Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-08-09, n. 201804880

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-08-09, n. 201804880
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201804880
Data del deposito : 9 agosto 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/08/2018

N. 04880/2018REG.PROV.COLL.

N. 09302/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9302 del 2012, proposto dalla società Lorana s.a.s. in persona del legale rappresentante p.t.,e dalle Signore L M, G R D G, L G, rappresentate e difese dagli avvocati F B C, M E V, con domicilio eletto presso lo studio M E V in Roma, via Barnaba Tortolini n.13;

contro

Comune di Prato, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati M C, E B, con domicilio eletto presso lo studio M C in Roma, viale Liegi, 32;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la TOSCANA –Sede di FIRENZE- SEZIONE III n. 934/2012.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Prato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2018 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Franco Bruni Campagni e M C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 934 del 16 maggio 2012 il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana – Sede di Firenze – ha respinto il ricorso di primo grado, proposto dal Signor G G - dante causa della parte odierna appellante - volto ad ottenere:

a) l’annullamento della nota del dirigente del servizio istanze edilizie del Comune di Prato 2 ottobre 2001 (p.g. n. 61387), di diniego della concessione edilizia da questi richiesta, del parere della commissione edilizia e trasformazione urbana (CETU) 20 settembre 2001 n. 29, e di ogni altro atto preliminare, presupposto, connesso conseguente al provvedimento sub a) e, specificamente, la relazione conclusiva 28 agosto 2001, non notificata, di contenuto incognito, richiamata nella nota sub a;

b) la condanna del Comune di Prato al risarcimento dei danni, emergenti e da lucro cessante, subiti e subendi dal ricorrente in conseguenza del diniego di concessione impugnato ai sensi e per gli effetti dell'art. 35, comma primo, D. L.vo n. 80/1998

1.1. L’ originario ricorrente aveva prospettato articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

2. Il Comune di Prato si era costituito nel giudizio di primo grado, chiedendo la reiezione del ricorso, in quanto infondato, ed era intervenuta ad adiuvandum la società Lorana s.a.s. di G G &
C.

3. Con la impugnata sentenza, il T.a.r. ha innanzitutto ricostruito l’iter infraprocedimentale, e le principali tappe del contenzioso, evidenziando quanto di seguito:

a) il sig. G G, proprietario di un complesso edilizio sito in Prato Via Venezia n. 46/50 costituito da quattro edifici, con copertura a volta, a destinazione produttiva "con caratteristiche tipologiche degli anni 60", in parte diruti (a causa di un incendio) e vetusti (compendio immobiliare inserito nel sub sistema R5 "la residenza nelle aree della mixitè” di cui all'art. 76 delle N.T.A. del R.U. nella versione all'epoca vigente cosi come approvata con D.C.C. n. 70 del 3/5/2001), nel rappresentare che "nel sub sistema R5" erano "consentiti gli interventi di ri/ dr" ossia tanto gli interventi di ristrutturazione (art. 23 RU) quanto quelli di demolizione con ricostruzione (art. 25 RU), aveva richiesto al Comune di Prato, con istanza del 21 dicembre 2000, il rilascio di una concessione edilizia per la ristrutturazione, con cambio di destinazione d'uso da produttivo a commerciale, del suddetto compendio immobiliare in modo, cosi, da potervi realizzare al suo interno una media struttura di vendita e quattro esercizi di vicinato;

b) la predetta ristrutturazione consisteva, come indicato nell'allegata relazione tecnica, nella: " - realizzazione piano parcheggio interrato;
- demolizione e ricostruzione al piano terra con formazione di n. 5 unità immobiliari;
creazione di un parcheggio in copertura. Il calcolo degli standard di parcheggi è verificato rispetto ai minimi previsti dalla delibera del consiglio comunale n. 76 del 06.04.2000. Non è stato considerato il calcolo della superficie derivante dalla legge 122/89 in quanto trattasi di ristrutturazione edilizia... Rimane invariata complessivamente la sagoma degli edifici esistenti, ad eccezione del volume tecnico in copertura, in angolo tra via Venezia e la nuova viabilità con demolizione della parte terminale della cabina elettrica esistente”;

c) il Comune di Prato con nota del 2/10/2001 aveva negato il rilascio della concessione edilizia richiesta in quanto "l'intervento si configura(va) come demolizione e ricostruzione con variazioni di sagoma e non come ristrutturazione;
pertanto in contrasto con le previsioni del R. U. vigente, in quanto verrebbero superati i parametri urbanistici previsti;
inoltre il progetto è carente della verifica ed individuazione relativa ai parcheggi pubblici necessari ai sensi dell'art. 32, comma 2, del Regolamento Urbanistico";

d) l’originario ricorrente era quindi insorto, prospettando quattro articolati motivi di censura riposanti nella violazione di legge ed eccesso di potere;

d) medio tempore era intervenuta in giudizio in data 29/4/2011 la "Lorana di G G &
C."
s.a.s. ( società costituita dal sig. G G ed a cui quest'ultimo, nel febbraio del 2003, aveva conferito la proprietà del suddetto compendio immobiliare) notificando al Comune di Prato un "atto di intervento" insistendo nella richiesta di annullamento di tutti i provvedimenti già impugnati ( primo fra tutti il provvedimento di diniego di concessione del 2/10/2001 -p.g. n. 61387/01)e chiedendo la condanna del Comune di Prato al risarcimento dei danni subiti per effetto dell'illegittimo diniego al rilascio del suddetto titolo edilizio abilitativo, (quantificati nella somma di € 586.229,33);

e) in tale atto di intervento la "Lorana di G G &
C."
s.a.s. aveva evidenziato - a supporto dell'illegittimità dell'impugnato diniego e della richiesta di risarcimento danni - che il sig. G, nelle more del giudizio e, più precisamente, nel gennaio del 2002, aveva "ripresentato al Comune di Prato il medesimo progetto" e che il Comune di Prato, il 6 luglio del 2004, gli avrebbe rilasciato la concessione edilizia P.E. 243/2002 (poi volturata alla predetta società).

3.1. Il T.a.r ha quindi dichiarato di volere prescindere dall’esame dell’eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, ed ha scrutinato nel merito la seconda censura, respingendola alla luce delle seguenti argomentazioni:

a) il provvedimento impugnato, datato 2 ottobre 2001, aveva denegato la concessione edilizia richiesta in data 21 dicembre 2000 per la realizzazione dell’intervento in quanto questo era stato qualificato dall’amministrazione come “demolizione e ricostruzione con variazioni di sagoma e non come ristrutturazione” (come sostenuto dall’originario ricorrente e come da questi prospettato nella richiesta di rilascio del titolo abilitativo) con conseguente contrasto con le prescrizioni del R.U. vigente, per superamento dei parametri urbanistici previsti, e per omessa “verifica ed individuazione relativa ai parcheggi pubblici necessari ai sensi dell’art. 32, comma 2, del Regolamento Urbanistico”;

b) l'intervento a suo tempo proposto – che lo stesso originario ricorrente riconosceva sostanziarsi nella “demolizione e successiva ricostruzione dell’immobile” (memoria del 6 maggio 2011) - comportava, pertanto, la demolizione dell'organismo edilizio preesistente e la ricostruzione, al suo posto, di un manufatto:

- con una sagoma diversa (ad esempio, come rilevato dal suddetto responsabile, "per la creazione di un portico sul lato sud, per la modifica alla sagoma in pianta ed in alzato del corpo dell'ex cabina Enel trasformata nel corpo scale ed ascensori, per l'abbassamento della fascia di copertura piano ad ovest ricostruita ad una quota più bassa di quella esistente con diminuzione di volume e per tutti gli interventi che modificano la conformazione delle coperture comportando tra l'altro la realizzazione di ampi spazi piani all'interno dell'ingombro delle volte ridotte al semplice profilo";
lo stesso ricorrente riconosce, peraltro - pag. 13 del ricorso - "la sostituzione della esistente copertura a volte - tipica dell'edilizia industriale di un tempo - con una copertura piana");

- con prospetti differenti;

- con una diversa volumetria (lo stesso ricorrente ammette, nell'atto introduttivo del presente giudizio, che "l'intervento in questione comporta una diminuzione del volume", che è pur sempre una variazione dello stesso;
ed, infatti, dalla documentazione prodotta a corredo dell’istanza del 21 dicembre 2000, emerge che l’intervento oggetto dell’impugnato diniego prevedeva la ricostruzione di un fabbricato avente una volumetria inferiore di ben mc. 1.518,76 rispetto a quella dell’immobile da demolire);

- con una diversa destinazione d'uso (da produttivo a commerciale con la creazione al suo interno di ben cinque unità immobiliari: una media struttura di vendita e quattro esercizi di vicinato).

c)l'intervento in esame comportava, quindi, la sostituzione dell'originario organismo edilizio con uno completamente diverso: la progettata trasformazione, infatti, investiva elementi essenziali del precedente fabbricato quali la destinazione d'uso, la tipologia edilizia, le caratteristiche estetico - architettoniche (si passava da un capannone industriale ad una fabbricato ad uso commerciale, diviso in cinque unità immobiliari ovverosia una "media struttura di vendita" e quattro “esercizi di vicinato”) e anche il mutamento della sagoma e dei volumi originari;

d) quanto alla sagoma, in particolare,non si poteva ritenere che il progetto proposto non comportasse mutamenti della stessa, come invece sostenuto dall’originario ricorrente sull’assunto che non potessero essere considerati a tali fini i “volumi tecnici (cabina elettrica), le aree coperte (porticati) e le rampe di accesso ai piani interrati o seminterrati” di cui all’art. 62 bis del regolamento edilizio, in quanto il suddetto art. 62 bis prevedeva che non dovessero concorrere alla determinazione della sagoma, i balconi, le tettoie a sbalzo, gli aggetti ornamentali, i terrazzi a tasca fino a una superficie massima di 6 mq., le porzioni interrate, le rampe di accesso ai piani interrati o seminterrati ed “i volumi tecnici sulla copertura”: ne conseguiva che la cabina elettrica, non collocata “sulla copertura”, raffigurata (a sinistra nel “prospetto frontale su via Venezia” ed a destra nel “prospetto laterale”) nella Tav. 11 prodotta al Comune di Prato a corredo dell’istanza del 21 dicembre 2000 e che sulla base del progetto presentato doveva essere ridotta di altezza con conseguente riutilizzazione del volume demolito in altra parte del progettato fabbricato, non poteva non essere tenuta in considerazione ai fini della individuazione della sagoma dell’immobile che, già solo sotto tale profilo, risultava modificata a seguito dell’intervento;

e) l'intervento prospettato, in base alla normativa nazionale e regionale, non poteva, pertanto e contrariamente a quanto preteso dall’originario ricorrente, essere qualificato come ristrutturazione edilizia: quest’ultimo concetto postulava l’assenza di variazioni del volume, dell’altezza o della sagoma dell’edificio: in presenza di tali modifiche, l’intervento si sarebbe dovuto qualificare come nuova costruzione;

3.2. Il T.a.r. ha quindi preso in esame il terzo ed il primo motivo di ricorso, dei quali ha affermato la infondatezza, deducendo che:

a) con il terzo motivo di ricorso, era stato sostenuto che il provvedimento impugnato sarebbe stato illegittimo anche "con riferimento alle norme regolamentari del Comune di Prato rubricate (art.li 23, 25, 76, 32 del R. U.) in ossequio alle quali l'intervento edilizio in esame " avrebbe dovuto "considerarsi perfettamente compatibile con le previsioni del vigente PRG e pertanto assentibile" : più in particolare, era stato sostenuto che poichè il fabbricato oggetto dell'intervento prospettato e negato insisteva in area qualificata R5 dall'allora R.U., all'interno della quale erano ammessi gli interventi di "ristrutturazione" (ri) e di "demolizione con ricostruzione e mutamento di sagoma" (dr) così come definiti rispettivamente dagli artt. 23 e 25 dello stesso R.U., ne discende che "il progetto presentato (avrebbe ) merita(to), pertanto, di essere licenziato non sussistendo, nel caso di specie, alcun contrasto con le norme del R. U.";

b) ma detta tesi non era accoglibile, in quanto:

I) effettivamente il fabbricato oggetto del negato intervento insisteva nel sub-sistema R5 "La residenza nelle aree della mixitè" per la quale l'art. 76, c.5, del R.U. nella versione all'epoca vigente così prevedeva: "quando non diversamente specificato, la destinazione d'uso residenza (R). E' possibile l'introduzione, fino ad un massimo del 50% di attività terziarie (T) ed altri usi compatibili. Nel caso di riuso degli edifici produttivi esistenti è consentito destinare l'intero volume alle destinazioni d'uso relative alle attività terziarie e ad altri usi compatibili";

II) nelle aree della mixitè (termine coniato dal redattore del piano per indicare quelle zone della città ove maggiore era la commistione fra stabilimenti produttivi e insediamenti abitativi) il R.U. tendeva a favorire il mutamento di destinazione d’uso da produttivo a residenziale (lo scopo era quello di giungere in tempi ragionevoli ad una più netta separazione del territorio fra industria ed altri usi): gli strumenti attraverso cui il piano intendeva incentivare il perseguimento di tale intento emergono chiaramente dalla richiamata norma;
la nuova costruzione e il cambio di “destinazione” erano, infatti, possibili, con sfruttamento dell’intero volume, soltanto per la residenza;
nuovi interventi edilizi a destinazione produttiva (P) non erano in alcun caso consentiti mentre quelli a destinazione commerciale – maggiormente compatibili con la residenza – erano ammissibili con possibilità di sfruttamento del volume fino a un massimo del 50%;

III) quest’ultima regola trovava eccezione nel caso di “riuso” di un edificio (produttivo) esistente, nel qual caso, contestualmente al mutamento di destinazione d’uso in residenziale o commerciale, era consentito lo sfruttamento dell’intero volume preesistente: pertanto, l’ontologica diversità del concetto di “riuso” delle strutture produttive esistenti, di cui al citato art. 76 del R.U., e di quello di nuova edificazione, comportava l’assoggettamento dell’una e dell’altra fattispecie a regimi giuridici diversi.

IV) nell’area in esame l’allora R.U. prevedeva la possibilità di eseguire gli interventi di "ristrutturazione" e di "demolizione con ricostruzione" di cui rispettivamente agli artt. 23 e 25 del predetto R.U.;
ma, l’intervento proposto e negato dal Comune di Prato, da un lato, travalicava la “ristrutturazione”, e, dall’altro, non risultava ammissibile facendo ricorso all’istituto della “demolizione con ricostruzione” di cui al citato art. 25;
ciò in quanto, il citato art. 23 del R.U., infatti, pur ricomprendendo nella ristrutturazione – definita negli identici termini di cui all’art. 31, 1° comma, lett. d), della legge n. 457/78, e, quindi, anche negli identici termini di cui all’art. 4, 2° comma, lett. d), della L.R. n. 52/1999 - anche la "demolizione totale o parziale" degli edifici preesistenti, richiedeva – contrariamente a quanto avvenuto nel caso di specie - che in tali casi la ricostruzione avvenisse in maniera "fedele … impiegando gli stessi materiali e tecniche costruttive”;

V) l'art. 25 dell'allora R.U., infine, ricomprendeva nell'espressione "demolizione con ricostruzione", "gli interventi consistenti nella sostituzione parziale o totale di un edificio con un altro analogo o difforme per sagoma e volume" (interventi, cioè, integranti gli estremi della nuova costruzione, incompatibile, con il concetto di “riuso” di cui al citato art. 76);

b) anche il primo motivo , con cui era stato contesta l'impugnato diniego di concessione edilizia per difetto di motivazione in quanto "non risulterebbero indicate né le specifiche norme di piano che risulterebbero ostative al rilascio della concessione né le ragioni per le quali l'intervento dovrebbe considerarsi incompatibile con le medesime" era infondato, in quanto:

I) dalla relazione conclusiva redatta dal responsabile del procedimento il 28 agosto 2001, espressamente richiamata nel provvedimento impugnato, emergevano chiaramente le motivazioni sottese al provvedimento impugnato, in quanto dopo la descrizione dell’intervento essa era pervenuta alla conclusione che lo stesso appariva“ come demolizione e ricostruzione con variazione di sagoma e non come ristrutturazione e pertanto in contrasto con le previsioni del R. U. vigente sia perché supererebbe i parametri urbanistici previsti e sia perché non sarebbe conforme alla destinazione prevista e nel complesso alle indicazioni date dal R. U. in caso di demolizione e ricostruzione. Si rileva inoltre che il progetto, pur presentando al piano interrato ed in copertura la realizzazione dei parcheggi relativi ai parametri di urbanistica commerciale di cui alla DCC 76/2000, manca di una chiara quantificazione, individuazione e localizzazione dei parcheggi pubblici o d'uso pubblico necessari ai sensi dell'art. 32, comma 2, del R. U. ed anche di una proposta di convenzione ad essi relativa;

II) in ogni caso era evidente che l'intervento proposto dal sig. G, configurandosi , come indicato dall'amministrazione nell'impugnato provvedimento, come “demolizione e ricostruzione con variazione di sagoma e non come ristrutturazione", si poneva "in contrasto con le previsioni del R. U.” (nella versione allora)” vigente", (ovverosia con il combinato disposto di cui gli artt. 76, 23 e 25 dello stesso) sarebbe stato in ogni caso impossibile ai sensi dell'art. 21 octies L. 241/1990, annullare l'impugnato provvedimento di diniego per difetto di motivazione ovverosia per la mancata specifica ed espressa indicazione, in esso, delle norme del R.U. in contrasto con l'intervento proposto, posto, che il Comune di Prato non avrebbe potuto emettere un atto diverso da quello in concreto adottato e, poi, impugnato.

3.3. Nell’ultima parte della sentenza il Ta.r. ha completato l’esame delle censure demolitorie, ed ha preso in esame le domande risarcitorie, deducendo che:

a) il sig. G aveva censurato l'ulteriore ed autonoma ragione giustificatrice del diniego oppostogli dall'amministrazione al rilascio della concessione edilizia, (quella rappresentata dalla " carenza della verifica ed individuazione relativa ai parcheggi pubblici necessari ai sensi dell'art. 32, comma 2, del Regolamento Urbanistico" ) in quanto al contrario, il progettato intervento avrebbe previsto la realizzazione di una superficie a parcheggio (mq. 5356) ben superiore a quella minima indispensabile (mq. 3864,06), così come "emergente chiaramente dai grafici di progetto allegati alla concessione edilizia" ;

b) ma quand’anche, detta censura fosse stata fondata, ciò non avrebbe potuto condurre comunque all’accoglimento del ricorso, essendo l’ulteriore autonoma ragione giustificatrice sufficiente da sola a sorreggere la legittimità del provvedimento impugnato;

c) l’istanza di risarcimento danni formulata con l’atto introduttivo giudizio e supportata poi dalla società interveniente, doveva essere respinta, stante l’accessorietà della domanda risarcitoria rispetto alla domanda principale, mentre doveva essere dichiarata inammissibile l’istanza di risarcimento danni da ritardo in quanto formulata irritualmente dalla parte originaria ricorrente con memorie del 6 e 19 maggio 2011, non notificate.

4. La società Lorana s.a.s. di G G &
C originaria interveniente e successore a titolo particolare nel diritto controverso ha impugnato la suindicata decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico (nove censure) e sostenendo la tesi per cui la statuizione era frutto di un fraintendimento e l’operato dell’amministrazione intimata –avallato in via giudiziale- era errato.

4.1.In particolare, dopo avere ripercorso (pagg. 1-12) le principali tappe, del contenzioso ha riproposto- attualizzandole rispetto al contenuto della sentenza- tutte le censure già invano prospettate in primo grado deducendo inoltre che nel 2004 era stato assentito un identico progetto, per cui l’amministrazione era ritornata sui propri passi,e l’illegittimità dell’azione amministrativa contestata era provata per tabulas .

5. In data 19.2.2013 il comune di Prato si è costituito con atto di stile chiedendo la reiezione del ricorso in quanto infondato.

6. In data 19.2.2018 il comune di Prato ha depositato una articolata memoria, ha fatto presente che nel 2004 era stato assentito un progetto assai diverso, in senso riduttivo (e ciò comunque avrebbe dovuto condurre alla declaratoria di improcedibilità della domanda demolitoria già in primo grado) ed ha chiesto la reiezione del ricorso in quanto infondato.

7. In data 19.2.2018 ed 1.3.2018 l’appellante società ha depositato due memorie, puntualizzando e ribadendo le proprie difese.

8.Alla odierna pubblica udienza del 22 marzo 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto alla stregua delle assorbenti considerazioni che seguono.

2. Seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), e fatto presente che a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a.,il Collegio farà esclusivo riferimento alle censure poste a sostegno del ricorso in appello e già proposte in primo grado (senza tenere conto di motivi “nuovi” e ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive, violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali- cfr. ex plurimis Cons. Stato Sez. V, n. 5865 del 2015) rileva il Collegio che:

a) vengono prospettate numerose censure, in gran parte distoniche rispetto all’oggetto del processo, e ininfluenti ai fini del decidere, mentre non vengono decisamente contestati i capisaldi reiettivi del T.a.r.;

b) è senz’altro infondata la tesi secondo cui la sentenza è viziata da omessa petizione per non avere scrutinato la censura impingente sul caposaldo motivo del rigetto incentrato sulla previsione dei parcheggi: al contrario di quanto sostenuto nelle memorie di parte appellante ,è jus receptum quello per cui “ove l'atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall'autorità emanante a rigetto della sua istanza.”( Consiglio Stato , sez. VI, 31 marzo 2011 , n. 1981, ma si veda anche

laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento.” Consiglio Stato , sez. VI, 29 marzo 2011 , n. 1897);
correttamente, quindi, il T.a.r ha ritenuto di non scrutinare l’ultima censura, in quanto la medesima, anche laddove accolta, comunque non avrebbe potuto condurre all’accoglimento del ricorso;

c) del tutto a torto viene sostenuto nella prima parte dell’appello che il progetto assentito nel 2004 fosse identico a quello precedentemente rigettato (ciò proverebbe l’illegittimità per tabulas del primo rigetto) utilizzando espressioni contenute negli atti dell’Amministrazione (al limitato fine di descrivere la tipologia dell’intervento): in contrario senso, si osserva che:

I) anche se ciò fosse vero, tale emergenza non proverebbe che la prima reiezione oggi impugnata fosse illegittima (il comune potrebbe essersi sbagliato successivamente, assentendo l’intervento);

II) la tesi dell’appellante è contraddittoria, in quanto dapprima parla di identità, e poi però (pag 19) ammette che vi furono modifiche rispetto al progetto respinto, ed incidenti su aspetti (la sagoma, massime ) ritenute nodali ai fini della reiezione;

III) il vero è che la tipologia di intervento era certamente identica, come peraltro riconosciuto dall’Amministrazione: ciò che non era identico era il progetto che, infatti (massime con riferimento alla sagoma) aveva eliminato le criticità riscontrate nel 2001, ed aveva diminuito il volume (vedi pag. 19 penultimo rigo dell’appello, e pag. 5 della memoria del 19.2.2018 punto 5.2. lett. c ), per cui è non condivisibile fare riferimento al concetto di “identità dei progetti”;

IV) se, quindi, tale circostanza non determina la improcedibilità delle domande demolitorie (è incontrovertibile a parere del Collegio che il secondo progetto era “diverso” dal primo e che tale diversità incideva su elementi qualificanti ai fini della reiezione), essa implica altresì che debba restare smentita la tesi dell’appellante per cui sarebbe stata dimostrata per tabulas l’erroneità della prima reiezione a cagione del rilascio, nel 2004 del provvedimento ampliativo in quanto quest’ultimo concerneva un intervento analogo, ma sulla scorta di un progetto diverso da quello sotteso alla prima richiesta.

3. Ciò premesso, e venendo al merito, si osserva che:

a) l’appello introduce elementi confusori, allorchè invoca il principio del tempus regit actum giovandosi di una espressione contenuta nella sentenza (“sostituzione edilizia” ) e facendo presente che il detto concetto risale (nella legislazione toscana) al 2003 e quindi non poteva essere invocato dal T.a.r. nella controversia in esame, e men che meno per respingere le censure proposte (e, in primis, non poteva essere richiamato dall’Amministrazione per rigettare la richiesta concessoria);

b) l’argomento critico non giova all’appellante, in quanto:

I) egli presentò una istanza di ristrutturazione edilizia;

II) questa non poteva essere assentita, in quanto, con portata assorbente, non è stato neppure contestato in appello che la sagoma dell’edificio ricostruito fosse “diversa” (così il T.a.r.: “la cabina elettrica, non collocata “sulla copertura”, raffigurata a sinistra nel “prospetto frontale su via Venezia” ed a destra nel “prospetto laterale”- nella Tav. 11 prodotta al Comune di Prato a corredo dell’istanza del 21 dicembre 2000 e che sulla base del progetto presentato doveva essere ridotta di altezza con conseguente riutilizzazione del volume demolito in altra parte del progettato fabbricato, non poteva non essere tenuta in considerazione ai fini della individuazione della sagoma dell’immobile che, già solo sotto tale profilo, risultava modificata a seguito dell’intervento.”) anche con riferimento al porticato e che vi fosse una differenza volumetrica -seppure in decremento- ;

III) premesso che tale segmento motivazionale non è stato contestato in appello e che quindi non è revocabile in dubbio che - a cagione dei mutamenti che il progetto imprimeva alla sagoma dell’edificio, rispetto a quella preesistente– l’intervento non potesse qualificarsi come ristrutturazione, e neppure quale demolizione e ricostruzione fedele, in quanto tali fattispecie postulano l’identità di sagoma, è evidente che l’appello si incentra su un elemento del tutto neutro: si può convenire che il primo Giudice non avrebbe dovuto usare la terminologia “sostituzione”: ma in disparte ciò, il T.a.r. ha chiarito a più riprese che l’intervento non poteva essere qualificato quale ristrutturazione, ed anzi, in un significativo passaggio della sentenza ha evidenziato che “in assenza di tali precise condizioni si deve parlare di intervento equiparabile a “nuova costruzione”, da assoggettarsi alle regole proprie della corrispondente attività edilizia.”;

IV) il vero è che – tenuto conto del quadro normativo vigente al momento della presentazione della domanda di rilascio del titolo abilitativo- non era dubitabile che gli interventi di ristrutturazione edilizia ricomprendessero anche la demolizione e la ricostruzione del preesistente manufatto purché vi sia identità dell'area di sedime e ne rimangano inalterate la volumetria e la sagoma, configurandosi, diversamente, un intervento di "nuova costruzione" ( così, Cassazione penale, sez. III, 08/04/2008, n. 28212);

V) e non è un caso che la giurisprudenza, analizzando il concetto di ristrutturazione alla luce delle modifiche normative intervenute nel 2002 abbia così precisato: “Ai sensi dell'art. 3, c. 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 sono "interventi di ristrutturazione edilizia" (...) "gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica.".

Il concetto di ristrutturazione edilizia comprende la demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, nel senso che debbano essere rispettate quantomeno le "linee essenziali" della sagoma.

E" così necessaria l'identità della complessiva volumetria del fabbricato e, per l'area di sedime, il fabbricato deve occupare la stessa area e sorgere sulla stessa superficie utilizzata dal precedente senza compromettere un territorio diverso, coerentemente con la ratio di recupero del patrimonio esistente.

Se anche l'attuale art. 3 non contiene più il riferimento alla "fedele ricostruzione", occorre però considerare con rigore i criteri della medesima volumetria e sagoma, in virtù della modifica dell'istituto.

Se quindi con la modifica introdotta dal D.Lgs. 301/2002 la nozione di ristrutturazione è stata ulteriormente estesa, al fine di conservare una logica normativa è necessaria una interpretazione rigorosa e restrittiva del mantenimento della sagoma precedente. Proprio perché non vi è più il limite della "fedele ricostruzione" per la ristrutturazione si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente nel senso che debbono essere presenti le linee fondamentali per sagoma e volumi (così, Cons. Stato, IV, 28 luglio 2005, n.4011;
Cons. Stato, V, 14 aprile 2006, n. 2085).

Anche escludendo il superato criterio della fedele ricostruzione, esigenze di interpretazione logico sistematica della nuova normativa inducono la giurisprudenza a ritenere che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi” (fra le tante, si veda Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2008, n. 1177)”;

VI) ora, nel caso di specie, la istanza di rilascio del titolo abilitativo proposta dall’originario ricorrente risale all’anno 2000, mentre il diniego impugnato è risalente al 2 ottobre 2001: a quel tempo il concetto di ristrutturazione era inscindibilmente legato a quello di identità della sagoma (Consiglio di Stato, sez. V, 02/10/2002, n. 5182 “nella ristrutturazione edilizia rientrano anche gli interventi di demolizione e ricostruzione di un fabbricato che, quanto a sagoma e volumi, sia corrispondente a quello preesistente: ciò, anche rifacendosi ai criteri previsti nell’antevigente legislazione: Consiglio di Stato, sez. V, 09/10/2002, n. 5410 Ai sensi dell'art. 31 comma 1 lett. d) l. 5 agosto 1978 n. 457, il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto e venga, comunque, effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione.” ): tanto, sulla scorta della previgente legislazione poi “confermata” nel testo originario dell’art. 3 co I lett. d ed e del TU n. 380/2001: ( “d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica;

e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali:

e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);

e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune;

e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;

e.4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;

e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee;

e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale;

e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;” e del comma secondo del medesimo articolo (“2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione di restauro prevista dall'articolo 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.”).

3.1. Accertato che l’intervento non era sussumibile nel concetto di ristrutturazione, le censure della parte appellante – a tratti ripetitive –si fondano su una non condivisibile interpretazione dei doveri incombenti sull’amministrazione, ed in una ingenerosa critica alla motivazione contenuta nella sentenza di primo grado, in quanto:

I) Il diniego faceva riferimento alla relazione, e questa era accessibile dall’appellante oltre che espressamente indicata nel provvedimento reiettivo, per cui nessun difetto di motivazione era ravvisabile;

II) l’amministrazione non aveva alcun dovere di “suggerire eventuali varianti” al progetto presentato, in quanto questa è una mera facoltà, rimessa alla responsabile, latissima, discrezionalità dell’Amministrazione (e peraltro, si osserva, a seguito del diniego contestato l’appellante presentò un progetto emendato, che venne assentito, per cui neppure è chiara la ragione logica di tale critica fondata su un elemento, ipotetico, incentrato sulla circostanza che se l’Amministrazione avesse indicato le possibili “varianti” al progetto, si sarebbe potuto guadagnare tempo ed approvarlo prima del 2004): ciò che giova precisare è che l’azione amministrativa non può essere sindacata per tale ragione;

III) correttamente il T.a.r. ha comunque evocato l’art. 21 octies : il progetto presentato nel 2001 non era assentibile, e l’amministrazione non poteva provvedere diversamente: un annullamento formale incentrato su un supposto (e comunque inesistente) difetto di motivazione non avrebbe giovato all’appellante, in quanto su “quel” progetto non avrebbe potuto adottarsi altro che un ulteriore diniego, e neppure a cagione di ciò sarebbe stata ipotizzabile alcuna tutela risarcitoria;

IV) in ultimo, erra certamente l’appellante nel sostenere, nelle proprie memorie difensive che il concetto di ristrutturazione antecedente al TU del 2001 n.327 non prevedesse la necessità di una identità di sagoma e volume ( ex aliis : Consiglio di Stato, sez. IV, 10/08/2011, n. 4765 “ai sensi dell'art. 31, l. 5 agosto 1978 n. 457, la nozione di ristrutturazione edilizia, comprende anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato, purché tale ricostruzione sia fedele, cioè dia luogo ad un immobile identico al preesistente per tipologia edilizia, sagoma e volumi.”; T.A.R. Palermo, (Sicilia), sez. II, 03/11/2003, n. 2358 “nella nozione di ristrutturazione edilizia ex art. 31 l. 5 agosto 1978 n. 457, sono ricompresi gli interventi di demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato con caratteristiche volumetriche, di ubicazione e di ingombro corrispondenti a quelle del precedente fabbricato. “ ;Consiglio di Stato, sez. V, 18/09/2003, n. 5310 “Il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 31 comma 1 lett. d) l. 5 agosto 1978 n. 457 comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l'unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto”; T.A.R. Catania, (Sicilia), sez. I, 23/04/2003, n. 692 “non presenta i caratteri tipici dell'intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 31 lett. d), l. n. 457 del 1978 e 20 lett. d), l. reg. n. 71 del 1978 quello caratterizzato dall'arretramento rispetto alla strada dell'edificio ricostruito con riferimento alla sede di quello preesistente, l'aumento delle altezze e la modifica radicale della sagoma;
non essendo sufficiente per tale qualificazione, l'unico collegamento tra la nuova edificazione e quella preesistente consistente nel mantenimento della volumetria complessiva;
seguendo la soluzione esegetica opposta si perverrebbe a risultati insoddisfacenti sul piano dell'interesse pubblico, giacché basterebbe garantire artificiosamente il mantenimento delle volumetrie originarie per abbattere edifici preesistenti e ricostruirne di nuovi in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti con la conseguenza che per tale via qualsiasi nuova edificazione potrebbe essere trasformata in un intervento di ristrutturazione edilizia, purché sussista un edificio da abbattere e si tengano ferme le volumetrie complessive, comunque le si distribuiscano all'interno del nuovo edificio.”
): è semmai vero il contrario, e la previgente legislazione, senz’altro più rigida di quella successivamente introdotta, in alcun modo può legittimare la pretesa dell’appellante;

IV) il vero è che l’appellante (pag. 14 della memoria del 19.2.2018) riconosce che v’erano modifiche della sagoma, e vorrebbe sostituire il proprio giudizio a quello dell’Amministrazione, ritenendole “irrilevanti”: ma tale impostazione è certamente da disattendere con decisione.

3.2. A questo punto dell’esposizione, il compito del Collegio sarebbe esaurito, in quanto la reiezione si fondava su più profili, ed almeno uno di questi era immune da mende: si osserva, però per tuziorismo, che:

a) come chiarito dal T.a.r., anche il regolamento urbanistico non avrebbe consentito di assentire il progetto sotteso alla richiesta del 2000;

b) il T.a.r. ha rilevato infatti che: “il R.U. prevedeva la possibilità di eseguire gli interventi di "ristrutturazione" e di "demolizione con ricostruzione" di cui rispettivamente agli artt. 23 e 25 del predetto R.U..

Ma, l’intervento proposto e negato dal Comune di Prato, da un lato, travalicava la “ristrutturazione”, e, dall’altro, non risultava ammissibile facendo ricorso all’istituto della “demolizione con ricostruzione” di cui al citato art. 25.

Il citato art. 23 del R.U., infatti, pur ricomprendendo nella ristrutturazione – definita negli identici termini di cui all’art. 31, 1° comma, lett. d), della legge n. 457/78, e, quindi, anche negli identici termini di cui all’art. 4, 2° comma, lett. d), della L.R. n. 52/1999 - anche la "demolizione totale o parziale" degli edifici preesistenti, richiedeva – contrariamente a quanto avvenuto nel caso di specie - che in tali casi la ricostruzione avvenisse in maniera "fedele … impiegando gli stessi materiali e tecniche costruttive”.

L'art. 25 dell'allora R.U., infine, ricomprendeva nell'espressione "demolizione con ricostruzione", "gli interventi consist(enti) nella sostituzione parziale o totale di un edificio con un altro analogo o difforme per sagoma e volume", gli interventi, cioè, integranti gli estremi della nuova costruzione, incompatibile, come si è detto, con il concetto di “riuso” di cui al citato art. 76”;

c) sul punto, si osserva che una volta accertato che l’intervento progettato non corrispondeva né al concetto di ristrutturazione né a quello di demolizione con ricostruzione fedele (stante le modifiche volumetriche) ed esulava comunque dal concetto di “riuso” come correttamente inteso dal Giudice di prime cure, in quanto la demolizione e ricostruzione infedele esclude che si sia in presenza del “riuso” del medesimo immobile, la questione sarebbe risolta in senso negativo per l’appellante, ma che neppure le censure al capo della sentenza incentrato nel RU colgono nel segno, avendo il T.a.r. fatto riferimento alla versione dell’art. 76 del RU vigente ed applicabile ratione temporis .

3.3. Stante la immunità da vizi della reiezione (e conseguentemente della sentenza impugnata che di quest’ultima ha ritenuto la legittimità) è evidente che la domanda risarcitoria –sia ex art. 2043 c.c. sia sotto il profilo del supposto danno da ritardo -vada respinta.

4.Conclusivamente, l’intero appello è infondato e va disatteso.

5. Quanto alle spese processuali del grado, esse seguono la soccombenza, e pertanto le parti appellanti vanno in solido condannate al pagamento delle medesime in favore della parte appellata, nella misura di Euro ottomila (€ 8.000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.

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