TAR Brescia, sez. II, sentenza 2013-04-02, n. 201300307

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Brescia, sez. II, sentenza 2013-04-02, n. 201300307
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Brescia
Numero : 201300307
Data del deposito : 2 aprile 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00004/2001 REG.RIC.

N. 00307/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00004/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4 del 2001, proposto da:
G A, erede di Granata Giuseppe, rappresentato e difeso dall'avv. A L, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Solferino 10;

contro

COMUNE DI DESENZANO DEL GARDA, REGIONE LOMBARDIA, non costituitisi in giudizio;

nei confronti di

G G MCHELE, rappresentato e difeso dall'avv. M B, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, viale Stazione 37;

GIRELLI PATRIZIA MARGHERITA, GIRELLI MARIA GABRIELLA, non costituitesi in giudizio;

per l'annullamento

- del provvedimento dell’assessore all’Urbanistica prot. n. 251 del 20 febbraio 1985, con il quale sono stati autorizzati i lavori di manutenzione della tettoia situata in viale Marconi;

- della deliberazione consiliare n. 165 del 3 ottobre 1997, con la quale è stato adottato il piano di recupero presentato dai fratelli Girelli relativamente a una porzione di edificio situata nel centro storico in via Marconi 58;

- della deliberazione consiliare n. 101 dell’11 settembre 1998, con la quale è stato approvato in via definitiva il predetto piano di recupero;

- della deliberazione consiliare n. 42 del 31 marzo 2000, con la quale è stata autorizzata la monetizzazione delle aree a standard previste nel piano di recupero;

- del provvedimento del dirigente del Servizio Urbanistica della Regione prot. n. 14074 del 16 aprile 1998, con il quale è stato espresso parere favorevole con prescrizioni sul piano di recupero;

- della DGR n. 6/45017 del 5 agosto 1999, con la quale la Regione ha approvato il piano di recupero;

- della nota del dirigente del Servizio Urbanistica della Regione del 14 marzo 2000, con la quale è stata archiviata l’osservazione sul piano di recupero presentata dal dante causa del ricorrente;

- della concessione edilizia in sanatoria n. 1554 del 3 ottobre 2000 relativa alla tettoia poi demolita nell’ambito del piano di recupero;

- della concessione edilizia n. 9216 del 4 ottobre 2000 relativa alla realizzazione di un edificio commerciale in via Marconi nell’ambito del piano di recupero;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Giorgio Michele Girelli;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2013 il dott. Mauro Pedron;

Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente G G, al quale è subentrato in corso di causa il signor A G, ha promosso il presente giudizio con atto notificato il 18 dicembre 2000 e depositato il 3 gennaio 2001 per ottenere l’annullamento di una serie di provvedimenti del Comune di Desenzano del Garda e della Regione, con i quali i controinteressati sono stati autorizzati a costruire un edificio commerciale nell’ambito di un piano di recupero, previa sanatoria e demolizione di una tettoia abusiva. I fabbricati del ricorrente e dei controinteressati sono confinanti e si trovano lungo via Garibaldi e via Marconi, in zona A (centro storico).

2. Il piano di recupero, adottato e approvato dal Comune rispettivamente con deliberazione consiliare n. 165 del 3 ottobre 1997 e con deliberazione consiliare n. 101 dell’11 settembre 1998, e poi approvato dalla Regione con DGR n. 6/45017 del 5 agosto 1999, ha previsto la demolizione di una porzione di fabbricato produttivo e la realizzazione di un edificio commerciale dotato di autorimessa interrata. Il nuovo edificio è progettato su un sedime parzialmente diverso, mediante accorpamento di volumi. La superficie coperta rispetta il limite dei 2/3 di quella originaria stabilito dal piano particolareggiato del centro storico, ed è stata calcolata includendo una tettoia abusiva di 93,35 mq.

3. Il Comune con deliberazione consiliare n. 42 del 31 marzo 2000 ha autorizzato la monetizzazione delle aree a standard previste nel piano di recupero. In data 3 ottobre 2000 è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria relativa alla tettoia abusiva, che nel frattempo era stata demolita in vista dell’attuazione del piano di recupero. La realizzazione dell’edificio commerciale previsto dal piano di recupero è stata assentita mediante concessione edilizia del 4 ottobre 2000.

4. Le censure mosse nel ricorso a questo intervento edilizio si possono così sintetizzare: (i) insufficiente valutazione delle osservazioni presentate dal ricorrente, con particolare riferimento al problema dell’effettiva preesistenza della tettoia;
(ii) difetto di istruttoria relativamente alla data di costruzione della tettoia, che la dante causa dei controinteressati ha dichiarato anteriore al 1966;
(iii) violazione della distanza minima dal confine, essendo la tettoia a circa 2,5 metri dalla parete finestrata dell’edificio di proprietà del ricorrente;
(iv) erronea individuazione della superficie della tettoia condonata;
(v) erronea inclusione della tettoia nella superficie coperta utilizzabile per la realizzazione del nuovo edificio commerciale;
(vi) erronea esclusione dell’autorimessa interrata dalla superficie lorda di pavimento (e quindi dal limite volumetrico), essendo inapplicabile la deroga prevista dall’art. 9 della legge 24 marzo 1989 n. 122;
(vii) violazione dell’art. 9 comma 1 del DM 2 aprile 1968 n. 1444 relativamente alla parte del nuovo edificio sopraelevata rispetto alla preesistente tettoia;
(viii) erronea rappresentazione dello stato di fatto, in quanto la tettoia è stata demolita dai controinteressati prima dell’approvazione del piano di recupero;
(ix) mancata riapprovazione del piano di recupero una volta autorizzata la monetizzazione delle aree a standard;
(x) introduzione di variazioni essenziali al piano di recupero in occasione del rilascio della concessione edilizia;
(xi) violazione delle prescrizioni regionali, in quanto la pensilina prevista dal progetto originario e bocciata dalla Regione è stata sostituita da una copertura a sbalzo che avrebbe ingombro addirittura superiore.

5. Il Comune e la Regione non si sono costituiti in giudizio. Si è invece costituito uno dei controinteressati chiedendo la reiezione del ricorso ed eccependone la tardività, con particolare riferimento agli atti a monte della concessione edilizia.

6. In corso di causa è sopravvenuto il PGT, che non ha riprodotto il contenuto del piano di recupero. Questa circostanza tuttavia non è idonea a far cadere l’interesse a una pronuncia di merito, in quanto la posizione dei controinteressati è fondata su diritti edificatori ormai definitivi, salvo l’esito della presente impugnazione. Sulla possibilità per i controinteressati di ultimare l’intervento edilizio oltre i termini stabiliti in origine e poi prorogati dovrà pronunciarsi in primo luogo l’amministrazione comunale, che terrà conto di tutti gli elementi del caso concreto.

7. Sulle questioni proposte nel ricorso si possono formulare le seguenti considerazioni:

Relativamente all’eccezione di tardività

(a) l’obiettivo processuale del ricorrente è di far cadere il presupposto che sorregge l’operazione edilizia, ossia il computo della tettoia abusiva nella superficie coperta originaria. Se la tettoia non poteva essere condonata, non poteva neppure contribuire a formare i diritti edificatori confluiti nel nuovo edificio commerciale: di conseguenza dovrebbero essere drasticamente ridotte le dimensioni di tale edificio e a cascata anche quelle dell’autorimessa pertinenziale. L’impostazione del ricorso consente di superare l’eccezione di tardività mossa dai controinteressati, in quanto l’impugnazione di atti risalenti nel tempo è funzionale alla richiesta di sradicare il risultato finale dell’edificazione, la cui lesività è pienamente apprezzabile solo una volta acquisito il progetto allegato alla concessione edilizia;

(b) peraltro la circostanza che il ricorrente abbia impugnato a valle l’intervento edilizio, nella sua versione finale, omettendo l’impugnazione tempestiva dei singoli provvedimenti attraverso i quali l’intervento è stato reso possibile, non è senza conseguenze per quanto riguarda l’ampiezza degli argomenti proponibili. Cadono infatti tutte le censure di natura formale o procedimentale relative agli atti presupposti, in quanto l’eventuale accoglimento delle stesse avrebbe comportato, in caso di impugnazione tempestiva, un supplemento di procedura con una nuova valutazione da parte del Comune o della Regione ma non l’accoglimento della tesi del ricorrente circa l’impraticabilità dell’intervento edilizio. Poiché si è invece arrivati al provvedimento finale (la concessione edilizia), rimangono attuali solo le censure di natura sostanziale, ossia quelle focalizzate sul contenuto dei diritti edificatori dei controinteressati;

Sul condono della tettoia abusiva

(c) il punto da cui occorre partire è quindi la data di realizzazione della tettoia. Nel provvedimento di sanatoria del 3 ottobre 2000 si prende atto che la tettoia è stata realizzata prima del 1 settembre 1967, ossia prima dell’entrata in vigore della legge 6 agosto 1967 n. 765, come dichiarato dalla dante causa dei controinteressati nella domanda di condono presentata il 18 settembre 1986. L’ipotesi di condono utilizzata dal Comune è pertanto quella disciplinata dall’art. 31 comma 5 della legge 28 febbraio 1985 n. 47. In questo caso la sanatoria è assoggettata al pagamento dell’oblazione ma non del contributo di concessione, dovuto invece per le opere abusive realizzate tra il 1 settembre 1967 e il 1 ottobre 1983;

(d) a proposito dell’epoca di realizzazione della tettoia il Comune non ha svolto alcun approfondimento (ad esempio attraverso le aerofotogrammetrie) e dunque non è possibile stabilire se l’opera sia effettivamente anteriore al 1 settembre 1967;

(e) esiste però un elemento che avvicina notevolmente la presenza della tettoia alla data del 1 ottobre 1983, utile per beneficiare del condono alle condizioni ordinarie e quindi con pagamento del contributo di concessione. Si tratta del provvedimento dell’assessore all’Urbanistica del 20 febbraio 1985, con il quale sono stati autorizzati lavori di manutenzione straordinaria sulla tettoia. Questo provvedimento dimostra l’esistenza della tettoia. La retrodatazione della costruzione a un momento anteriore al 1 ottobre 1983 può essere raggiunta in via presuntiva considerando (1) il carattere pertinenziale del manufatto rispetto all’attività produttiva, (2) il dato di comune esperienza secondo cui una manutenzione straordinaria interviene a una certa distanza temporale dalla costruzione, (3) la necessità di interpretare i casi dubbi a favore del soggetto che chiede il condono (v. TAR Brescia Sez. II 10 maggio 2012 n. 825;
TAR Brescia Sez. I 22 novembre 2010 n. 4664);

(f) il fatto che la tettoia si trovasse a circa 2,5 metri dalla parete finestrata dell’edificio di proprietà del ricorrente non impediva la concessione del condono. Gli immobili sono infatti collocati in zona A, all’interno della quale in base all’art. 9 del DM 2 aprile 1968 n. 1444 non vige la regola della distanza minima di 10 metri. Occorre poi sottolineare che la sanatoria è comunque ammissibile quando sia accompagnata dal vincolo della traslazione del volume e della superficie oggetto di condono allo scopo di conseguire un complessivo riordino del comparto (v. TAR Brescia Sez. II 8 maggio 2012 n. 788). Questa condizione nel caso in esame si è realizzata, in quanto la tettoia è stata assoggettata a condono esclusivamente per recuperarne la superficie e riversarla nel nuovo intervento edilizio regolato dal piano di recupero, con il coinvolgimento di un sedime in parte diverso da quello originario. Il punto di osservazione del problema delle distanze si trasferisce in questo modo dall’opera abusiva storica alla nuova disciplina del piano di recupero. In proposito si osserva che la possibilità di variare il sedime è implicita nella previsione dell’obbligo di piano di recupero, e costituisce del resto una facoltà normalmente ricompresa nella nozione di ristrutturazione edilizia pesante di cui all’art. 10 comma 1-c del DPR 6 giugno 2001 n. 380 (v. TAR Brescia Sez. II 7 aprile 2011 n. 525);

(g) la prospettiva dell’utilizzo della superficie della tettoia a vantaggio di un nuovo edificio consente di completare la procedura di condono anche se nel frattempo il manufatto sia stato rimosso. Normalmente infatti l’esistenza materiale dell’opera abusiva è un presupposto per la condonabilità della stessa (v. TAR Brescia Sez. I 12 ottobre 2009 n. 1741), ma se la demolizione era già stata in precedenza valutata e autorizzata in un provvedimento edilizio, o in un piano urbanistico almeno adottato, il diritto edificatorio corrispondente all’abuso si può considerare ormai scorporato dall’opera materiale e acquisito al patrimonio giuridico del proprietario del terreno, subordinatamente al rilascio del provvedimento formale di condono;

Relativamente al piano di recupero

(h) per quanto riguarda poi il problema delle distanze all’interno di un piano di recupero situato in zona A, parimenti non vige la regola della distanza minima di 10 metri dalle pareti finestrate, in analogia a quanto previsto per i piani particolareggiati relativi al centro storico. I piani particolareggiati hanno infatti ampi margini di discrezionalità per disciplinare direttamente questi profili (v. TAR Brescia Sez. I 29 settembre 2009 n. 1712) ma possono anche rimettere le scelte di dettaglio ai singoli piani di recupero fissando solo alcune disposizioni generali, come è avvenuto nel caso in esame. L’unico limite per la zona A desumibile dall’art. 9 del DM 2 aprile 1968 n. 1444 è che non sia aggravata la situazione esistente, cosa che in concreto non sembra essersi verificata;

(i) circa gli aspetti propriamente qualitativi della progettazione, e in particolare sul disturbo che il nuovo edificio arreca a quello del ricorrente e sulla possibilità di individuare soluzioni di maggiore pregio urbanistico, si tratta di questioni che si collocano ai limiti della sindacabilità nel processo amministrativo. La commissione edilizia nel parere del 3 aprile 2000 ha considerato soddisfacenti le controdeduzioni elaborate per conto dei controinteressati dall’ing. A L. Tale valutazione non presenta profili di irragionevolezza, e in definitiva non sembra che il Comune autorizzando l’intervento edilizio abbia favorito una parte procurando un danno ingiusto all’altra. Le soluzioni urbanistiche alternative avrebbero infatti comportato sacrifici non necessari per la proprietà dei controinteressati, e la gronda del nuovo edificio non sembra idonea a provocare un oscuramento intollerabile del primo piano del ricorrente, mentre per quanto riguarda il piano terra, effettivamente oscurato, una concausa rilevante è il muro di confine posto a breve distanza;

(j) la superficie della tettoia trasferita nel nuovo intervento edilizio è pari a 93,35 mq, mentre la superficie indicata nella domanda di condono era pari a 87,50 mq e quella riportata sull’elaborato tecnico allegato alla suddetta domanda era pari a 85 mq. Le differenze sono certamente significative, ma non implicano che le misure del progetto siano sbagliate o non veritiere. In realtà la misurazione effettuata ai fini del condono è diretta a stabilire se siano rispettati i limiti di legge entro cui la sanatoria è ammissibile e a individuare gli importi a carico del richiedente. Quando la superficie condonata deve essere traslata e riutilizzata valgono le normali regole della progettazione, ossia è richiesta una più accurata misurazione dell’opera mediante i punti fiduciali per armonizzarne i valori a quelli degli edifici confinanti;

Sui parcheggi pertinenziali

(k) l’autorimessa interrata supera la dotazione minima prevista dall’art. 41- sexies comma 1 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, in quanto il PRG impone per i parcheggi pertinenziali a edifici commerciali un rapporto molto più elevato, a garanzia dell’accessibilità della struttura e della fluidità del traffico. Tutti i parcheggi dell’autorimessa sono stati sottoposti a vincolo di pertinenzialità con scrittura privata autenticata del 14 settembre 2000, alcuni in collegamento con il nuovo edificio commerciale e gli altri in collegamento con le unità abitative esistenti;

(l) essendo stato costituito un vincolo di pertinenzialità, la quota di parcheggi eccedente il minimo di legge non deve essere computata nella superficie lorda di pavimento e nella volumetria dell’intervento edilizio. L’art. 9 comma 1 della legge 122/1989 consente infatti la realizzazione di parcheggi pertinenziali anche in deroga alle norme urbanistiche. Pertanto, indipendentemente dalle dimensioni, questo tipo di parcheggi non consuma gli indici edificatori stabiliti dagli strumenti urbanistici, mentre il superamento della misura minima di legge è rilevante solo in quanto determina il passaggio dalla gratuità all’onerosità del titolo edilizio (v. TAR Brescia Sez. II 23 agosto 2012 n. 1454). L’art. 1 comma 1 della LR 19 novembre 1999 n 22, con una disposizione chiarificatrice, precisa che il concetto di pertinenza è applicabile anche agli immobili non residenziali;

(m) la normativa sopravvenuta (v. art. 69 della LR 11 marzo 2005 n. 12) ha incrementato ulteriormente il favore verso la realizzazione di parcheggi introducendo un principio generale di gratuità e abbandonando il requisito della pertinenzialità. Tale normativa non è qui direttamente applicabile ma fornisce una prospettiva anche per l’interpretazione delle disposizioni anteriori, e suggerisce in particolare di dare la massima estensione possibile alla volontà legislativa di facilitare l’inserimento di nuovi parcheggi;

Sugli atti successivi al piano di recupero

(n) la monetizzazione delle aree a standard autorizzata dal Comune con la deliberazione consiliare n. 42/2000 non riguarda l’impostazione del piano di recupero ma l’attuazione concreta dello stesso in un aspetto che per quanto significativo rimane pur sempre di dettaglio. Si tratta infatti di circa 140 mq che i controinteressati avrebbero dovuto cedere per la realizzazione di parcheggi pubblici. La suddetta deliberazione espone adeguatamente gli inconvenienti della localizzazione di questi parcheggi (difficoltà di accesso e pericolosità a causa della vicinanza di un incrocio con semaforo). L’unico profilo rilevante è la viabilità comunale, non sono coinvolti interessi sovracomunali. Di conseguenza non era necessario ripetere l’intero percorso di approvazione del piano di recupero;

(o) le innovazioni introdotte con la concessione edilizia modificano aspetti secondari del piano di recupero (ripartizione interna dell’autorimessa interrata, forma dello scivolo, spostamento del vano scale e del vano ascensore). Questi lavori non costituiscono variazioni essenziali (v. confronto con l’elenco di cui all’art. 54 della LR 12/2005), e dunque rappresentano scostamenti rispetto al piano di recupero che l’art. 1 comma 2 della convenzione urbanistica stipulata dai controinteressati il 9 maggio 2000 consente di autorizzare direttamente tramite concessione edilizia.

8. In conclusione il ricorso deve essere respinto. La complessità di alcune questioni consente la compensazione delle spese di giudizio.

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