motivi di revocazione e ha accolto il quarto di essi;
3.2. ha perimetrato l’oggetto del merito rescissorio alla mera delibazione dell’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia;
3.3. ha escluso, invece, che detto merito possa rimettere in discussione le statuizioni della sentenza n. 812/2016 (anche) nella parte in cui la medesima è stata ritenuta esente da errori di fatto;
3.4. ha puntualizzato che tale vaglio è stato, in realtà, già compiuto nella sentenza revocata sulla base di una motivazione ben più ampia, articolata e approfondita di quella richiamata dalla decisione n. 2531/2018 nella sua parte motiva;
3.5. ha ribadito, nel merito, che anche a voler seguire il percorso argomentativo di controparte, il fatto in sé del trasferimento del ramo d’azienda costituisce motivo più che giustificato per ritenere non più “attendibile” la qualificazione acquisita da un’impresa precedentemente a tale operazione e per esigere, di conseguenza, il conseguimento di una nuova certificazione;
3.6. ha precisato, inoltre, che tale pretesa non viola in alcun modo i principi di proporzionalità, trasparenza e libera concorrenza potendosi (e dovendosi) ritenere congruo e rispondente all’interesse pubblico (interno ed europeo) che i requisiti di qualificazione, in quanto finalizzati a dimostrare la capacità dell’impresa concorrente di eseguire correttamente l’appalto, permangano in modo ininterrotto per tutta la durata della procedura;
3.7. ha concluso, pertanto, affinché in sede rescissoria il ricorso venga dichiarato irricevibile, inammissibile o, comunque, infondato nel merito.
4. In data 29 maggio 2018, la società Siram ha depositato una memoria difensiva in cui:
4.1. ha dato atto dell’intervenuta revocazione della sentenza impugnata e delle ragioni alla stessa sottese;
4.2. ha circoscritto l’effetto giuridico derivante dall’accoglimento del quarto motivo di revocazione, reputando non necessariamente obbligata la soluzione della rimessione della questione alla Corte di Giustizia: il giudice, in sostanza, nella fase rescissoria resta libero di valutare la sussistenza dei presupposti per fare luogo a rinvio pregiudiziale e – dunque – di apprezzare se effettivamente dalla lettura delle disposizioni nazionali rilevanti non si possa, in via esegetica, escludere la produzione dell’effetto della decadenza automatica delle qualificazioni SOA per il caso di avvenuta cessione di ramo d’azienda;
4.3. ha ricordato che su questa questione si è pronunciata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 3/2017) successivamente alla pubblicazione della sentenza impugnata (n. 812/2016), fornendo un’interpretazione dell’art. 76, comma 11 del d.P.R. n. 207/2010 compatibile con il diritto europeo degli appalti, senza necessità di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia;
4.4. ha assunto la rilevanza del decisum rescissorio (anche) con riferimento a quelle parti della sentenza che -sebbene non formalmente incise dalla pronuncia revocatoria a cagione del mancato superamento, da parte dei primi tre motivi di ricorso per revocazione, del preliminare vaglio di ammissibilità proprio della fase rescindente- comunque dipendono sul piano logico e giuridico dalla parte rescissa, concernendo propriamente il merito cognitorio dell’appello in fase rescissoria;
4.5. a tal fine, ha fatto rilevare la correttezza del ragionamento logico-giuridico posto a sostegno della sentenza di primo grado -a sé favorevole- e dell’erroneità di quello propugnato da S a fondamento del suo gravame, giacché:
a) dai contratti intervenuti tra Siram e STI S.p.A. e tra Siram e Gestione Integrata emerge che il trasferimento del ramo aziendale è stato circoscritto ad una limitata sotto-organizzazione aziendale comprendente limitati requisiti sostanziali;
b) dopo il trasferimento, sono rimasti in capo a Siram sostanziali requisiti: cifra d’affari in lavori per euro 700.000.000,00 relativa al quinquennio 2008/2012;ammortamento di 4.000.000,00 euro per attrezzature tecniche;fatturati specifici;costo per il personale pari ad euro 620.000.000,00 relativi al medesimo quinquennio;
c) nell’accordo quadro generale si afferma che “ in caso di aggiudicazione in via definitiva a favore di Siram dell’Iniziativa Consip Servizio Energia 3, lotti 4, 7, 10 e 12 ”, Siram si sarebbe impegnata a stipulare a favore di Gestione Integrata “un contratto di subappalto”, obbligandosi dunque a rendere disponibili in favore di quest’ultima i requisiti necessari mediante la stipulazione, di volta in volta, di specifici contratti di avvalimento;
d) dalla perizia di stima allegata risulta che la cessione del ramo d’azienda ha riguardato in larghissima parte l’avviamento e, solo in minima parte, beni materiali;
4.6. richiamandosi ancora una volta alle statuizioni della Plenaria n. 3/2017, ha concluso per:
a) l’accoglimento del ricorso per revocazione;
b) il rigetto dell’avverso appello;
c) per l’effetto, la conferma della sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sezione III, n. 9350 del 13 luglio 2015;
d) con ogni conseguente decisione anche in ordine all’inefficacia della
Convenzione oggetto di gara e di ogni altro atto negoziale a valle.
5. In data 1 giugno 2018, S ha depositato una memoria di replica in cui:
5.1. ha nuovamente ribadito che la sentenza n. 812/2016 non è incorsa in un errore percettivo del contenuto materiale dell’istanza di rinvio pregiudiziale, essendosi puntualmente soffermata con ampia motivazione su tutti i profili ex adverso sollevati;
5.2. ha dato atto della diversità interpretativa tra la posizione assunta dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 3/2017 e quella sostenuta dalla sentenza revocata, concludendone –tuttavia- che pretendere di rinnovare il giudizio rescissorio alla luce degli esiti esegetici cui è pervenuta la prima, comporterebbe un inammissibile terzo grado di giudizio di merito rispetto ad una questione che era già stata compiutamente affrontata dal giudice d’appello;
5.3. ha richiamato, a tal fine, pure la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione civile n. 30303/2017 (che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto da Siram per eccesso di potere giurisdizionale avverso la sentenza oggi revocata), a dimostrazione della tesi della (sostanziale) irrilevanza del mutamento o dell’evoluzione giurisprudenziale nell’interpretazione delle norme, integrando –tale fattispecie- un’evenienza del tutto normale e fisiologica nel consolidamento della giurisprudenza;
5.4. ha insistito sulla posizione difensiva già esposta nella memoria integrativa, ossia che l'accoglimento -per la fase rescindente- del ricorso per revocazione, non potrà comportare nella fase rescissoria un complessivo riesame nel merito di tutte le questioni dedotte nel giudizio n. 8657/2015 e affrontate dalla pronuncia revocata, ma dovrà limitarsi ad esaminare la sola questione di compatibilità con il diritto dell'Unione della interpretazione cd. “formalistica” dell'art. 76, comma 11, del d.P.R. n. 207/2010, e l'eventuale rinvio di tale valutazione alla Corte di Giustizia;
5.5. ha ribadito le medesime conclusioni già formulate nella precedente memoria integrativa, concernenti la declaratoria di irricevibilità, inammissibilità o, comunque, di infondatezza del ricorso per revocazione nel merito.
6. In pari data (1 giugno 2018) Siram ha depositato una memoria di replica in cui:
6.1. ha osservato che le argomentazioni che S spende in chiave critica rispetto all’accoglimento del quarto motivo di revocazione da parte della sentenza n. 2531/2018 sono manifestamente inammissibili sia in ragione della natura dello strumento utilizzato (una semplice memoria non notificata), sia a motivo delle preclusioni processuali contenute negli artt. 403 c.p.c. e 107, comma 2, c.p.a.;
6.2. nel merito, in ogni caso, ha contestato la fondatezza dell’avversa tesi, richiamandosi a quanto statuito in fase rescindente dalla sentenza n. 2531/2018;
6.3. ha ribadito, ancora una volta, le statuizioni della Plenaria n. 3/2017 e la necessità di rinnovare il giudizio rescissorio alla luce delle stesse, revisionando nel merito le parti della sentenza che sono state rescisse e quelle che ne dipendono;
6.4. infine, ha confermato le conclusioni per l’innanzi rassegnate.
7. All’udienza pubblica del giorno 14 giugno 2018, la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio per la decisione.
8. Va preliminarmente chiarito, ai fini dell’esatta perimetrazione dell’ambito oggettivo riservato all’odierna cognizione, che il thema decidendum et probandum deve considerarsi limitato alle deduzioni e alle rappresentazioni, in punto di fatto e di diritto, strettamente afferenti all’oggetto e alla natura del giudizio rescissorio.
8.1. Esulano, pertanto, da tale perimetro, le doglianze illustrate dalla resistente S nella memoria integrativa e in quella di replica, volte a contestare la decisione cui è pervenuto questo giudice in fase rescindente, sulla scorta dell’assunto secondo cui la sentenza revocata si sarebbe, in realtà, profusa in una motivazione piena, approfondita ed esauriente in merito alla questione della necessità del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
8.2. Parimenti, non possono trovare ingresso in questo giudizio le repliche alle dette doglianze, esposte dalla ricorrente Siram nella successiva memoria di replica depositata il 1 giugno 2018, per ragioni eguali e contrarie alle prime.
9. In ordine progressivo, va esaminata la preliminare difesa, sollevata da S, di irricevibilità o di inammissibilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem , con conseguente illegittimità del terzo grado di giudizio nel merito.
9.1. Il mezzo si regge sulla considerazione che la sentenza non definitiva n. 2531 del 26 aprile 2018 si è limitata ad accogliere il (solo) quarto motivo di revocazione, dichiarando invece la inammissibilità dei primi tre motivi di ricorso. Sicché – ipotizza S - anche a volere seguire la tesi interpretativa avanzata da Siram, comunque in questa fase di giudizio sarebbe inibito al giudice estendere la decisione alle altre parti della sentenza revocata:
a) sia perché non toccate direttamente;
b) sia perché il giudice d’appello aveva compiutamente motivato sulle ragioni del mancato rinvio alla Corte europea;
c) sia perché un’eventuale distonia interpretativa tra quanto da quest’ultimo ritenuto e quanto statuito dalla successiva Plenaria n. 3/2017 costituirebbe –al più- un’ipotesi di (fisiologico) mutamento di giurisprudenza, e non già una causa legittimante un terzo grado di giudizio nel merito della vicenda.
9.2. L’assunto non ha pregio.
9.2.1. In termini generali va premesso che il giudizio per revocazione si articola in due fasi:
a) quella rescindente, volta a verificare se il ricorso è ammissibile e se sussiste una delle cause legali tipiche di revocazione (in caso di positivo riscontro, la sentenza viene “rescissa”, ossia revocata);
b) quella rescissoria, meramente eventuale, che consegue ad una pronuncia (necessariamente positiva) circa la sussistenza della causa di revocazione invocata.
In questa seconda fase non è più in discussione (non potrebbe, per essersi già esaurita) la decisione sulla causa di revocazione, ma viene in rilievo l’obbligo per il giudice di rinnovare il giudizio, emendandolo del vizio o dei vizi che avevano afflitto quello precedente, per l’appunto “rescisso”.
La decisione che ammette la revocazione, infatti, rimette le parti nello stesso stato di fatto e di diritto in cui le stesse si trovavano prima della pronuncia della decisione revocata.
Rispetto a detto stato, rimane indifferente la circostanza, meramente fattuale e occasionale, che la controversia sia stata giudicata con una sola pronuncia che abbia assommato in sé sia la decisione sulla sussistenza della causa di revocazione, sia quella concernente il merito della controversia, ovvero se a tale risultato si sia pervenuti con due pronunce distinte, ancorché funzionalmente e strutturalmente collegate.
Nel caso all’esame, solo l’estrema delicatezza e complessità delle questioni trattate hanno suggerito alla Sezione di adottare due pronunce separate per meglio garantire e far esplicare appieno i diritti delle parti mediante il deposito di ulteriori memorie difensive e di replica (come, in effetti, è avvenuto, avendo entrambe le parti profittato della prevista facoltà depositando le memorie integrative in giornate tra di loro immediatamente successive e quelle di replica nella medesima giornata).
Rimane certo, invece, che tale seconda, autonoma e distinta - ancorché collegata - fase processuale, da definirsi con l’attuale pronuncia, è deputata ad ospitare il rinnovato giudizio di merito della fase cd. rescissoria.
9.2.2. A questo punto, una volta chiarita la struttura del giudizio di revocazione, va affrontata la questione concernente, sul piano definitorio, la nozione di “rinnovamento del giudizio”, attese le evidenti ricadute pratiche sull’effettiva perimetrazione dell’ambito oggettivo del giudizio medesimo.
A tal fine, è sufficiente richiamare uno dei principi cardine delle impugnazioni in generale e, quindi, anche della revocazione in particolare, secondo il quale “ nel giudizio di revocazione, rivelatosi l’errore di fatto e individuate le parti della sentenza da rescindersi in quanto viziate dall'errore stesso, il successivo giudizio rescissorio, riguardante la modificazione nel merito della detta sentenza, deve avere per oggetto solo le parti di essa che sono state rescisse e quelle che ne dipendono ”.
Il principio, da ultimo ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 12721 del 2016, è risalente (Cassazione civile n. 3465/1972) ed è stato costantemente riaffermato negli anni (Cassazione civile n. 2181/2001 e Id., n. 8326/2004): “ la revocazione travolge completamente i capi della sentenza che sono frutto di errore, sicché il giudice della fase rescissoria, chiamato nuovamente a decidere, deve procedere ad un nuovo esame prescindendo dalle rationes decidendi della sentenza revocata. Infatti, il giudizio ex art. 402 c.p.c. è nuovo e non la mera correzione di quello precedente, per cui la nuova decisione sul merito è del tutto autonoma e non può certo essere la risultante di singoli elementi correttivi nell'iter logico-giuridico espresso dalla decisione revocata ”. E ancora: “ Invero svelato l'errore di fatto e individuata la parte della sentenza impugnata da rescindersi in quanto viziata dall'errore stesso, il successivo giudizio rescissorio, riguardante la modificazione di detta sentenza, deve avere per oggetto solo le parti di essa che sono state rescisse e quelle che ne dipendono ” (Cassazione civile n. 25560/2016;che richiama a sua volta Cassazione civile n. 19562/2016, n. 12721/2016;n. 3465 del 1972).
La ratio iuris sottesa a tale approdo esegetico va rinvenuta nella stessa natura del rimedio revocatorio e nella logica sistematica che lo sottende:
a) l’errore (di fatto) revocatorio è tale solo se è stato idoneo a falsare il corretto svolgimento del percorso logico-giuridico che avrebbe dovuto essere posto, secondo diritto, a base della “naturale” risoluzione del caso concreto;
b) riscontrata positivamente la causa di revocazione, l’ordinamento attribuisce alla parte processuale vittoriosa il bene della vita rappresentato dal beneficio della rinnovazione del giudizio;
c) il giudizio è “nuovo” o “rinnovato” nel senso che non rappresenta la mera correzione del singolo elemento facente parte dell’originaria concatenazione logico-giuridica di cui era composta la motivazione, ma determina il rinnovo di tale percorso decisionale, emendato del vizio che lo ha falsato;
d) il nuovo giudizio deve necessariamente riguardare tutte le parti della sentenza che sono dipendenti, sul piano logico-giuridico, da quella direttamente toccata dalla causa di revocazione;
e) tale modus procedendi non rappresenta (non potrebbe) un terzo e inammissibile giudizio di merito sulla vicenda, per la semplice evidenza che il rimedio rescindente ha per l’appunto “rescisso” non solo la pronuncia nella sua realtà fenomenica formale (il titolo), ma anche ( rectius , ancor prima) il giudizio assunto, cioè la decisione del caso concreto, sia nella parte formalmente inficiata dalla causa di revocazione (e ciò è evidente), sia nelle parti che direttamente dipendono da essa: ciò costituisce il logico e necessario corollario del naturale dispiegarsi, nuovamente, del percorso argomentativo che porterà alla soluzione del caso, questa volta epurato dal vizio;
f) il vizio, in altri termini, è vizio della decisione e del suo (complessivo) percorso motivazionale, non già del singolo elemento facente parte della concatenazione logico-giuridica immaginata dal giudice.
Tale approdo esegetico, oltre a rinvenire un sicuro avallo nella costante giurisprudenza civile di legittimità richiamata e una razionale spiegazione nella natura in sé del rimedio impugnatorio azionato, rinviene – altresì - una conferma nella stessa logica di sistema che presiede e governa gli istituti giuridici processuali.
Il legislatore ha appositamente previsto, nell’ambito del codice di procedura civile, tre specifiche disposizioni (precisamente, gli artt. 329, comma 2 e 336, commi 1 e 2 del c.p.c.) finalizzate ad assicurare la razionalità della decisione e, dunque, in ultima analisi, dell’ordinamento, impedendo che quest’ultimo entri in contraddizione logica con se stesso.
È, questa, una necessità tanto sentita dall’ordinamento da essere comparata, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, con gli altri fondamentali e concorrenti principi della necessità che si arrivi alla formazione del giudicato (art. 329, comma 2 c.p.c.) e del raggiungimento della stabilità e della certezza dei titoli (art. 336, comma 1 c.p.c.) o dell’esecuzione di essi (art. 336, comma 2, c.p.c.).
L’ordinamento, in altri termini, non può tollerare (non potrebbe) che questioni tra di loro dipendenti e avvinte sul piano logico-giuridico possano, per effetto di un mero accidente (la mancata impugnazione di un capo, la riforma o la cassazione di un solo capo o di una sola parte della pronuncia), esprimere valori diversi e contrastanti nel sistema:
a) l’art. 329, comma 2 del c.p.c., espressivo del principio della domanda, prevede che in caso di impugnazione parziale possono passare in giudicato i capi di sentenza non espressamente gravati. La regola, tuttavia, incontra un temperamento ( rectius , una vera e propria eccezione) per i capi di sentenza strettamente dipendenti da quelli gravati espressamente;
b) l’art. 336, comma 1 del c.p.c., espressivo invece del principio del cd. effetto espansivo interno, stabilisce che la riforma o la cassazione parziale della pronuncia abbia effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata;
c) l’art. 336, comma 2 del c.p.c., espressivo infine del principio del cd. effetto espansivo esterno, prevede che la riforma o la cassazione della pronuncia estenda i suoi effetti anche ai provvedimenti e agli atti esecutivi dipendenti dalla sentenza riformata o cassata.
Analoga impostazione teorico-pratica è seguita nel processo amministrativo in virtù dell’espresso richiamo, in forza dell’art. 106 del c.p.a., agli artt. 395 e 396 del c.p.c. (specificamente regolanti i casi di revocazione), nonché di quello posto dall’art. 39 del c.p.a. (“rinvio esterno”) alle disposizioni del codice di procedura civile per quanto non disciplinato dal presente codice e in quanto compatibili o espressione di principi generali.
9.2.3. Per tutte le considerazioni che precedono va, pertanto, ritenuta l’infondatezza dell’assunto difensivo proposto da S: laddove, infatti, venisse appurata la sussistenza del nesso di dipendenza tra la questione pregiudiziale (necessità o meno del rinvio alla Corte europea, negli esatti termini oggettivi richiesti dall’appellante Siram, e sue ragioni giustificative) e il successivo sviluppo logico-giuridico della decisione da rinnovarsi (determinazione della portata e degli effetti del trasferimento aziendale, onde stabilire se con esso la cedente si è privata di quegli elementi oggettivi che hanno costituito i cd. requisiti di qualificazione e sulla cui base è stata rilasciata l’apposita attestazione SOA), sarebbe certamente da affermare la piena sussistenza dell’interesse di Siram alla rinnovazione del giudizio rescissorio, che per l’appunto, in quanto “nuovo”, non potrebbe essere considerato un inammissibile “terzo” grado di giudizio. Del resto, a seguire la tesi di controparte, sarebbe stata la stessa fase rescindente a risultare priva di interesse per la società Siram, in quanto, ove il merito della fase rescissoria dovesse riguardare la sola questione del rinvio pregiudiziale, la sentenza di revocazione resa sarebbe priva di ogni utilità pratica per l’istante in revocazione.
10. Prima di affrontare nel merito la suddetta questione, che attiene all’esatta perimetrazione delle parti della sentenza direttamente incise dal decisum rescissorio e di quelle che ne sono dipendenti, è opportuno scrutinare in ordine logico, ancora sulla soglia del vaglio preliminare, un’ulteriore questione posta dalle parti (per motivi, tuttavia, opposti tra di loro), ossia quella concernente l’insussistenza, nella fattispecie all’esame, dell’obbligo di rimessione alla Corte europea della questione pregiudiziale.
Laddove infatti il Collegio ritenesse, rinnovando il giudizio, che la rimessione della questione interpretativa alla Corte europea fosse inibita dalla irrilevanza della decisione di quest’ultima rispetto alla soluzione del caso interno, verrebbe a mancare il presupposto stesso di ammissibilità della questione, attesa la sua natura incidentale e pregiudiziale rispetto alle sorti del giudizio a quo .
10.1. S fonda tale insussistenza su tre concorrenti motivi:
a) per un verso, il ritenuto compiuto esame della questione da parte del giudice d’appello, non colto dal giudice della revocazione in fase rescindente;
b) per altro verso, la ritenuta compatibilità europea dell’esegesi dell’art. 76, comma 11, del d.P.R. n. 207/2010, come risultante dalla sentenza impugnata, nella parte non direttamente riguardata dalla rescissione, ritenuta una (tra le molteplici) possibili interpretazioni della norma interna;
c) per altro verso ancora, la ritenuta ammissibilità della coesistenza di interpretazioni difformi della medesima norma (quella, cioè, avanzata dalla sentenza revocata e quella, invece, accolta successivamente dalla Plenaria), rappresentando –le stesse- normale e fisiologico sviluppo del percorso di formazione e consolidamento della giurisprudenza.
10.2. Siram, invece, all’esatto opposto, critica tale impostazione, sostenendo:
a) per un verso, che in questa sede non possono essere rimesse in discussione le statuizioni assunte in fase rescindente, essendo deputata –la presente fase- al mero rinnovo del giudizio di merito;
b) per altro verso, che tale obbligo nel caso all’esame non sussiste non già perché l’art. 76, comma 11, del d.P.R. n. 207/2010 si presterebbe alla lettura auspicata dalla controparte, ma perché la lettura opposta cui è pervenuta l’Adunanza Plenaria n. 3/2017 è l’unica interpretazione possibile della norma interna che sia conforme e compatibile col diritto europeo degli appalti;
c) per altro verso ancora, la condivisibilità del ragionamento seguito dal primo grado, la cui decisione merita di essere confermata senza necessità di porre la questione pregiudiziale, rappresentando la stessa l’unico sviluppo logico possibile della corretta interpretazione dell’art. 76 cit..
11. Il Collegio ritiene, preliminarmente, di dovere sgombrare il campo dal dubbio che, per il solo fatto in sé della revocazione della sentenza, a cagione dell’omessa percezione da parte del giudice di appello dell’effettivo contenuto materiale dell’istanza di rinvio pregiudiziale formulata dall’appellante, gravi sul giudice della fase rescissoria l’obbligo secco e incondizionato della rimessione della stessa alla Corte europea.
11.1. Ciò deve escludersi per due ordini di motivi, uno di natura formale e uno di natura sostanziale:
a) il primo motivo, di natura formale, attiene alla ragion pratica dell’accoglimento del vizio revocatorio, ossia il non avere - il giudice dell’appello - compreso, in punto di fatto, i termini esatti in cui la questione comunitaria veniva posta dalla parte ai fini di una sua eventuale rimessione alla Corte europea.
La fase rescindente si è esaurita nel vaglio avente ad oggetto la sussistenza del vizio revocatorio e non ha creato (non avrebbe potuto) alcun vincolo per il giudice della fase successiva.
L’effetto “conformativo” interno della pronuncia, in altri termini, è consistito nell’attribuzione di una rinnovata e piena potestas iudicandi al giudice del rescissorio, affinché questi liberamente valuti – eliminato il vizio percettivo - la necessità della rimessione della questione alla Corte europea.
È del tutto inammissibile, dunque, ancora prima che infondato, il tentativo opposto dalla difesa di S di rimettere in discussione l’intervenuto accertamento del vizio percettivo in cui è incorso il giudice d’appello.
b) Il secondo motivo, di natura sostanziale, attiene alla verifica di tale effettiva necessità.
11.2. Il Collegio esclude detta necessità facendo osservare che:
a) l’art. 402 del c.p.c. (operante anche nel processo amministrativo per effetto del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a.) consente al giudice che decide il merito della causa, se lo ritiene necessario, di disporre anche nuovi mezzi istruttori;
b) se, dunque, è consentito al giudice, nell’ambito di un vero e proprio “rinnovato giudizio” di merito, di ampliare il thema probandum e, di conseguenza, decidendum , della causa, a maggior ragione non può essergli inibito di prendere in considerazione i principi di diritto elaborati dall’Adunanza Plenaria n. 3/2017, sebbene enunciati successivamente alla pubblicazione della sentenza rescissa, giacché è la stessa natura rinnovatoria del giudizio rescissorio a consentire la rilevanza e l’efficacia delle sopravvenienze, ivi comprese quelle sorte dall’interpretazione del diritto vivente ad opera della giurisprudenza;
c) l’art. 99, comma 3, del c.p.a., nel prevedere che “ Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso ”, non contempla distinzioni di sorta o preclusioni rispetto a giudizi “rinnovati” a seguito di rescissione per causa di revocazione, a conferma della natura in certo senso sempre “cogente” del principio di diritto formulato;
d) gli esiti cui è giunta la richiamata sentenza dell’Adunanza plenaria non costituiscono un unicum nel sistema, ma anzi rappresentano la pacifica composizione di contrasti emersi tra Sezioni semplici, nonché la conferma di alcune statuizioni già assunte da alcuni T.a.r. fin dal primo grado del giudizio (in alcuni casi riformate, come è accaduto esemplarmente nel caso di specie);
e) detti esiti, così di seguito essere sintetizzati negli essenziali snodi logico-argomentativi, sono assolutamente condivisibili:
e.1) l’art. 76, comma 11, del d.P.R. n. 2017/2010 disciplina la (sola) fattispecie del rilascio, in capo al nuovo soggetto che intenda avvalersi dei requisiti di qualificazione in caso di cessione dell’azienda o di un suo ramo, dell’attestazione SOA;
e.2) la previsione in base alla quale è stabilito che compete alla SOA di accertare quali requisiti siano trasferiti al cessionario con l’atto di cessione implica già sul piano logico, ancor prima che giuridico, che non vi è alcun automatismo tra la cessione del ramo d’azienda e il trasferimento della qualificazione;
e.3) se nessun automatismo si produce in capo a chi riceve (il cessionario, per il semplice fatto che deve attivarsi presso la SOA per attestare il possesso di un’eventuale qualificazione), altrettanto vero deve essere che nessun automatismo si produce in capo a chi dà (il cedente, che quindi non è onerato di tale obbligo, fermi gli accertamenti e le verifiche del caso concreto per valutare il perdurare del possesso del requisito);
e.4) prescindere dallo schema negoziale utilizzato (la cessione) e dal principio civilistico del consenso traslativo, che postula la reciprocità degli effetti (“se chi acquista non riceve, chi cede non dà”), comporta, inevitabilmente, la creazione di una presunzione assoluta priva di un fondamento;
e.5) se il divieto di presunzioni assolute è stato affermato in settori dove le politiche di sicurezza trovano massima giustificazione, sarebbe incomprensibile che non operasse in materia di appalti pubblici;
e.6) l’elevato tasso di infiltrazione criminale e di corruzione che caratterizza questo settore non può condurre a semplificazioni concettuali, che finirebbero per danneggiare la libertà di impresa e la stessa concorrenza nel mercato, senza neppure giovare al contrasto della delinquenza economica;
e.7) l’analisi del dato funzionale non può prescindere da un cenno ai profili di diritto UE, atteso che la tesi formalistica o della discontinuità si pone in tensione con il principio di proporzionalità, con il diritto della concorrenza e con le libertà economiche garantite dal Trattato sul funzionamento UE. La regola secondo cui ogni trasferimento aziendale, ancorché minimo, genera di per sé la perdita delle qualificazioni, con effetti anche sulle gare in corso, per importi di gran lunga superiori al valore dei beni trasferiti, sarebbe:
- una misura eccessiva, anche alla luce della presunzione di idoneità di cui all’art. 52, commi 3 e 4 della direttiva 2004/18/CE;
- tale da alterare lo svolgimento delle competizioni, implicando l’esclusione dell’impresa cedente dalla gara, ancorché i requisiti di qualificazione non siano stati effettivamente persi;
- una restrizione indiretta alla libertà di stabilimento, alla libertà di circolazione dei capitali, alla libera prestazione di servizi;
e.8) gli effetti distorsivi della concorrenza si avvertirebbero in particolare modo per i grandi gruppi societari (nazionali e non), i quali più frequentemente ricorrono a operazioni aziendali di minima rilevanza rispetto al fatturato globale (come nel caso in esame), ed ai quali deve essere garantita, in ciascuno Stato membro, la piena possibilità di operare sul mercato con trasformazioni e operazioni societarie cui non si riconducano per effetto presuntivo conseguenze pregiudizievoli o disincentivanti;
e.9) conclusivamente al primo quesito deferito può rispondersi che: “l’art. 76, comma 11, del D.P.R. n. 207/2010 deve essere interpretato nel senso che la cessione del ramo d’azienda non comporta automaticamente la perdita della qualificazione, occorrendo procedere a una valutazione in concreto dell’atto di cessione, da condursi sulla base degli scopi perseguiti dalle parti e dell’oggetto del trasferimento”.
11.3. Tale conclusione, condivisa anche dalla difesa di Siram, resiste al tentativo, compiuto dalla difesa di S, di considerarla una soltanto tra le interpretazioni possibili, compatibili con il diritto europeo degli appalti.
11.4. L’assunto non può essere condiviso per le seguenti dirimenti ragioni:
a) l’art. 76, comma 11 cit., nel suo tenore testuale e lessicale, si riferisce prima di tutto alla persona del cessionario, al quale è riconosciuto il diritto di chiedere l’attestazione alla SOA del possesso dei requisiti di qualificazione;
b) la norma contiene un riferimento alla persona del cedente esclusivamente per la parte in cui gli consente (si tratta di una mera facoltà, non di un obbligo o di un onere) di chiedere una nuova attestazione, che tenga conto dell’avvenuta cessione negoziale e delle relative sopravvenienze verificatesi;
c) desumere da questa previsione (che risponde a ben altra ratio ) la sussistenza di un onere o di un obbligo giuridico a carico del cedente di attivare un (rinnovato) intervento certificativo dell’Organismo di attestazione ( cd. ri-attestazione), è operazione logico-giuridico sotto più punti scorretta:
c.1) non legalmente prevista;
c.2) eccessivamente onerosa e sproporzionata rispetto al fine;
c.3) contraria al principio di tempestività della gara;
c.4) contraria al principio di certezza dell’idoneità della certificazione;
c.5) contrastante con la natura dichiarativa e ricognitiva dell’atto.
11.5. Nel caso all’esame, dunque, non si tratta – come pretenderebbe di affermare S - di preferire l’una (la teoria formalistica o della discontinuità) piuttosto che l’altra (la teoria sostanzialistica o della continuità) delle interpretazioni possibili di una norma, ma – al contrario - di costruire in via puramente esegetica un obbligo (o un onere) non legalmente previsto e contrastante con i principi basilari del diritto europeo degli appalti: se tale potere è inibito al legislatore, il quale incontra nell’esercizio della sua discrezionalità tutti i richiamati vincoli europei (proporzionalità, effetto utile, necessità, certezza delle situazioni giuridiche, legittimo affidamento, idoneità degli accertamenti dichiarativi e ricognitivi), tanto più non pertiene all’ordine giurisdizionale, chiamato alla sola applicazione e interpretazione delle norme.
11.6. Né può accogliersi l’interpretazione –suggerita ancora da S- secondo cui sarebbe ammissibile la coesistenza “sintetica” tra le due ricostruzioni esegetiche sopra esposte, nel senso di intendere la seconda (quella propugnata dal giudice d’appello) un tassello del più ampio percorso di formazione e di consolidamento della giurisprudenza amministrativa, alfine attestatasi sugli esiti della seconda (la Plenaria n. 3/2017).
11.7. A questo tentativo osta, infatti, la natura stessa della norma e del provvedimento recante l’attestazione della qualificazione:
a) se la norma è precettiva, nel senso di prevedere l’onere o l’obbligo a cura della cedente di ri-attestarsi, lo deve essere sempre ( tertium non datur ), non potendosi ammettere la creazione in via giurisprudenziale di procedimenti amministrativi ad hoc per la soluzione di singoli casi concreti;
b) se l’attestazione ha natura dichiarativa e accertativa del possesso di una qualità o di uno stato, l’eventuale verifica successiva circa il mantenimento del detto possesso (come accaduto nel caso all’esame) ha necessariamente efficacia ex tunc , sicché non avrebbe senso logico affermare una soluzione di continuità nel possesso del requisito.
11.8. Pertanto, l’interpretazione propugnata da S, secondo cui l’esegesi proposta dalla Plenaria rappresenterebbe un normale e fisiologico sviluppo del percorso di formazione e consolidamento della giurisprudenza, non è accettabile sul piano logico-giuridico, prima ancora che non praticabile in via di fatto.
11.9. Laddove accolta, obbligherebbe alla rimessione alla Corte di Giustizia.
11.10. Nella fattispecie all’esame, tuttavia, per tutto quanto sopra detto, la detta rimessione va esclusa, potendosi condividere (e condividendosi) l’esegesi normativa proposta dalla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 3/2017.
11.11. Pertanto, alla questione concernente la necessità (sotto i concorrenti profili dell’ammissibilità e della rilevanza) del rinvio pregiudiziale, può conclusivamente rispondersi in senso negativo, ma – va sottolineato – per le ragioni sostenute da Siram, non per quelle propugnate da S.
12. Si pone ora all’attenzione del Collegio lo scrutinio del merito della questione riguardante l’esatta perimetrazione delle parti della sentenza direttamente incise dal decisum rescissorio e di quelle che ne sono dipendenti.
12.1. Va anticipato che la problematica investe due ordini di questioni:
a) la prima concerne la parte della sentenza di appello che ha respinto l’appello incidentale di Siram volto a contestare:
a.1) la ricevibilità del ricorso introduttivo per tardività dell’impugnazione dell’atto di aggiudicazione definitiva del 12 settembre 2014;
a.2) l’ammissibilità dell’impugnazione della determina di Consip del 22 gennaio 2015 per difetto di interesse (in queste parti il Consiglio di Stato aveva confermato le statuizioni assunte dal giudice di prime cure);
a.3) in via escludente, la legittimazione e l’interesse a ricorrere di S perché illegittimamente ammessa a partecipare alla gara, a cagione dell’invalidità e dell’inefficacia del contratto di avvalimento intercorso con la mandante del RTI T (in questa parte il Consiglio di Stato era sceso nel merito dell’impugnazione incidentale, non esaminata invece dal T.a.r., che l’aveva dichiarata inammissibile per avere principaliter rigettato il ricorso).
b) La seconda questione riguarda la parte della sentenza di appello che ha accolto l’appello principale di S e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, ha accolto il ricorso introduttivo del giudizio.
13. In relazione alla questione sub a), non è dato ravvisare alcun nesso di dipendenza logico-giuridica tra la causa di revocazione riscontrata e le statuizioni rese dal giudice d’appello (concernenti, essenzialmente, questioni preliminari di rito e di merito), sicché tale parte di sentenza deve considerarsi immune rispetto al cd. merito rescissorio.
14. Analoga conclusione, invece, non può formularsi in riferimento alla questione sub b).
15. Per una migliore comprensione della questione va ricordato che:
15.1. il T.a.r. per il Lazio, Roma, Sezione III, con la sentenza n. 9350 del 13 luglio 2015, aveva –dopo avere assorbito per ragioni di economia processuale l’esame del ricorso incidentale con cui la