Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-10-06, n. 202308731

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-10-06, n. 202308731
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202308731
Data del deposito : 6 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/10/2023

N. 08731/2023REG.PROV.COLL.

N. 05221/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5221 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato P G P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio;

nei confronti

-OMISSIS-, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) n. 1881/2021, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 settembre 2023 il Cons. Maurizio Antonio Pasquale Francola e udito per l’appellante l’avvocato Giuseppe Palumbo Pantaleo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso ritualmente e tempestivamente proposto, l’appellante impugnava il provvedimento -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificatogli il -OMISSIS-, con il quale il Comune di -OMISSIS- lo invitava a procedere alla demolizione dell’aiuola, dei muri perimetrali e dei cancelli realizzati a chiusura dell’accesso alla -OMISSIS- in prossimità dell’intersezione con la -OMISSIS- in località -OMISSIS-, con conseguente ripristino dello stato originario dei luoghi e con l’avvertimento che in mancanza sarebbe stata irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria di € 20.000,00 ai sensi dell’art. 31 co. 4 bis D.P.R. n. 380/2001.

Secondo l’appellante l’impugnata ingiunzione a demolire doveva ritenersi illegittima poiché: 1) sarebbe stato violato l’art. 35 co. 1 D.P.R. n. 380/2001 nella parte in cui statuisce che qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 28, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo, non essendo stata l’ordinanza impugnata preceduta da alcuna diffida;
2) l’area interessata dalle opere controverse sarebbe di proprietà privata e non apparterebbe, dunque, al demanio pubblico;
3) non occorrerebbe alcun titolo edilizio per le opere in questione, essendo le stesse in parte riconducibili nell’ambito degli interventi di manutenzione ordinaria ex art. 3 co. 1 lett. a) D.P.R. n. 380/2001 ed in parte rientranti nella c.d. edilizia libera di cui all’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001, in quanto propedeutiche soltanto alla chiusura di un’area di proprietà privata;
4) la realizzazione di un cancello non costituirebbe, comunque, un abuso edile suscettibile di demolizione, non essendo all’uopo necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire;
5) il cancello e l’aiuola esisterebbero da oltre trent’anni e, dunque, l’ordinanza di demolizione doveva essere motivata sul piano dell’interesse pubblico alla loro eliminazione.

Nel corso del giudizio alcuni proprietari di unità immobiliari site in -OMISSIS- alla -OMISSIS- spiegavano un intervento ad opponendum , difendendo la legittimità dell’operato del Comune che non si era costituito in giudizio.

Con la pronuncia della sentenza n. 1881/2021 il T.A.R. Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sez. I, respingeva il ricorso dell’appellante, in quanto inammissibile per omessa notifica agli intervenienti, nella loro riconosciuta qualità di controinteressati in senso tecnico, ed altresì infondato nel merito.

L’appellante impugnava la predetta decisione, domandandone la riforma e riproponendo i medesimi motivi già dedotti in primo grado.

Non si costituivano in giudizio né il Comune di -OMISSIS-, né gli intervenienti in primo grado.

All’udienza pubblica del 12 settembre 2023 il Consiglio di Stato, dopo avere udito il procuratore dell’appellante, tratteneva l’appello in decisione.

DIRITTO

I. – L’oggetto del decidere.

Il provvedimento impugnato è contraddistinto da una motivazione redatta secondo la tecnica dei motivi plurimi ed autonomi, essendo state, infatti, indicate le molteplici ragioni ritenute dal Comune di -OMISSIS-, di per sé, idonee ad ingiungere la demolizione delle opere contestate e la rimessione in pristino dei luoghi.

Il che ha correttamente indotto l’appellante ad articolare specifici motivi di impugnazione per ognuna delle predette ragioni, onde salvaguardare la proposta domanda di annullamento da un’eventuale declaratoria di inammissibilità per carenza di interesse a ricorrere dipendente dall’omessa articolazione di apposite censure nei confronti anche soltanto di una delle molteplici motivazioni ostative riportate nell’impugnato provvedimento.

Costituisce, infatti, principio consolidato ritenere sufficiente, ai fini della verifica della legittimità del provvedimento amministrativo fondato su una pluralità di motivi autonomi, che almeno uno di essi risulti in grado di sorreggere per intero l'atto stesso;
il che si verifica quando anche uno soltanto di essi non forma oggetto di specifica censura. Sussistendo detta evenienza, il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse, considerato che il provvedimento impugnato continuerebbe a produrre i suoi effetti perché mantenuto in vita dal motivo non contestato e da solo sufficiente a giustificare la determinazione in esso contenuta (Consiglio di Stato, Sez. II, 14/10/2022, n. 87784;
Cons. Stato, Sez. III, 1.8.2022, n. 6751;
Cons. Stato, Sez. V, 11.1.2022, n. 200;
Cons. Stato, sez. VI, 7.1.2014, n. 12;
Cons. Stato 18.5.2012, n. 2894, e 27.4.2015, n. 2123;
Cons. Stato, Sez. V, 25.2.2015, n. 927).

Peraltro, la peculiare motivazione plurima caratterizzante il provvedimento in questione non influisce soltanto sulle modalità di predisposizione del ricorso ma anche sulla tecnica redazionale della sentenza, ben potendo il giudice limitare il proprio sindacato alle censure ritenute infondate inerenti ad un motivo da solo sufficiente a giustificare l’ingiunzione di demolizione e di rimessione in pristino dei luoghi notificata dall’Amministrazione all’appellante.

Secondo quanto, infatti, affermato dal Consiglio di Stato « Non collide e non pregiudica l'effettività della tutela quella tecnica di giudizio che, in attuazione dei principi del giusto processo, tra cui figurano anche la celerità e le esigenze di economia processuale, seleziona i motivi da scrutinare: a) in forza della c.d. ragione più liquida;
b) in ragione della ripetitività dei motivi medesimi rispetto ad altri già esaminati e respinti;
c) nel caso in cui il provvedimento impugnato si fondi su una pluralità di ragioni autonome, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità
» (Consiglio di Stato, Sez. IV, 12/09/2017, n.4288).

E poiché, nella fattispecie, la riscontrata assenza non soltanto dei titoli edilizi ritenuti necessari ma anche dell’autorizzazione paesaggistica e del nulla osta idrogeologico costituisce di per sé motivazione sufficiente a giustificare il provvedimento impugnato occorre procedere all’esame delle censure dedotte in relazione a siffatto motivo di diniego, ed in caso di fondatezza delle stesse procedere, poi, all’esame anche delle doglianze concernenti le ulteriori ragioni indicate a fondamento dell’impugnata ingiunzione di demolizione.

Il Comune di -OMISSIS- ha motivato la propria decisione adducendo a ragione del provvedimento adottato che: a) le opere contestate insisterebbero su area demaniale, ricadendo, peraltro, in parte in area P.I.R.T. ed in parte in zona-OMISSIS-, tipizzato come sede stradale esistente;
b) le predette opere sarebbero state realizzate in assenza di titolo giuridico (diritto di proprietà o altro diritto reale sull’area interessata);
c) le predette opere sarebbero state realizzate in assenza di autorizzazione all’occupazione di area del Demanio Pubblico, in assenza di titolo edilizio e delle autorizzazioni paesaggistiche ex art. 146 D.Lgs. n. 42/2004 ed art. 90 N.T.A. del P.P.T.R. e del nulla osta idrogeologico ex R.D. n. 3267/1923.

II. – La decisione di primo grado .

L’adito T.A.R. si è limitato all’esame del punto c), ritenendo necessari titoli edilizi non richiesti dall’appellante.

Inoltre, l’adito T.A.R. ha rigettato i motivi con i quali si contestava la violazione dell’art. 35 co. 1 D.P.R. n. 380/2001 ed il difetto di motivazione.

III. – L’appello è infondato.

Il Consiglio di Stato osserva che le conclusioni alle quali è pervenuto il T.A.R. devono essere condivise.

Risulta, infatti, dirimente l’assenza delle autorizzazioni richieste per il rispetto dei vincoli esistenti sulla zona in questione, posto che la -OMISSIS- rientra nell’ambito del contesto urbano di recupero ricadente in area di interesse paesaggistico (P.I.R.T.), come da certificazione del responsabile del settore-OMISSIS- Comune di -OMISSIS- prodotta in atti (all. 6 del fasc. di primo grado degli intervenienti ad opponendum ) e non contestata dall’appellante.

Al riguardo, occorre precisare che la valutazione dell'abuso edilizio presuppone, tendenzialmente, una visione complessiva e non atomistica dell'intervento, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (Consiglio di Stato sez. VI, 08/08/2023, n.7635).

Ne consegue che, nel rispetto del principio costituzionale di buon andamento, l'amministrazione comunale deve esaminare contestualmente l'intervento abusivamente realizzato, e ciò al fine precipuo di contrastare eventuali artificiose frammentazioni. In questo senso, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ribadito che la verifica dell'incidenza urbanistico-edilizia dell'intervento abusivamente realizzato deve essere condotta avuto riguardo alla globalità delle opere, che non possono essere considerate in modo atomistico (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 2012, n. 3330). Di eguale tenore la giurisprudenza penale, secondo cui: " non è ammessa la possibilità di frazionare i singoli interventi edilizi difformi al fine di dedurre la loro autonoma rilevanza, ma occorre verificare l'ammissibilità e la legalità, alla luce della normativa vigente, dell'intervento complessivo realizzato " (Corte Cass., sez. III, 18 gennaio 2017, n. 8885).

E poiché nel complesso le opere in questione hanno un significativo impatto sul territorio occorreva premunirsi della necessaria autorizzazione paesaggistica, posto che, secondo quanto desumibile dall’ingiunzione di demolizione impugnata e dalla documentazione allegata alla relazione di accertamento del -OMISSIS-, la -OMISSIS-, come già detto, ricade in zona di interesse paesaggistico.

Ed invero, ai sensi dell'art. 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (ma analogamente prevedeva la disciplina previgente), i proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, di immobili ed aree di interesse paesaggistico tutelati dalla legge non possono introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione e hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione.

Le "recinzioni", in quanto tali, non sono, peraltro, riconducibili nel novero delle attività non soggette ad autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'articolo 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. n. 42/04), avendone, infatti, la giurisprudenza affermato l’inclusione tra le tipologie di interventi soggette al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.

In questa prospettiva, le recinzioni in questione non possono ricondursi nella categoria degli interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria non implicanti un’alterazione dello stato dei luoghi.

Tali opere, infatti, presentano di regola un impatto visivo idoneo a incidere sulla percezione del paesaggio tutelato e non possono perciò considerarsi irrilevanti dal punto di vista della tutela paesaggistica.

Si osserva, in generale, che la presenza di un vincolo paesistico non costituisce un impedimento insuperabile all'introduzione ex novo di recinzioni al servizio della proprietà privata.

La recinzione, infatti, rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà che comprende lo jus excludendi alios e, come tutti gli altri interventi edilizi, deve ritenersi ammissibile quando non impedisca la fruizione delle componenti del paesaggio tutelate dal vincolo.

Tuttavia, anche la recinzione "leggera" in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico impone che l'autorità preposta esprima il proprio parere, dando conto dell'effettivo impatto del manufatto nel contesto tutelato e della sua tollerabilità nella zona destinata ad ospitarlo (Consiglio di Stato, sez. VII, 21/06/2023, n. 6094).

Nella specie, dunque, risulta dirimente la circostanza per cui le opere in questione, essendo state realizzate in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, avrebbero dovuto essere previamente assentite.

Di conseguenza, la mancata acquisizione preventiva della prescritta autorizzazione è ragione sufficiente a giustificare l’impugnata ingiunzione di demolizione.

Con riguardo, poi, alle ulteriori censure di carattere formale inerenti ad aspetti procedurali, il Consiglio di Stato ritiene operante la disciplina contemplata dall’art. 21 octies co. 2 L. n. 241/1990 in ragione del carattere vincolato dell’impugnata ingiunzione di demolizione (Consiglio di Stato, sez. VI, 07/10/2022, n. 8613;
Consiglio di Stato, sez. VI, 07/01/2020, n. 100;
Cons. Stato, sez. II, 20 dicembre 2019, n. 8635;
Consiglio di Stato, sez. VI, 16/03/2018, n.1688), non potendo il contenuto dispositivo del provvedimento essere diverso da quello in concreto adottato nell’occasione.

Con riguardo, infine, al dedotto difetto di motivazione dipendente dalla prospettata presenza delle opere abusive da oltre trent’anni, si osserva, anzitutto, che la circostanza inerente al tempo di realizzazione degli abusi edili contestati non risulta comprovata, essendo soltanto allegata ma non dimostrata.

In secondo luogo, quand’anche si ritenesse provata, la circostanza non sarebbe dirimente ai fini del decidere, non potendo ritenersi necessaria una motivazione rafforzata poiché, secondo quanto affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, “ il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino ” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 9).

L’appello, pertanto, è infondato e deve essere respinto.

Attesa la mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente e degli intervenienti in primo grado, nessuna statuizione va emessa sulle spese processuali.

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