TAR Brescia, sez. II, sentenza 2022-12-03, n. 202201238
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Pubblicato il 03/12/2022
N. 01238/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00038/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 38 del 2022, proposto da
M S, rappresentato e difeso dall'avvocato E E, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, Ader - Agenzia delle Entrate - Riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via S. Caterina, 6;
per l'annullamento:
- delle Intimazioni di pagamento dell'Agenzia delle Entrate – Riscossione competente per la provincia di Mantova, con allegato “Modulo di pagamento” Pago PA, notificata ai ricorrenti a mezzo Ufficiale della riscossione il 9 – 16 novembre 2021, così indentificate: per S Massimo Documento n. 06420219000373640/000”, per S Mauro Documento n. 06420219000373539000, con le quali è stato richiesto, se non già effettuato, il pagamento, entro 5 giorni dalla notifica, della somma di Euro 16.458,75 tutte in riferimento alla Cartella AGEA n. 30020180000009474000 (nuovo numero di riferimento 06420207180077175501-02) notificata il 20/04/2018;
- nonché di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e/o conseguente nella parte in cui detti atti incidono nella sfera giuridica dell'azienda agricola ricorrente, compreso il “residuo ruolo” emesso da AGEA ai sensi del decreto-legge n. 27/2019, convertito con modificazioni dalla Legge n. 44/2019 ed ai sensi del Decreto del Decreto del Ministero delle Finanze del 22 gennaio 2020 posto a base dell'intimazione di pagamento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agea - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura e dell’Ader - Agenzia delle Entrate - Riscossione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2022 il dott. M Z e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’azienda agricola ricorrente ha impugnato le intimazioni di pagamento nn. 06420219000373640/000 e 06420219000373539/000, con la quale è stato chiesto il pagamento della somma di € 16.458,75 relativa alla presupposta cartella di pagamento n. 30020180000009474000, notificata il 20/04/2018, a titolo di prelievo supplementare e interessi per le campagne 1994/1995 e 1995/1896.
Si riportano, qui di seguito, i motivi di ricorso, per come sintetizzati dallo stesso ricorrente nell’atto introduttivo:
- (motivo I) riguarda debiti per prelievi supplementare del latte conteggiati dall’amministrazione italiana in aperta violazione dei regolamenti comunitari in materia (v., ex multis, Consiglio di Stato Sentenza n. 1311/2021, TAR Veneto, Sentenza n. 996/2020 e, da ultimo, TAR per l’Emilia Romagna – Bologna, Sentenza n. 865/2021 pubblicata il 18.10.2021):
- sia per effettuazione di compensazioni eseguite in violazione della normativa comunitaria, come ora definitivamente confermato dalla Corte di Giustizia UE con le sentenze 27 giugno 2019 in causa C-348/18 e 11 settembre 2019 in causa C-46/18;
- sia perché presuppongono illegittimamente l’esistenza di un debito certo, liquido ed esigibile per prelievo latte, nonostante lo Stato italiano non sia mai stato in grado di verificare l’effettivo superamento della quota nazionale (v. Sentenza Tribunale dell’Unione Europa del 2 dicembre 2014 in causa T-661/11 – Repubblica italiana / Commissione) e, addirittura, che in sede penale sia stato accertato che la produzione italiana è sempre stata inferiore alla quota attribuita in sede UE - v. motivo I -2;
(motivo II) attiene ad una procedura di recupero per la quale AGEA risulta decaduta ai sensi dell’art. 25, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 602/73;
(motivo III) riguarda comunque debiti per prelievo latte ampiamente prescritti;
(motivo IV) è stata emessa in base ad un ruolo totalmente illegittimo, posto che in base alle disposizioni che sovraintendono alla procedura esecutiva in materia di prelievo supplementare l’unico ruolo ammesso ai fini delle procedure di recupero del debito, è quello che deriva dall’iscrizione nel Registro Debitori (v. art. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies,
L. n. 33/09), mentre AGEA non ha utilizzato quel ruolo, ma ad altro ruolo, all’evidenza illegittimamente duplicato, sul quale non risultano conteggiati i recuperi PAC effettuati all’azienda ricorrente per il pagamento anche dei debiti intimati;inoltre si tratta di somme già trattenute e versate dal primo acquirente.
(motivo V) indicano a debito somme che risultano erroneamente iscritte a ruolo, per soli interessi, non dovuti perché ai sensi dell’art. 10, comma 34, L. n. 119/2003 per tutte le annate dal 1995/1996 al 2001/2002, non sono dovuti gli interessi sui debiti per “prelievo latte” e perché AGEA ha già recuperato per compensazione con i premi PAC liquidati all’azienda agricola ricorrente le corrispondenti somme;
(motivo VI) riguarda somme iscritte a ruolo sulla base di provvedimenti presupposti per i quali è mancata la notifica ovvero la notifica è radicalmente nulla;
(motivo VII) risulta viziata (nullità per mancanza dei requisiti essenziali) per mancata indicazione della data in cui il “residuo ruolo” formato da AGEA ex D.L. 27/19 è stato reso esecutivo;
(motivo VIII) comunque manca dei requisiti essenziali, indica a debito somme non dovute, anche per interessi di mora e “Oneri di riscossione”, e comunque già pagate, e risulta totalmente illegittima anche per difetto di motivazione, anche in ordine alla quantificazione degli interessi, anche di mora, e degli “Oneri di Riscossione” ed alla data in cui è stato reso esecutivo il “residuo ruolo” formato da AGEA ex D.L. n. 27/2019, convertito con modificazioni dalla L. n. 44/2019.
L’intimata AGEA si è costituita in giudizio per resistere al ricorso, deducendone l’infondatezza nel merito.
Successivamente, parte ricorrente, con la memoria ex art. 73 c.p.a. ha evidenziato un profilo di nullità degli atti impugnati per essere intervenuta tra le parti, nelle more del presente giudizio, la sentenza del Consiglio di Stato n. 3697/2022 che avrebbe annullato la cartella presupposta.
La causa, infine, è stata chiamata alla pubblica udienza del 19 ottobre 2022 in seno alla quale il Collegio ha rilevato d’ufficio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 73, co. 3 c.p., una possibile causa di irricevibilità del ricorso rispetto a tutti i motivi che ineriscono la cartella di pagamento presupposta.
Sviluppato sui punti sollevati d’ufficio il contraddittorio tra le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente va analizzata la questione di inammissibilità sollevata d’ufficio da questo Collegio.
L’esame della stessa non risulta impedito dalla questione sollevata da parte ricorrente con la memoria ex art. 73 c.p.a.c, nella quale, come indicato nella parte in fatto, viene chiesto che questo Giudice dia atto che, avendo la Sentenza del Consiglio di Stato n. 3697/2022 annullato la cartella di pagamento presupposta, l’intimazione di pagamento impugnata sarebbe priva del presupposto, giacché:
- dal testo della stessa non è dato evincere se il provvedimento in questione abbia annullato proprio la cartella di pagamento presupposta all’intimazione di pagamento oggetto del presente ricorso;
- qualora la cartella di pagamento fosse stata annullata il provvedimento impugnato, ossia l’intimazione di pagamento, sarebbe affetto da illegittimità sopravvenuta, quindi annullabile;
- il ricorrente, tuttavia, non ha fatto valere tale vizio proponendo apposito ricorso per motivi aggiunti, precludendo, così, a questo Giudice, pena la ultrapetizione, di esaminarlo;
- la conclusione a cui il Collegio addiviene non cambierebbe nemmeno nel caso in cui si ritenesse che l’annullamento (da provare) della presupposta cartella di pagamento concretasse una causa di nullità, per mancanza di oggetto o per difetto assoluto di attribuzione, ex art. 21 septies l. 241/1990;
- in assenza di evidenze intorno all’avvenuto annullamento della presupposta cartella di pagamento (non è dato, infatti, evincere dalla Sentenza n. 3697/2022 del Consiglio di Stato se la stessa faccia o meno riferimento alla cartella di pagamento presupposta) risulta, infatti, precluso a questo Giudice il rilievo ufficioso della causa di nullità del provvedimento impugnato;
- il ricorrente, pur avendone la disponibilità, non ha fornito gli elementi atti a consentire la riconduzione della Sentenza n. 3697/2022 alla cartella di pagamento presupposta al presente giudizio;
- questo Giudice, in assenza di uno specifico motivo di ricorso, veicolato a mezzo di ricorso per motivi aggiunti, e di una mancata allegazione da parte del ricorrente degli elementi nella sua disponibilità, non può attivare d’ufficio i suoi poteri istruttori, diversamente si sostituirebbe ad una parte, a tutto discapito dell’altra, abdicando così alla sua terzietà.
Ciò chiarito, tornando alla questione sollevata d’ufficio da questo Giudice, va osservato che l’intimazione di pagamento è atto autonomo e distinto, ancorché collegato, rispetto alla presupposta cartella di pagamento, motivo per cui la prima può essere impugnata solamente per vizi propri;i motivi di ricorso che ineriscono alla cartella di pagamento e non all’intimazione presupponente sono inammissibili, sia che si tratti di questioni già sollevate in pregressi contenziosi, di cui le parti non sono riuscite a fornire un quadro esaustivo, sia che si tratti di questioni che in tali sedi non hanno trovato veste in un motivo di gravame.
Sebbene, infatti, non operi nel processo amministrativo la regola di stampo processual-civilista per cui la statuizione del Giudice compre il dedotto ed il deducibile, il rigido sistema di termini decadenziali che governa il D. Lgs 104/2010, in piena armonia con i principi di certezza del diritto nonché della ragionevole durata del processo, non consente di far valere i motivi di ricorso che avrebbero potuto essere sollevati avverso l’atto presupposto in occasione dell’impugnazione dell’atto presupponente;l’atto presupponente, pur adottato sulla base di quanto statuito da un pregresso provvedimento, non eredita i vizi di quest’ultimo dovendosi ritenere gli stessi, qualora all’epoca non impugnati, “sanati” dal decorso del tempo.
La conseguenza in diritto è la inammissibilità del motivo di ricorso che pretende di far valere il vizio, ormai sanato, del presupposto provvedimento in occasione dell’impugnazione del consequenziale atto presupponente, non potendosi rimettere in discussione all’infinito le situazioni ormai consolidate.
Quanto detto vale sia per i motivi di illegittimità di matrice interna che per quelli di derivazione eurounitaria, come del resto precisato anche di recente dal Consiglio di Stato, proprio nella materia delle c.d. “Quote latte”;quest’ultimo, infatti, nelle ipotesi, come quella in esame, in cui l’impugnativa non sia diretta alla cartella di pagamento ma alla presupponente intimazione di pagamento, ha affermato che “gli atti inerenti a tale seconda fase (cartella esattoriale, intimazione di pagamento), pur devoluti alla giurisdizione esclusiva amministrativa ai sensi dell'art. 133 c.p.a., sono soggetti alle norme, alle preclusioni ed ai principi regolanti quella particolare procedura esecutiva rappresentata dalla riscossione mediante ruolo” e che “In disparte la qualificazione del vizio derivante dal contrasto della norma nazionale con quella comunitaria ed il connesso problema della disapplicabilità d'ufficio della prima, è dirimente considerare, ancora una volta, che tutte le questioni sollevate dalla parte appellata accedono ad una fase dell'azione amministrativa consolidatasi in atti presupposti oramai definitivi. In quanto concernenti l'an e il quantum del debito accertato dall'Autorità amministrativa nell'esercizio delle sue potestà pubbliche, le tematiche reiterate nel presente giudizio accedono a posizioni di interesse legittimo (Cass., Sez. Un., ord. nn. 31370 e 31371 del 2018) ed originano da provvedimenti autoritativi, emessi dall'Autorità amministrativa nell'esercizio delle sue potestà pubbliche, come tali soggetti al regime del termine decadenziale che rende definitivo e non più contestabile l'atto non tempestivamente impugnato” (Cons. Stato, Sez. III 17.5.22 n.3910).
Cadono, quindi, sotto la scure dell’inammissibilità i motivi I, II e IV.
Passando all’esame dei restanti motivi di ricorso si procederà seguendo l’ordine indicato dal ricorrente.
Infondato risulta il motivo di ricorso n. II. con il quale il ricorrente fa valere l’inesistenza e conseguente insanabilità della notifica consequenziale al fatto che il notificante utilizza un indirizzo di posta elettronica certificata non risultante da pubblichi elenchi.
Sul punto risulta sufficiente richiamare l’orientamento del Consiglio di Stato, rispetto al quale non vi è ragione di discostarsi, per il quale risulta “opinabile l’orientamento – invocato dall’appellante - che fa discendere la nullità della notifica nel caso di provenienza da un indirizzo diverso. Infatti, alla luce del disposto dell’art. 156, comma 3, c.p.c., “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”. Così è laddove venga impugnata direttamente la cartella esattoriale, la cui notifica è caratterizzata dal vizio in oggetto, poiché l’impugnazione del citato provvedimento è idoneo sostanzialmente a neutralizzare irrimediabilmente l’eccezione sollevata” (Consiglio di Stato, Sez. III, Sent. 4627 del 10 novembre 2020).
Quanto al motivo di ricorso n. III, con il quale il ricorrente eccepisce l’intervenuta prescrizione del credito, il Collegio lo ritiene infondato.
Al riguardo il Collegio da un lato precisa che il termine prescrizionale applicabile è quello decennale, trattandosi di somme dovute a seguito di specifici accertamenti (v. TAR Lazio Sez. II 30 gennaio 2020 n. 1320), e dall’altro lato che il dies a quo di decorrenza dello stesso è rappresentato dalla data di notificazione della presupposta cartella di pagamento.
Il Collegio, infatti, nell’analizzare il motivo di ricorso deve concentrarsi sull’arco temporale successive alla cartella di pagamento;eventuali prescrizioni, peraltro non riscontrabili nel caso di specie, rispetto a periodi pregressi, dovevano essere fatti falere impugnato tempestivamente la cartella di pagamento, emessa nel lontano 2015, rilevando nel presente giudizio, in cui si impugna l’intimazione di pagamento, solamente la prescrizione successiva all’atto interruttivo rappresentato dalla cartella presupposta (vds. Cassazione civile, sez. VI, Ord. N. 3005 del 07/02/2020).
Infondato risulta anche il motivo di ricorso n. VII, con il quale la ricorrente, sul presupposto per cui “con l’intimazione qui impugnata, quindi, è stata solo formalmente riattiva la precedente cartella AGEA, in quanto, in realtà, la stessa AdER, da atto, nella sezione intitolata “Dettaglio del debito” che viene modificato il numero della precedente cartella e che l’intimazione di basa su un nuovo ruolo, ossia sul “residuo ruolo” formato da AGEA ex D.L. 27/2019”, sarebbe stato violato l’art. 25, comma 2-bis, D.P.R. 602/73 per il quale “La cartella di pagamento contiene anche l’indicazione della data in cui è ruolo è stato reso esecutivo”.
Invero, questo Collegio ha già avuto modo di precisare che l’indicazione di un ruolo specifico dell’AGEA all’interno della cartella di pagamento è un passaggio procedimentale che ha essenzialmente un’utilità pratica, e non contraddice il valore di iscrizione a ruolo attribuito dall’art.