TAR Torino, sez. II, sentenza 2022-12-23, n. 202201194

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. II, sentenza 2022-12-23, n. 202201194
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202201194
Data del deposito : 23 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/12/2022

N. 01194/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00384/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 384 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da
G B M, rappresentato e difeso dall'avvocato F B, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via Luigi Colli, 3;

contro

Comune di Piossasco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A L D C, domiciliato presso la T.A.R. Piemonte Segreteria in Torino, via Confienza, 10;

per l'annullamento

a) dell'ordinanza di demolizione n. 121/2015 del 17.09.2015, notificata il 21.01.2016, adottata dalla Dirigente del Dipartimento Servizi al Territorio - Urbanistica Edilizia Privata della Città di Piossasco, con la quale si ingiunge al ricorrente la demolizione e la restituzione in pristino dello stato dei luoghi ante opere edilizie asseritamente abusive descritte nell'ordinanza nel termine di 90 giorni dalla notifica del citato provvedimento;

b) dell'ordinanza di demolizione n. 122/2015 del 17.09.2015, notificata il 21.01.2016, adottata dalla Dirigente del Dipartimento Servizi al Territorio - Urbanistica Edilizia Privata della Città di Piossasco, Ing. Roberta Ballari, con la quale si ingiunge al ricorrente la demolizione e la restituzione in pristino dello stato dei luoghi ante opere edilizie asseritamente abusive descritte nell'ordinanza nel termine di 90 giorni dalla notifica del citato provvedimento;

nonché per l'annullamento

degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi del procedimento e di ogni ulteriore consequenziale statuizione, se ed in quanto lesivi degli interessi del ricorrente;

nonché, con motivi aggiunti depositati in data 14.2.2017, per l’annullamento

c) del provvedimento prot. n. 0022433 del 23.11.2016 a firma del Responsabile dei Servizi al Territorio della Città di Piossasco (diniego di istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/2001);

d) della comunicazione prot. n. 9902 del 18.5.2016 a firma dello stesso Responsabile dei Servizi al Territorio della Città di Piossasco (comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria).


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Piossasco;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 1 dicembre 2022 il dott. Marcello Faviere e udita la difesa di parte resistente, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il sig. M G B è proprietario di un terreno ubicato nel comune di Piossasco (TO), meglio censito al C.T. foglio 68, mapp. 289 (ex 239).

Il Comune di Piossasco, a seguito di sopralluogo, contestava all’odierno ricorrente l’esistenza di alcune opere abusive insistenti sul citato terreno. Dopo rituale procedimento in contraddittorio l’ente emanava due ordinanze (n. 121 e 122 del 17.09.2015) con cui ingiungeva, oltre alla remissione in pristino dei luoghi, la demolizione delle seguenti opere:

a) fabbricato in parte aperto e in parte chiuso, posto ad est della proprietà presso la recinzione (realizzato su cordolo di calcestruzzo con soprastanti tamponature in legno, con copertura a falde con struttura in legno e manto in ondulati plastici;
dimensioni massime stimate a vista: circa m. 15,00 x circa m. 6,00, altezza massima circa m. 3,70 e minima circa m. 2,10);

b) fabbricato posto a nord della proprietà realizzato su battuto di calcestruzzo con struttura in muratura e copertura a due falde con manto di copertura in ondulati plastici (dimensioni stimate a vista: circa m. 13,50 x circa m. 5,00, altezza massima circa m. 2,50 minima circa m. 1,80).

c) tettoia posta a sud della proprietà realizzata con struttura in metallo e copertura a due falde in ondulati metallici (dimensioni massime stimate a vista: circa m. 3,00 x circa m. 3,00, altezza massima circa m. 3,70);

d) fabbricato posto a sud del lotto di proprietà realizzato in metallo con copertura piana (dimensioni massime stimate a vista di circa m. 14,00 x circa m. 2,00 e di altezza circa m. 2,50);

e) fabbricato posto al centro della proprietà realizzato con struttura e tamponature in legno, con copertura a falde con struttura in legno e manto in ondulati plastici (dimensioni massime stimate a vista: circa m. 3,00 x circa m. 3,00, altezza massima circa m. 5,00 e minima circa m. 3,50);

f) pavimentazione del lotto realizzata con masselli di calcestruzzo autobloccanti;

g) recinzione del lotto realizzata con cordolo in calcestruzzo e soprastante cancellata metallica con cancello carraio in metallo posto a sud e cancello pedonale e carraio posto a nord.

I provvedimenti motivano con riferimento all’assenza di permesso di costruire e all’insistenza delle opere nella fascia di rispetto del torrente Chisola (in violazione peraltro degli artt. 12 e 13 delle NTA del PRGC).

2. Avverso tali atti è insorto l’interessato con ricorso notificato il 21.03.2016, ritualmente depositato, con cui lamenta in quattro distinti motivi violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili ed insta per il rilascio di misure cautelari (cui ha rinunciato in corso di camera di consiglio del 04.05.2016).

Per resistere al gravame si è costituito, in data 29.04.2016 il Comune di Piossasco.

Contestualmente, in data 19.04.2016, l’interessato ha presentato istanza di permesso a costruire in sanatoria (limitatamente ad uno dei fabbricati, meglio identificato al CU f. 68, part 289 sub. 2, di cui all’ordinanza n. 121/2015 nonché alla recinzione con passo carraio di cui alla precedente lett. g.). A seguito di rituale procedimento il Comune ha rigettato l’istanza con provvedimento del 23.11.2016 (prot. 22433, trasmesso in pari data mediante piattaforma telematica).

L’interessato è insorto avverto tale provvedimento con ricorso per motivi aggiunti notificati in data 20.01.2017, depositato avanti questo Tribunale, con il quale lamenta violazione di legge ed eccesso di potere un unico articolato motivo.

Il Comune ha depositato memoria e documenti (il 24.03.2017) nella quale eccepisce irricevibilità del ricorso per motivi aggiunti.

Alla udienza straordinaria di smaltimento del 01.12.2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

Preliminarmente occorre procedere alla trattazione delle questioni in rito.

3. Il Collegio, esaminata la preliminare eccezione di tardività del ricorso per motivi aggiunti, non la ritiene fondata.

Parte resistente sostiene che, a seguito della comunicazione del provvedimento di rigetto della istanza di sanatoria avvenuta mediante comunicazione a mezzo piattaforma telematica MUDE il 23.11.2016, il ricorso sarebbe tardivo in quanto notificato in data 25.01.2017 a fronte della scadenza dell’ordinario termine ex art. 40 c.p.a. al 23.01.2017.

Orbene, dall’esame della relata di notifica, presente in calce al ricorso, emerge che il medesimo è stato consegnato all’ufficiale giudiziario presso la Corte d’Appello di Torino in data 20.01.2017 (come è dato desumere dalla stampigliatura a margine della relata di notifica in ordine all’ordine cronologico dell’atto consegnato, la data, e la specifica delle spese);
quest’ultimo ha effettuato la notifica presso l’ente in data 25.01.2017.

È pacifico che nel nostro ordinamento opera un principio di ordine generale secondo il quale, qualunque sia la modalità di trasmissione od esecuzione, la notificazione di un atto processuale, almeno quando debba effettuarsi entro un termine prestabilito, si intende perfezionata, dal lato del richiedente, al momento dell'affidamento dell'atto all'ufficiale giudiziario. Tale momento si desume dalla stampigliatura, ancorché priva di sottoscrizione, apposta sull'atto, recante il numero cronologico, la data e la specifica delle spese, salvo che sia in contestazione la conformità al vero di quanto da esso desumibile, ipotesi che non ricorre nel caso di specie (cfr. Cass. Civ., 25/2/2015, sent. n. 3755., Cass. Civ., sez. VI, 10/4/2018, n. 8862, Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 15/10/2018, n. 25716).

Per tali ragioni l’eccezione non è fondata.

4. Passando alla trattazione del merito, il ricorso è infondato.

5. Con il primo motivo si lamenta violazione della LRP n. 56/1977 e degli artt. 3, 6, 10, 22 e 31 del D.P.R. n. 380/2001, insufficienza di istruttoria e motivazione, del principio di buona amministrazione e sviamento di potere. In particolare viene censurata l’ordinanza n. 121/2015 che non terrebbe in debito conto delle prove offerte in sede procedimentale circa la risalenza dei manufatti ad una data anteriore al 1967 (almeno quanto a volumetria realizzata). Ciò renderebbe non necessario il titolo edilizio (permesso a costruire), la cui mancanza è contestata dall’amministrazione, nonché l’operatività della fascia di rispetto, essendo tale vincolo successivo alla realizzazione delle opere.

Le doglianze non colgono nel segno.

L’amministrazione, sia in sede procedimentale che processuale, ha argomentato la non sufficienza degli elementi probatori offerti dall’interessato per comprovare la realizzazione dei manufatti in epoca antecedente al 1967. Questi consistono sostanzialmente: in una fotografia risalente al 1963 che ritrae alcune persone e sullo sfondo una porzione di fabbricato che, secondo quanto sostenuto dal ricorrente, sarebbe riconducibile a quello sopra indicato sub 1 (cfr. doc. n. 2 di parte ricorrente);
in un atto notarile rogato in data 27.10.1944 nel quale viene fatto riferimento (quale oggetto di divisione ed assegnazione) ad un fabbricato e a campate di tettoie sul fondo del cortile che sarebbero riconducibili a entrambi i manufatti oggetto di ordinanza;
in due dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà rese da alcuni confinanti.

Orbene tale documentazione non offre elementi sufficienti, precisi e concordanti sulla esistenza dei manufatti di cui si controverte.

La condivisibile conclusione cui giunge l’amministrazione evidenzia la mancanza di punti di riferimento fissi per valutare la volumetria presente nelle fotografie nonché la non riconducibilità dei fabbricati di cui al citato atto notarile (in particolare il lotto III, fronteggiante “campata di tettoie sul fondo del cortile”) a quelli di cui si controverte.

L’amministrazione inoltre evidenzia, non contraddetta dal ricorrente, l’assenza dei fabbricati oggetto dell’ordinanza nelle carte tecniche regionali (in scala 1:10.000) risalenti al 1991, mentre sono presenti immobili limitrofi nonché la “campata di tettoie” di cui al citato atto notarile. Parte ricorrente non ha offerto rilievi cartografici o fotogrammetrici in grado di confutare tale evidenza.

Le conclusioni cui giunge l’amministrazione risultano ragionevoli, plausibili e frutto di una istruttoria completa.

È appena il caso di evidenziare come, per giurisprudenza costante, in caso di contestazione dell'abusività di un'opera grava sul proprietario l'onere fornire la prova della risalenza dell'immobile a un periodo precedente alle previsioni normative che hanno imposto la necessità del titolo abilitativo edilizio, in linea generale coincidente con la c.d. legge "ponte" n. 765 del 1967, che ha imposto l'obbligo generalizzato di previa licenza edilizia per le costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano, come quella di parte appellante (cfr. ex multis Cons. Stato Sez. II, 22/06/2022, n. 5132, T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. II, 05/04/2022, n. 599).

Ciò poiché, anche in apprezzamento del criterio della vicinanza dei mezzi di prova, il proprietario autore delle opere indicate come abusive è, di regola, in grado di procurarsi la documentazione comprovante in modo certo il periodo di costruzione dell’immobile.

In presenza di un manufatto edilizio privo di un titolo abilitativo che lo legittimi, la P.A. ha unicamente il potere - dovere di sanzionare l'abuso e di adottare, ove ne ricorrano i presupposti, l'ordine di demolizione. L'Amministrazione comunale, nell'adottare una sanzione per abusi edilizi, pur dovendo svolgere un'istruttoria adeguata estesa anche all'epoca della edificazione (per individuare il regime giuridico di riferimento), non deve fornire, quale condizione di legittimità per l'irrogazione della sanzione, anche la prova certa dell'epoca della realizzazione dell'abuso, atteso che, come sopra evidenziato, è posto in capo al proprietario (o al responsabile dell'abuso) colpito dalla ingiunzione di demolizione l'onere di provare la risalenza nel tempo dell'immobile.

Al riguardo va precisato che le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà (come quelle prodotte dall’odierno ricorrente) non sono sufficienti a fornire prova dell'epoca di realizzazione del manufatto, atteso che le stesse non sono utilizzabili nel processo amministrativo e non rivestono alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria dell'amministrazione.

Occorre infine evidenziare che la mancata dimostrazione della risalenza nel tempo dei manufatti rende infondate altresì le censure in ordine alla irrilevanza del vincolo paesaggistico (presenza di fascia di rispetto) che, secondo i ricorrenti, sarebbe successivo alla costruzione degli immobili.

Per le ragioni che precedono il primo motivo del ricorso originario non è fondato.

6. Parte ricorrente censura nel merito l’altra ordinanza (n. 122/2015), con riferimento ai restanti fabbricati sopra indicati, con il terzo motivo del ricorso principale, censurando il provvedimento sotto i medesimi profili di cui al primo motivo.

In particolare viene evidenziata la natura non permanente di alcune opere (trattandosi di tettoia non infissa al suolo, di un fabbricato non ancorato al terreno ma retto su bancali e di un ulteriore fabbricato in legno di quelli comunemente venduti pressi punti vendita commerciali) e della preesistenza della recinzione al 1967. La pavimentazione del cortile, infine, realizzata mediante autobloccanti sarebbe compatibile con il Regolamento Edilizio comunale.

La censura non persuade.

Occorre premettere che il provvedimento impugnato risulta plurimotivato, sia in ordine alla assenza di titoli edilizi idonei (permesso a costruire e SCIA) che in ordine alla violazione della normativa paesaggistica.

Con riferimento a quest’ultimo punto, in particolare, il Comune evidenzia che l’intera zona ricade nella fascia di rispetto del torrente Chisola. In particolare trovano applicazione gli artt. 13.2 (che impone una fascia di rispetto di 150 mt dal corso d’acqua) e 12.3 (che impone una fascia di rispetto di 100 mt dal torrente in questione) delle NTA del PRGC vigente (cfr. doc, n. 4 di parte resistente).

Il ricorso non nega tale stato di fatto limitandosi a dedurre la preesistenza di alcuni manufatti (recinzione e pavimentazione) al momento di insorgenza del vincolo.

Orbene nel valutare l’operatività del vincolo paesaggistico il rapporto cronologico tra l’insorgenza del vincolo e l’abusiva edificazione resta assoggettato alla situazione di diritto “attuale” in tutte le ipotesi in cui vi sia la necessità di verificare la compatibilità delle opere con l’assetto paesaggistico ambientale del territorio.

Ciò vale per la recinzione e la pavimentazione di cui si controverte, non rilevando la circostanza che la relativa realizzazione sia assoggettata al regime della SCIA (o della comunicazione di inizio lavori). Come chiarito dalla giurisprudenza in ogni caso in cui l’amministrazione comunale è chiamata ad effettuare una verifica di compatibilità paesaggistica (sia in sede di sanatoria che di accertamento degli abusi edilizi), i vincoli anche successivamente apposti trovano applicazione essendo prioritaria la sottesa valutazione funzionale a valorizzare lo speciale regime di tutela del bene compendiato nel vincolo medesimo (cfr. ex multis Cons. Stato, Ad. Plen., 22/07/1999, n. 20;
Cons. Stato, sez. VI, 17/01/2014, n. 231).

È altresì vero che la sussistenza dei presupposti di fatto del vincolo paesaggistico ambientale giustifica di per sé l’ordine di demolizione. Per giurisprudenza costante, infatti “ l'ingiunzione di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione ” (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 13/06/2018, n. 931).

È appena il caso di evidenziare inoltre che, similarmente a quanto dedotto per le opere oggetto della prima ordinanza esaminata, il ricorrente non offre elementi univoci e sufficienti a provare l’esistenza delle opere anteriormente al 1967, non rilevando a tale scopo il fatto che nel 1988 sia stata autorizzata una recinzione in zona adiacente quella di cui si controverte.

Quanto alle restanti censure contenute nel motivo in scrutinio, inerenti ai profili urbanistici ed attinenti alla necessità o meno del permesso a costruire, il Collegio ritiene di poterne omettere l’esame poiché, ove l’atto impugnato sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall’autorità emanante (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 14/10/2010, n. 7498;
Cons. Stato, sez. VI, 31/03/2011, n. 1981).

Per le ragioni che precedono anche il terzo motivo di ricorso è infondato.

7. Con il secondo ed il quarto motivo, trattati congiuntamente per ragioni di connessione oggettiva, si lamenta eccesso di potere per travisamento dei fatti, erronea valutazione dei presupposti ed insufficienza istruttoria e della motivazione.

Il ricorrente lamenta in sostanza la violazione del principio del legittimo affidamento indotto nel privato da lungo lasso di tempo trascorso dalla effettiva realizzazione delle opere e per la mancata comparazione dell’interesse privato con l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata.

Il Collegio non ritiene di condividere tali doglianze.

A prescindere dalle considerazioni sopra svolte circa la dimostrazione della risalenza nel tempo delle opere di cui si controverte, il Collegio ritiene di condividere quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'inerzia della pubblica amministrazione protratta nel tempo, il mancato esercizio del potere di vigilanza nonché la mancata preventiva adozione di provvedimenti di demolizione non ingenera un legittimo affidamento in capo al privato che abbia costruito senza titolo. Il tempo trascorso, anche se rilevante, fra il momento della realizzazione dell'abuso e l'adozione dell'ordine di demolizione non determina l'insorgenza di uno stato di legittimo affidamento e non innesta in capo all'amministrazione uno specifico onere di motivazione, ciò in quanto il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell'interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento.

Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha sancito il seguente principio di diritto: “ il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino" (Cons. Stato, Ad. Plen., Sent., 17/10/2017, n. 9;
conformi Cons. Stato Sez. VI, 21/06/2022, n. 5115;
T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 09/05/2022, n. 435, T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 29/03/2022, n. 2073).

Per quanto precede, il secondo ed il quarto motivo di ricorso non sono fondati.

8. Con il ricorso per motivi aggiunti il ricorrente censura il provvedimento di diniego del permesso a costruire in sanatoria sopra meglio descritto.

Occorre premettere che il provvedimento, anche in questo caso, si presenta plurimotivato sia con riferimento alla insanabilità per la presenza del vincolo paesaggistico ambientale che alla non comprovata risalenza nel tempo delle opere oggetto di sanatoria.

Dalla lettura del ricorso, articolato in un unico motivo con più ordini di doglianze, il ricorrente censura i singoli profili motivazionali e lamenta sostanzialmente la violazione dell’art. 12/3 delle NTA, quanto al profilo paesaggistico, nonché l’erroneità e l’insufficienza della motivazione che non avrebbe tenuto in considerazione gli elementi forniti per dimostrare la risalenza nel tempo delle opere.

Le censure non sono fondate.

Con riferimento al primo ed assorbente profilo, inerente agli aspetti paesaggistici che il provvedimento prende in considerazione, le parti concordano sul fatto che le opere ricadano tutte nell’ambito della fascia di rispetto (100 m misurati dal ciglio) del torrente Chisola.

Il ricorrente sostiene che l’art. 12/3 delle NTA del PRGC, dopo aver confermato (al comma 1) l’inedificabilità nella predetta fascia di rispetto (conformemente peraltro all’art. 29 della LRP n. 56/1977), consentirebbe (al comma 5) una limitata possibilità di nuova edificazione (identificata mediante il richiamo agli interventi di cui alla lett. e) dell’art. 1 del PRG) nella fascia B (come identificata nel Piano di assetto Idrogeologico – PAI, di cui al

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