Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-05-13, n. 201502384
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N. 02384/2015REG.PROV.COLL.
N. 08729/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8729 del 2014, proposto da:
Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Ancona, Questura di Ancona, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
contro
A M;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. MARCHE - ANCONA Sezione I n. 00736/2014, resa tra le parti, concernente silenzio serbato dall'amministrazione in merito all'istanza di emersione da lavoro irregolare;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2015 il Cons. Alessandro Palanza e udito per le Amministrazioni appellanti l’avvocato dello Stato Spina;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - Il Ministero dell'Interno ha impugnato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, n. 736/2014 che ha accolto il ricorso proposto dal signor Manjur Alam, cittadino bengalese, irregolarmente soggiornante in Italia, per l'accertamento della illegittimità del silenzio-rifiuto a seguito dell'istanza di emersione da lavoro irregolare ex art. 5 del d.lgs. n. 109 del 16 luglio 2012 rivolta all’U.T.G. - Prefettura di Ancona. Il ricorrente in primo grado aveva impugnato il silenzio della PA ritenendo decorso il termine di legge per la conclusione del procedimento individuato, in assenza di una disposizione specifica, nel termine previsto per il procedimento di rilascio del permesso dal T.U. n. 286/1998 ovvero quello generale di cui all’art. 2 della legge n. 241/1990. Il ricorrente inoltre, essendosi a suo avviso in ogni caso formato il silenzio-inadempimento, da cui consegue l’obbligo per l’Amministrazione di concludere il procedimento, aveva quindi richiesto di dichiarare l’obbligo dell’Amministrazione di concludere il procedimento entro 30 giorni dalla notifica della presente sentenza, nominando altresì fin d’ora un commissario ad acta per i l caso di reiterata ottemperanza.
2. – La sentenza del TAR ha accolto il ricorso in primo grado sulla base di precedenti conformi decisioni dello stesso Tribunale (TAR Marche, 19.6.2013 n. 464 e 22 maggio 2014 n. 542 ). In particolare nella più recente sentenza n. 542/2014, lo stesso TAR ha spiegato le ragioni per quali ha ritenuto di non condividere le diverse conclusioni a cui era pervenuto su un caso simile il Consiglio di Stato con la sentenza 25/02/2014 n. 891. Alle stesse ragioni aderisce la sentenza impugnata nel presente giudizio ritenendo la sentenza della Sez. III° del Consiglio di Stato 25.2.2014, n. 891, non condivisibile in quanto:
- nel nostro ordinamento non può esistere un procedimento amministrativo ad istanza di parte che non abbia un termine certo per la sua conclusione e ciò dopo l'entrata in vigore della legge generale sul procedimento amministrativo;
- l'art. 2 della legge n. 241/1990 contiene la disciplina applicabile per i casi in cui le singole amministrazioni non abbiano provveduto a stabilire per via regolamentare i termini per la conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza. Tale disciplina consiste nell'applicare in questi casi il termine residuale di 30 giorni;
- nei casi decisi dal Tar Marche prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 76/2013, il tempo impiegato dagli Sportelli Unici per l'Immigrazione per la definizione delle procedure di emersione aveva di gran lunga superato il termine di 30 giorni (visto che le domande andavano presentate entro il 15 ottobre 2012). E a questo periodo si è poi aggiunto il termine dilatorio di cui all'art. 87, co. 3, cod. proc. amm.. Le amministrazioni hanno goduto pertanto anche di un ulteriore termine dopo la proposizione dei ricorsi per definire almeno quei procedimenti per i quali era ormai insorto il contenzioso. Non si comprenderebbe, quindi, la ragione per la quale il ritardo non debba essere sanzionato almeno con la condanna a provvedere;
- l'adozione di un provvedimento espresso consente all'interessato di potersi tutelare nel merito laddove il perdurare del silenzio non consente di comprendere se l'istanza non è accolta per mancanza dei presupposti, o perché semplicemente è stata smarrita o, ancora, in ragione di carenze di personale nell'ufficio competente o per altre ragioni. E, comunque, in base ai richiamati principi di carattere generale l'interessato può dolersi solo nei riguardi dell'atto terminale del procedimento. Il TAR pertanto accoglie il ricorso limitatamente alla condanna dell’amministrazione a concludere il procedimento con un atto espresso entro 60 giorni dalla notifica o dalla comunicazione della presente sentenza affermando che il termine per adempiere va infatti ragguagliato a quello attualmente previsto dall’art. 5, comma 9, del T.U. n. 286/1998, come modificato dal D.Lgs. n. 40/2014. Non è accolta la domanda di accertamento della fondatezza della pretesa sottostante né quella di nomina di un commissario ad acta, non sussistendo valide ragioni per ritenere che l’amministrazione non adempia all’obbligo di provvedere.
3. – L’Amministrazione appellante sostiene la erroneità della sentenza del Tar Marche, negando la possibilità di mutuare i termini di una procedura straordinaria come quella di emersione dalle procedure ordinarie per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. L’applicazione del termine generale previsto dall’art. 2 della legge n. 241/1990 è poi esclusa per i procedimenti in materia di immigrazione dallo stesso art.