TAR Milano, sez. III, sentenza 2021-10-12, n. 202102212

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza 2021-10-12, n. 202102212
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 202102212
Data del deposito : 12 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/10/2021

N. 02212/2021 REG.PROV.COLL.

N. 01415/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1415 del 2020, proposto da
Imm.re Sporting Club Monza S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F L e B S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Milano, via Freguglia, 1;

Segretariato Regionale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo per la Lombardia, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio, Varese, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

1) del decreto del Segretariato Regionale del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo per la Lombardia del 20.6.2019, notificato in data 15.6.2020, avente ad oggetto: (i) la dichiarazione di interesse storico particolarmente importante ai sensi degli artt. 10, co. 3, lett. d), 13, 14 D.Lgs. n. 42/2004, dei beni denominati « Piscina, apparati decorativi (la scultura denominata D e la scultura astratta) e spazi annessi nel compendio immobiliare denominato Villa Tagliabue », siti in Monza (MB), CAP 20900, al Viale Brianza, n. 39;
(ii) la dichiarazione di pertinenze storica e artistica della scultura denominata « D », realizzata da L F, e della « scultura astratta » rispetto al predetto compendio immobiliare;
nonché, se ed in quanto occorrer possa:

2) della relazione storico-artistica redatta dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio, Varese del 20.6.2019, notificata unitamente al predetto decreto del Segretariato Regionale del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo per la Lombardia, in data 15.6.2020, anche in quanto presupposta, collegata, connessa o, comunque, richiamata per relationem.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2021 la dott.ssa C P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1) Con ricorso notificato il 5 agosto 2020 e depositato il 10 agosto 2020 l’esponente, in qualità di proprietaria del compendio immobiliare sito nel Comune di Monza, V. le Brianza n. 39, costituito da un fabbricato ( Villa Tagliabue ) con piscina e spazi ad essa annessi, ha impugnato il provvedimento del 20 giugno 2019, con cui il Segretario regionale per la Lombardia del Ministero per i beni e le attività culturali ha decretato che:

«

1. i beni denominati
Piscina, apparati decorativi (la scultura denominata D e la scultura astratta) e spazi annessi nel compendio immobiliare denominato Villa Tagliabue , siti in Viale Brianza, 39 nel Comune di Monza, (…) sono dichiarati di interesse storico particolarmente importante ai sensi degli artt. 10 comma 3 lettera d), 13 e 14 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e sono quindi sottoposti a tutte le disposizioni di tutela contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Le suddette sculture presentano inoltre spiccati caratteri di pertinenza storica e artistica in rapporto al contesto architettonico di riferimento, costituendo un insieme unitario e inscindibile dall’immobile contenitore. Pertanto la sede di tali beni, la Piscina, nel compendio immobiliare denominato Villa Tagliabue sita in Viale Brianza 39 a Monza, costituisce a un tempo l’integrazione e l’inseparabile ambiente.



2. la scultura denominata D, realizzata da L F, e la
s cultura astratta, realizzata da A T con A C (…) sono dichiarate pertinenza storica e artistica del compendio immobiliare denominato Piscina, apparati decorativi (la scultura denominata D e la scultura astratta) e spazi annessi nel compendio immobiliare denominato Villa Tagliabue e come tali sono inscindibili e inamovibili in forma permanente e definitiva dalla loro sede e destinazione ».

2) I motivi di ricorso sono due.

2.1) Con il primo si deduce l’illegittimità del decreto suindicato per violazione e falsa applicazione degli artt. 10, comma 3, lett. d), 13 e 14 d.lgs. n. 42/2004 sotto altro profilo: eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e travisamento del fatto.

Ciò, poiché il citato art. 10, comma 3, lett. d) riguarderebbe le sole ipotesi in cui il bene si trovi in stretto rapporto con gli eventi storico-politici dell’Italia, ipotesi non ricorrente nel caso di specie, ove tanto la Villa Tagliabue quanto la Piscina non sarebbero affatto collegati con gli eventi storico-politici d’Italia.

2.2) Con il secondo motivo si deduce, invece, la violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 169 del d.lgs. n. 42/2004, oltreché degli artt. 817, 818, 819 del codice civile, sotto altro profilo: eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e travisamento del fatto.

Ciò, avuto riguardo alla palese erroneità e all’intrinseca irragionevolezza della dichiarata

pertinenzialità storica e artistica della scultura denominata « D », realizzata da L F, e della « scultura astratta », realizzata da A T con A C, rispetto alla Piscina progettata dall’architetto G M. La « scultura » il « D », spiega la ricorrente, non rientrerebbe nell’elenco contenuto negli artt. 50, 169 del D.Lgs. n. 42/2004, da intendersi necessariamente come tassativo, trattandosi di norme di divieto, mentre la pertinenza storico-culturale, per essere tale, dovrebbe accedere ad un bene culturale immobile, tale non essendo la piscina in esame.

3) Si è costituita l’intimata Amministrazione, controdeducendo con controricorso alle censure avversarie.

3.1) La stessa intimata, dopo avere rilevato come il ricorso sia stato irritualmente notificato in data 5.8.2020 presso la sede reale dell’amministrazione e presso l’Avvocatura generale dello Stato a Roma anziché presso l’Avvocatura distrettuale territorialmente competente, ha difeso nel merito la legittimità del provvedimento impugnato. Essa ha, in particolare, evidenziato come la Piscina - progettata dall’architetto G M, con all’interno le due statue, realizzate l’una in ceramica di Albisola da L F (denominata D ) e l’altra in ceramica policroma eseguita dalla Società ceramica italiana di Laveno, da A T con A C (denominata Scultura astratta ) -, costituirebbe il fulcro del compendio immobiliare in questione, rappresentando il principale elemento di affermazione del proprietario nell’establishment nazionale del Secondo Dopoguerra. Ancora, la resistente ha spiegato come, nel corso della seconda metà del Novecento, l’industriale monzese E T e la moglie, la soubrette E G, abbiano reso la villa un polo d’attrazione di personalità dello spettacolo e dell’alta aristocrazia internazionale, e proprio la piscina, con le statue ad essa annesse, ne era divenuta la principale attrazione. Il particolarissimo complesso, progettato dall’architetto G M tra la fine del 1950 e il 1951, con la collaborazione di noti artisti italiani, tra i quali L F e A T, sarebbe stato commissionato appositamente per ospitare eventi mondani all’interno di scenografie d’acqua particolarmente suggestive.

3.2) Quanto al vincolo pertinenziale fra le sculture e la piscina, l’Avvocatura ha rammentato come sia il D che la Scultura astratta nascerebbero allo scopo di aggiungere dinamismo alla generale percezione del luogo e sarebbero intimamente e concettualmente legati alla Piscina , come del resto già riconosciuto dal Giudice adito nel precedente giudizio [(n. 315/2017 Reg. ric.), ove, già nell’ordinanza emessa in sede cautelare (n. 524/2017, pagg. 2 e 3), si legge che: “allo stato, sulla base della documentazione in atti, si può affermare come la scultura in ceramica “D” sia stata realizzata, non oltre il 1951 (è dunque ultra cinquantennale), dal maestro L F specificatamente per la piscina di Villa Tagliabue, della quale ha continuato a far parte fino al 2015, parzialmente immersa in tale vasca, posata su un basamento dedicato e emettendo spruzzi d’acqua, con un’intuibile funzione decorativa”;
mentre, nella successiva sentenza, n. 1333/2018, si riconosce che: “Le amministrazioni convenute hanno offerto piena evidenza probatoria del rapporto di pertinenzialità tra l’opera decorativa e la piscina, al di là della discussa paternità del supporto della statua” ].

3.3) Il D risulterebbe, quindi, ideato e realizzato - anche per gli aspetti impiantisci e funzionali - fin dalle prime fasi costruttive, a servizio e ornamento durevole della piscina di villa Tagliabue, quale reinterpretazione moderna della tradizione rinascimentale e barocca dei giochi d’acqua, rendendo così evidente la sua non separabilità dal contesto dell’opera architettonica, pena la compromissione significativa del relativo valore culturale.

3.4) L’avere omesso di richiedere l’autorizzazione al distacco dell’opera avrebbe precluso alla competente Soprintendenza l’esercizio di una più puntuale ed efficace azione di tutela preventiva del bene, costringendo l’Amministrazione medesima ad interventi successivi, finalizzati ad impedire la definitiva perdita dell’opera stessa, dopo il suo abusivo distacco, e a recuperarla, per il doveroso reinserimento nel contesto architettonico di appartenenza.

4) La ricorrente ha, nel prosieguo, rappresentato in memoria di essere disposta a rinunciare alle istanze cautelari del ricorso introduttivo a fronte di una sollecita trattazione del merito della causa.

5) Alla camera di consiglio dell’8 settembre 2020, presenti gli avvocati B S, per la parte ricorrente, che ha dichiarato di rinunciare alla domanda cautelare, e l'avvocato dello Stato R M, per le amministrazioni resistenti, il Presidente ha fissato per la trattazione della causa nel merito la pubblica udienza del 13 aprile 2021.

6) All’udienza del 13 aprile 2021, tenutasi ai sensi dell’art. 25, comma 2, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, senza discussione orale e mediante collegamento da remoto in videoconferenza, per mezzo della piattaforma in uso presso la Giustizia amministrativa, vista la richiesta congiunta delle parti depositata in atti, il Presidente ha rinviato la discussione della causa alla pubblica udienza del 21 settembre 2021.

7) In vista dell’udienza pubblica del 21 settembre 2021 la ricorrente ha depositato copia della sentenza del TAR Veneto, II sezione, del 20 maggio 2021, n. 685 - in attesa della quale era stata in precedenza motivata la richiesta di rinvio -, insistendo con memoria sulle proprie posizioni;
la resistente ha replicato.

8) All’udienza del 21 settembre 2021, presenti gli avvocati B. Santamaria per la parte ricorrente e Pastorino Olmi per l'Avvocatura dello Stato, la causa è stata trattenuta in decisione.

9) Preliminarmente, il Collegio ritiene utile tratteggiare il quadro giuridico di riferimento della controversia per cui è causa.

A tal proposito, va anzitutto richiamato l’articolo 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 22/01/2004, n. 42, comma 2, a tenore del quale: « Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà».

Ebbene, l’essere testimonianza di valore di civiltà rappresenta, secondo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalente, il catalizzatore che determina l’inerenza dell’interesse pubblico culturale non già, alla cosa in quanto tale, ma, al suo significato, sicché esso trascende la soddisfazione del singolo proprietario, per riguardare l’intera collettività, come interesse alla conservazione e fruibilità del bene culturale attraverso la cosa oggetto di vincolo e tutela [cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, Sent., 15-02-2021, n. 107, per cui: « I valori si incardinano inscindibilmente nel bene materiale, ed il bene diventa radice ed espressione di una significazione altra che non si identifica con il supporto materiale ma rimanda ai valori ed ai principi che in dato momento storico guidano l'evoluzione della società. Rileva la migliore dottrina che il bene materiale è oggetto di diritti patrimoniali, il valore culturale immateriale è oggetto di situazioni soggettive attive da parte dei poteri pubblici (…). È stato definitivamente accantonato il criterio estetizzante privilegiando il profilo storicistico »].

Si parla, al riguardo, di nozione “ aperta ” di bene culturale, la quale nondimeno si specifica tecnicamente con il cd. criterio reale e normativo, sicché non esistono testimonianze aventi valore di civiltà che non siano “ cose ”, individuate come bene culturale dalla legge o in base alla legge [cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 settembre 2020, n. 5357, per cui la « nozione di “bene culturale” è in grado di ricomprendere anche i cespiti che – pur non portatori di uno specifico valore artistico – costituiscono una testimonianza della vita e della storia (anche di una parte soltanto) della comunità nazionale in relazione al messaggio che esso, come un vero e proprio documento, è in grado di perpetuare per le generazioni future », mentre « la tutela storico-artistica di un bene culturale non protegge qui l’ingegno dell'autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può essere intesa a valorizzare l’intenso legame tra il cespite e la storia del territorio »;
nonché, Cons. Stato, Sez. VI, 30 luglio 2019, n. 5390;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 14 settembre 2020, n. 9571;
Consiglio di Stato, sez. VI, 14 giugno 2017, n. 2920;
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, Sent., 11 novembre 2020, n. 2119).

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio elenca, poi, nell’art. 10, le tipologie di beni culturali sottoposti a tutela, integrando la definizione generale di cui all’art. 2, comma 2.

Si va dai beni culturali per ragioni soggettive (di cui al comma 1), a quelli “ ope legis ” (di cui al comma 2), ai beni culturali per “ dichiarazione amministrativa ” (di cui al comma 3) i quali, per acquisire la qualitas culturale hanno necessità della dichiarazione di cui al procedimento delineato dall’art. 14 dello stesso Codice.

Soffermandoci, per quanto d’interesse, su questi ultimi, va rammentato come, ai sensi dell’art. 10, comma 3, «Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13: (…) d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse, particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. (…)» (si tratta dei cd. beni culturali per riferimento o di interesse storico indiretto, per i quali l’accento è posto, più che sul loro intrinseco pregio artistico, archeologico o etnoantropologico, sulla loro colleganza col contesto storico o il ricordo di civiltà che essi riaccendono nella memoria della collettività).

Le diverse aggettivazioni dei beni culturali, ricavabili dall’art. 10, determinano una graduazione dell’interesse culturale, che va dall’interesse “ semplice ” dei beni di proprietà di enti pubblici ed enti non lucrativi, all’interesse eccezionale , passando attraverso l’interesse “ particolarmente importante ”, di cui al surriportato comma 3, lett. d) [cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, Sent., 15 febbraio 2021, n. 107, per cui: « Nell’elencare i beni si tengono in considerazione tre aspetti: l’appartenenza del bene (pubblica o privata), il carattere delle cose, il livello di interesse culturale. In modo più specifico, l’interesse culturale può essere (…) “semplice” ex art. 10, comma 1;
(…) “presunto” ex art. 10 comma 2;
(…) “particolarmente importante” ex art. 10 comma 3 lett. a), b) e d). Seguono poi i beni il cui interesse culturale è definito “eccezionale” e “rarità e/o pregio”»;
nonché, sulle varie « categorie » di beni culturali, T.A.R. Lazio, Roma, 10 marzo 2020, n. 3101].

Ebbene, il giudizio su tale interesse è connotato, secondo un granitico orientamento giurisprudenziale, « da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell’arte e dell’architettura) caratterizzati da ampi margini di opinabilità» [così, Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4747, che poi aggiunge: « l’apprezzamento compiuto dall’Amministrazione preposta alla tutela – da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost. – è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile. In altri termini, la valutazione in ordine all’esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l’imposizione del relativo vincolo (…) è prerogativa esclusiva dell’Amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta (v., in tale senso, la giurisprudenza consolidata di questa Sezione: ex plurimis, le sentenze n. 1000/2015, n. 3360/2014, n. 2019/2014 e n. 1557/2014) …» ;
in senso conforme cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 dicembre 2015, n. 5844;
T.A.R. Campania, Napoli, VII, 28 aprile 2021, n. 2788].

10) Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso di specie, si ricava l’infondatezza del primo motivo, basata su un’interpretazione parziale e riduttiva della categoria dei beni culturali delineata dall’art. 10, comma 3, lett. d) del D.Lgs. 22/01/2004, n. 42, oltreché, su una sovrapposizione della personale e, dunque, opinabile valutazione della ricorrente a quella dell’amministrazione, inammissibile in questa sede.

La motivazione del provvedimento impugnato, recante la dichiarazione d’interesse culturale del compendio denominato « Piscina, apparati decorativi (la scultura denominata D e la scultura astratta) e spazi annessi (…) », integrata dall’allegata relazione storico-artistica, dà adeguatamente conto delle ragioni per le quali il compendio in contestazione rivesta « interesse particolarmente importante », ai sensi dell’art. 10, comma 3, del decreto-legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).

In effetti, lo specifico livello dell’interesse che le “ cose” devono assumere per assurgere a bene culturale viene desunto dal significato che la piscina, con gli elementi decorativi ad essa collegati, ha assunto, sia rispetto alla carriera professionale dei rispettivi autori, sia rispetto alla cultura del tempo.

Difatti, si legge nel decreto impugnato come essi « rappresentino un passaggio importante all'interno della carriera professionale dell’arch. M e degli artisti T e F e un caso emblematico della cultura del tempo, laddove la fusione di uno specifico programma scultoreo e di una sapiente progettazione architettonica ha concretizzato una composizione artistica omogenea di elevato valore ».

Ancora, nel corredo motivazionale del provvedimento si dà atto della « fortuna critica della piscina e del suo apparato decorativo, come dimostrato dalla pubblicistica nazionale e internazionale, tanto di settore quanto non specialistica, quale esemplificazione del gusto e dello stile di vita degli imprenditori italiani protagonisti del boom economico ».

Di tutto ciò vengono poi forniti riscontri oggettivi nella Relazione storico-artistica, richiamata come parte integrante del provvedimento impugnato, ove vengono citati, fra gli altri, l’articolo uscito sul numero 262 della nota Rivista Domus, del mese di ottobre 1951, a firma di G P, intitolato « Fantasia degli italiani. Piscina o lago? », e il Volume « G M. Lo spettacolo dell’architettura » (a cura di M C L, C S, A V N,

Sna Editoriale - Mendrisio Academy Press), che indaga la produzione dell’architetto, urbanista e designer milanese G M, riportando un ricco approfondimento, ad opera dell’architetto Marco Stanislao Prusicki, intitolato « La Piscina danzante di G M », dedicato proprio alla piscina della Villa Tagliabue. Nell’approfondimento, contenente molti dettagli non solo tecnico progettuali ma anche storico sociali e bibliografici che evidenziano la fortuna critica della piscina e del suo apparato decorativo, è riportato anche un articolo apparso sul Settimanale " Settimo Giorno”, edito da Gianni Mazzocchi e diretto da Emilio Radius, del 23 agosto 1951, n. 34, a firma di Pier Angelo Soldini, intitolato « Nemmeno Hollywood », che paragona la piscina di M a quella costruita nella località californiana nel 1949, pubblicata sul " Saturday Evening Post ”.

La motivazione del decreto di vincolo rivela, quindi, come la causa dell’interesse particolarmente importante rivestito dalla Piscina di G M, con il D di L F e la Scultura astratta di A T ad essa collegati, vada ravvisata, come chiarito da parte resistente, nel loro riferimento sia con la storia dell’arte (trattandosi, come già in precedenza riportato, di « un caso emblematico della cultura del tempo, laddove la fusione di uno specifico programma scultoreo e di una sapiente progettazione architettonica ha concretizzato una composizione artistica omogenea di elevato valore ») sia con la cultura in genere (« quale esemplificazione del gusto e dello stile di vita» degli industriali del secondo Dopoguerra, nonché delle relazioni intercorrenti tra il mondo politico, produttivo e dello spettacolo negli anni della Ricostruzione post-bellica).

Rispetto a siffatto apprezzamento della pubblica amministrazione – espresso sulla scorta di dati oggettivi correlati, come si è visto, sia alle caratteristiche architettoniche del compendio sia al suo significato sul piano della cultura in genere – la società ricorrente non è stata in grado di evidenziare la presenza né di errori decisivi, né di gravi carenze motivazionali, né di palesi incongruità o illogicità, tali da inficiare l’accertamento della sussistenza dell’interesse culturale dei beni in esame.

Da ciò, dunque, l’infondatezza del motivo in discorso.

11) Sul secondo motivo, diretto contro la dichiarazione di pertinenzialità storica e artistica della scultura denominata « D », realizzata da L F, rispetto alla piscina di G M, il Collegio osserva quanto segue.

11.1) Ai sensi dell’articolo 11 del D.Lgs. 22/01/2004, n. 42, comma 1, « Sono assoggettate alle disposizioni espressamente richiamate le seguenti tipologie di cose:

a) gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista, di cui all'articolo 50, comma 1;
(…)».

Si legge, a seguire, nell’articolo 50 del Codice, al comma 1, che: « È vietato, senza l'autorizzazione del soprintendente, disporre ed eseguire il distacco di affreschi, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista ».

L’espresso riferimento del legislatore anche agli elementi decorativi di edifici non esposti alla pubblica vista se, da un lato, evidenzia come l’interesse tutelato dalla norma non sia quello volto ad assicurare il godimento pubblico dei beni in questione, ma quello di preservare l’integrità materiale dei beni medesimi, dall’altro conferma il carattere esemplificativo e non tassativo della elencazione riportata nella disposizione medesima.

11.2) Va, pertanto, disattesa la tesi dell’esponente, ove propende per un’interpretazione della norma (come volta a richiedere il vincolo di pertinenzialità tra elemento decorativo e bene immobile culturale) che ne limita fortemente la ratio , andando peraltro oltre il senso fatto palese dal significato proprio delle parole (di cui all’art. 12, comma 1 delle Preleggi).

Ai sensi del combinato disposto delle surrichiamate norme del Codice Urbani [a cui va aggiunto l’articolo 169, che punisce « con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 775 a euro 38.734,50: (…) b) chiunque, senza l'autorizzazione del soprintendente, procede al distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, anche se non vi sia stata la dichiarazione prevista dall'articolo 13 ;
(…)»], quindi, l’obbligo di richiedere la previa autorizzazione prescinde dall’intervenuta dichiarazione di interesse culturale delle cose in concreto coinvolte. Si tratta, infatti, di beni che – siano essi affreschi, stemmi, iscrizioni, tabernacoli o altri elementi decorativi, fra cui le stesse statue – presentano le rispettive potenzialità evocative in relazione al contesto in cui sono collocati sicché, la loro separazione dal contesto predetto, ne mette a rischio tanto il significato quanto il valore culturale.

11.3) Quanto, infine, agli elementi fattuali da cui l’Amministrazione ha ricavato la prova della relazione pertinenziale tra la statua (il D) e la piscina, il Collegio non può che richiamare quanto già affermato, sul punto, dalla Sezione, nella sentenza n. 1333, del 25 maggio 2018, pronunciata tra le stesse parti del giudizio in epigrafe.

Ivi si legge, in particolare, che: « Le amministrazioni convenute hanno offerto piena evidenza probatoria del rapporto di pertinenzialità tra l’opera decorativa e la piscina, al di là della discussa paternità del supporto della statua.

Tale prova si desume dalle seguenti circostanze di fatto, pacificamente riscontrabili sulla base della documentazione prodotta in atti:

- il basamento dell’opera (di cui non vi è più traccia in quanto oggetto di demolizione da parte della proprietà) non era semplicemente appoggiato al fondo della piscina ma era legato alla stessa dai tubi per il passaggio dell’acqua, come attestato dalle dichiarazioni degli operai che avevano partecipato alle fasi di demolizioni del basamento stesso;

- la statua aveva la funzione di fontana, come dimostrato dalla presenza, tuttora visibile, al suo interno, di ugelli che gettavano l’acqua dalle narici;

- a conferma di ciò, un articolo comparso sul settimanale “Settimo Giorno” pubblicato in data 23 agosto 1951 così descrive la statua: “un grande delfino, lungo tre metri e cinquanta, dello scultore L F, galleggia a fior d’acqua e zampilla dalle narici (…)”;

- a ulteriore riprova dello scopo non solo ornamentale ma anche funzionale ed impiantistico a servizio della piscina svolto dalla scultura, soccorrono le immagini di epoca prodotte in giudizio, di cui una pubblicata sul n. 262 della rivista Domus dell’ottobre 1951 con didascalia (secondo cui la piscina conteneva “un delfino lungo tre metri e mezzo, in ceramica smaltata” che “getta acqua”);

- una serie di 6 foto pubblicate sul numero di marzo 1990 della rivista “L’architettura. Cronache e Storia” rende visibile la continuità del rivestimento a mosaico ceramico di colore azzurro tra il fondo, le pareti della vasca e il basamento della scultura, così attestando l’imprescindibile nesso funzionale esistente tra tutte le parti coinvolgenti opera decorativa ed edificio.

Ne consegue, pertanto, che gli atti contestati hanno costituito legittima attuazione ex post di un potere ordinamentale conferito alle amministrazioni convenute, che si sarebbe dovuto esplicitare, se fosse stata seguita dalla proprietà la normale procedura, in un potere preventivo e autorizzatorio sul distacco del D dal suo contesto fisico (ovvero, dalla piscina )».

12) Per le considerazioni sin qui esposte, il ricorso in epigrafe specificato va respinto.

13) Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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