TAR Roma, sez. II, sentenza 2022-12-09, n. 202216449
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Pubblicato il 09/12/2022
N. 16449/2022 REG.PROV.COLL.
N. 10063/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10063 del 2019, proposto dai sig.ri L L, R L e M L, rappresentati e difesi dagli Avvocati S T e M T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, in persona del suo Sindaco
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’Avvocato D R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
- della Comunicazione di indennità d’uso datata 19.12.2018 con relativi allegati, di ROMA CAPITALE – Dipartimento Patrimonio e Politiche Abitative Prot. N. QC 38662, notificata in data 30.04.2019
- di ogni altro atto presupposto, connesso e comunque consequenziale, ancorché di data e tenore sconosciuto, che incida sfavorevolmente sulla posizione giuridica della ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 dicembre 2022 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Gli odierni ricorrenti instano per l’annullamento dell’atto di Roma Capitale emesso in data 19 dicembre 2018 e notificato in data 30 aprile 2019 (Prot. N° QC 38662), con cui l’Amministrazione intimata ha comunicato loro l’avvenuta determinazione del corrispettivo annuale di € 17.993,56 (valore mensile € 1.499,47) dovuto dagli stessi ricorrenti a titolo di “indennità d’uso” per la concessione in loro favore dell’immobile sito in Roma, Via di Porta Latina n. 9 (foglio 521, particelle 38 e 39).
La domanda dei ricorrenti – lungi dal censurare eventuali errori meramente patrimoniali dell’atto determinativo del quantum dell’indennità d’uso – poggia invece sull’assunto secondo cui l’immobile in questione, originariamente di proprietà dei loro danti causa e poi espropriato con risalente decreto di esproprio del 18 novembre 1939 in favore del Governatorato di Roma per la realizzazione del Parco Egerio, deve essere retrocesso da Roma Capitale agli stessi ricorrenti in considerazione della realizzazione soltanto parziale dell’opera pubblica per cui era stato disposto l’esproprio.
Il ricorso è quindi diretto ad ottenere – prima ancora dell’annullamento dell’atto di determinazione dell’indennità d’uso ( rectius : dell’accertamento della non debenza di alcuna somma) – il previo accertamento del diritto dei ricorrenti alla retrocessione dell’immobile in questione (finora concesso da Roma Capitale ai ricorrenti soltanto “ in uso o ad affitto simbolico ”), diritto che, se accertato, escluderebbe in radice la debenza di qualsiasi indennità d’uso a favore dell’Amministrazione intimata.
Parte resistente si è ritualmente costituita in giudizio, eccependo anzitutto il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo adìto, atteso che il gravame è diretto a colpire l’atto di determinazione dell’indennità d’uso di un bene pubblico, sicchè la controversia va devoluta al Giudice ordinario in ragione di quanto previsto dall’art. 133, comma 1, lettera b), c.p.a., che demanda per l’appunto al Giudice civile la cognizione delle “ controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi ” connessi all’utilizzo di beni pubblici in regime di concessione.
Eccepisce inoltre parte resistente che
- nella non creduta ipotesi in cui si volesse inquadrare il petitum del presente giudizio in un’azione di silenzio avverso una domanda di retrocessione, l’azione sarebbe comunque inammissibile, atteso che “la posizione asseritamente vantata dai ricorrenti ha la consistenza del diritto soggettivo, concernendo un’ipotesi di retrocessione totale del bene (cfr., quam multis, Consiglio di Stato, 4.4.2022;Consiglio di Stato, 2.1.2019, n.22), con conseguente inammissibilità dell’odierno ricorso, stante l’inutilizzabilità dell’azione avverso il silenzio a tutela di posizioni di diritto soggettivo, e quand’anche, come nella fattispecie, sussista la giurisdizione esclusiva dell’adito giudice ai sensi dell’art.133, co.1, lett. g) cpa (cfr., Consiglio di Stato, 19.2.2021, n.1491;Tar Potenza, 25.10.2021, n.680;Tar Napoli, 5.10.2021, n.6250;Tar Catanzaro, 19.12.2019, n.2113;Tar Napoli, 9.7.2018, n.4527)” (cfr. pagg. 2 e 3 della memoria della resistente del 20 settembre 2022);
- il diritto alla retrocessione rivendicato da parte ricorrente nel presente giudizio è comunque prescritto.
All’udienza pubblica del 7 dicembre 2022, il Collegio – dato avviso alle parti ex art. 73 comma 3 c.p.a. della possibile inammissibilità del gravame in quanto diretto a provocare l’esercizio, da parte del Giudice Amministrativo, di poteri amministrativi ancora non esercitati in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a., nonché preso atto dell’esplicito riconoscimento, da parte degli stessi ricorrenti, della natura soltanto parziale della retrocessione del bene rivendicata nel presente giudizio – ha introiettato la causa in decisione.
DIRITTO
Come già emerge dall’esposizione in fatto, la domanda esplicata da parte ricorrente – sebbene formalmente qualificata come domanda caducatoria – possiede invero tutti i caratteri tipici di un’azione di accertamento del diritto dei ricorrenti alla retrocessione del bene e, per l’effetto, della non debenza di alcuna somma a titolo di indennità d’uso.
Essa va quindi qualificata – anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 32, secondo comma, c.p.a. (a rigore del quale “ il giudice qualifica l’azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali ”) – come domanda di accertamento del diritto alla retrocessione del bene de quo , in chiave strumentale al successivo accertamento della non debenza di alcuna somma per la disponibilità materiale di tale bene.
Detta retrocessione – giusta espressa dichiarazione resa da parte ricorrente nel corso dell’udienza pubblica del 7 dicembre 2022 – deve intendersi parziale , risultando chiaramente dagli atti di causa che l’opera pubblica per cui era stato espropriato l’immobile de quo (parco Egerio) è stata realizzata soltanto in parte qua .
Ciò premesso, il Collegio ritiene che la domanda di retrocessione parziale sia inammissibile, in quanto diretta ad ottenere in sede giudiziale un effetto che dovrebbe scaturire, invece, dall’esercizio di un potere amministrativo ancora non esercitato (art. 34, comma 2, c.p.a.).
A tal fine, corre l’obbligo di richiamare, in apice, il consolidato insegnamento giurisprudenziale sulla distinzione tra retrocessione totale e retrocessione parziale del bene espropriato.
Orbene, è ormai ius receptum che “ mediante l’istituto della retrocessione il proprietario espropriato può, in tutto o in parte, ottenere nuovamente i propri beni, laddove all’esito del procedimento espropriativo se ne sia nei fatti palesata la mancata finalizzazione effettiva all’intervento pubblico in ragione del quale erano stati occupati (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. II, 30 marzo 2020, n. 2159). Si distingue peraltro tra retrocessione totale e parziale (Cons. Stato, sez. IV, 28 settembre 2020, n. 5654;sez. II, 30 marzo 2020, n. 2159;sez. II, 9 dicembre 2019, n. 8387), a seconda del livello di attuazione del complessivo intervento per cui è intervenuta l’espropriazione, secondo quanto previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità. In particolare: a) la retrocessione totale presuppone la definitiva inutilità del bene o la mancata attuazione dell’intera opera o finalità pubblica, per fattori sopravvenuti, difficoltà attuative o anche per errori di programmazione o di realizzazione, con la conseguenza che, ove la parte ne manifesti la volontà, non vi è ragione di non restituirle un bene, destinato ad essere inutilizzato, quanto meno per le finalità originarie;b) si ha, invece, la retrocessione parziale nel caso in cui l’opera pubblica o di pubblica utilità sia stata realizzata e sia residuata solo una parte del bene, con la conseguenza che in capo al proprietario dello stesso bene espropriato sorge un interesse legittimo pretensivo ad ottenerne la restituzione, subordinato tuttavia ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione circa l’attuale utilità della stessa porzione alla realizzazione dell’interesse pubblico. Inoltre, secondo la recente giurisprudenza civile (cfr. Cass. civ., sez. I, 7 settembre 2020, n. 18580), la valutazione dell’effettiva esecuzione dell’opera pubblica o di interesse pubblico dovrebbe essere compiuta con riferimento all’intero complesso di beni interessati dalla dichiarazione di pubblica utilità e non riguardo ai fondi di proprietà del privato, con la conseguenza che, quando l’opera programmata non abbia poi in concreto riguardato qualcuno di tali fondi o porzioni, ma sia stata comunque eseguita anche se in termini ridotti, la loro mancata utilizzazione non fa sorgere il diritto alla retrocessione, tutelabile innanzi al giudice ordinario, ma l’interesse legittimo all’inservibilità dei beni, cui soltanto consegue il diritto alla restituzione: in correlazione a tale interesse legittimo, sussiste il potere dell’Amministrativo di disporre che il bene rimanga nel proprio patrimonio ” (cfr. ex multis Cons. St., sez. IV, 5 maggio 2021, n. 3522).
Inoltre, con specifico riferimento alla retrocessione parziale, il consolidato insegnamento del Consiglio di Stato ha chiarito che “ la retrocessione parziale (già prevista dagli artt. 60 e 61 della legge 2359 del 1865 e ora prevista dall’art. 47 del d.P.R. n. 327 del 2001) si configura quando, dopo l’esecuzione totale o parziale dell’opera pubblica, alcuni dei fondi espropriati non abbiano ricevuto la prevista destinazione e rispetto ad essi può ancora esercitarsi una valutazione discrezionale circa la convenienza di utilizzarli in funzione dell’opera realizzata, sicché tali beni possono essere restituiti solo se l’Amministrazione abbia dichiarato che essi non servono più alla realizzazione dell’opera nel suo complesso (Cons. St., sez. IV, n. 22 del 2019);la pretesa restituzione (come chiarito dalla stessa giurisprudenza amministrativa) è subordinata, dunque, ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione, ovvero a una determinazione amministrativa (in positivo) di inservibilità dei fondi espropriati all’opera pubblica;il che, sotto distinto profilo, implica l’impossibilità di basare la legittimità della pretesa restitutoria sul solo mancato utilizzo nel tempo del bene, inferendo per ciò stesso e solo l’illogicità di una diversa scelta amministrativa - la valutazione in ordine all’esistenza di un persistente interesse pubblico all’attuazione dello strumento costituisce oggetto di una valutazione ampiamente discrezionale dell’Amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo in presenza di vizi di illogicità o irragionevolezza o di travisamento del fatto (in fattispecie insussistenti)” (cfr. ex multis Cons. St., sez. IV, 9 febbraio 2022 n. 934) .
In sintesi, quindi, si ha retrocessione totale in caso di mancata attuazione “dell’intera opera pubblica ” (dunque, nel caso di specie, nell’astratta ipotesi in cui il Parco Egerio non fosse mai stato realizzato), con conseguente inutilità di tutti i terreni privati eventualmente espropriati per la realizzazione di tale opera.
Si ha, invece, retrocessione parziale nel caso in cui l’opera pubblica sia stata concretamente realizzata, ma senza utilizzare tutti i terreni privati originariamente espropriati, con la conseguenza che alcuni di essi sono stati impiegati per l’esecuzione dell’opera pubblica ed altri no.
Nella prima fattispecie (retrocessione totale) tutti i soggetti privati espropriati vantano un diritto soggettivo perfetto alla retrocessione degli immobili espropriati ai loro danni, diritto che può certamente formare oggetto di un’azione di accertamento positivo in sede giudiziaria.
Nella seconda fattispecie (retrocessione parziale), invece, i soggetti privati a cui sono stati espropriati i rispettivi terreni (poi non concretamente utilizzati nell’esecuzione dell’opera pubblica) vantano un mero interesse legittimo pretensivo alla restituzione di detti terreni, di talché detta restituzione è possibile soltanto se - e nella misura in cui - intervenga a monte un provvedimento amministrativo discrezionale con cui viene dichiarata l’inservibilità dei fondi espropriati rispetto all’opera pubblica.
Tale dichiarazione di inservibilità deve essere adottata con provvedimento espresso o comunque con un comportamento provvedimentale chiaro ed “inequivoco” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 giugno 2022 n. 4922).
In tal senso si sono già espresse le Sezioni unite della Corte di Cassazione civile, laddove, con la sentenza 5 giugno 2008, n. 14826, hanno affermato che, ove non vi sia stata la dichiarazione di inservibilità dei beni per l’esecuzione dell’opera pubblica necessaria per la retrocessione parziale prevista dagli art. 60 e 61 della legge 25 giugno 1865 n. 2359 (applicabili ratione temporis alla fattispecie in esame), è possibile riconoscere valore equipollente ad essa ad un comportamento dell’amministrazione dal quale possa desumersi la scelta di mettere in vendita dei beni, in quanto non più necessari alla realizzazione dell’opera per la quale essi furono espropriati.
Tornando al caso di specie, quindi, non è revocabile in dubbio che:
- l’opera pubblica di cui si discorre ( id est il parco pubblico Egerio) è stata realizzata, anche se soltanto in parte;
- l’immobile rivendicato dai ricorrenti è soltanto uno dei tanti immobili originariamente espropriati per detta opera pubblica;
- il ricorso è basato sull’assunto che l’immobile in questione non sarebbe mai stato interessato dai lavori di realizzazione del parco Egerio.
In base a tali coordinate, pertanto, la domanda di retrocessione de qua va chiaramente sussunta nel paradigma della retrocessione c.d. parziale , come peraltro riconosciuto dagli stessi ricorrenti.
Ma se così è, appare evidente che non può essere il Giudice Amministrativo adìto - se non a pena di violazione del divieto di esercizio di poteri amministrativi ancora non esercitati (cfr. art. 34 comma 2 c.p.a.) - ad accertare la retrocessione parziale dell’immobile.
Come già visto, infatti, la retrocessione parziale presuppone l’adozione di una determinazione amministrativa di inservibilità del terreno espropriato rispetto all’opera pubblica già realizzata, determinazione che nel caso di specie non è stata ancora adottata (risulta per tabulas , infatti, che è tutt’ora in corso il procedimento amministrativo strumentale a tale determinazione) e che non può certamente inferirsi dal “ solo mancato utilizzo nel tempo del bene” da parte dell’Amministrazione espropriante (cfr. Cons. St., sez. IV, 9 febbraio 2022 n. 934).
Ciò a fortiori in un caso, come quello di specie, in cui l’opera consiste nella destinazione a parco pubblico di una vasta area, rispetto alla quale la mera inerzia amministrativa non può certamente equivalere, da sola considerata, a dichiarazione positiva di inservibilità dell’area rispetto a detto parco.
Va da sé che in mancanza di qualsivoglia atto amministrativo attestante l’inservibilità dell’immobile de quo , la richiesta di retrocessione parziale azionata nel presente giudizio non può essere accolta.
Fermo quanto precede, resta ovviamente impregiudicata:
(a) la facoltà dei ricorrenti di instare nei confronti di Roma Capitale (come peraltro già fatto) per l’adozione del summenzionato atto di inservibilità;
(b) la piena potestà discrezionale di Roma Capitale di determinarsi su tale istanza;
(c) la legittimazione dei ricorrenti – in caso di contegno inerte di Roma Capitale configurante un silenzio inadempimento – di esperire il rito del silenzio ex artt. 31 e 117 c.p.a., al fine di ottenere un’eventuale condanna giudiziale a provvedere a carico dell’Amministrazione resistente.
Ne discende, conclusivamente, che la domanda di retrocessione parziale va respinta in quanto inammissibile, poiché diretta ad ottenere l’esercizio, da parte del Giudice Amministrativo, di un potere amministrativo ancora non esercitato, in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a.
Quanto alla domanda di annullamento dell’atto di determinazione dell’indennità d’uso, essa è inammissibile perché devoluta al Giudice ordinario, in ragione di quanto previsto dall’art. 133, comma 1, lettera b), c.p.a., che demanda per l’appunto al Giudice civile la cognizione delle “ controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi ” connessi all’utilizzo di beni pubblici. Tale domanda potrà essere riproposta nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza, secondo quanto previsto dall’art. 11, comma 2, c.p.a.
La peculiarità della vicenda processuale e la definizione della causa in rito giustificano la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.