Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-08, n. 202302424

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-08, n. 202302424
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302424
Data del deposito : 8 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/03/2023

N. 02424/2023REG.PROV.COLL.

N. 08693/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8693 del 2018, proposto da Vibo Sviluppo S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato D C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Vibo Valentia, via Marconi 24;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, Agenzia delle Entrate - Riscossione, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Prima, n. 1536/2018.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico e dell’Agenzia delle Entrate - Riscossione;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 24 febbraio 2023 il Cons. Ugo De Carlo e udito l'Avv. Colaci Domenico per parte appellante, viste altresì le conclusioni della parte appellata come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Vibo Sviluppo S.p.A. ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe che aveva respinto il suo ricorso avverso la cartella esattoriale di intimazione pagamento somma di euro 1.680.541,24 notificata in data 12 maggio 2016.

2. Con la cartella esattoriale suindicata il Ministero dello Sviluppo Economico ha provveduto alla riscossione coattiva della somma in precedenza erogata in favore della stessa, quale quota parte del maggior contributo riconosciutole nell’ambito della rimodulazione del Patto territoriale della Provincia di Vibo Valentia di cui essa è responsabile, ai sensi del DM n. 320/2000.

La società, quale organismo pubblico responsabile del patto territoriale di Vibo Valentia, aveva richiesto, in data 20 novembre 2007, al Ministero dello Sviluppo Economico una rimodulazione del patto generalista allo scopo di riutilizzare, per la realizzazione di opere pubbliche infrastrutturali da parte di Enti locali, le risorse originariamente impegnate, ma non impiegate a seguito di rinunce/revoche.

Il Ministero, in accoglimento della istanza, con decreto n. 9803 del 28 settembre 2011, impegnava in favore della ricorrente la somma di € 8.157.938,64 funzionale alla suddetta rimodulazione così suddivisa: euro 6.526.350,91 per la realizzazione dell'opera infrastrutturale ed euro 1.631.587,73 per il mantenimento del soggetto responsabile del patto territoriale ai sensi dell'art. 3 della delibera CIPE del 17 marzo 2000, somme che poi venivano concretamente liquidate.

Con decreto n. 4407 del 27 ottobre 2014 il Ministero disponeva la parziale revoca dell’importo impegnato, riducendolo della somma di € 1.631.587,73, ritenuta non dovuta in quanto corrispondente al contributo per lo svolgimento dell’attività della Vibo Sviluppo spa, già ricompreso in quello globale di € 6.526.350,91 all’uopo maggiorato del 25% rispetto all’importo originariamente stanziato, così come previsto dall’art. 8 bis del d.l. n. 81/2007, disponendo il recupero della somma.

L’atto fu impugnato innanzi al T.a.r. per la Calabria che respinse il ricorso con la sentenza 86/2016 confermata da Consiglio di Stato con la sentenza 468/2017 oggetto di un successivo ricorso per revocazione dichiarato inammissibile con la sentenza 7016/2018.

3. La sentenza impugnata aveva affrontato innanzitutto la questione della nullità della cartella esattoriale per violazione del giudicato relativo alla sentenza del T.a.r. per la Calabria che aveva affermato come per il recupero delle somme fosse necessario annullare in autotutela anche il decreto di liquidazione perché quella sentenza era stata riformata dal Consiglio di Stato con la sentenza 468 del 3 febbraio 2017 proprio sul punto della necessità di previo annullamento del decreto di liquidazione.

Per il resto il carattere dovuto del recupero disposto con la cartella esattoriale rende del tutto irrilevanti la buona fede e l’affidamento eventualmente nutriti dalla ricorrente circa la spettanza delle somme in questione, oggetto eventualmente di future richieste risarcitorie.

4. L’appello si fonda su due motivi.

4.1. Il primo contesta la valutazione data ai motivi di ricorso espresso in primo grado dalla sentenza appellata che avrebbe anche omesso l’esame dei rilievi in fatto e diritto addotti.

A suo tempo la società non aveva impugnato la sentenza 86/2016 sul punto della necessità dell’annullamento in autotutela del decreto di liquidazione per il quale è ormai scaduto il termine alla luce dell’attuale configurazione dell’art. 21 nonies l. 241/1990 e comunque la sentenza del Consiglio di Stato non aveva modificato sul punto la pronuncia del T.a.r. In ogni caso il provvedimento di liquidazione non sarebbe annullabile in autotutela dopo oltre sette anni dalla sua emissione.

4.2. Il secondo motivo afferma che, al di là della rimozione dell’originario provvedimento di liquidazione, la società non sarebbe tenuta a restituire l'intera somma e dovrebbe trattenere quanto speso in buona fede per il mantenimento dei propri apparati negli anni 2012, 2013, 2014 e 2015.

La richiesta di restituzione della somma di € 1.631.587,73 collide con i principi espressi dall'art. 21-quinquies della l. 241/1990, che salvaguarda gli effetti già prodotti dall'atto revocato.

L’ammontare delle spese sostenute dalla Vibo Sviluppo in quegli anni ammonta a circa euro 800.000,00 e, quindi, questi importi dovranno essere trattenuti dalla società, le cui azioni sono quasi interamente nelle mani di enti pubblici.

5. Si è costituito in giudizio il Ministero dello Sviluppo Economico che ha concluso per il rigetto del ricorso, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione poiché essa apparterrebbe al giudice civile in sede di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. Inoltre la sentenza 468 del 3 febbraio 2017 del Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del decreto ministeriale n.4407 del 27 ottobre 2014 che costituisce il titolo azionato con la cartella impugnata.

6. Alla camera di consiglio del 6 dicembre 2018 veniva respinta l’istanza cautelare.

7. Preliminarmente va respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle amministrazioni appellate.

Il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado e la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione. Al fine di evitare la preclusione della questione di giurisdizione, la cui affermazione è sottesa alla decisione del merito della controversia da parte del giudice di primo grado, è necessaria l'impugnazione in appello, anche incidentale ove la parte che intenda sollevarla sia stata vittoriosa in primo grado (Cass. SS.UU. 20853/2022). Peraltro l’art. 9 c.p.a. dispone che: “ Il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione .”.

8. Nel merito l’appello è infondato.

8.1. Il primo motivo di ricorso che è divenuto primo motivo di appello in considerazione dell’asserito travisamento del suo contenuto da parte del T.a.r., si fonda sulla ritenuta non annullabilità in autotutela per decorso del termine di diciotto mesi dell’originario decreto di liquidazione del contributo del 2011 con conseguente illegittimità della cartella esattoriale emessa sulla base di un decreto di revoca del 2014 che non poteva essere emanato.

Il decreto 4407 del 27 ottobre 2014 è stato a suo tempo impugnato e non è stato annullato all’esito dei due gradi di giudizio richiamati in precedenza. E’ evidente che attraverso la sua emanazione il Ministero ha revocato parzialmente l’assegnazione disposta nel 2011 con decisione che non può essere posta nel nulla argomentando un presunto tardivo esercizio del potere di autotutela.

Inoltre all’epoca in cui è stato emesso il decreto del 2014 non era entrata in vigore la novella dell’art. 21 nonies l. 241/1990 di cui alla L: 124/2015.

Peraltro, in linea generale ed in termini dirimenti ai fini di causa, va ricordato come la giurisprudenza di questo Consiglio sia consolidata nel ritenere che la revoca del contributo pubblico costituisca un atto dovuto per l'Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti all'Erario per effetto di un'indebita erogazione di contributi pubblici quando risulti che il beneficio sia stato accordato in assenza dei presupposti di legge, essendo l'interesse pubblico all'adozione dell'atto in re ipsa quando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato (Consiglio di Stato quando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato (cfr. Consiglio di Stato, sez. V , 22 luglio 2021 , n. 5519, sez. II , 24 ottobre 2019 , n. 7246, sez. VI 16 maggio 2022 n.3825).

8.2. Il secondo motivo non è fondato poiché la revoca parziale del finanziamento è stata determinata da sopravvenienze normative quali l’art.8 bis del DL 2.7.2007, n.81 come attuato dal DM 14

dicembre 2007, che ha posto un tetto massimo della spesa che il soggetto responsabile può

sostenere, con costi a carico del bilancio pubblico, per coprire le spese di funzionamento.

Peraltro nel decreto del 2014 la revoca della parte del finanziamento non legata alla realizzazione di opere infrastrutturali nell’ambito del Patto territoriale, era avvenuta perché la Vibo Sviluppo

S.p.A. aveva già ottenuto, a valere sulle somme messe originariamente a disposizione, le risorse necessarie allo svolgimento dell’attività ed aveva altresì ottenuto l’incremento, nella misura massima del 25 %, a seguito del prolungarsi delle attività del Patto Territoriale.

9. Trattandosi di un contenzioso tra enti pubblici ritiene il Collegio che possano compensarsi le spese di giudizio del presente grado.

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