TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2014-11-03, n. 201410988

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2014-11-03, n. 201410988
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201410988
Data del deposito : 3 novembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06781/2009 REG.RIC.

N. 10988/2014 REG.PROV.COLL.

N. 06781/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6781 del 2009, proposto da:
M V, rappresentato e difeso dagli avv. M M, F B, con domicilio eletto presso F B in Roma, v.le Parioli, 180;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Questura di Asti, Consiglio Provinciale di Disciplina di Asti;

per l'annullamento

del provvedimento del 18.5.2009 n. 333, notificato il giorno 8.6.2009, con il quale il Ministero dell'Interno destituisce dal servizio il ricorrente;

della delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina per la Provincia di Asti presso la Questura di Asti del 17.4.2009, con la quale viene proposta la sanzione disciplinare della destituzione;

di ogni altro atto o provvedimento presupposto, conseguente o comunque connesso, anche attualmente non conosciuto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2014 la dott.ssa Stefania Santoleri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorrente, già sovrintendente della Polizia di Stato, è stato sottoposto a procedimento penale per una serie di reati commessi a Parma, località presso la quale prestava servizio nel periodo compreso tra la primavera e l’estate dell’anno 2002.

Con sentenza del Tribunale di Parma – Giudice per l’Udienza Preliminare - n. 47/06, è stato condannato alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione, oltre all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, per i reati di sfruttamento della prostituzione, peculato, concussione, violazione dell’art. 12 n. 5 del D.lgs. 286/98, favoreggiamento personale, falso, estorsione.

La Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 1263/08 depositata il 19/5/08, ha confermato in parte la sentenza di primo grado assolvendo il ricorrente per il solo reato di estorsione e confermando per il resto la decisione di primo grado, provvedendo alla rideterminazione della pena in anni 2 mesi 8 di reclusione.

Detta sentenza è divenuta irrevocabile il 1° agosto 2008 ed è stata comunicata all’Amministrazione in data 9 dicembre 2008.

Il ricorrente è stato nelle more sospeso dal servizio con decreto del Questore della Provincia di Parma del 1° agosto 2002, detto decreto è stato revocato dal Questore di Parma ai sensi dell’art. 9 c. 2 della L. 19/90, con decorrenza 1° agosto 2007, e per l’effetto ha ripreso servizio svolgendo regolarmente le proprie mansioni presso la Questura di Asti presso cui era stato trasferito.

In seguito alla comunicazione della irrevocabilità della sentenza di condanna da parte della Corte di Appello di Bologna, il Ministero lo ha sospeso nuovamente dal servizio.

Con comunicazione del 21 gennaio 2009, la Questura di Asti ha provveduto alla contestazione degli addebiti, il ricorrente ha presentato le proprie giustificazioni;
con delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina per la Provincia di Asti del 17 aprile 2009 è stata avanzata la proposta dell’applicazione della sanzione della destituzione.

Con il provvedimento del Capo della Polizia del 18 maggio 2009, notificato il giorno 8 giugno 2009, è stato adottato il provvedimento di destituzione dal servizio.

Avverso detto atto il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di gravame:

__1. Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell’art.9 del D.P.R. 737/81 – Violazione del principio di tempestività e immediatezza nell’esercizio dell’azione disciplinare – Eccesso di potere per falso supposto di fatto e manifesta irragionevolezza.

Lamenta il ricorrente la violazione dei termini previsti dall’art. 9 del D.P.R. 737/81 (120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza) atteso che la sentenza è stata depositata il 19 maggio 2008, e la contestazione degli addebiti è stata comunicata il 21 gennaio 2009.

__2. Violazione di legge per violazione degli artt. 103 e 117 del D.P.R. 3/57. Violazione dell’art. 11 del D.P.R. 737/81. Violazione dell’art. 19 del D.P.R. 737/81 – Violazione del principio di tempestività e immediatezza nell’esercizio dell’azione disciplinare.

Deduce il ricorrente che l’Amministrazione deve avviare il procedimento disciplinare immediatamente, e solo quando è iniziata l’azione penale - e cioè quando il dipendente ha assunto la qualità di imputato –, può attendere l’esito del procedimento penale.

Se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, l’Amministrazione deve provvedere alla contestazione degli addebiti nei termini previsti dall’art. 19 del D.P.R. 737/81, dieci giorni dal momento in cui ha ricevuto notizia dei fatti disciplinarmente rilevanti.

Nel caso di specie l’Amministrazione era a conoscenza dei fatti sin dal 1° agosto 2002, momento in cui ha disposto la sua sospensione dal servizio.

Il procedimento disciplinare sarebbe stato quindi instaurato tardivamente.

Sarebbe stato violato anche l’art. 103 del T.U. 3/57, secondo cui la contestazione deve avvenire “subito”, atteso che nel caso di specie sarebbero trascorsi ben 7 anni tra la commissione dei fatti e l’inizio del procedimento disciplinare.

__3. Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del D.P.R. 737/81 – Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e falso supposto – Eccesso di potere per motivazione perplessa, falsa e contraddittoria – Difetto di motivazione e difetto di istruttoria.

Sostiene che l’Amministrazione non avrebbe graduato correttamente la sanzione non prendendo in considerazione la durata del servizio reso, le sue particolari condizioni familiari, i suoi precedenti di servizio favorevoli.

__4. Eccesso di poter per difetto di istruttoria – Eccesso di potere per motivazione falsa, perplessa e contraddittoria – Violazione dell’art. 13 del D.P.R. 737/81.

Lamenta inoltre il difetto di istruttoria che a sua volta avrebbe comportato l’adozione di una sanzione sproporzionata.

__5. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e falso supposto di fatto.

L’Amministrazione non avrebbe tenuto conto del suo regolare comportamento in servizio per 25 anni e di quello tenuto dopo riammissione in servizio, rispettoso del senso morale e dell’onore, non considerando che i fatti per i quali si è svolto il procedimento disciplinare si riferiscono ad un periodo di soli 3 mesi.

__6. Violazione del principio dell’affidamento – Eccesso di potere per contraddittorietà fra atti della stessa amministrazione – Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza.

Deduce che dopo la riammissione in servizio gli sarebbero stati assegnati compiti e responsabilità tali da fargli maturare il ragionevole affidamento sulla sua permanenza in servizio.

Conclude quindi per l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

Con ordinanza n. 4309/09 la domanda cautelare è stata respinta.

All’udienza pubblica del 16 ottobre 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.




DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso lamenta il ricorrente la violazione dell’art. 9 del D.P.R. 25/10/81 n. 737 (secondo cui il procedimento disciplinare deve essere iniziato entro e non oltre 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza), rilevando che la sentenza della Corte di Appello è stata pubblicata il 19 maggio 2008 ed è divenuta irrevocabile il 1° agosto 2008, mentre l’atto di contestazione degli addebiti è stato comunicato il 21 gennaio 2009, ben oltre detto termine.

La censura è infondata in quanto la normativa richiamata non si applica al caso di specie.

La suddetta disposizione, infatti, si riferisce ai casi di proscioglimento in sede penale del dipendente e non riguarda – quindi – la fattispecie in esame nella quale il ricorrente è stato invece condannato.

Nel caso di condanna in sede penale la normativa applicabile è quella dettata dalla L. 19/90, ovvero, per taluni delitti contro la P.A. commessi da pubblici ufficiali (quali la concussione, per quanto di interesse) quella recata dalla L. 97/2001, i cui termini sono stati rispettati atteso che la sentenza di condanna è stata comunicata all’Amministrazione il 9 dicembre 2008 (cfr. doc. n. 8 fascicolo dell’Avvocatura) e la contestazione degli addebiti è intervenuta il 21 gennaio 2009, prima del decorso dei 90 giorni previsto da quest’ultima legge.

La censura deve essere pertanto respinta.

Con il secondo motivo di impugnazione ha dedotto la violazione degli artt. 103 e 117 del T.U. 3/57 e dell’art. 19 del D.P.R. 737/81, sostenendo che l’Amministrazione avrebbe dovuto avviare immediatamente l’azione disciplinare, salvo sospenderla in caso di esercizio dell’azione penale.

La censura è infondata.

In sede di procedimento disciplinare a carico di agenti della Polizia di Stato non è previsto dall'art. 12 del d.p.r. 25 ottobre 1981 n. 737 – che costituisce normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal T.U. n. 3/57 - alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 17-05-2006, n. 2863;
Cons. Stato IV, 7 luglio 1993 n. 677;
T.A.R. Lazio Roma Sez. I Ter, 23-12-2006, n. 15702).

Inoltre, l'uso del termine "subito" nel contesto dell'art. 103 t.u. imp. civ. St. (d.P.R. n. 3 del 1957) ai fini della contestazione degli addebiti presenta mera valenza sollecitatoria, con la conseguenza che residua per l'amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento ed alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 12 agosto 2005, n. 4373).

Quando i fatti assumono connotazioni di rilevanza penale, l’Amministrazione può attendere l’esito del procedimento penale e procedere all’instaurazione del procedimento disciplinare dopo l’emissione della sentenza penale irrevocabile di condanna, come accaduto nel caso di specie.

Come ha correttamente rilevato la difesa erariale, il momento che segna il confine temporale per l’esercizio della potestà disciplinare da parte dell’Amministrazione, è costituito dell’esercizio dell’azione penale che comporta l’assunzione della qualità di imputato del dipendente (cfr. Cons. Stato A.P. 1/2009).

La scelta di rinviare l’esercizio dell’azione disciplinare all’esito del processo penale a carico del dipendente risponde ad esigenze di acquisizione di ogni elemento utile per inquadrare in modo esatto la vicenda, circostanza che viene soddisfatta al termine del processo penale.

La censura deve essere pertanto respinta.

Gli ulteriori motivi di impugnazione riguardano la commisurazione della sanzione e pertanto possono essere esaminati congiuntamente.

Innanzitutto occorre ricordare che l'art. 653 comma 1 c.p.p., nel testo emendato dall'art. 1, L. n. 97 del 2001, afferma che la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto sussiste e che costituisce illecito penale, ovvero che l'imputato lo ha commesso (ex multis T.A.R. Lazio - Roma sez I 2 marzo 2012, n. 2168).

Nel caso di specie sono dunque incontestabili i fatti per i quali è stata acclarata la responsabilità penale del ricorrente.

Secondo la giurisprudenza consolidata "la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento." (ex multis, si veda Consiglio Stato, Cons. Stato Sez. VI, 08-08-2014, n. 4232;
Cons. Stato Sez. III, 10-02-2014, n. 630;
Cons. Stato Sez. IV, 22-11-2013, n. 5569;
T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, 29-05-2014, n. 5781;
Cons. Stato sez. IV, 16 ottobre 2009, n. 6353;
Consiglio Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2830) vizi che nel caso di specie non ricorrono, tenuto conto della pluralità e gravità dei reati commessi dal ricorrente che configurano - sotto il profilo disciplinare - una evidente violazione della deontologia professionale propria del personale della Polizia di Stato e che quindi giustificano la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio (Cons. Stato n. 4797/2010).

Per quanto concerne la mancata valorizzazione dei buoni precedenti di carriera, è acquisito nella giurisprudenza il principio secondo cui i buoni precedenti comportamentali non costituiscono ostacolo all'irrogazione di una sanzione disciplinare anche di carattere radicale, ove il disvalore del comportamento tenuto dal dipendente sia ritenuto incompatibile con la sua permanenza in servizio, come nel caso di specie (Cons. Stato Sez. IV 31/3/09 n. 1903;
Sez. IV n. 1312 del 2001).

Né può essersi radicato l’affidamento del ricorrente sulla permanenza in servizio, essendo egli ben consapevole dell’esistenza del processo a suo carico per reati gravi, essendo rientrato in servizio non per una scelta discrezionale dell’Amministrazione, ma solo per il decorso del termine massimo della sospensione cautelare.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto perché infondato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.


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