TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2019-02-07, n. 201901553
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Pubblicato il 07/02/2019
N. 01553/2019 REG.PROV.COLL.
N. 13092/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 13092 del 2018, proposto da:
R M M, L T, G L, V S, A P, A P, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati L F, A B, con domicilio eletto presso lo studio L F in Roma al Viale Mazzini n. 134;
contro
Azienda Unità Sanitaria Locale Viterbo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato L C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma alla via Po n. 25 b;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Fiammetta Fusco, con domicilio eletto presso gli Uffici della Avvocatura Regionale in Roma alla via Marcantonio Colonna n. 27;
per l'annullamento
della deliberazione ASL VT n. 1388 del 30.7.2018 e n.1836 del 18.10.2018 recanti esclusione dalle procedure di stabilizzazione ed annullamento deliberazione n. 1582 dell'11.9.2018 recante indizione concorso pubblico per la copertura di n. 7 posti di Dirigente Medico nella disciplina Medicina e Chirurgia d'accettazione e d'urgenza, nonchè della deliberazione n. 1661 del 26.9.2018 di indizione dell'“avviso pubblico per titoli, quiz e colloquio” per affidamento incarichi a tempo determinato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Unità Sanitaria Locale Viterbo e di Regione Lazio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2019 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I ricorrenti prestano tutti servizio da diversi anni presso la ASL di Viterbo, nel settore della medicina e chirurgia di accettazione ed urgenza, con contratti di natura flessibile (collaborazione coordinata e continuativa) da sempre stipulati in assenza di una previa procedura selettiva.
Con deliberazione n. 1186 del 10 luglio 2018 la ASL di Viterbo avviava la ricognizione del personale potenzialmente interessato dalle procedure di stabilizzazione di cui all’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 (stabilizzazione diretta mediante assunzione ai sensi del comma 1 oppure indiretta, ai sensi del successivo comma 2, mediante riserva del 50% dei posti messi a concorso).
Ritenendo di avere i requisiti (in particolare: anzianità di servizio e contratti flessibili) per accedere alla stabilizzazione indiretta o mediata, ossia attraverso riserva dei posti da mettere a concorso, gli interessati presentavano la propria dichiarazione sostitutiva come da citata delibera del 10 luglio 2018.
Con determinazione n. 1388 del 30 luglio 2018 i ricorrenti non venivano tuttavia inseriti nell’elenco dei soggetti ammessi alla ridetta procedura di stabilizzazione. Tale esclusione trovava conferma nella successiva delibera n. 1836 del 18 ottobre 2018.
Nel frattempo, con deliberazione n. 1582 in data 11 settembre 2018 veniva indetto pubblico concorso – senza riserva di posti per coloro che rientrino potenzialmente nel processo di stabilizzazione di cui al citato comma 2 dell’art. 20 – per la copertura di n. 7 posti di dirigente medico nella disciplina medicina e chirurgia di accettazione e di urgenza.
Sia il provvedimento di esclusione dalla procedura di stabilizzazione, sia il provvedimento di indizione del pubblico concorso (integralmente aperto all’esterno e senza riserva di posti per eventuali stabilizzandi) venivano impugnati per i motivi di seguito sintetizzati:
a) violazione dell’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 ed eccesso di potere sotto il profilo della erronea valutazione dei presupposti dal momento che l’intimata amministrazione non si sarebbe avveduta del fatto che i ricorrenti sono tutti in possesso dei requisiti (ossia: anzianità triennale e titolarità di contratti flessibili) prescritti dalla richiamata disposizione onde poter essere ammessi alla procedura di stabilizzazione c.d. mediata (riserva di posti all’interno di pubblico concorso);
b) violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 in quanto non sarebbero state in alcun modo specificate le ragioni per cui i ricorrenti sarebbero stati esclusi dalla ridetta procedura di stabilizzazione;
c) eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà dal momento che in un prima fase (delibera in data 10 luglio 2018) l’azienda sanitaria avrebbe dato avvio alle ridette procedure di stabilizzazione a “tutto il personale precario” senza distinzione alcuna, in questo modo autovincolandosi nei riguardi di tutti coloro che risultavano in possesso dei requisiti a tal fine prescritti (e tra questi anche i ricorrenti per le ragioni sopra esposte), per poi ritornare sui propri passi senza tuttavia esplicitarne le necessarie motivazioni di base.
Si costituivano in giudizio le intimate amministrazioni sanitarie e regionali, tutte per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione. Si faceva in ogni caso presente che, ai fini della ammissione alla ridetta procedura di stabilizzazione, sarebbe stato altresì necessario il diploma di specializzazione postuniversitario, titolo di cui i ricorrenti erano tuttavia sprovvisti. Di qui la loro esclusione dalla procedura medesima.
Con successiva memoria di udienza – depositata in data 11 gennaio 2019 – la difesa di parte ricorrente lamentava nella sostanza la presenza di ulteriori profili di illegittimità qui di seguito indicati:
d) violazione dell’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 nella parte in cui l’ASL avrebbe preteso il possesso di taluni requisiti, ossia la specializzazione nella specifica disciplina (medicina e chirurgia d’urgenza), non altrimenti ivi previsti. Né sarebbe stato possibile ottenere la predetta specializzazione trattandosi di corso avviato, per la prima volta, soltanto nell’anno 2009.
Resisteva avverso tali ulteriori doglianze l’ASL di Viterbo.
Alla pubblica udienza del 15 gennaio 2019 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione.
Va innanzitutto premesso in punto di giurisdizione, come anche di recente affermato dalla sezione terza- ter di questo Tribunale amministrativo nella decisione n. 845 del 22 gennaio 2019, che il meccanismo di stabilizzazione del personale precario della PA, da ultimo previsto dall’art. 20 del citato decreto legislativo n. 75 del 2017 ed applicato anche al personale dirigente del servizio sanitario per effetto di quanto estensivamente previsto dal comma 11 della medesima disposizione, è suddiviso in due binari: a) una stabilizzazione diretta , effettuata ossia senza il ricorso a procedure concorsuali e riservata a coloro che sono in possesso di determinati requisiti (previo reclutamento mediante procedura concorsuale, titolarità contratto a tempo determinato e minima anzianità di servizio);b) una stabilizzazione mediata dal superamento di una procedura concorsuale nell’ambito della quale una certa aliquota dei posti disponibili (aliquota non superiore al 50%) è per l’appunto riservata a coloro che sono in possesso di ben altri requisiti (titolarità contratti flessibili e anzianità minima di servizio, ossia che non sono entrati in rapporto con la PA per il tramite di una previa procedura selettiva). Nel primo caso si chiede “l’accertamento di alcuni presupposti oggettivi in capo agli interessati, senza che sussista lo spazio per l’apertura di procedure selettive e per la formazione di corrispondenti graduatorie, nonché per la formulazione di valutazioni discrezionali attinenti ai requisiti e al merito riconducibili a ciascun candidato”: di qui la giurisdizione dell’AGO, data l’assenza di qualsivoglia procedura selettiva da intraprendere al fine di stabilizzare il predetto personale precario. Nel secondo caso, ove “la necessità del percorso selettivo si giustifica” in quanto si tratta di “procedure di stabilizzazione rivolte a soggetti che non siano stati in precedenza assunti mediante prove di tipo concorsuale”, poiché ci si trova dinanzi ad una vera e propria “procedura concorsuale” – necessaria sì, in questo caso, per consentire l’accesso in via stabile del personale precario – la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo.
Tanto premesso, la fattispecie in esame è senz’altro ascrivibile a questa seconda ipotesi, venendo in rilievo il mancato inserimento dei ricorrenti nell’ambito delle procedure di stabilizzazione ai sensi del citato comma 2 dell’art. 20, da espletare ossia sulla base di una determinata procedura concorsuale.
Nel merito si osserva che:
01. Il thema decidendum consiste nello stabilire se, ai fini della ammissione alla stabilizzazione mediata di cui all’art. 20, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017 (ossia attraverso riserva dei posti da mettere a concorso) siano sufficienti i soli requisiti prescritti dalla norma medesima (anzianità triennale e titolarità di contratti flessibili con la PA, secondo la tesi della difesa di parte ricorrente) oppure sia altresì necessario lo specifico titolo di studio (specializzazione nella disciplina per cui si concorre) previsto dal DPR n. 483 del 1997 ai fini dell’accesso alla dirigenza medica (tesi della resistente amministrazione sanitaria). Specializzazione di cui pacificamente sono sprovvisti tutti gli odierni ricorrenti.
Va rammentato in linea generale come la regola di accesso al pubblico impiego sia data dal concorso, ai sensi dell’art. 97, e che la stabilizzazione costituisca soltanto “istituto di carattere eccezionale e derogatorio dalle ordinarie modalità di accesso” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2716). Da tanto discende che tali amministrazioni non sono affatto vincolate all’utilizzo di tali strumenti, sicché, correlativamente, non esiste alcun diritto dell’interessato ad ottenere la stabilizzazione ma, unicamente, un’aspettativa di mero fatto (cfr., T.A.R. Piemonte, sez. II, 9 novembre 2011, n. 1184;T.A.R. Catanzaro, sez. II, 7 marzo 2011, n. 332;TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, n. 4731 del 6 maggio 2009;TAR Veneto, sez. II, n. 3342 del 19 ottobre 2007).
In disparte quanto precede va in ogni caso osservato come i requisiti specificamente previsti dal comma 2 dell’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 (ossia titolarità di contratti flessibili e anzianità minima di servizio, requisiti nel caso di specie pacificamente posseduti) sono unicamente preordinati ad avere titolo alla c.d. “riserva di posti” e non anche ad assorbire o superare gli altri requisiti di carattere generale che debbono pur sempre essere posseduti da tutti coloro che – a titolo di riserva o meno – intendono comunque accedere alla procedura concorsuale per il reclutamento di dirigenti di primo livello del servizio sanitario. E tanto in ragione della assenza di una espressa deroga in ordine ai predetti requisiti di ordine generale, in favore dei medesimi stabilizzandi, ad opera della citata disposizione di cui all’art. 20.
Occorre in altre parole distinguere tra presupposti specifici per accedere alla stabilizzazione mediata (titolarità contratti flessibili e anzianità minima di servizio), la sussistenza dei quali comporta la sola idoneità ad aspirare alla quota di riserva, e presupposti generali per accedere al concorso nel cui ambito si sviluppa altresì il procedimento di stabilizzazione (requisiti generali ex art. 1 del DPR n. 483) la sussistenza dei quali costituisce in ogni caso elemento indefettibile che deve essere presente in capo a tutti i partecipanti (riservatari o meno).
Di qui la persistente necessità di siffatti requisiti generali, appositamente previsti dal citato art. 1 del DPR n. 483 del 1997 e tra i quali rientra altresì il possesso dello specifico titolo di studio, onde accedere alle ridette procedure concorsuali non solo per i non riservatari ma anche per i riservatari (stabilizzandi).
1. Tanto doverosamente premesso, con il motivo sub a) si lamenta la violazione dell’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 ed eccesso di potere sotto il profilo della erronea valutazione dei presupposti dal momento che l’intimata amministrazione non si sarebbe avveduta del fatto che i ricorrenti sono tutti in possesso dei requisiti prescritti dalla richiamata disposizione (anzianità triennale e titolarità di contratti flessibili) onde poter essere ammessi alla procedura di stabilizzazione mediata.
In aggiunta a quanto già rilevato al punto che precede, il motivo è comunque infondato ove soltanto si consideri che la prima delibera ricognitiva n. 1186 del 10 luglio 2018 aveva espressamente richiamato (cfr. pag. 3, primo “PRECISATO”) la circolare Regione Lazio n. 322059 del 2018 con particolare riguardo ai requisiti da possedere ai fini della ridetta stabilizzazione. Ebbene tale circolare richiama a sua volta [paragrafo 4.b., lettera d)] anche i criteri previsti dal DPR n. 483 del 1997 per la dirigenza e, tra questi, proprio quello del titolo di studio specifico per l’accesso alle rispettive carriere [art. 1, comma 1, lettera c), del DPR n. 483]. Di qui la correttezza dell’operato della PA nella parte in cui si è pedissequamente attenuta a quanto previsto dal richiamato atto di indirizzo regionale il quale – si osserva sin da subito – non ha neppure formato oggetto di tempestiva e puntuale contestazione sul punto controverso. Di qui ancora il rigetto della specifica censura;
2. Con il motivo sub b) si lamenta la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 in quanto non sarebbero state in alcun modo specificate le ragioni per cui i ricorrenti sarebbero stati esclusi dalla ridetta procedura di stabilizzazione.
Anche tale censura è infondata ove soltanto si consideri che la successiva delibera n. 1388 del 30 luglio 2018, nell’approvare l’allegato elenco degli ammessi alla procedura di stabilizzazione, richiama la predetta circolare regionale n. 322059 del 2018 nonché il DPR n. 483 del 1997 anche ai fini dei requisiti più generali da possedere onde accedere al suddetto meccanismo di stabilizzazione.
Di qui la sussistenza di un sufficiente, seppure sintetico ed evincibile per relationem , substrato motivazionale, atteso che i richiami normativi sopra detti risultavano già idonei a sostenere la esclusione dei medesimi ricorrenti per carenza del prescritto titolo di studio (specializzazione in medicina e chirurgia d’urgenza).
Da quanto detto deriva il rigetto, altresì, di tale specifica censura;
3. Con il motivo sub c) si lamenta il vizio di eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà dal momento che in un prima fase (delibera in data 10 luglio 2018) l’azienda sanitaria avrebbe dato avvio alle ridette procedure di stabilizzazione a “tutto il personale precario” senza distinzione alcuna, in questo modo autovincolandosi nei riguardi di coloro che risultavano in possesso dei requisiti a tal fine prescritti (e tra questi anche i ricorrenti per le ragioni sopra esposte), per poi ritornare sui propri passi senza tuttavia esplicitarne le relative motivazioni di base.
Anche tale motivo deve essere rigettato in quanto la delibera n. 1186 del 10 luglio 2018, la quale assume peraltro natura meramente ricognitiva e non costitutiva (dunque insuscettibile in linea di massima di configurare posizioni di legittimo affidamento, atteso che ci si rivolgeva ai soggetti soltanto “potenzialmente” interessati dalla ridette procedure di stabilizzazione), prevedeva sì l’avvio delle procedure di stabilizzazione ma pur sempre nel rispetto di quanto previsto dalla richiamata circolare n. 322059 del 2018 nonché dal DPR n. 483 del 1997, quanto agli ulteriori requisiti di partecipazione (e dunque anche con riguardo al titolo specialistico in argomento). Di qui l’assenza del lamentato vizio di contraddittorietà atteso che, seppure in via implicita e indiretta, il requisito dello specifico titolo di studio (specializzazione medicina d’urgenza) era comunque stato tenuto ben presente dalla intimata amministrazione sanitaria sin dalle prime battute, a partire ossia dalla adozione della delibera n. 1186 del 10 luglio 2018.
Di qui ancora il rigetto, altresì, di tale specifica censura;
4. Con il motivo sub d), introdotto soltanto con memoria integrativa depositata in data 11 gennaio 2019, si lamenta la violazione dell’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 nella parte in cui l’ASL avrebbe preteso il possesso di taluni requisiti, ossia la specializzazione nella specifica disciplina (medicina e chirurgia d’urgenza), non altrimenti ivi previsti. Si lamenta altresì l’irragionevolezza di una tale pretesa atteso che non sarebbe stato in ogni caso possibile ottenere la predetta specializzazione, trattandosi di corso avviato per la prima volta nell’anno 2009.
La censura si appalesa inammissibile sotto un duplice profilo: in primo luogo perché, anche a voler ammettere che la difesa di parte ricorrente abbia avuto cognizione di tale fattore ostativo (mancata ammissione alla stabilizzazione per assenza requisiti titolo studio ossia del titolo specialistico) soltanto in occasione della costituzione da parte della difesa ASL, la stessa avrebbe allora dovuto formulare rituale atto di motivi aggiunti ai sensi dell’art. 43 c.p.a. e non limitarsi ad enunciare determinati profili di ritenuta illegittimità con semplice memoria di udienza (con cui viene nella sostanza irritualmente introdotto un nuovo e per l’appunto inammissibile motivo di gravame);in secondo luogo perché la circolare regionale n. 322059 del 2018 (che richiama espressamente il DPR n. 483 del 1997 ai fini della stabilizzazione di cui in questa sede si controverte) non è mai stata formalmente impugnata né con il ricorso introduttivo né successivamente con ulteriore formale atto di gravame.
A ciò si aggiunga che la censura sarebbe in ogni caso irricevibile in quanto solo tardivamente formulata rispetto ad una chiara previsione in tal senso (obbligo possesso requisiti DPR n. 483 e dunque anche del titolo specialistico) già a partire dalla delibera in data 10 luglio 2018 e comunque non più tardi di quella poi adottata il successivo 30 luglio 2018 (cfr. parte dispositiva di tale ultimo provvedimento).
Di qui il rigetto altresì della specifica censura.
In conclusione il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con compensazione in ogni caso delle spese di lite stante la peculiarità delle questioni partitamente esaminate.