TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-09-18, n. 202416452

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-09-18, n. 202416452
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202416452
Data del deposito : 18 settembre 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/09/2024

N. 16452/2024 REG.PROV.COLL.

N. 12142/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12142 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato L B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Presidenza della Repubblica, non costituito in giudizio;

Ministero dell'Interno, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

a) del Decreto del Presidente della Repubblica, prot. -OMISSIS-, del 23 maggio 2022, notificato in data 14 luglio 2022, con il quale è stato annullato il precedente Decreto del Presidente della Repubblica del 13 novembre 2015 di concessione della cittadinanza italiana;

b) di ogni atto presupposto, preparatorio, consequenziale e, comunque, connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2024 la dott.ssa A G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I. – Il ricorrente impugna il decreto del Presidente della Repubblica del 23 maggio 2022, con cui è stato annullato il precedente decreto del Presidente della Repubblica di concessione della cittadinanza, emesso in data 13 novembre 2015 nei confronti del ricorrente.

A fondamento del provvedimento impugnato l’Amministrazione ha rappresentato che il decreto di concessione della cittadinanza, già emanato in favore del ricorrente, “ è divenuto oggetto del procedimento penale presso il Tribunale di Roma (n. -OMISSIS- R.G.N.R. PM e n. -OMISSIS- R.G. Ufficio G.I.P.-G.U.P.), … instaurato a seguito dell’indagine compiuta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, volta ad accertare l’avvenuta definizione favorevole, pur in presenza di gravi elementi ostativi, di circa 500 pratiche di concessione della cittadinanza, tra le quali risulta ricompresa anche quella dell’istante ”. L’atto impugnato riferisce, inoltre, che da tale procedimento penale era stato stralciato un ulteriore procedimento, “ il n. -OMISSIS-, definito con giudizio abbreviato con la sentenza n. -OMISSIS- del Tribunale di Roma, che ha condannato una dipendente della Direzione centrale per la cittadinanza del Ministero dell’Interno per i reati di cui agli artt. 615 ter e 615 quater c.p., per aver definitivo positivamente, nonostante l’istruttoria fosse alterata, circa 100 istanze di cittadinanza, mediante accesso abusivo al sistema informatico e manipolazione dei dati dietro corrispettivo ”;
che la sentenza del Tribunale di Roma “ è stata confermata in secondo grado, con la sentenza n. -OMISSIS- della Corte d’Appello di Roma, e in ultimo grado, a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione nr. -OMISSIS-, diventando definitiva ”;
che “ la predetta dipendente è attualmente coimputata, in associazione con altri soggetti, anche nel richiamato procedimento penale presso il Tribunale di Roma, di cui è oggetto il succitato d.P.R. di concessione ”.

Il provvedimento di concessione della cittadinanza, nei confronti dell’odierno ricorrente, sarebbe pertanto risultato “ carente in via assoluta di istruttoria e non altrimenti sanabile, per via delle circostanze emerse in sede penale e non addebitabili all’Amministrazione ”.

Nella motivazione dell’atto, inoltre, si dà conto della nota ministeriale, datata 22 dicembre 2021 e notificata in data 8 aprile 2022, con la quale, nei confronti dell’odierno ricorrente, è stata data comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 7 e 10- bis della legge n. 241 del 1990, e si aggiunge che “ non sono stati forniti nuovi elementi utili per una decisione favorevole ”.

Si fa inoltre cenno all’asserita tempestività dell’azione della p.a., non potendo essere applicato il termine “ ragionevole ” di cui all’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990 allo specifico procedimento di concessione dello status di cittadino, e ciò “ per incompatibilità con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, secondo consolidata giurisprudenza ”.

Sono, infine, spese ulteriori considerazioni atte a sostenere la sussistenza e la prevalenza dell’interesse pubblico, concreto e attuale, alla rimozione dell’atto di riconoscimento della cittadinanza, anche nel bilanciamento con il contrapposto interesse della parte privata, nel soddisfacimento dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza.

III. – Il gravame è affidato ai seguenti motivi di censura, volti a dimostrare l’illegittimità del provvedimento di ritiro dello status impugnato e ottenerne l’annullamento:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 241/1990;
eccesso di potere per contraddittorietà della motivazione;

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies della L. 241/1990 - Violazione del legittimo affidamento – Violazione del principio della ragionevolezza e della proporzionalità dell’azione amministrativa - Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 della Costituzione.

Il ricorrente, in particolare, assume di essere estraneo alle vicende poste alla base del provvedimento di ritiro e ritiene che l’amministrazione non abbia fornito una adeguata motivazione delle sue scelte e lamenta altresì la violazione dell'affidamento inerente alla concessione (e la permanenza) dei diritti di cittadinanza, revocati senza valide ragioni di interesse pubblico, senza tenere in considerazione il suo legittimo interesse alla conservazione del provvedimento favorevole.

IV. – Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha versato in atti documenti e relazioni difensive, con cui, eccepito preliminarmente il difetto di legittimazione passiva della Presidenza della Repubblica, ha contestato nel merito le censure ex adverso svolte e concluso per il rigetto della domanda di annullamento.

V. – Con ordinanza n. -OMISSIS- è stata respinta la domanda cautelare per mancanza del requisito del fumus boni iure .

VI. – In vista dell’udienza pubblica la difesa erariale ha depositato, anche in considerazione degli incombenti istruttori disposti dalla Sezione con ordinanza collegiale n. 13077/2023 e reiterati con ordinanza collegiale n. 3520/2024, ulteriori documenti e una relazione difensiva, con cui ha insistito per il rigetto della domanda di annullamento del provvedimento oggetto dell’odierno ricorso.

VII. – All’udienza pubblica del 26 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I. – In via preliminare, deve essere scrutinata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministero dell’interno in relazione alla chiamata in giudizio della Presidenza della Repubblica.

L’eccezione è fondata, in quanto l’adozione del decreto presidenziale non è da ritenersi riconducibile ad un potere amministrativo in senso stretto, ma ad un mero potere neutrale di garanzia e controllo di rilievo costituzionale.

Deve osservarsi, invero, la forma dell’esternazione di taluni atti amministrativi, id est decreto del Presidente della Repubblica, non incide sulla titolarità del potere in essi esplicato, rilevante ai fini dell’individuazione l’autorità amministrativa emanante (cfr. per l’affermazione del principio con riguardo ad atti emanati nella forma del decreto del Presidente della Repubblica: Tar Lazio, sez. V bis, n. 10803/2022;
sez. I, 16 febbraio 2017, n. 2485;
16 ottobre 2009, n. 9964 e 13 novembre 2009, n. 11130 e giurisprudenza ivi richiamata).

Nel caso di specie la legittimazione passiva compete solo al Ministro dell’interno, cui è riferibile la revoca della cittadinanza e nella cui sfera ordinamentale ricadono gli effetti del provvedimento e del suo eventuale annullamento.

Pertanto, nell’odierno giudizio, il Presidente della Repubblica non è legittimato passivo e, in accoglimento della spiegata eccezione di parte, ne va disposta l’estromissione.

II. - Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

La vicenda oggetto del presente giudizio è nota alla giurisprudenza della Sezione, che su di essa si è già pronunciata con diversi precedenti.

Si tratta della vicenda che ha visto coinvolta una funzionaria infedele del Ministero dell’interno la quale, a seguito di un procedimento penale, è stata condannata per aver alterato, in ragione di indebiti accessi nelle rispettive procedure informatiche, un numero notevole di pratiche afferenti alla concessione della cittadinanza italiana in favore di richiedenti stranieri, nella maggior parte accomunati dalla provenienza dalla medesima area geografica e dal fatto che, dopo aver conseguito la cittadinanza, si sono trasferiti all’estero (quasi tutti nel Regno Unito). Le fondamentali circostanze di fatto della vicenda, che hanno orientato l’amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, sono sufficientemente e adeguatamente descritte nella motivazione dell’atto gravato, nel quale si dà conto del procedimento penale stralciato dal filone principale, conclusosi con la condanna definitiva, dopo tre gradi di giudizio, nei confronti della funzionaria infedele;
si dà altresì conto, degli ulteriori sviluppi che la vicenda ha fatto registrare, rappresentati dall’avvenuta condanna, in primo grado, della medesima funzionaria anche per le imputazioni di cui al filone principale, nell’ambito del quale risulta compresa la pratica di cittadinanza dell’odierno ricorrente.

Dagli atti versati in giudizio, in effetti emerge chiaramente – come si anticipava – che la pratica di cittadinanza dell’odierno ricorrente risulta compresa tra quelle inquinate dall’intervento illecito della funzionaria infedele.

In particolare, nella sentenza di patteggiamento datata 11 maggio 2022 emessa nei confronti della funzionaria infedele e del marito della stessa nonché nel decreto di rinvio a giudizio di tutti gli altri indagati la pratica del ricorrente, codice -OMISSIS-, è richiamata sia nell’elenco delle 486 pratiche alterate sotto la descrizione del capo di imputazione B) per il delitto ex artt. 110, 48 e 479 c.p., contestandosi qui, nei confronti di diversi soggetti, la “ manipolazione del sistema informatico SICITT, in uso al Ministero dell’Interno, nonché la formazione di attestazioni false concernenti il reddito, requisito necessario per l’ottenimento della cittadinanza italiana ”, sia nell’elenco delle 299 pratiche per le quali risultano essere state utilizzate abusivamente le credenziali del dirigente dell’area. Si tratta, in quest’ultimo caso, del capo di imputazione C) per il delitto ex artt. 81, capoverso, 615- ter , comma 1, comma 2, numero 1), e comma 3, e 615- quater c.p., concernente specificamente la persona della funzionaria infedele, la quale, “ con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dopo essersi abusivamente procurata le credenziali di accesso altrui, abusivamente si introduceva e si manteneva nel sistema informatico denominato SICITT del Ministero dell’Interno, sistema di interesse pubblico munito di misure di sicurezza, per manipolare i dati in esso contenuti e consentire a numerosi stranieri, sprovvisti dei requisiti necessari, di acquisire la cittadinanza italiana ”. Inoltre, a conferma della carenza assoluta di istruttoria sottesa all’originario provvedimento concessorio, l’elenco delle irregolarità versato in atti dalla p.a. in data 6 luglio 2023 evidenzia che l’interessato ha conseguito lo status in presenza delle seguenti irregolarità: “… PARERI CONTRARI PREF. E QUESTURA DI ROMA – CASELLARIO POSITIVO – PP E SEGNALAZIONI CON ALIAS PER I QUALI NON RISULTANO EFFETTUATI ULTERIORI ACCERTAMENTI – MANCATA VERIFICA REDDITUALE ANCHE IN ASSENZA DI REDDITI DICHIARATI ”.

Per tutte le pratiche contraffatte l’Amministrazione, assicuratasi del mantenimento della cittadinanza originaria in capo agli interessati, ha provveduto all’annullamento in autotutela del provvedimento di concessione e alla conseguente reiezione delle istanze originarie volte al rilascio della cittadinanza italiana, facendo salvi gli effetti dei provvedimenti annullati per i figli minori.

III. – Tanto premesso, è ora possibile esaminare i motivi di doglianza dedotti nell’atto introduttivo del giudizio.

IV. - Con l’odierno ricorso l’interessato censura la motivazione del provvedimento di annullamento, in quanto carente e contraddittoria, visto che il procedimento penale indicato, su cui si fonda il ritiro contestato non lo coinvolge direttamente, e lamenta infine la violazione dell’art. 21- nonies della legge n. 241/1990 e dell’art. 97 Cost.

Il Collegio rileva l’infondatezza di simili censure per quanto di seguito precisato.

V. – Con riguardo al primo motivo di ricorso, il Collegio osserva che le risultanze istruttorie tracciate in premessa, innanzi tutto, rendono la presunta estraneità del ricorrente al procedimento penale sotteso al provvedimento caducatorio impugnato non dirimente al fine dello scrutinio della legittimità dell’annullamento d’ufficio del precedente decreto di concessione della cittadinanza, vista la gravità del fatto, relativo a quello che è stato definito una sorta di “mercato” delle pratiche della cittadinanza, in relazione al quale è possibile presupporre l’esistenza di un accordo criminoso e il conseguente coinvolgimento di un gran numero di soggetti a vario titolo interessati e visto che la pratica del ricorrente è espressamente indicata nell’elenco di cui ai capi di imputazione e, conseguentemente, rientra tra quelle di cui alla relativa sentenza di patteggiamento dell’11 maggio 2022 sopra menzionata. Ne deriva, pertanto, che l’amministrazione, a fronte dell’acclarata manipolazione abusiva della pratica in oggetto, affetta, dunque, da un grave e insanabile vizio di difetto di istruttoria, ha ragionevolmente avviato il procedimento di autotutela per disporre l’annullamento d’ufficio del precedente decreto concessorio (cfr. Cons. Stato, sez. III, 5 giugno 2023, n. 5508: “ Circa l’asserita estraneità dell’interessato alla vicenda penale che ha coinvolto la dipendente infedele, è pur vero che il medesimo né risulta destinatario della sentenza del giudice penale confermata in tutti i gradi di giudizio, né d’altra parte ha mai assunto la posizione di indagato, né il suo ruolo nella consumazione dell’illecito è stato compiutamente definito dall’amministrazione.

Tuttavia, tali rilievi non sono idonei a scalfire il legame, rilevante ai fini della presente decisione, tra la genesi del provvedimento di concessione della cittadinanza all’appellante e la suddetta fattispecie criminosa e, in definitiva, a smentire l’incidenza dei reati accertati sull’adeguatezza del provvedimento in rapporto all’interesse pubblico che esso è fisiologicamente destinato a realizzare, in armonia e non in contrapposizione con quello del richiedente. ”).

La recentissima sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, 9 maggio 2024, n. 4167 - pronunciata proprio in relazione ad una delle 500 pratiche relative al filone principale della vicenda penale richiamata – ha puntualizzato che: “ L’elemento distintivo che connota la fattispecie qui di interesse - differenziandola in parte qua da quella esaminata nel 2023 - attiene al fatto che il quadro probatorio a supporto del vizio istruttorio si è nel frattempo irrobustito, essendo intervenuta anche la seconda sentenza di condanna (emessa nel 2022), in aggiunta alla prima pronunciata nell’ambito del procedimento stralcio ”, confermando, ancora una volta, la validità dell’impostazione originaria, che sottolinea l’effetto viziante dell’intervento del funzionario infedele, attribuendo valenza dirimente al fatto che “ la pratica è stata scelta e gestita al di fuori dei compiti assegnati alla dipendente sottoposta al giudizio penale, in quanto il relativo procedimento è stato attribuito, in base al numero identificativo, alla competenza esclusiva di un’area diversa rispetto a quella cui l’istruttrice era assegnata”.

Sulla base di analoghe considerazioni il Collegio deduce l’irrilevanza, ai fini della valutazione della correttezza dell’operato della p.a. nell’adozione del provvedimento di rimozione, anche dell’asserita sussistenza in capo al ricorrente di tutti i requisiti necessari al rilascio della cittadinanza. In proposito, il Consiglio di Stato, sez. III, nella citata sent. n. 5508/2023 ha chiarito: “ Non meritevoli di accoglimento sono, inoltre, le argomentazioni difensive volte a sostenere che l’appellante presentava e presenta tutti i requisiti per l’ottenimento dello status civitatis, tant’è che la sua pratica sarebbe completa di tutti i necessari pareri favorevoli.

Tali rilievi difensivi appaiono irrilevanti, nella misura in cui, in ogni caso, la pratica dell’interessato è stata illecitamente trattata al di fuori dell’area di competenza della funzionaria infedele, che si è ingerita nella procedura di rilascio del decreto concessorio, utilizzando abusivamente le credenziali della Dirigente dell’area terza (con l’effetto finale di esautorare la stessa competenza dirigenziale), proprio allo scopo di accelerarne la trattazione e di assicurarne, comunque, il buon esito, nel perseguimento di un interesse di carattere esclusivamente privato.

In tale contesto, l’eventuale sussistenza dei pareri favorevoli e, in generale, dei requisiti previsti dalla normativa in materia di cittadinanza – che non potrebbe essere verificata recta via dal giudice amministrativo – non pare sufficiente ad emendare il provvedimento di concessione della cittadinanza da un vizio a monte e - come correttamente rilevato dal giudice di primo grado - intrinsecamente insanabile, alla luce dell’origine criminosa dell’atto stesso, peraltro giudizialmente accertata in modo definitivo ”.

A ciò si aggiunga che nel caso di specie non è neppure predicabile il possesso in astratto dei requisiti richiesti in capo al ricorrente, visto che, come si evince dal summenzionato prospetto riepilogativo delle irregolarità riscontrate a carico dell’odierno istante, nel corso dell’ iter procedimentale era stato emesso parere contrario al rilascio dello status al ricorrente dalla Prefettura e dalla Questura competenti;
il certificato del casellario giudiziario è risultato essere positivo;
sono emerse segnalazioni con alias , a cui non hanno fatto seguito ulteriori accertamenti;
non è stata effettuata alcuna verifica circa la situazione reddituale, anche in assenza di redditi dichiarata.

Orbene detto quadro al contrario conferma il vizio di difetto assoluto di istruttoria su cui è imperniato – a ragione - il provvedimento di ritiro dello status odiernamente gravato: nell’ambito del procedimento volto a valutare la meritevolezza dello status dell’odierno ricorrente, dunque la manipolazione tramite accesso abusivo al sistema informatico di gestione delle pratiche – secondo quanto si desume dallo stesso prospetto delle irregolarità, versato in atti a dimostrazione dell’assoluta carenza di istruttoria considerata dall’autorità procedente quale “ motivo di illegittimità del provvedimento, non altrimenti sanabile, che ne consente l’annullamento d’ufficio ” – è servita anche ad eludere la valutazione di elementi di controindicazione concretamente esistenti sul conto dell’istante.

In presenza di una concessione radicalmente illegittima del massimo status giuridico nazionale, solamente un contrarius actus può costituire valido rimedio (TAR Lazio, Sez. V-bis sent. 3170/2022;
sez. I ter, sent. nr. 9069/2021) e nel caso di specie l’illegittimità è riconducibile ad un fatto costituente reato, in grado di mettere in pericolo al massimo grado quegli stessi interessi pubblici, presidiati dal complesso di controlli e verifiche rigorose che si impongono nell’esercizio del potere concessorio de quo .

VI. – Peraltro, richiamando i precedenti di questa Sezione ( ex plurimis , Tar Lazio, Sez. V bis, sentenze nn. 1975;
2943;
2945;
3026 del 2022), si ricorda che alla base del provvedimento di cittadinanza vi è una valutazione altamente discrezionale del soggetto pubblico, che pone in essere un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“ il sacro dovere di difendere la Patria ” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).

A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, n. 1796/2008;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

È stato, sul punto, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, proprio perché sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’ agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.

Nel caso all’esame del Collegio, la gravità della vicenda in questione, la presumibile esistenza di un pactum sceleris tra un gran numero di soggetti, la delicatezza degli interessi lesi – come questo Tribunale ha già avuto modo di affermare, in relazione a fattispecie analoghe di cui alle sentenze TAR Lazio, sez. I ter, nn. 9340/2020, n. 253/2022 e 524/2022;
sez. V bis nn. 3618, 3844 e 17073 del 2022, nn. 3560, 3561 e 8195 del 2023 - rende ancor più comprensibile la particolare prudenza e cautela che ispira l'azione amministrativa nel settore in argomento, non potendosi comunque ammettere che l’incorporazione di un nuovo membro nella comunità nazionale avvenga secondo modalità o procedure criminose, in modo del tutto incompatibile con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale.

In proposito, il Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza n. 4687 del 9 giugno 2022 ha affermato: « Invero, se il giudizio penale si appunta, in una dimensione eminentemente soggettiva, sulla condotta dell’autore del reato, in vista di una valutazione di riprovevolezza funzionale alla determinazione della sanzione criminale, il provvedimento viene in rilievo, quale possibile oggetto del potere di riesame, in una prospettiva di carattere squisitamente oggettivo, intesa a verificare se l’assetto regolatorio da esso determinato sia funzionale ad una corretta composizione degli interessi in gioco, secondo la gerarchia degli stessi così come definita dalla norma attributiva del potere e nel rispetto delle modalità di esercizio legislativamente definite: impostazione alla quale aderisce, del tutto condivisibilmente, anche l’Amministrazione appellata, osservando con il provvedimento impugnato che, per i fini in discorso, deve aversi “riguardo esclusivamente ai dati oggettivi relativi al provvedimento di concessione della cittadinanza”.

Non è quindi sufficiente, al fine di giustificare l’esercizio del potere di riesame, accertare che il provvedimento che ne costituisce oggetto sia stato lambito da una vicenda penalmente rilevante, dovendo piuttosto verificarsi se essa abbia determinato la deviazione del provvedimento dalla sua funzione tipica, connessa come si è detto all’oggettivo, quanto efficace ed imparziale, perseguimento dell’interesse pubblico cui esso è preordinato » (in termini Cons. Stato, sez. III, 5 giugno 2023, n. 5508, 28 dicembre 2022, n. 11485 e 9 maggio 2024, n. 4167 cit.).

D’altronde, come già affermato dalla Sezione, in ordine ad altre pratiche ricomprese nell’elenco di quelle che formano oggetto del procedimento penale principale (oggi conclusosi, come detto, con una sentenza di condanna in primo grado, secondo il rito del c.d. patteggiamento, nei confronti della funzionaria infedele e del coniuge), non può ragionevolmente porsi in discussione, proprio sulla base delle predette risultanze (e ciò, anche se, nel caso in esame, non sono stati spiegati tutti e tre i gradi di giudizio), il fatto che la funzionaria infedele abbia evocato a sé le pratiche di cittadinanza, attribuendo ai richiedenti lo status , nonostante non fossero in possesso dei requisiti, e/o che, comunque, abbia anticipato, in presenza o meno dei requisiti, i tempi di concessione dello stesso, con ingiustificata priorità rispetto ad altri richiedenti che si sono trovati per conseguenza “scavalcati”, in tal modo perpetrando un favoritismo in contrasto con i valori di uguaglianza che costituiscono principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico (in tal senso, di recente, TAR Lazio, Roma, questa Sez. V bis, sentenze n. 2105 e n. 2106 del 2023).

VII. – Infine anche la censura di violazione dell’art. 21- nonies della legge n. 241/1990 non può avere positivo apprezzamento.

Al cospetto dell’accertamento in sede penale della vicenda, si è già diffusamente evidenziato che l’Amministrazione non aveva scelta, non potendosi ammettere la sanatoria di un procedimento la cui definizione ha costituito corrispettivo di un reato. E quanto appena statuito vale soprattutto a fronte della concessione dello status che è, come già diffusamente osservato, un provvedimento che consente al soggetto di entrare in una comunità, attraverso il rilascio di un beneficio tra i più rilevanti e duraturi previsti dall’ordinamento. Il rilascio della cittadinanza, al di fuori di un regolare procedimento, non può essere ammesso, pena la violazione dello stesso art. 97 Cost. (evocato dal ricorrente), dei canoni di legalità dell’azione amministrativa e del giusto procedimento che deve contemperare in ambito amministrativo l’interesse pubblico con quello del privato.

Deve pertanto ribadirsi, in questa sede, l’orientamento già espresso dalla Sezione (cfr., di recente, ex plurimis , le sentenze n. 17073 del 2022, n. 3560, n. 3561 e 8195 del 2023) e confermato dal Consiglio di Stato con le richiamate sentenze nn. 4687 e 11485 del 2022 e n. 5508 del 2023, in ordine alla piena legittimità dell’atto di annullamento d’ufficio adottato dall’amministrazione resistente. Quest’ultima si è, infatti, trovata di fronte ad esiti illegalmente alterati delle varie pratiche di cittadinanza coinvolte – a causa della mancanza di una previa, rigorosa e limpida istruttoria procedimentale – e ha dovuto, conseguentemente, intervenire per porvi rimedio, sul presupposto che, in tale contesto, “ la soluzione meglio idonea a realizzare il giusto contemperamento degli interessi contrapposti è quella consistente nell’“azzeramento” della vicenda procedimentale così radicalmente inficiata dalla menzionata condotta criminosa, trasferendo la tutela dell’interesse sostanziale del richiedente la concessione della cittadinanza al nuovo procedimento concessorio che dovesse essere instaurato a seguito dell’eventuale rinnovazione, da parte del medesimo, della relativa istanza ” (da ultimo, Cons. Stato, sez. III, n. 5508/2023 e n. 4167/2024 citate).

Inoltre, impregiudicata l’idoneità delle argomentazioni sopra dispiegate ad integrare valide ragioni di pubblico interesse a sostegno del provvedimento di ritiro, ritiene non ravvisabile alcuna posizione di legittimo affidamento del soggetto - che ha conseguito lo status in ragione di un’operazione illecita, a cui hanno preso parte intermediari che hanno pagato un prezzo per la definizione della pratica - prevalente sulla necessità di ripristino della legalità.

Infine, questo Tribunale ha peraltro escluso la violazione dell’art. 21- nonies in esame anche in relazione al previsto rispetto di un termine ragionevole nell’esercizio del potere di autotutela, chiarendo che è da ritenere limitato alle ipotesi di ritiro di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici: « Quanto al termine ragionevole di esercizio del potere - fissato nel massimo in diciotto mesi, nel testo all’epoca vigente dell’art. 21 - nonies della L. n. 241/1990 - il Collegio non può non rilevare che esso decorre “dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”. Si tratta quindi di un termine non applicabile alla concessione dello status di cittadino: e ciò non solo per una ragione testuale, consistente nel fatto che la disposizione fa riferimento ai provvedimenti autorizzatori o alla concessione di benefici meramente economici, ma proprio per una ragione sostanziale, non potendosi ammettere che l’incorporazione di un nuovo membro nella comunità nazionale, che eventualmente avvenga secondo modalità o procedure radicalmente anomale, possa consolidarsi col mero decorso del tempo, in modo del tutto incompatibile con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale. Se in linea di principio l’interesse pubblico non conosce scadenza, il limite temporale introdotto dall’art. 21 - nonies della L. n. 241/1990, che rappresenta l’esito di un bilanciamento di interessi effettuato dal legislatore “a monte” dei concreti procedimenti di autotutela, va interpretato in senso restrittivo: il che ne preclude l’applicazione oltre le ipotesi previste dal legislatore » (Tar Lazio, sez. I ter, n. 29 luglio 2021, n. 9069).

Si aggiunga, infine, che la recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, n. 4167/2024 soprarichiamata ha ulteriormente precisato, con riguardo ai limiti temporale dell’annullamento d’ufficio, che « il decreto di concessione della cittadinanza non è riconducibile ai provvedimenti di “autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” di cui all’art. 21-nonies L. n. 241/1990 - per i quali è previsto un rigido sbarramento temporale – e che, comunque, alla luce dello svolgimento della vicenda concreta, l’emanazione del provvedimento di secondo grado impugnato in prime cure è avvenuta entro un termine ragionevole, in quanto adottato a distanza di pochi mesi dalla sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 11 maggio 2022, che ha accertato, in primo grado, la complessa vicenda criminosa riguardante anche la pratica di cittadinanza dell’appellante e che, in definitiva, ha reso palese il grave deficit istruttorio idoneo a invalidare l’atto di concessione dello status civitatis ».

VIII. - Alla luce di postulati sopra enucleati, la domanda caducatoria del d.P.R. di annullamento deve essere conclusivamente respinta, non potendosi ritenere l’atto impugnato affetto dai vizi di illegittimità dedotti dal ricorrente.

IX. – Le spese di lite possono tuttavia essere compensate, avuto riguardo alla natura e alla complessità del presente contenzioso.

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