Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-03-26, n. 202102566

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-03-26, n. 202102566
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202102566
Data del deposito : 26 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/03/2021

N. 02566/2021REG.PROV.COLL.

N. 00975/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 975 del 2013, proposto dalla
Società Ice Snei S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato E I, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F P in Roma, via F. Orestano n. 21

contro

il Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A A, A C, A P e G D, con domicilio eletto presso lo studio Grez e Associati in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. 3673/2012


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Viste le brevi note depositate dalle parti, ai sensi dell’art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2021 svolta con modalità telematica ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, il Cons. Carla Ciuffetti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Riferisce la società appellante di essere proprietaria di un’area costituente il sedime di un fabbricato destinato a civile abitazione, risalente a data anteriore al 1947, demolito dal Comune di Napoli per i danni strutturali riportati a seguito del sisma avvenuto in Campania e in Basilicata nel 1980. L’immobile non era sottoposto ad alcun vincolo e ricadeva in zona B “Agglomerati di recente espansione” - sottozona Bb “Espansione recente”. Sulla base della documentazione relativa all’originaria consistenza dell’edificio, la società aveva chiesto al Comune di Napoli il rilascio di un titolo per la sua ricostruzione con un intervento qualificato come di “ripristino filologico” ai sensi dell’articolo 11, comma 5 delle NN.TT.AA. al PRG comunale, nonché ai sensi dell’articolo 125 della variante generale al medesimo PRG. La richiesta era stata respinta con disposizione dirigenziale n.105, in data 9 marzo 2010, nella quale si rappresentava che l’intervento in questione aveva ad oggetto una nuova costruzione, non consentita dall’art. 33 delle N.T.A. della variante generale al P.R.G. di Napoli che, nella zona in questione, ammetteva solo “interventi fino alla ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione a parità di volume di edifici esistenti”.

2. Il ricorso presentato in primo grado dalla società appellante per l’annullamento di tale provvedimento, nonché del parere contrario della commissione edilizia in data 4 gennaio 2010 e della relazione del responsabile del procedimento in data 5 marzo 2010 è stato respinto dal Tar con la sentenza in epigrafe, gravata in base ai seguenti motivi di appello:

a) il titolo edilizio richiesto non avrebbe riguardato la costruzione di un nuovo organismo edilizio, ma solo un intervento di ripristino filologico, consentito dalle suddette NTA agli artt. 11, co. 5, (“Sono inoltre ammessi, a parità di superficie utile e volume preesistenti, interventi di ripristino filologico, rivolti a ricostruire l'intero manufatto, o parti di esso, eventualmente demolito o crollato, purché sia possibile, attraverso fonti iconografiche, cartografiche, fotografiche e catastali, documentarne la consistenza certa”), 33 (“interventi fino alla ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione a parità di volume di edifici esistenti”), 63 e 125, co. 2, per il recupero degli edifici e la riedificazione nelle unità di spazio individuati nella tavola 7, fatto salvo quanto previsto nella tavola 8;
erroneamente il Tar avrebbe ritenuto che l’edificio e l’area in questione non rientrassero nelle tavole 7 e 8 allegate alle NTA, né l’art. 33 NTA avrebbe potuto supportare il provvedimento di diniego in quanto non contemplava lo specifico caso in questione;
erroneamente il Tar avrebbe considerato non applicabile alla fattispecie l’indirizzo giurisprudenziale che, con riferimento all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, riconduce alla ristrutturazione di fabbricati le ipotesi di demolizione con ricostruzione, ritenendo mancante il requisito della contestualità delle relative operazioni;
infatti, il medesimo indirizzo non escluderebbe una tale riconducibilità in caso di demolizioni effettuate, sia pur in tempo risalente, per motivi di pubblica sicurezza, ragioni sanitarie o eventi calamitosi, ai quali la fattispecie avrebbe potuto essere ascritta;
tale riconducibilità emergerebbe anche dagli artt. 63 e 125 NTA, laddove si consente la riedificazione anche in caso di demolizioni a seguito di eventi bellici;
la disapplicazione dell’art. 11 NTA da parte del Tar avrebbe disatteso la ratio della pianificazione comunale, che, come risulterebbe dalla relazione di accompagnamento della variante generale al PRG, punterebbe sul recupero diretto del patrimonio edilizio preesistente;
la facoltà di ricostituzione materiale del bene andato distrutto rientrerebbe nel diritto di proprietà come tutelato dall’art. 42 Cost.;
perpetrando una disparità di trattamento, l’Amministrazione avrebbe rilasciato il permesso di costruire in casi analoghi, applicando l’art. 125 NTA per interventi di ricostruzione da effettuare in zona B;

b) il Tar non si sarebbe pronunciato sul secondo motivo del ricorso di primo grado con il quale si evidenziava il difetto di un’adeguata motivazione del provvedimento di diniego, causata da una pressoché assente istruttoria;
la contrazione dello ius aedificandi derivante dal provvedimento di rigetto avrebbe richiesto una motivazione in merito alle specifiche ragioni di contrasto del progetto edilizio con lo strumento edilizio, nella specie non indicate;

c) la motivazione del provvedimento di diniego sarebbe carente anche in merito alle osservazioni presentate dalla società appellante ai sensi dell’articolo 10-bis della l. n. 241/1990: seppure non ne fosse necessaria un’analitica confutazione, tuttavia il provvedimento di diniego avrebbe dovuto rendere percepibili le ragioni per cui l’Amministrazione non aveva ritenuto di accoglierle, invece di limitarsi a formulare la clausola “le osservazioni prodotte non superano i motivi del rigetto”.

3. Il Comune di Napoli, costituito in giudizio con atto depositato in data 22 febbraio 2012, ha chiesto il rigetto del gravame.

4. Tanto premesso il Collegio passa all’esame dell’appello.

4.1. Il provvedimento impugnato in prime cure dalla società appellante motiva il rigetto della domanda del titolo edilizio anche rilevando che “le opere proposte costituiscono nuova costruzione su un’area attualmente libera, in contrasto con quanto prescritto dall’art. 33 della variante generale al Prg” (seconda premessa di pag. 2). Tale articolo, per la sottozona Bb (espansione edilizia a partire dal secondo dopoguerra), che viene in rilievo nella fattispecie, negli ultimi due periodi del comma 2, consente “l’edificazione ai fini pubblici delle aree libere e risultanti da demolizioni, per la realizzazione di attrezzature primarie e secondarie a scala di quartiere. Sono ammessi interventi fino alla ristrutturazione edilizia a parità di volume”.

Secondo la società appellante, l’intervento che si intendeva realizzare avrebbe dovuto essere ricondotto alla categoria della ristrutturazione - consentita quindi dall’art. 33, co. 2, ultimo periodo - che, come definita dall’art. 3 d.P.R. n. 380/2001, comprenderebbe la sostituzione di fabbricati con operazioni di demolizione e di ricostruzione, da effettuare, nella fattispecie, fedelmente rispetto alle preesistenze.

Ad avviso del Collegio, il Tar ha correttamente considerato non ricorrente il requisito della continuità temporale tra tali operazioni, in base al quale la giurisprudenza ritiene che possa essere tracciata la distinzione tra la costruzione di un nuovo organismo e la ristrutturazione di un fabbricato preesistente. Infatti, il mutamento della situazione di fatto intervenuto nella fattispecie, con la demolizione dell’immobile e la conseguente inesistenza dell’edificio per circa 30 anni, non consentiva di individuare un nesso di strumentalità – e di sostanziale continuità - tra la demolizione e la ricostruzione, sicché la ristrutturazione sarebbe stata in sé priva dell’oggetto e sarebbe stato necessario un permesso di costruire per edificare il nuovo fabbricato.

Tale ragionamento del primo giudice non risulta contraddetto dalla giurisprudenza richiamata dalla società appellante che ha considerato il lasso temporale intercorso tra la demolizione di un edificio per ragioni di pubblica incolumità e la successiva ricostruzione non ostativo alla configurazione dell’intervento in termini di ristrutturazione, quando sussiste “un’unitaria programmazione della demolizione e della ricostruzione che ne consente la riconduzione al concetto ampio di ristrutturazione” (Cons. Stato sez. V, 11 maggio 2009, n. 2870). Infatti, una tale circostanza non è ravvisabile nella fattispecie, in cui erano decorsi circa 30 anni dalla data della demolizione a quella di adozione del diniego impugnato, nel corso dei quali il fabbricato demolito era stato del tutto inesistente e non era stato posto in essere alcun atto idoneo a raccordare la demolizione con la ricostruzione nell’ambito di un congruo intervallo temporale (cfr. Cons. Stato, sez. II 22 luglio 2019, n. 5150, sez. IV 19 marzo 2018, n. 1725, sez. VI, 2 settembre 2020, n. 5350).

La documentabilità delle preesistenze, da ricostruire fedelmente, costituirebbe, secondo l’appellante, il presupposto per l’applicazione dell’art. 11 NTA (“restauro e risanamento conservativo”), il cui comma 5 consente, “a parità di superficie utile e volume preesistenti, interventi di ripristino filologico rivolti a ricostruire l’intero manufatto o parti di esso, purché sia possibile, attraverso fonti iconografiche, cartografiche, fotografiche e catastali, documentarne la consistenza certa”. Tale disposizione è stata considerata dal Tar non applicabile a causa dell’erroneità della qualificazione di tali interventi in termini “restauro e risanamento conservativo” (categoria cui l’art. 3, co. 1, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001 riconduce gli interventi edilizi “rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili”). Secondo la stessa definizione, “Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio”.

L’orientamento del Tar va condiviso, in quanto il medesimo art. 3, co. 2, del d.P.R. n. 380/2001 stabilisce che “le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi” e la definizione concettuale della categoria prevista dal citato art. 3, co. 1, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001 presuppone l’esistenza di un manufatto e la finalità conservativa dell’intervento edilizio. In difetto di tali elementi, la qualificazione dell’art. 11, co. 5, NTA in termini “restauro e risanamento conservativo”, da riservare anche ad interventi edilizi su ruderi o sedimi a titolo di recupero filologico risulta erronea e tale disposizione va disapplicata. Per i suddetti interventi verrebbero invece in rilievo le categorie degli interventi di ristrutturazione edilizia o di nuova costruzione di cui all’art. 3, lett. d) e lett. e) del d.P.R. n. 380/2001 (cfr. Cons. Stato, sez. II, 24 ottobre 2020 n. 6455), ma, nella fattispecie, come si è visto, alla prima osta il difetto di continuità temporale nella sostituzione edilizia e la seconda non è consentita dall’art. 33 NTA.

Le deduzioni dell’appellante tese ad avversare il convincimento del Tar dell’inapplicabilità dell’art. 125 NTA per il motivo che “le aree di sedime su cui è ammessa la ricostruzione sono solo quelle indicate nella tavola 7 allegata al PRG”, paiono inidonee a supportare una diversa conclusione: infatti la società interessata si limita a rilevare che “in base alle specificazioni di tali tavole nulla è prescritto per quale debba essere la destinazione dell'area in oggetto a seguito del decorso dei termini di cui all’art. 125”, senza fornire elementi in merito alla riconducibilità dell’area di interesse a quelle espressamente indicate nelle tavole allegate alle NTA della variante generale.

Va poi osservato che la censura relativa alla disparità di trattamento operata dall’Amministrazione ai danni della società interessata richiederebbe una prova rigorosa dell’assoluta identità delle situazioni di fatto cui si riferisce l’appellante per dimostrare l’irragionevolezza delle scelte effettuate dal Comune di Napoli, prova che, secondo il Collegio, l’atto d’appello non consente di raggiungere. In ogni caso, per quanto sopra esposto in merito alla portata delle categorie definitorie dell’art. 3, co. 1, d.P.R. n. 380/2001 e dei richiamati articoli delle NTA della variante generale del PRG, va evidenziato che la legittimità dell’operato dell’Amministrazione nella fattispecie in esame non potrebbe essere messa in discussione dalla considerazione dell’eventuale illegittimità di atti relativi ad altra analoga fattispecie (cfr. e plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2013, n. 1323).

Dunque il motivo d’appello sub 2, lett. a) deve essere respinto.

4.2. In merito alla dedotta omissione di pronuncia da parte del Tar sulla censura del ricorso di primo grado relativa al difetto di motivazione della disposizione dirigenziale n.105/2010, il Collegio ritiene che la seconda premessa a pag. 2 dell’atto, riportata sub 4.1, e il successivo richiamo al parere contrario della Commissione edilizia siano idonei a rendere sufficientemente conto delle ragioni del provvedimento, che vengono individuate nella natura di nuovo organismo edilizio del fabbricato che si intendeva costruire. Dal che consegue l’infondatezza del motivo d’appello sub 2, lett. b).

4.3. Anche il motivo d’appello sub 2, lett. c), deve essere respinto. Infatti, “l’obbligo del preavviso di rigetto non impone, ai fini della legittimità del provvedimento adottato, la confutazione analitica delle deduzioni dell'interessato, essendo sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno del provvedimento finale”, purché non contenga elementi nuovi e non enucleabili dalla comunicazione ex art. 10-bis l. n. 241 del 1990 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 marzo 2018, n. 1508;
Sez. V, 30 dicembre 2015, n. 5868;
Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667;
Sez. I, 25 marzo 2015, n. 80;
Sez. V, 16 gennaio 2015, n. 67;
Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2548), circostanza che non ricorre nella fattispecie.

5. Per quanto sopra esposto l’appello deve essere respinto in quanto infondato.

Considerate le questioni interpretative affrontate, sussistono ad avviso del Collegio giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del grado di giudizio.

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