Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-05-05, n. 201601767

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-05-05, n. 201601767
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201601767
Data del deposito : 5 maggio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04876/2013 REG.RIC.

N. 01767/2016REG.PROV.COLL.

N. 04876/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4876 del 2013, proposto da:
P C e G C, rappresentati e difesi dall’avvocato I G B, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Costabella, 23;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore , Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio, in persona del Soprintendente pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati presso gli uffici di quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Comune di Frascati;

per la riforma

della sentenza 5 dicembre 2012, n. 10167del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione II- quater.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2016 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato Bellavia e l’avvocato generale dello Stato Palmieri.


FATTO e DIRITTO

1.– I sig.ri Cianciullo Pasquale e Cianciullo Giovanna, proprietari di immobili, facenti parti di un medesimo fabbricato sito in via Vigne di

XXII

Rubbia snc, abusivamente realizzati nel Comune di Frascati su un terreno distinto al Catasto al foglio 17 particelle 77 ora 388, assoggettato a vincolo paesistico con decreto ministeriale 2 aprile 1954, hanno presentato al Comune domanda di condono.

Il Comune, con provvedimento del 12 febbraio 2002 n. 458, ha espresso parere favorevole alla sanatoria del manufatto in questione.

La Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, per il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico del Lazio, con atto del 27 febbraio 2003, ha annullato il detto provvedimento comunale.

I signori, sopra indicati, hanno impugnato tale tale della Soprintendenza innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, per i motivi riproposti in sede di appello e riportati nei successivi punti.

2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 5 dicembre 2012, n. 10167, ha rigettato il ricorso.

3.– I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello, rilevando che: i ) sull’area non insiste un vincolo di inedificabilità assoluta; ii ) l’area, con destinazione agricola, è inserita in zona paesistica FR4, che sono le «zone agricole non compromesse con modesto valore paeasaggistico ambientale»;

iii ) l’immobile si inserisce in un contesto «caratterizzato da un sistema insediativo diffuso»; iv ) l’amministrazione avrebbe sovrapposto le proprie valutazioni a quelle del Comune.

3.– Si è costituita in giudizio l’amministrazione statale intimata, chiedendo il rigetto dell’appello.

4.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 10 marzo 2016.

5.– L’appello è fondato.

6.– In via preliminare è necessario ricostruire il quadro normativo rilevante.

In relazione alla disciplina dell’autorizzazione paesaggistica, la legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali) prevedeva che i proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, di immobili vincolati, ai sensi delle previsioni contenute nella stessa legge, avrebbero dovuto ottenere una apposita autorizzazione dalle autorità competenti per i lavori che intendessero eseguire. L’art. 16 del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357 (Regolamento per l’applicazione della legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali) disponeva che la predetta autorizzazione «vale per un periodo di cinque anni, trascorso il quale, l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione». Il potere di annullamento ministeriale era in origine disciplinato dall’art. 82 d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382).

Il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), ha abrogato la legge n. 1497 del 1939, ribadendo, all’art. 151 la necessità, in presenza di immobili vincolati, del rilascio dell’autorizzazione ad effettuare lavori, con potere ministeriale di annullare la predetta autorizzazione. L’art. 161 dello stesso decreto ha previsto che «restano in vigore, in quanto applicabili, le disposizioni del regolamento approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357» e, pertanto, per quanto interessa in questa sede, anche l’art. 16 che dispone la durata quinquennale dell’autorizzazione.

L’intera materia è oggi regolata dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). L’art. 159, applicabile ratione temporis , ha introdotto un regime transitorio operante sino al 31 dicembre 2009, stabilendo che: i ) l’autorizzazione paesaggistica è rilasciata dall’amministrazione competente locale entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla relativa richiesta (comma 2); ii ) la predetta amministrazione «dà immediata comunicazione alla Soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall’interessato nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti» (comma 2); iii ) la Soprintendenza, se ritiene l’autorizzazione non conforme alla normativa sulla tutela del paesaggio, «può annullarla, con provvedimento motivato, entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa, completa, documentazione» (comma 3).

In relazione al condono edilizio, la disciplina rilevante è contenuta negli artt. 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia. Sanzioni amministrative e penali). In particolare, l’art. 32 della predetta legge dispone che «il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo», quale è quello in esame, «è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso».

La giurisprudenza di questo Consiglio ha affermato che il predetto parere ha natura e funzioni identiche all’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge 29 giugno 1939 n. 1497, per essere entrambi gli atti il presupposto legittimante la trasformazione urbanistico edilizia della zona protetta, sicché resta fermo il potere ministeriale di annullamento del parere favorevole alla sanatoria di un manufatto realizzato in zona vincolata, in quanto strumento affidato dall’ordinamento allo Stato, come estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario (Cons. Stato, VI, 15 marzo 2007, n. 1255;
tale equiparazione opera anche per le autorizzazioni paesaggistiche disciplinate dagli artt. 151 e 159 del d.lgs. n. 490 del 1999 e per il parere previsto dall’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004).

6.1.– L’atto di autorizzazione dell’ente locale, espressione dell’esercizio di valutazioni tecniche, deve contenere una adeguata motivazione, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria (art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990).

L’amministrazione statale, nella vigenza della disciplina sopra riportata, poteva disporre, in presenza di qualsiasi vizio di legittimità, l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, con il limite costituito dal divieto di effettuare «un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall’ente competente tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione» (v. per tutte Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9;
da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 14 agosto 2012, n. 4562). Tale limite sussiste, però, soltanto se l’ente che rilascia l’autorizzazione di base abbia adempiuto al suo obbligo di motivare in maniera adeguata in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’opera. In caso contrario sussiste un vizio di illegittimità per difetto o insufficienza della motivazione e ben possono gli organi ministeriali annullare il provvedimento adottato per vizio di motivazione e indicare – anche per evidenziare l’eccesso di potere nell’atto esaminato – le ragioni di merito che concludono per la non compatibilità delle opere realizzate con i valori tutelati (tra gli altri, Cons. Stato, sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 173;
Id., 28 dicembre 2011, n. 6885;
Id., 21 settembre 2011, n. 5292).

7.– Chiarito ciò, nella fattispecie in esame, il Comune ha ritenuto che le opere «non contrasto con il contesto paesistico e panoramico vincolato» e con «le previsioni del p.t.p., ambito n. 9, zona FR, 6», condizionando il rilascio del provvedimento favorevole al fatto che «il manufatto venga intonacato e tinteggiato con colori ricadenti nella gamma delle terre naturali».

La Soprintendenza ha annullato tale atto, rilevando quanto segue:

- le opere «consistono in una struttura in cemento armato, realizzata in zona agricola e non conforme alla normativa di zona»;

- «considerata l’incompatibilità del manufatto con la destinazione di zona, preso atto della inedificabilità del lotto sul quale lo stesso insiste e considerate le alterazioni perenni ed irreversibili che il mantenimento della struttura in sito arrecherebbe al paesaggio agricolo intesso».

La Sezione ritiene che l’atto della Soprintendenza, pur ravvisando un difetto di motivazione nell’atto comunale, non contenga esso stesso una motivazione idonea a sorreggere l’annullamento.

In particolare, non vengono indicate le ragioni per le quali sussisterebbe un vincolo di inedificabilità assoluta, considerato che il decreto ministeriale 2 aprile 1954 pone un vincolo generico di tutela paesaggistica. Inoltre, l’amministrazione statale non ha considerato la circostanza che si tratta «di area successivamente in gran parte urbanizzata», il che avrebbe imposto un onere di motivazione più pregnante (in questo senso Cons. Stato, sez. Vi, 16 settembre 2011, n. 5183).

In definitiva, la Sezione ritiene che nel caso in cui la Soprintendenza ravvisi un vizio di motivazione dell’atto comunale di autorizzazione, deve indicare in modo puntuale quali siano le ragioni del contrasto dell’opera con il contesto paesaggistico.

In presenza di due atti, statale e comunale, contenenti una motivazione carente, la conseguenza è che la Soprintendenza finisce per sovrapporre il proprio giudizio negativo a quello positivo del Comune. In definitiva, il provvedimento della Soprintendenza , pur legittimo nella parte in cui ha ritenuto che l’atto comunale fosse privo di adeguata motivazione, è, a sua volta, illegittimo nella parte in cui ha espresso un giudizio non sorretto da adeguate ragioni.

Per i motivi sin qui esposti, la Soprintendenza dovrà esercitare nuovamente il potere di controllo nel rispetto dei vincoli conformativi derivanti dalla predetta decisione.

8.– La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

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