Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-06-17, n. 202405428

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-06-17, n. 202405428
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202405428
Data del deposito : 17 giugno 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/06/2024

N. 05428/2024REG.PROV.COLL.

N. 00733/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 733 del 2022, proposto da M N e W C, rappresentati e difesi dall’avvocato B D R, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;

contro

la Corte Maria Luisa s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato M G, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;

nei confronti

il Comune di Rivolta d’Adda, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato B S, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione seconda, n. 604/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio della Corte Maria Luisa s.r.l. e della Comune di Rivolta d’Adda;

visti tutti gli atti della causa;

relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024, il consigliere Francesco Frigida;

uditi l’avvocato B D R per gli appellanti e l’avvocato M G per la società appellata, nonché viste le conclusioni scritte depositate dall’avvocato B S per il Comune appellato.

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 19 gennaio 2022 e in data 28 gennaio 2022 – i signori M N e W C hanno proposto appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione seconda, n. 604 del 28 giugno 2021, con cui, previa riunione, è stato accolto il ricorso n. 576 del 2020, è stato respinto il ricorso n. 673 del 2020, sono state compensate tra le parti le spese di lite per ambedue i ricorsi ed è stato posto a carico del Comune di Rivolta d’Adda il contributo unificato del primo ricorso.

1.1. I suddetti ricorsi vennero entrambi proposti dalla Corte Maria Luisa s.r.l. per l’annullamento, quanto al ricorso n. 576/2020 dell’ordinanza del Comune di Rivolta d’Adda, area urbanistica ed edilizia privata, n. 98 del 30 settembre 2020, con la quale era stata ingiunta la demolizione parziale di un edificio avente destinazione direzionale-commerciale (supermercato con adiacente palazzina uffici), situato nel predetto Comune, in via Verdi, nonché del provvedimento del Comune di Rivolta d’Adda, area amministrativa del 23 settembre 2020, con il quale era stata respinta la domanda di sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 e, quanto al ricorso n. 673/2020, del provvedimento del Comune di Rivolta d’Adda, area urbanistica ed edilizia privata, del 26 giugno 2020, con il quale era stato annullato in autotutela il provvedimento di sanatoria di data del 20 aprile 2015.

1.2. I fatti di causa sono stati puntualmente sintetizzati dal T.a.r. come segue: « 2. Il Comune di Rivolta d'Adda ha rilasciato alla società ricorrente in data 14 maggio 2007 il permesso di costruire n. 58/2007, per la realizzazione di un edificio avente destinazione direzionale-commerciale (supermercato con adiacente palazzina uffici) in zona B ( Residenziale di completamento ).

3. Come accertato successivamente (v. relazione del prof. ing. M d P di data 29 giugno 2019 – doc. 35 della ricorrente), la volumetria effettivamente assentita e realizzata era pari a 6.371,90 mc. Il Comune ha però considerato rilevante solo la volumetria convenzionale, come definita dall’art.

5.10 delle NTA del PRG in vigore all’epoca, ossia il valore ottenuto moltiplicando la SLP per l’altezza virtuale di 3 metri, indipendentemente dall’altezza effettiva. Con questa formula, come risulta dalla tavola 2 del progetto (v. doc. 4 della ricorrente), il volume dell’edificio è stato stimato in 3.977,70 mc, rimanendo al di sotto di quanto consentito dall’indice di fabbricabilità fondiaria (1,2 mc/mq) di cui all’art. 15.3 delle NTA. In effetti, posto che la superficie catastale del lotto era di 3.730 mq, la volumetria ammissibile risultava pari a 4.476 mc.

4. Su ricorso di alcuni residenti in zona, tra cui gli attuali controinteressati, il TAR Brescia, con sentenza n. 871 del 22 febbraio 2010, ha annullato il permesso di costruire n. 58/2007, ritenendo che l’art.

5.10 delle NTA dovesse essere interpretato non nel senso dell’irrilevanza delle altezze, ma come vincolo a costruire con altezza pari a 3 metri, e non con altezze inferiori o superiori.

5. Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6250 del 5 novembre 2018, ha confermato l’annullamento, ma seguendo una diversa linea argomentativa. Secondo tale sentenza, l’art.

5.10 delle NTA rendeva effettivamente irrilevante la volumetria collocata oltre l’altezza virtuale, come sostenuto dal Comune, ma proprio per questo doveva essere considerato illegittimo ed essere disapplicato, in quanto non solo consentiva di eludere l’indice di fabbricabilità fondiaria del PRG, ma era anche potenzialmente idoneo a superare i limiti di densità fondiaria stabiliti dall’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942 n. 1150 e dall’art. 7 del DM 2 aprile 1968 n. 1444. In particolare, a proposito del collegamento tra volumetria convenzionale e altezza virtuale, il capo 12.2 della sentenza si esprime in questi termini: “
In tal modo si determina, tuttavia, una scissione fra realtà fisica e realtà giuridico-urbanistica che, oltre a veicolare (o, comunque, a rendere possibile) una sostanziale pretermissione dell’indice fondiario stabilito dal Piano per la zona «B», consente una potenziale densità edilizia assai superiore a quella stabilita dalla generale normativa di settore ”. Il capo 12.3 della sentenza precisa che “ l’articolo 41-quinquies l. n. 1150 del 1942 e l’art. 7 d.m. n. 1444 del 1968, contrariamente agli assunti del Comune, non sono derogabili dalla pianificazione comunale ”.

6. Nel frattempo, il Comune, con provvedimento del responsabile dell’Area Urbanistica ed Edilizia Privata di data 6 giugno 2012, ha sanato l’edificio, applicando una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 38 del DPR 6 giugno 2001 n. 380, sul presupposto dell’impossibilità di demolire la volumetria in eccesso senza pregiudizio per le parti conformi. 7. Anche questo provvedimento è stato impugnato dagli attuali controinteressati. Il ricorso è stato accolto dal TAR Brescia con sentenza n. 1130 del 14 dicembre 2013, che ha annullato la sanatoria, ritenendo praticabile la demolizione senza pregiudizio per le parti conformi. Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1492 del 2 marzo 2020, ha confermato l’annullamento, dopo aver acquisito la sopra citata relazione del prof. ing. di P di data 29 giugno 2019, nella quale si afferma la possibilità tecnica di cancellare la volumetria in eccesso (1.895,90 mc), sia pure interessando una porzione di edificio lievemente superiore a quanto giuridicamente necessario (2.047,60 mc), per un costo stimabile in € 200.000 (Iva esclusa).

8. Prima della conclusione del giudizio di appello sul provvedimento di sanatoria del 6 giugno 2012, il Comune ha concesso per la seconda volta la sanatoria ex art. 38 del DPR 380/2001, con provvedimento del responsabile dell’Area Urbanistica ed Edilizia Privata di data 20 aprile 2015. In questo caso, la decisione era basata sulla perizia giurata dell’ing. D C di data 9 giugno 2014, che aveva attestato l’impossibilità di ridurre l’altezza dei pilastri mantenendo la funzione di portanza della parte residua.

9. Preso atto della sentenza del Consiglio di Stato n. 1492/2020 e della relazione del prof. ing. di P, il Comune ha annullato in autotutela la seconda sanatoria, con provvedimento del responsabile dell’Area Urbanistica ed Edilizia Privata di data 26 giugno 2020. 10. L’autotutela ha provocato la cessazione della materia del contendere nel ricorso che i controinteressati avevano promosso nei confronti della seconda sanatoria (v. sentenza del TAR Brescia n. 515 del 3 luglio 2020). 11. Contro l’intervento in autotutela la ricorrente ha presentato ricorso straordinario, poi trasposto in sede giurisdizionale (ricorso n. 673/2020). Le censure sono così sintetizzabili: (i) violazione dell’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241, essendo trascorsi più di diciotto mesi tra il provvedimento di fiscalizzazione (20 aprile 2015) e l’annullamento d’ufficio (26 giugno 2020);
(ii) motivazione obliqua, in quanto la sentenza del Consiglio di Stato n. 1492/2020 si riferisce alla prima sanatoria (6 giugno 2012), mentre il provvedimento annullato in autotutela (20 aprile 2015) costituisce una seconda e distinta sanatoria, basata sulla relazione dell’ing. Campana, e dunque indipendente dal giudicato formatosi sulla prima sanatoria;
(iii) assenza di un interesse pubblico, in quanto la disciplina urbanistica è stata modificata nel 2015, e il criterio della volumetria convenzionale è stato abbandonato. Attualmente l’edificio ricade negli “
Ambiti commerciali-terziari-direzionali ”. In questa zona l’art. 73 delle NTA fissa un indice di utilizzazione fondiaria (SLP/mq) pari a 0,6 mq/mq. Pertanto, sarebbe possibile insediare, nel rispetto dell’altezza massima di zona, una SLP pari a 2.238 mq, a fronte di una SLP effettiva dell’edificio pari a soli 1.325,90 mq (v. doc. 30, 41, 42 della ricorrente). 12. In data 31 luglio 2020 la ricorrente ha chiesto una terza sanatoria, questa volta sulla base dell’art. 36 del DPR 380/2001. Il responsabile dell’Area Amministrativa, con provvedimento di data 23 settembre 2020, ha respinto la domanda, ritenendo insussistente il requisito della doppia conformità (“ non viene soddisfatto il requisito della conformità della porzione di fabbricato oggetto di richiesta di sanatoria al momento della sua realizzazione in quanto, come stabilito dal Consiglio di Stato con le sentenze n. 6250/2018 e 1942/2020, […] l'edificio ha una volumetria complessiva totale maggiore rispetto a quella assentibile con le previsioni del PRG, pertanto incompatibile con l'indice urbanistico di 1,20 mc/mq previsto dall'allora vigente Piano e dunque insanabile. [O]ltretutto, l'eventuale rilascio del provvedimento in sanatoria si porrebbe irrimediabilmente in violazione ed elusione delle sentenze del Consiglio di Stato n. 6250/2018 e 1492/2020, ormai definitive e mai contestate. […] Dall'istanza ex art. 36 DPR 380/01 […] non si denota con facilità sia l'astratta sanabilità dell'opera nonché la prova della c.d. doppia conformità urbanistica dell'immobile da sanare;
si precisa infatti che non spetta all'Amministrazione il compito di effettuare tale verifica ”). 13. Infine, il responsabile dell’Area Urbanistica ed Edilizia Privata ha emesso l’ordinanza n. 98 di data 30 settembre 2020, con la quale è stata ingiunta la demolizione parziale dell’edificio in esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato n. 1492/2020. 14. La ricorrente ha impugnato sia il diniego di sanatoria di data 23 settembre 2020 sia l’ordinanza di demolizione n. 98 di data 30 settembre 2020 (ricorso n. 576/2020), formulando censure così sintetizzabili: (i) stessi argomenti già svolti nel ricorso straordinario convertito nel ricorso n. 673/2020;
(ii) violazione dell’art. 36 del DPR 380/2001, in quanto la disapplicazione della disciplina urbanistica comunale da parte del Consiglio di Stato nella sentenza n. 6250/2018 non determinerebbe la perdita del requisito della doppia conformità. Nello specifico, è stata data dimostrazione della conformità urbanistica dell’edificio sia al momento dell’esecuzione dei lavori sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria (v. doc. 4 e 41 della ricorrente). 15. Il Comune si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione di entrambi i ricorsi. Con le medesime richieste si è costituito un controinteressato, e ha fatto intervento
ad opponendum un altro controinteressato ».

1.3. Tale ricostruzione in fatto non risulta specificamente contestata nella sua materialità dalle parti costituite, sicché, in ossequio al principio di non contestazione recato all’art. 64, comma 2, del codice del processo amministrativo, deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

1.4. Il T.a.r., dopo aver disposto la riunione dei due ricorsi, stante la loro stretta connessione, ha poi così motivato la propria statuizione: «Sull’annullamento della seconda sanatoria (ricorso n. 673/2020) 19. Nel ricorso n. 673/2020 viene impugnato il provvedimento di data 26 giugno 2020, con il quale è stata annullata in autotutela la seconda sanatoria, concessa il 20 aprile 2015. La ricorrente lamenta l’illegittimo superamento del termine ragionevole di diciotto mesi previsto dall’art. 21- nonies della legge 241/1990. La tesi non è però condivisibile, in quanto l’edificazione è stata fin dall’inizio sub iudice , e ha continuato a esserlo in tutti questi anni per effetto dei successivi contenziosi, compreso quello dichiarato cessato con la sentenza del TAR Brescia n. 515/2020, che riguardava appunto l’impugnazione della seconda sanatoria da parte degli attuali controinteressati. Non è quindi maturata alcuna aspettativa di stabilità a favore della ricorrente, certamente non un’aspettativa estesa al punto da far presumere una situazione di intangibilità assimilabile a un giudicato. In realtà, proprio il giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 1492/2020 ha travolto il presupposto della seconda sanatoria, ossia la valutazione tecnica circa l’impossibilità di demolire la volumetria in eccesso senza pregiudizio per le parti conformi. 20. Il riferimento alla sentenza n. 1492/2020 non è improprio, né fuorviante. È vero che questa sentenza si occupa della prima sanatoria, mentre l’autotutela è stata esercita nei confronti della seconda, ma entrambi i provvedimenti riguardano il problema della fattibilità della demolizione parziale. Dunque, non è scorretto utilizzare la pronuncia relativa al primo provvedimento per motivare l’annullamento in autotutela del secondo, anticipando un esito sostanzialmente scontato dello specifico ricorso già pendente. 21. L’ammissibilità di questo procedimento logico è rafforzata nel caso in esame dalla circostanza che la relazione del prof. ing. di P, su cui si basa la sentenza n. 1492/2020, è stata elaborata nel contraddittorio con il consulente di parte del Comune ing. C, autore della perizia giurata a suo tempo utilizzata quale fondamento della seconda sanatoria. In effetti, la relazione del prof. ing. di P condivide l’analisi dell’ing. C sull’impossibilità di eseguire la scapitozzatura dei pilastri senza compromettere la stabilità della copertura rimontata, e per questo motivo, seguendo proprio le indicazioni dell’ing. C, individua nella riduzione dell’estensione planimetrica dell’edificio l’unica modalità di eliminazione della volumetria eccedente. Di conseguenza, facendo riferimento alla relazione del prof. ing. di P, che riassume e coordina l’intero sviluppo delle valutazioni tecniche succedutesi nel tempo, il Comune ha adeguatamente motivato il provvedimento in autotutela. 22. L’argomento relativo alla mancanza di un sottostante interesse pubblico solleva indubbiamente un problema delicato, perché nel momento in cui si pongono le premesse per un intervento demolitorio non può essere trascurata la circostanza che, se demolito, l’edificio potrebbe essere ricostruito esattamente nelle dimensioni attuali. In questo caso, la consumazione di risorse private non incrementerebbe il livello di utilità pubblica. Si tratta però di un argomento spendibile solo quando la tipologia di sanatoria invocata permetta un contemperamento tra interessi pubblici e interessi privati. Nello specifico, il provvedimento in autotutela è invece basato esclusivamente su considerazioni tecniche, in quanto la seconda sanatoria aveva a sua volta un orizzonte limitato alla fattibilità della demolizione parziale. Per far cadere una simile sanatoria era quindi sufficiente acquisire altre valutazioni tecniche, in grado di superare quelle utilizzate originariamente. 23. Occorre però sottolineare che in questi termini l’annullamento in autotutela, pur resistendo all’impugnazione in sede giurisdizionale, non compromette in alcun modo l’aspettativa dei privati a ottenere una nuova sanatoria basata su presupposti diversi. Di una distinta sanatoria si discute in effetti nel ricorso n. 576/2020, dove potrà quindi essere ripreso il problema dell’interesse pubblico alla rimessione in pristino. Sul diniego della terza sanatoria (ricorso n. 576/2020) 24. La terza sanatoria, che costituisce oggetto del ricorso n. 576/2020, è stata chiesta in base all’art. 36 del DPR 380/2001, ed esige dunque la doppia conformità urbanistica. In realtà, si controverte solo sul primo requisito, ossia sulla conformità alla data di esecuzione dei lavori. Per quanto riguarda invece la data di presentazione della domanda di sanatoria, la disciplina del PGT attualmente in vigore, come sopra riportata nella sintesi dei motivi di ricorso, prevede un indice di utilizzazione fondiaria pari a 0,6 mq/mq, che non crea alcun ostacolo all’insediamento della volumetria realizzata dalla ricorrente, una volta accertato il rispetto dell’altezza massima di zona. 25. Focalizzando dunque l’attenzione sulla data di esecuzione dei lavori, si osserva che la sentenza del Consiglio di Stato n. 6250/2018 ha annullato il permesso di costruire n. 58/2007 non per contrasto con la disciplina urbanistica comunale all’epoca vigente, che anzi è stata interpretata esattamente come voluto dal Comune, ma perché la suddetta disciplina è stata ritenuta illegittima, e dunque da disapplicare. Sono stati accertati due profili di illegittimità. Il primo è riconducibile al vizio di contraddittorietà, in quanto non sarebbe ragionevole introdurre nel PRG un determinato indice di fabbricabilità fondiaria (1,2 mc/mq) per poi consentirne una deroga sistematica attraverso il meccanismo della volumetria convenzionale. Il secondo è invece una vera violazione di legge, in quanto il meccanismo della volumetria convenzionale permetterebbe di edificare oltre i limiti inderogabili di densità fondiaria, stabiliti in dettaglio per la zona B dall’art. 7 del DM 1444/1968. 26. Il primo profilo di illegittimità non cancella la doppia conformità, in quanto il titolo edilizio rispecchia una disciplina urbanistica non immediatamente contrastante con una norma di grado superiore, e non direttamente impugnata. La conformità urbanistica è un requisito valutato prima del rilascio del titolo edilizio, mentre la disapplicazione è il risultato di valutazioni interpretative che si collocano a valle, ossia dopo l’ultimazione dei lavori. Una volta formatosi l’affidamento dei privati su un titolo edilizio coerente con la disciplina urbanistica comunale, la disapplicazione di tale disciplina in sede processuale travolge il titolo edilizio ma non il dato storico della condizione di conformità urbanistica originaria, e dunque non rappresenta un ostacolo all’applicazione dell’art. 36 del DPR 380/2001. 27. A opposta conclusione si deve giungere, almeno in astratto, per il secondo profilo di illegittimità. Qui la conformità urbanistica originaria è esclusa dalla presenza di una norma di grado superiore immediatamente applicabile e direttamente confrontabile con le disposizioni contenute nella disciplina urbanistica comunale. Poiché nel medesimo ordinamento la fonte di grado inferiore non può modificare il contenuto di una norma sovraordinata, se non nel senso consentito esplicitamente o implicitamente da quest’ultima, la norma di grado inferiore è recessiva, e quindi inidonea a formare la certezza del diritto e a garantire l’affidamento delle parti. 28. Il punto è però che, come si è visto sopra, la sentenza del Consiglio di Stato n. 6250/2018 ha accertato una violazione solo potenziale dei limiti di densità fondiaria stabiliti a livello nazionale. La stessa motivazione del provvedimento di diniego di sanatoria del 23 settembre 2020 non prende una posizione precisa su quanto si sarebbe potuto costruire applicando le norme nazionali, e rimette alla ricorrente la prova della doppia conformità. Una verifica in sede amministrativa appare tuttavia necessaria, considerando che il PRG prevedeva un indice di fabbricabilità fondiaria pari a 1,2 mc/mq, insufficiente a consentire la volumetria realizzata (6.371,90 mc) qualora non si applicasse anche il criterio dell’altezza virtuale, ma il limite di densità fondiaria stabilito per la zona B dall’art. 7 del DM 1444/1968 è molto superiore, e precisamente 5 mc/mq nei Comuni al di sotto dei 50.000 abitanti. 29. Pertanto, se in concreto il limite di densità fondiaria stabilito a livello nazionale risultasse rispettato senza necessità di applicare il criterio dell’altezza virtuale, la sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001 non potrebbe essere negata. Vi sarebbe infatti la dimostrazione che nessun interesse pubblico di natura urbanistica è stato danneggiato all’epoca di esecuzione dei lavori. 30. Nel ricorso n. 576/2020 è stata impugnata anche l’ordinanza di demolizione n. 98 di data 30 settembre 2020. Relativamente alla possibilità di una demolizione parziale, il provvedimento non appare censurabile, come si è visto sopra esaminando gli argomenti del ricorso n. 673/2020. Tuttavia, l’annullamento del diniego di sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001 travolge inevitabilmente anche l’ordine di demolizione. Sui rapporti con la sanatoria ex art. 38 del DPR 380/2001 31. A proposito della sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001 sono necessarie ancora alcune precisazioni, È vero, infatti, come sottolineano i controinteressati, che tale norma si riferisce alla sanatoria di opere realizzate in assenza di permesso di costruire, o in difformità dallo stesso, e non all’ipotesi in cui il titolo edilizio sia stato rilasciato e successivamente annullato. Questo però non indebolisce, ma anzi rafforza, la prospettiva della regolarizzazione, come si può osservare dal confronto con la specifica fattispecie ex art. 38 del DPR 380/2001, che riguarda appunto l’ipotesi in cui il titolo edilizio sia stato annullato dopo l’ultimazione dell’intervento edificatorio. 32. Come si è visto sopra, la prima e la seconda sanatoria concesse dal Comune si basavano precisamente sull’art. 38 del DPR 380/2001, e anzi su un particolare profilo di tale norma, consistente nell’impossibilità della demolizione senza pregiudizio per le parti conformi. La sentenza del Consiglio di Stato n. 1492/2020, che ha invece ritenuto fattibile un intervento di demolizione parziale, copre unicamente questo aspetto della controversia, e non esaurisce le potenzialità di sanatoria desumibili dall’art. 38 del DPR 380/2001. In proposito, si sottolinea che per il rilascio di un nuovo titolo edilizio in luogo di quello annullato non è richiesta la doppia conformità, la quale è invece prevista per la sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001. Questo perché l’edificazione sulla base di un titolo edilizio è sempre assistita dalla presunzione di legittimità degli atti amministrativi, e dunque produce un affidamento tutelabile (v. CS Ap 7 settembre 2020 n. 17;
TAR Brescia Sez. II 9 novembre 2020 n. 777). 33. Nel caso in esame, appare evidente come le due fattispecie di sanatoria possano anche sovrapporsi. La disapplicazione della disciplina urbanistica comunale non fa venire meno la doppia conformità ex art. 36 del DPR 380/2001, tranne quando vi sia violazione di un parametro edificatorio puntualmente e inderogabilmente fissato da una norma di grado superiore. D’altra parte, la disapplicazione della disciplina urbanistica comunale per profili di irragionevolezza e contraddittorietà lascia intatta la buona fede del privato, e dunque non impedisce la sanatoria ex art. 38 del DPR 380/2001. In entrambe le fattispecie diventa quindi decisiva, ai fini del consolidamento di quanto edificato, la disciplina in vigore alla data della domanda di sanatoria, che esprime la valutazione aggiornata dell’interesse pubblico di natura urbanistica. Se l’interesse pubblico attuale è conciliabile con la permanenza delle opere realizzate, in quanto le norme in vigore consentirebbero comunque di insediare una costruzione identica a quella esistente, non sarebbe conforme al principio di proporzionalità imporre al privato il costo della demolizione e ricostruzione in luogo delle sanzioni previste rispettivamente dagli art. 36 e 38 del DPR 380/2001.
Conclusioni 34. Il ricorso n. 673/2020, relativo alla seconda sanatoria, deve quindi essere respinto, mentre deve essere accolto il ricorso n. 576/2020, con il conseguente annullamento degli atti impugnati e l’accertamento delle condizioni necessarie per la concessione della sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001, da verificare concretamente in sede amministrativa, come sopra precisato ».

2. L’appello è stato affidato a tre motivi, compendiati rispettivamente in « Error in iudicando / travisamento dei fatti con riferimento all’art. 36 e 38 del dpr 380/2001 – perplessita’ manifesta », « Eccezione di cosa giudicata e del principio ne bis in idem» e « Violazione di legge con riferimento all’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 ».

3. La Corte Maria Luisa s.r.l. si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello principale e veicolando altresì appello incidentale ritualmente notificato il 24 febbraio 2022 e depositato in pari data, con riguardo al capo di sentenza che ha affermato la legittimità del provvedimento di autotutela del 20 aprile 2015, articolando tre censure con cui ha dedotto che « La sentenza è errata nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’annullamento d’ufficio del provvedimento di fiscalizzazione dell’abuso, con riguardo a: (1) all’irrilevanza della maturazione del termine di diciotto mesi;
(2) l’insussistenza di un difetto di motivazione;
(3) l’irrilevanza della mancanza di un interesse pubblico
».

4. Il Comune di Rivolta d’Adda si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del gravame principale.

5. In vista dell’udienza di discussione la Corte Maria Luisa s.r.l. ha depositato in data 12 febbraio 2024 copia dell’avviso (emesso dal Comune il 15 dicembre 2022) di rilascio in suo favore del permesso di costruire in sanatoria n. 14 del 15 dicembre 2022, subordinato al versamento a titolo di oblazione della somma di euro 173.890,42.

6. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 23 aprile 2024.

7. In limine litis , va precisato che il documento depositato dalla Corte Maria Luisa s.r.l. in data 12 febbraio 2024 non impinge in alcun modo sulla procedibilità dell’appello principale e dell’appello incidentale, non elidendo infatti l’interesse degli appellanti a una riforma della statuizione di primo grado, attinente a una complessa vicenda sostanziale su cui si sono intersecati una pluralità di provvedimenti e di giudizi, i cui esiti non sono sterilizzati, quanto ad effetti, dal provvedimento comunale n. 14/2022, la cui efficacia è peraltro subordinata a un versamento, la cui effettuazione non è stata dedotta, né tanto meno provata.

8. L’appello principale è infondato.

8.1. Con primo motivo di gravame è stato dedotto un travisamento dei fatti e una perplessità motivazionale in relazione agli articoli 36 e 38 del d.P.R. 380/2001, che invece è insussistente, avendo il T.a.r. affermato la loro applicabilità alla fattispecie in esame con motivazione congrua, ampiamente esaustiva e coerente con le emerge fattuali, attesa la riscontrata presenza della doppia conformità.

In particolare, si rileva che la censura è imperniata sull’asserito presupposto che sarebbe « stato accertato (…) che la norma di cui si discute, ossia il previgente art. 5.10, c.1 delle NTA del P.G.T. del Comune di Rivolta D’Adda, è stato applicato in modo errato da parte dell’Amministrazione comunale ».

Tuttavia il Consiglio di Stato, a differenza del T.a.r., non riscontrò un’erronea interpretazione delle norme dello strumento urbanistico da parte dell’amministrazione comunale in sede di rilascio del permesso di costruire.

Specificamente il T.a.r. affermò l’erronea interpretazione della norma regolamentare urbanistica, reputata conforme alle pertinenti disposizioni legislative, mentre il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6250/2018, nel riformare la sentenza del T.a.r. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 871/2010 precisò univocamente che il Comune aveva dato corretta attuazione all’art. 5.10, comma 1, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, la quale però era in contrasto con il quadro legislativo e venne conseguentemente disapplicata.

Detta pronuncia del Consiglio di Stato, passata in giudicato e, pertanto, intangibile nelle sue statuizioni, differentemente dalla riformata sentenza del T.a.r. (che dunque non regola più la fattispecie), comporta la sussistenza di conformità ex ante dell’opera (coerente inizialmente con la su citata disposizione regolamentare, successivamente disapplicata dal giudice amministrativo), sicché, non essendone controversa la conformità ex post , sussiste il requisito della doppia conformità per il rilascio del permesso in sanatoria di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001.

Ne discende che correttamente il T.a.r., con l’impugnata sentenza n. 604/2021, ha dichiarato illegittimo del diniego della sanatoria, erroneamente giustificato dall’amministrazione sulla base di un inesistente (in forza di sentenza passata in giudicato che lo escluso) contrasto del fabbricato da sanare con lo strumento urbanistico.

8.2. Tramite la seconda doglianza gli appellanti principali hanno sostenuto la presenza di un giudicato sul diniego di sanatoria e sull’interpretazione dell’art.

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