Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-02-28, n. 201801248

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-02-28, n. 201801248
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801248
Data del deposito : 28 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/02/2018

N. 01248/2018REG.PROV.COLL.

N. 04353/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4353 del 2008, proposto dal signor L P A, rappresentato e difeso dall'avvocato L P, con domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;

contro

Comune di Monopoli, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato N P, con domicilio eletto presso lo studio S.R.L. Liberal in Roma, corso Rinascimento, n. 11;

nei confronti di

E S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F G S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giovanni Paisiello, n. 55;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Puglia – Bari - Sezione III, n. 96 del 30 gennaio 2008, resa tra le parti, concernente diniego autotutela demolitoria relativamente alla adozione di piano planovolumetrico per la realizzazione di edificio residenziale previa demolizione di un capannone.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2018 il Cons. L M T e uditi per le parti gli avvocati L P, Ignazio Tranquilli su delega di F G S e Adriano Tolomeo su delega di N P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Puglia l’odierno appellante invocava l’annullamento della nota prot. n. 10927 del 23.3.2007, a firma del dirigente la Ripartizione Urbanistica ed Assetto del Territorio, recante diniego del richiesto esercizio dei poteri di autotutela amministrativa ad oggetto un intervento edilizio in corso di esecuzione da parte della controinteressata E s.r.l.

2. Il primo giudice appurato che il preesistente capannone non era stato realizzato né ristrutturato in assenza di licenza e/o concessione edilizia, rilevava che per sostenere che l'immobile in questione fosse affetto dagli abusi denunciati dal ricorrente, tali da richiedere l'intervento sanzionatorio del Comune, il ricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare quali parti del preesistente edificio non risultavano corrispondenti all'ultimo progetto che consta essere stato licenziato, e cioè a quello del 1962. Ma una simile prova non veniva fornita di guisa che allo stato il TAR non poteva che ritenere indimostrata la circostanza che il fabbricato preesistente presentasse delle parti abusive, le quali sole - e non l'intero fabbricato - avrebbero, in ipotesi, potuto essere oggetto di procedure sanzionatorie.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originario ricorrente, dolendosi del fatto che il primo giudice avrebbe errato nell’analizzare le emergenze processuali perchè:

a) la scheda del catasto risalente all'anno 1940 riguarderebbe il bene immobile acquistato da A D con atto per notar Salerno del 14.04.1948, mentre nell'anno 1962 il dr. A D avrebbe chiesto e ottenuto licenza edilizia non già per la ristrutturazione dei suindicati locali in piano terreno acquistati nel 1948, bensì per la nuova costruzione di un magazzino di deposito con volta in ferro prospiciente la Cala Fontanelle. Tale circostanza sarebbe incontroversa tra le parti. Pertanto, il TAR avrebbe errato nel qualificare come ristrutturazione l’intervento edilizio realizzato nel 1962, trattandosi, invece, di nuove costruzioni prive di titolo edilizio, come risulterebbe anche dal contratto di compravendita a rogito del notaio in Bari dr. C C rep. ri. 49250, racc. n. 14317 del 15.11.2002, registrato a Bari il 03.12.2002, sì come precisato dal successivo atto integrativo a rogito medesimo notaio dr. C C rep. n.50094, racc. n.14791 del 23.12.2003, che dichiarerebbero l'impossibilità per il Notaio di certificare la liceità edilizia e urbanistica dell'area compravenduta e delle costruzioni su di essa insistenti (realizzate dopo il 1962);

b) non avrebbe considerato che l'abusivismo edilizio integra illecito permanente, penalmente rilevante, che non trova barriere temporali per la sua repressione.

Nelle successive difese l’appellante avanza istanza per la sospensione del presente giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in ragione della pendenza dinanzi alla Corte d’Appello civile di Bari di cause pregiudiziali ad oggetto: (i) l’arretramento del nuovo edificio E a distanza legale dalla parete finestrata del Lillo ex art. 9 DM n. 1444/1968;
(ii) l’accertamento del diritto di servitù di veduta e di affaccio del Lillo sulla confinante proprietà immobiliare in ditta E.

3. Costituitasi in giudizio, l’amministrazione comunale sostiene il difetto di interesse alla decisione del presente gravame, dal momento che le sentenze n. 5816/2007 e n. 899/09, avrebbero sancito la piena legittimità del permesso di costruire n. 15610/2003, sulla scorta del quale sarebbe già stato realizzato l’immobile ivi assentito. Inoltre, la legittimità del manufatto in questione sarebbe confermata dal P.U.G. approvato con deliberazione consiliare del Comune di Monopoli n. 68 in data 22 ottobre 2010. Inoltre, l’originario ricorso sarebbe tardivo, in quanto proposto oltre il prescritto termine di decadenza dalla conoscenza del permesso di costruire. In subordine, l’amministrazione evidenzia l’infondatezza dell’appello in esame.

4. Costituitosi in giudizio, l’originario controinteressato invoca la reiezione dell’odierno gravame, evidenziando, tra l’altro, come l'avvenuta demolizione del manufatto preesistente (comunque legittimamente realizzato e/o ristrutturato) unitamente alla sicura legittimità del permesso di costruzione n. 15610/03 del 29.3.2005 priverebbero di ogni senso (prima che di ogni interesse) l'odierna controversia.

Inoltre, precisa che il ricorso per revocazione avente ad oggetto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5816/2007 è stato dichiarato inammissibile dallo stesso Consiglio con sentenza n. 899 del 17.2.2009, la cui impugnativa in Cassazione è stata respinta dalle Sezioni unite con ordinanza n. 5414/2011 dell’8.3.2011.

Infine, si oppone alla sospensione del giudizio invocata dall’appellante.

5. In vista dell’udienza di discussione, l’amministrazione comunale ha depositato memoria con la quale ha insistito nelle proprie conclusioni, opponendosi alla richiesta di sospensione del presente giudizio avanzata dall’appellante e chiedendo la condanna di quest’ultimo alla rifusione delle spese di lite, quantificate in € 10.194,45 oltre spese generali, c.p.a. e i.v.a.

6. Preliminarmente, il Collegio respinge l’istanza di sospensione avanzata dall’odierno appellante, difettandone i presupposti. Ed, infatti, da un lato, non è rinvenibile alcun nesso logico o giuridico di pregiudizialità tra il presente giudizio e quello pendente dinanzi alla Corte d’Appello civile di Bari;
dall’altro, i detti giudizi non pendono in primo grado il che esclude l’applicabilità della norma sancita dall’art. 295 c.p.c. (cfr. sul punto Cass. civ., sez. I, 9 gennaio 2013, n. 376, Sezioni unite ordinanza n. 10027 del 2012;
in termini nell’ambito della giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, sez. IV, n. 1130 del 2016;
Sez. V, n. 806 del 2015).

7. Venendo al merito, deve rilevarsi che il presente giudizio evidenzia manifesti profili sia di inammissibilità che di improcedibilità, sicché l’odierno gravame deve essere respinto.

7.1. Innanzitutto, emerge l’inammissibilità della stessa impugnazione della nota prot. n. 10927 del 23.3.2007, che, infatti, ha ad oggetto: “istanza accesso documentazione amministrativa inerente immobile sito in Cala Fontanelle. Riscontro a nota del 6 marzo 2007”. La detta nota si limita, infatti, a confermare l’accesso agli atti, sicché trattasi di un atto che riscontra positivamente la richiesta dell’odierno appellante, che non ha interesse ad impugnarlo.

7.2. In ogni caso, anche qualora l’atto in questione dovesse essere qualificato come diniego di autotutela, l’impugnativa dello stesso dovrebbe valutarsi comunque inammissibile, quanto meno in relazione:

a) al piano adottato con deliberazione Giunta Comunale n. 351 del 20/12/2001, per la sistemazione plano volumetrica dell'isolato, in zona murattiana, compreso tra le vie Affiatati, Sauro e Cala Fontanelle;

b) al permesso di costruire rilasciato alla contro interessata E s.r.l. n. 19355/01 - 15610/03 del 29/03/2005, pratica n. 15525.

Infatti, come chiarito dall’Adunanza plenaria n. 9 del 2014, “ il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata alla circostanza che l’instaurazione del giudizio non solo sia proposta da chi è legittimato al ricorso, ma anche che non appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto, pretese impossibili o contra ius ”.

Ebbene, fermo rimanendo l’accertamento delle ordinarie condizioni dell’azione (interesse ad agire, titolo o legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam ), assume importanza centrale proprio il riscontro dell’interesse ad agire che presuppone l’inadempimento dell’obbligo di provvedere. Invero, in linea generale, perché si radichi l’interesse, è necessario che sia configurabile un obbligo di provvedere, un termine (officioso, perché individuato in via immediata dalla disciplina di settore, ovvero ritraibile dalla presenza di una istanza di parte non evasa nei termini direttamente o indirettamente divisati dall’art. 2, l. 241 del 1990) e la sua violazione (in termini è la costante giurisprudenza: cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 829 del 2018;
sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4309;
sez. V, 4 agosto 2014, n. 4143;
sez. V, 11 luglio 2014, n. 3561;
sez. IV, 9 maggio 2013, n. 2511;
sez. V, 27 giugno 2012, n. 3787;
Cons. giust. amm., 26 aprile 2012, n. 430;
Cons. giust. amm., 19 aprile 2012, n. 396;
Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 2010, n. 1468 e n. 1469;
sez. IV, 7 luglio 2009, n. 4351;
Corte cost., 17 luglio 2002, n. 355).

Tuttavia, l’obbligo di procedere a carico dell’amministrazione (e simmetricamente la legittimazione al ricorso della parte che agisce in giudizio) non si configura, tra i vari casi enucleati dalla giurisprudenza, a fronte di sollecitazioni all’adozione di provvedimenti di autotutela.

Invero, i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell’amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi l’adozione dell’atto.

Da ciò ne deriva che la richiesta dei privati, rivolta all’amministrazione, di esercizio dell’autotutela, è qualificabile come “denuncia”, con mera funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’amministrazione alcun obbligo di provvedere (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 829 del 2018;
Cons. giust. amm., 6 settembre 2017, n. 380;
Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2016, n.4642;
Id., 22 gennaio 2015 n.273;
Id., 3 ottobre 2012, n.5199;
sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1469;
sez. IV, 16 settembre 2008 n. 4362;
sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4227;
sez. VI, 4 febbraio 2002, n. 4453;
sez. VI, 1 aprile 1992, n. 201, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.;
in particolare su: istanza di riesame di un provvedimento edilizio, sez. V, 17 giugno 2014 n.3095;
istanza di riesame, annullamento o revoca d'ufficio di un provvedimento divenuto inoppugnabile per mancata tempestiva impugnazione, sez. III, 22 ottobre 2009 n.1658, sez. VI, 12 novembre 2003, n.7250, sez. V, 14 aprile 2008, n.1610).

Coerentemente, del resto, si ritiene che il denunciante non assuma la veste di contro interessato nel giudizio instaurato dal destinatario dell’ordine di demolizione ovvero del diniego del titolo edilizio seguito a tale denuncia vantando un interesse di mero fatto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5198 del 2016).

In senso contrario non possono valere le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza in ordine alla doverosità della decisione, da parte del comune, sull’esercizio di poteri repressivi, sollecitato da terzi, in materia di D.I.A. - S.C.I.A. (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 625 del 2017 che fa leva sulla unicità del rimedio, ex art. 19, comma 6-ter, l. n. 241 del 1990, stante l’impossibilità di impugnativa diretta della D.I.A. da parte del terzo leso;
in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, n. 3281 del 2017);
ovvero da parte delle autorità amministrative indipendenti (in relazione alle quali, comunque, la giurisprudenza richiede, ai fini della legittimazione, la prova del danno derivante al terzo dal mancato esercizio del potere di reprimere una attività direttamente lesiva della propria sfera giuridica, cfr. Cons. Stato, sez. VI, ordinanza cautelare 7 dicembre 2011, n. 5364;
sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3751;
sez. VI, 23 luglio 2009, n. 4597).

La natura eccezionale di tali fattispecie, disciplinate da specifiche normative, impedisce di estendere analogicamente tali previsioni in deroga ai principi generali sopra richiamati.

Più in generale, si ribadisce l’impossibilità di configurare la tutela del c.d. interesse strumentale nell’attuale ordinamento del processo amministrativo, caratterizzato dalla peculiare disciplina delle condizioni delle azioni (in particolare interesse ad agire e legittimazione), che mira alla realizzazione del giusto processo ex art. 111 Cost..

Univoca è la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, n. 829 del 2018;
Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5, specie §§ 5 ss., e 9.2. ss.;
Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 272, oltre alla già menzionata Ad. plen. n. 9 del 2014) nel senso:

a) di non consentire la tutela del c.d. interesse strumentale perché in contrasto con le esigenze di evitare l’abuso del processo ed il sindacato su poteri non ancora esercitati dalla amministrazione;

b) di considerare il processo quale risorsa scarsa da attingere solo dopo essere stato superato il filtro delle condizioni dell’azione in cui è insito un giudizio di meritevolezza della pretesa;

c) di esigere che il processo sia volto a tutelare interessi concreti ed attuali e non futuri ed incerti, di mero fatto quando non emulativi, per giunta rimessi ad una incoercibile nuova determinazione dell’Amministrazione.

7.3. Da tutto quanto considerato deriva l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del diniego di autotutela oggetto del presente giudizio.

8. Ulteriormente, deve rilevarsi l’improcedibilità dell’odierno gravame a fronte delle pronunce di questo Consiglio n. 5816/2007 e n. 899/2009, nonché delle Sezioni unite della Cassazione n. 5414/2011.

8.1. In particolare, la sentenza n. 5816/2007 della Sesta Sezione accoglieva gli appelli proposti sia dalla società E s.r.l. che dal Comune di Monopoli, mentre respingeva l’appello incidentale proposto dall’odierno appellante. Nella detta pronuncia il Consiglio rilevava che:

a) gli Studi di sistemazione plano volumetrica della c.d. Zona murattiana ed i relativi progetti attuativi non comportano variazioni o deroghe ai piani sovraordinati, essendo una mera precisazione di scelte già deliberate dal Consiglio comunale in sede di approvazione del c.d. “piano Telesforo”. Pertanto, in quanto piani di terzo livello, l’approvazione degli studi de quibus era stata legittimamente demandata alla competenza della Giunta comunale;

b) la legittimità dell’atto con cui il Comune di Monopoli aveva approvato lo studio di sistemazione planivolumetrica, non essendo necessario che la E s.r.l. presentasse, in alternativa, necessariamente un piano di lottizzazione ovvero un piano particolareggiato. In quanto, l’intervento edilizio delle E s.r.l. (consistente nella demolizione di un preesistente e dimesso capannone industriale, regolarmente edificato, e nella costruzione, al suo posto, di un fabbricato residenziale di uguale ingombro, quanto alla sagoma rispetto al capannone) avrebbe ben potuto essere abilitato anche senza lo studio di sistemazione plano volumetrico e, quindi, mediante un mero permesso di costruire. Ciò in considerazione del fatto che la c.d. Zona Murattiana (nella quale l’intervento edilizio in questione è destinato a collocarsi) è zona ampiamente edificata ed urbanizzata di tipo B. Pertanto, le incongruenze e lacune del progetto plano volumetrico denunciate dall’allora appellante incidentale non avrebbero potuto in alcun caso inficiare la validità del permesso di costruire;

c) non risultava fondata la censura avente ad oggetto la violazione della distanza minima di 10 mt (prevista dall’art. 9 d.m. 1444/1968) dalla parete finestrata confinante in proprietà Lillo;

d) non meritevole di condivisione risultava anche il motivo inerente le dimensione degli “atrii” del progetto della E s.r.l.;

e) non meritava riscontro la censura avente ad oggetto la presunta violazione della disciplina in materia di amianto;

f) non risultava fondata la doglianza avente ad oggetto il difetto di attività istruttoria in relazione all’ultimo permesso di costruire emesso in favore della E s.r.l., sulla base dell’assunto che l’amministrazione comunale si sarebbe limitata ad utilizzare atti endo procedimentali acquisiti nella precedente procedura decaduta ex lege per mancato inizio dei lavori.

8.2. La detta pronuncia ha trovato il conforto dello stesso Consiglio, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto dall’odierno appellante con la sentenza n. 899/2009, nonché delle Sezioni unite della Cassazione n. 5414/2011, che con ordinanza hanno dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso quest’ultima decisione.

8.3. Da quanto sopra chiarito emerge che si è formato il giudicato sulla circostanza che:

I) il preesistente e dimesso capannone industriale, fosse stato regolarmente edificato;

II) lo studio di sistemazione plano volumetrica ed il permesso di costruire prot. n. 15610/2003 del 29.3.2005 sono legittimi.

Pertanto, in ogni caso non residua alcun interesse in capo all’odierno appellante alla coltivazione del presente gravame, sia perché medio tempore è stata attestata con sentenza irrevocabile di questo Consiglio la regolarità del detto capannone, sia perché il sopravvenuto permesso di costruire prot. n. 15610/2003 del 29.3.2005, la cui legittimità risulta del pari definitivamente accertata, fa venire meno qualsivoglia utilità derivante dall’eventuale caducazione della nota impugnata in prime cure.

9. Alla stregua delle su riportate conclusioni è giocoforza respingere l’odierno gravame.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto dei parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014 e di cui agli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 96, comma 3, c.p.c. ricorrendone i presupposti applicativi secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. IV, 24 maggio 2016, n. 2200;
Cass. civ., Sez. VI, 2 novembre 2016, n. 22150;
Cons. Stato, sez. V, n. 5757 del 2014;
cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, comma 2, lettera d), cod. proc. amm. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria).

11. La condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, eventualmente, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2- quinquies, lett. a) e d), della l. n. 89 del 2001 come modificata dalla l. n. 208 del 2015.

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