Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-05-02, n. 202403957

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-05-02, n. 202403957
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403957
Data del deposito : 2 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/05/2024

N. 03957/2024REG.PROV.COLL.

N. 07941/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7941 del 2023, proposto dall’Agenzia Italiana del Farmaco, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

Chiesi Farmaceutici S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G F F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Ripetta n. 142;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 7405/2023, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Chiesi Farmaceutici S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Giovanni Tulumello e uditi per le parti l’Avvocato dello Stato Beatrice Fiduccia e l’Avvocato G F F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza impugnata il T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso proposto dall’odierna appellata per l’annullamento della Determina AIFA n. DG/285/2022, nella parte in cui ha escluso i farmaci “

FOSTER

100 mcg + 6mcg polvere per inalazione”, AIC 037789031, “

FOSTER

200 mcg + 6mcg polvere per inalazione”, AIC 037789106, e “

INUVER

100 mcg + 6mcg polvere per inalazione”, AIC 037798030, inserendoli nell’allegato 2, così implicitamente rigettando le relative richieste di applicazione della procedura di c.d. payback per l’anno 2022.

L’indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dall’Agenzia Italiana del Farmaco (d’ora in avanti anche solo A.I.F.A.).

Si è costituita in giudizio, per resistere al gravame, la ricorrente in primo grado.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 21 marzo 2024.

2. Come chiarito dalla sentenza di questo Consiglio di Stato n. 11180/2022, “ il termine pay back sta ad indicare il ripiano dello sfondamento del tetto di spesa prefissato per legge per gli acquisti diretti dei farmaci da parte degli enti del Servizio Sanitario Nazionale ”.

In particolare, il meccanismo in questione è stato previsto dall’art. 1, comma 796, lettera g) , della legge 27 dicembre 2006 n. 296, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”.

Come affermato dalla sentenza del T.A.R. qui gravata, esso è stato introdotto “ per ottenere una maggiore flessibilità del mercato farmaceutico, consentendo l'erogazione di risorse economiche alle regioni e, al contempo, la possibilità per le aziende farmaceutiche di scegliere il prezzo dei propri farmaci in base alle loro strategie di mercato. Tramite questo sistema, infatti, le imprese produttrici possono chiedere all'Aifa la sospensione della riduzione dei prezzi del 5% in cambio di un trimestrale versamento (“pay-back”) del relativo valore su appositi conti correnti individuati dalle regioni, dimodoché le case farmaceutiche, anziché applicare le riduzioni obbligatorie del prezzo di vendita dei farmaci della classe "A" di rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale, possono optare per il mantenimento del prezzo pieno di vendita, versando successivamente una somma pari alla suddetta riduzione di prezzo del 5% ”.

3. Con il provvedimento impugnato in primo grado l’AIFA ha sostanzialmente escluso il payback per i farmaci inseriti nella c.d. lista di trasparenza (l’elenco dei farmaci equivalenti disponibili sul mercato con i relativi prezzi di riferimento, ai sensi dell'art. 7 del decreto-legge n. 347 del 2011, convertito dalla legge n. 405 del 2001).

La ricorrente in primo grado, come riportato dalla sentenza impugnata, ha dedotto che “ le imprese farmaceutiche avrebbero il diritto di optare per il sistema del payback rispetto a tutti i propri farmaci, indipendentemente dal fatto che essi siano brevettati o equivalenti. L’Aifa non avrebbe in alcun modo motivato la scelta di non accogliere l’istanza di payback per i farmaci oggetto del presente giudizio ”.

4. Il T.A.R. ha accolto il ricorso, ritenendo che il potere esercitato fosse privo di base normativa, e valorizzando il dato testuale: “ la norma in esame - lett. g) del comma 796, della suddetta l. 296/2006 - ha previsto che le aziende farmaceutiche possono chiedere all’AIFA la sospensione, “nei confronti di tutti i propri farmaci” della misura dell’ulteriore riduzione del 5 % dei prezzi, si ritiene che l’Aifa ha escluso i farmaci de quibus dal beneficio in esame senza alcuna copertura normativa ”.

Il T.A.R. ha altresì osservato che “ il sistema del “pay-back” si caratterizza per la sua totale neutralità rispetto alla spesa pubblica farmaceutica, poiché la disposizione che lo ha introdotto, ovverosia il già citato art. 1, comma 796, lettera g) della legge n. 296/2006, ha statuito che la richiesta delle imprese del settore di aderire a tale meccanismo è vincolata alle “tabelle di equivalenza degli effetti economico-finanziari per il Servizio sanitario nazionale, approvate dall'AIFA e definite per regione e per azienda farmaceutica, le singole aziende farmaceutiche”. In tal senso si è pronunciato il Consiglio di Stato, da ultimo con la decisione n. 2491/2021, con la quale ha affermato che: “L'adesione al sistema del pay-back di cui all'art. 1, comma 796, lett. g), l. n. 296/2006 in nessun caso può comportare un maggior onere economico da parte del Servizio Sanitario Nazionale, caratterizzandosi per la sua totale neutralità rispetto alla spesa farmaceutica, in quanto le aziende farmaceutiche che optano per il rinnovo dell'adesione al pay-back riversano ex post a ciascuna Regione pro-quota il 5% che sarebbe stato altrimenti detratto ex ante dal prezzo di mercato del medicinale a titolo di riduzione obbligatoria ”.

5. Il ricorso in appello risulta affidato ad un unico motivo, rubricato “ Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 796, lett. g) della legge n. 296/2006;
violazione dell’art. 1, commi 225 e 227, della legge n. 147/2013 anche con riferimento all’art. 7 del d.l. n. 347/2001, come modificato dalla legge n. 405/2001;
error in iudicando ed erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti gli atti impugnati
”.

Con tale mezzo l’AIFA:

- lamenta un eccessivo peso dato dal primo giudice al dato testuale, in punto di ricognizione della base normativa del potere esercitato, con particolare riferimento agli effetti delle innovazioni apportate dall’art. 1, commi 225 e 227, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che avrebbe ristretto l’ambito di applicazione del payback;

- sostiene che il legislatore del 2006 avrebbe sostanzialmente “legificato” la normativa regolamentare di cui alla determinazione AIFA del 27 settembre 2006, pubblicata nella G.U. del 29 settembre 2006, recante “Manovra per il governo della spesa farmaceutica convenzionata e non convenzionata”, il cui art. 1, comma 2, esclude dal payback i farmaci inseriti nelle liste di trasparenza;

- sollecita una rimeditazione dell’indirizzo assunto con la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2491/2021, alla luce di una serie di problematiche applicative che deriverebbero dall’adozione dell’interpretazione fatta propria dal TAR (pagg. 13/15 del ricorso in appello).

6. Il ricorso in appello è infondato.

Come correttamente ricordato dalla stessa appellante, il gravame si fonda su presupposti esegetici che questo Consiglio di Stato ha già ritenuto non fondati nella richiamata sentenza n. 2491/2021, che il Collegio condivide e dalla quale non ravvisa ragione per discostarsi, neppure a seguito della sollecitazione in tal senso formulata dall’appellante.

In particolare, le ragioni che impediscono di accedere alle tesi su cui poggia il gravame sono quelle poste a fondamento della motivazione della sentenza di questa Sezione n. 4394/2014: “ L'art. 1, comma 796, lettera g), della L. n. 296 del 2006 dispone, per quanto qui interessa, che le aziende farmaceutiche possono chiedere all'AIFA la sospensione, "nei confronti di tutti i propri farmaci", della misura dell'ulteriore riduzione del 5 % dei prezzi. La disposizione non prevede dunque che tale facoltà delle aziende farmaceutiche possa essere esercitata solo per taluni farmaci e sia esclusa per altri (salvo, s'intende, il rispetto delle modalità e condizioni analiticamente indicati dalla disposizione in esame). La lettera g) prevede altresì, come unico caso di decadenza dal sistema del pay-back, la mancata corresponsione, nei termini previsti, a ciascuna Regione di una rata. La limitazione disposta dall'AIFA con l'esclusione della possibilità di chiedere il beneficio in relazione ai medicinali che, non coperti più dal brevetto, sono confluiti nelle liste di trasparenza, risulta priva di copertura normativa. Infatti, non può individuarsi nella determinazione AIFA n. 26/2006 la fonte del potere di definire l'ambito di operatività di un meccanismo, quello del pay back 5%, introdotto dopo la sua adozione. L'individuazione, da parte della Det. n. 26 del 2006, dei farmaci cui non è applicabile la riduzione del prezzo al pubblico del 5% (emoderivati di origine estrattiva e da DNA ricombinante, vaccini, medicinali non inclusi nelle liste di trasparenza e con prezzo non superiore a 5 Euro), e che vengono per ciò stesso esclusi dal meccanismo alternativo del pay back, non significa anche che ad AIFA sia stato attribuito il potere di incidere ulteriormente sull'ambito di operatività del meccanismo. La disposizione della lettera h) del citato comma 796, invocata a tal fine dall'appellante, concerne la rideterminazione delle quote di spettanza dovute al farmacista e al grossista per i farmaci oggetto delle misure indicate nella lettera g), e quindi interviene a valle dell'individuazione dei farmaci cui si applica il meccanismo del pay back 5%. Anche la ricostruzione della ratio giustificativa della limitazione proposta in giudizio dall'AIFA (dare chiarezza ai prezzi, evitare la sopportazione da parte del cittadino del differenziale di prezzo per il prodotto già coperto da brevetto e incluso in lista di trasparenza, e le distorsioni della concorrenza legate al differenziale di prezzo) non convince. Le liste di trasparenza indicano in termini inequivoci sia il prezzo al pubblico che il prezzo di riferimento (ove diverso) di ciascun medicinale, così che sia il medico prescrittore, sia l'utente assistito sono in grado di conoscere le eventuali quote di compartecipazione a carico di quest'ultimo. Per quanto concerne l'aggravio di costi a carico dell'assistito, va ricordato che dagli artt. 85, comma 26, della L. n. 388 del 2000, e 7, del D.L. n. 347 del 2001, convertito dalla L. n. 405 del 2001, discende che il prezzo del farmaco generico più economico costituisce l'importo del rimborso garantito, con la conseguenza che è affidata all'utente, rivelandosi quindi neutra sul piano finanziario per il servizio sanitario, la scelta di optare per il farmaco, generico o ex brevettato, più dispendioso, compartecipando alla spesa. La scelta di usufruire della sospensione della riduzione del 5% per i farmaci a brevetto scaduto appare dunque suscettibile di danneggiare gli interessi economici delle aziende che li commercializzano, trovandosi a competere con medicinali generici dal prezzo più basso ed interamente rimborsabili, ma non lede gli interessi degli utenti, i quali sono adeguatamente tutelati dalla possibilità di scelta. Va infine negato che l'esclusione dal pay back 5% possa essere giustificata dall'esigenza di evitare l'incremento dei consumi dei farmaci ammessi al beneficio rispetto a quello degli altri farmaci, posto che un simile effetto sarebbe pur sempre legato ad una libera scelta commerciale delle aziende, e quindi denoterebbe non una distorsione ma una modalità attuativa della concorrenza ”.

7. La richiamata motivazione espone con chiarezza le ragioni che impediscono di accogliere gli argomenti di censura formulati con il ricorso in esame: non soltanto perché contiene una rigorosa ricostruzione del quadro normativo di riferimento, ma anche, e soprattutto, perché essa ha altresì analizzato efficacemente – in un’ottica sistematica - i profili applicativi dedotti come critici dall’appellante anche nel presente giudizio, concludendo nel senso della inidoneità di tali argomenti a supportare una diversa esegesi del paradigma normativo di riferimento.

A tale – condivisibile - conclusione, pertanto, il Collegio si riporta (anche per esigenze di sinteticità: art. 3, comma 2, cod. proc. amm.).

8. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e che va pertanto respinto, con conferma della sentenza di primo grado qui gravata.

Sussistono, nondimeno, giusti motivi legati alla peculiarità della vicenda sottesa al presente contenzioso per disporre, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a, l’integrale compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra le parti.

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