Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-02-25, n. 201901253

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-02-25, n. 201901253
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901253
Data del deposito : 25 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/02/2019

N. 01253/2019REG.PROV.COLL.

N. 04434/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4434 del 2009, proposto da
V S, rappresentato e difeso dall'avvocato F S D, con domicilio eletto presso lo studio Srl Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, 30;

contro

Co.Re.Co. Sezione di Bari e Regione Puglia, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n. 00671/2008, resa tra le parti, concernente il risarcimento dei danni da tardato inquadramento nella qualifica di infermiere professionale.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2019 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti;

Rilevato che nessuno è presente per le parti.


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, sez. II, con la sentenza 21 marzo 2008, n. 671, ha respinto il ricorso proposto dall’attuale parte appellante per la condanna della Regione Puglia e del Co.Re.Co., in solido tra loro, al risarcimento dei danni patiti per il tardato inquadramento nella qualifica di infermiere professionale dovuto all’annullamento della delibera n. 885-1985 dell’A.S.L. BA/6 ad opera del provvedimento n. 18045-1986 del Co.Re.Co., già dichiarato illegittimo con sentenza del TAR di Bari n. 457-1995.

Secondo il TAR, sinteticamente, non sussiste l’elemento soggettivo dell’illecito e la colpa dell’Amministrazione non può risolversi nella mera illegittimità del provvedimento.

Nel caso di specie, per il TAR, il ricorrente non ha fornito “indizi” sufficienti a fondare siffatte presunzioni “iuris tantum”, atteso che la lettura della sentenza n. 457-1995 del TAR Puglia, Bari, dimostra, all’opposto, la complessità del quadro normativo di riferimento caratterizzato da stratificazioni successive non sempre coerenti e tali, pertanto, da escludere la colpa dell’organo di controllo regionale.

L’appellante contestava la sentenza del TAR rilevandone l’erroneità sia nella parte relativa all’inversione dell’onere della prova e sia sulla stessa configurabilità della colpa, poiché si sostiene che non sussisteva alcuna complessità del quadro normativo di riferimento.

Con l'appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.

All’udienza pubblica del 21 febbraio 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente deve precisarsi che, a mente della nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 500-1999, costituisce danno ingiusto ex art. 2043 c.c., e come tale è meritevole di tutela, qualsiasi conseguenza pregiudizievole che incide negativamente sulla sfera giuridica del soggetto danneggiato e che trova causa nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento giuridico, sia esso un diritto soggettivo o un interesse legittimo, tanto oppositivo quanto pretensivo.

Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, come ha precisato la migliore dottrina, la mancanza di univocità circa la natura della responsabilità amministrativa per lesione di interessi legittimi si è riverberata su alcuni aspetti di non secondario momento dell’istituto e, tra questi, quello del titolo di imputazione della responsabilità, la cui importanza riposa, non solo nella capacità di incidere in ordine alla concreta definizione dell’area del danno risarcibile, ma anche nella sua centralità sistematica di fattore in grado di spiegare, in relazione a ciascun soggetto e alla sua posizione nell’ordinamento, i fondamenti e le ragioni della sua responsabilità.

Sul punto occorre ricordare che, prima dell’avvento della citata sentenza delle SS.UU. n. 500-1999, la Corte di cassazione nel vagliare la sussistenza della responsabilità dell’amministrazione derivante da provvedimenti adottati iure imperii fosse solita applicare il criterio della colpa in re ipsa, criterio in forza del quale si arrivava ad affermare la sostanziale coincidenza tra l’illegittimità del provvedimento e la colpa dell’amministrazione che aveva adottato e/o dato esecuzione a tale provvedimento.

Nel 1999, invece, le SS.UU. hanno imposto un cambio di rotta, affermando che all’illegittimità del provvedimento non consegue l’illiceità della condotta e, dunque, la responsabilità della pubblica amministrazione, che è chiamata a rispondere come apparato e la colpa sarà configurabile nel caso in cui l’adozione o l’esecuzione dell’atto illegittimo, lesivo dell’interesse del danneggiato, sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione che “si pongono come limiti esterni della discrezionalità”.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, in via modo decisamente maggioritario, ha ritenuto di non poter prescindere da un’indagine circa l’esistenza dell’elemento soggettivo: ad esempio, Cons. Stato, IV, 7 marzo 2013, n. 1406 e Cons. Stato, IV, 9 maggio 2013, n. 2531 in tema di danno da ritardo;
Cons. Stato, IV, 17 gennaio 2013, n. 23 e Cons. Stato, VI, 6 maggio 2013, n. 2419 in tema di violazione del giudicato;
Cons. Stato, III, 6 maggio 2013, n. 2452 in tema di illegittima esclusione da un pubblico concorso.

Questo Consiglio, peraltro, in molteplici pronunce (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 23 maggio 2016, n. 2111;
Cons. Stato, V, 28 dicembre 2011, n. 6919;
Cons. Stato, IV, 31 gennaio 2012, n. 482 e Cons. Stato, V, 31 dicembre 2014, n. 6450) ha affermato esplicitamente che la colpa è un elemento costitutivo dell'illecito extracontrattuale della P.A., in ossequio al modello di cui all'art. 2043 c.c.

2. Sotto il profilo probatorio, la giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato che, per l'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento lesivo, essendo necessario che sia fornita la prova sia del danno subito, e dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa dell'Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 6 settembre 2017, n. 4226 e 24 maggio 2017, n. 2446).

Infatti, il principio generale dell'onere della prova previsto nell'art. 2697 c.c. si applica anche all'azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al G.A. (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 282), con la conseguenza che spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, ivi compreso l’elemento costitutivo della colpa.

3. Sotto il profilo della contestata sussistenza della colpa, il Collegio ritiene di dover esaminare più approfonditamente i fatti oggetto di causa, così come accertati dalla sentenza del TAR Bari n. 457-1995.

L'attuale appellante, in servizio presso la U.S.L. BA/6 con la qualifica di ausiliario socio-sanitario specializzato, sin dal 1982 ha svolto con atti formali funzioni superiori d'infermiere generico, essendosi classificato nel relativo concorso pubblico in 3° posizione nella graduatoria di merito, quale idoneo.

Secondo il TAR, in applicazione della legge n. 207-1985, con delibere n. 885 del 10.12.1985 e n. 78 del 17.2.1986 è stato inquadrato nella qualifica professionale di 2^ categoria (infermiere generico).

L'organo di controllo, cui le delibere sono state inviate per il riscontro di legittimità, ha prima chiesto chiarimenti con ordinanza n. 65254 del. 10.2.1985 e poi ne ha disposto l'annullamento con decisione n. 18045 del 28.3.1986, in quanto gli atti di conferimento degli incarichi sono stati adottati, su autorizzazione della Regione, in deroga alla normativa vigente.

Affermava il TAR che l'utilizzazione del dipendente nelle funzioni superiori d'infermiere generico, disposta con la delibera della U.S.L. n. 774 dell'1.12.1982, esecutiva, era stata basata su un’autorizzazione regionale, in deroga alla normativa vigente che, lungi dal precludere l'applicazione del beneficio di legge, dà conto del procedimento di deroga adottato dalla Regione e consentito dall'art. 8 della L. 17 agosto 1974, n. 386, recante norme di finanziamento della spesa ospedaliera e l'avvio della riforma sanitaria.

Secondo il TAR, l’art. 8 D.L. 264-1974 convertito nella legge 17 agosto 1974, n. 386 e successive modificazioni ha introdotto e mantenuto il divieto di assunzione di nuovo personale, compreso quello per avviso pubblico o per incarico ex art 3 d.P.R. 27 marzo 1969, n. 110, fatte salve eventuali deroghe per dimostrate improrogabili esigenze preventivamente autorizzate.

Nella specie, afferma il TAR, l'intervenuto atto regionale di deroga al divieto summenzionato ha consentito l'utilizzo dell'istante, dipendente di ruolo, in funzioni superiori d'infermiere generico, in applicazione di una graduatoria concorsuale per n. 1 posto d'infermiere generico nella quale l'istante si è classificato al terzo posto quale idoneo.

Il predetto intervento regionale inerisce ad una legge diversa nei presupposti, nel contenuto e negli effetti, dalla L. n. 207-1985: la prima di ripiano della spesa ospedaliera, la seconda di sanatoria di posizioni funzionali e di riorganizzazione del personale della U.S.L.

Ne consegue per il TAR che il procedimento di utilizzazione del dipendente nelle funzioni d'infermiere generico, quale che sia la fonte normativa cui si richiama, costituisce un momento storico presupposto di applicazione della L. n. 207-1985 la quale esige, in capo al dipendente, la non sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi di accesso alla qualifica.

Pertanto, conclude il TAR, costituisce compito esclusivo dell'organo di controllo la verifica dello svolgimento delle funzioni superiori attribuite con atto formale, della vacanza del posto e dei requisiti di accesso alla qualifica;
requisiti tutti che, nella specie, sussistono proprio in ragione dello specifico procedimento utilizzato.

4. Si deve rammentare che il riconoscimento di mansioni superiori, nell’ambito del Pubblico impiego e segnatamente nel comparto sanità, è subordinato alla ricorrenza di condizioni assai restrittive (cfr., ex multis, Consiglio di Stato Sez. III del 2.3.2015).

In materia, si sono succedute negli anni, come è noto, posizioni giurisprudenziali del TAR e del Consiglio di Stato molto disparate e interventi normativi molto differenti che hanno contribuito già in generale a generare incertezza applicative molto marcate.

Oltre a tale profilo di incertezza generale della materia, nel caso di specie, è evidente che sussiste un’ulteriore incertezza applicativa nel rapporto tra il disposto di cui all’art. 8 D.L. 264-1974, convertito nella legge 17 agosto 1974, n. 386, e il contenuto della L. n. 207-1985, che si colloca nel quadro dei plurimi interventi legislativi rivolti da un lato a contenere, in senso limitativo, la possibilità di attribuire mansioni superiori e dall’altro a sanare specifiche situazioni di fatto ritenute meritevoli di tutela.

Peraltro, posto che uno dei principi fondamentali del pubblico impiego è che l’accesso alle varie qualifiche funzionali avviene per concorso, bandito su posti vacanti e disponibili nell’organico dell’ente, solo in via eccezionale il legislatore (in deroga a tali principi) con leggi “di sanatoria”, (applicabili una tantum e con riferimento a fattispecie ed apparati organizzativi specifici, come la legge n. 207-1985 per il personale transitato alle neo istituite Unità Sanitarie Locali nel 1979), ha consentito il miglior inquadramento a favore dei dipendenti, che avessero svolto de facto mansioni di un livello superiore a quello formalmente posseduto.

A conferma ulteriore delle incertezza applicative in relazione alla concreta vicenda in esame, sovviene lo stesso tenore motivazionale della sentenza del TAR che, in modo per nulla chiaro, anzi piuttosto oscuro, afferma che “il procedimento di utilizzazione del dipendente nelle funzioni d'infermiere generico, quale che sia la fonte normativa cui si richiama, costituisce un momento storico presupposto di applicazione della L. n. 207-1985 la quale esige, in capo al dipendente, la non sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi di accesso alla qualifica”.

La stessa circostanza che la sentenza non abbia ulteriormente chiarito tale punto è indicativo delle incertezze in materia.

Tutto ciò a conferma del fatto che non possa ravvisarsi un profilo di colpa dell’Amministrazione, come ha ben dedotto il TAR, vista l’evidente laboriosità e difficoltà nel ricostruire il quadro normativo di riferimento, tale da escludere la colpa dell’organo di controllo regionale.

5. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.

Nulla per le spese di lite, in assenza di costituzione della parte appellata.

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