TAR Napoli, sez. I, sentenza 2023-04-17, n. 202302339
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Pubblicato il 17/04/2023
N. 02339/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00031/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 31 del 2021, proposto da
A R, rappresentato e difeso dall'avvocato L S, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Napoli al Vico Pallonetto a Santa Chiara n. 11.
contro
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, A A, B C, A C, G P, B R, E C, A I F, G R, con domicilio letto presso lo studio Maria Cristina Carbone in Napoli, p.zza Municipio, P.zzo San Giacomo.
Risarcimento del danno subito dalla ricorrente derivante dal mancato percepimento delle indennità di assessore della 1a Municipalità, Chiaia – Posillipo – San Ferdinando, del Comune di Napoli, per i mesi di marzo, aprile, maggio e giugno dell'anno 2020, a seguito della revoca delle funzioni di assessore disposta dal Presidente con il decreto prot. CRD 2/2020 di “modifica componenti Giunta Municipale” del 9.3.2020 annullato con la sentenza del T.A.R. Campania Napoli Sez. 1a n. 1966 del 25.5.2020 e divenuta irrevocabile in data 8.9.2020.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2023 il dott. Maurizio Santise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso tempestivamente notificato all’amministrazione resistente e regolarmente depositato nella Segreteria del T.a.r., la ricorrente ha esposto quanto segue:
a) il Presidente della 1° Municipalità, Chiaia – Posillipo – San Ferdinando, del Comune di Napoli, eletto a seguito delle elezioni amministrative del Comune di Napoli del 5.6.2016, nominava, in data 23.3.2018, la ricorrente assessore esterno alla 1° Municipalità del Comune di Napoli;
b) con decreto prot. CRD 2/2020 del 9 marzo 2020, il Presidente della 1° Municipalità, Chiaia – Posillipo – San Ferdinando, del Comune di Napoli revocava, tuttavia, il predetto incarico di assessore alla ricorrente;
c) quest’ultima impugnava il provvedimento di revoca con ricorso del 14 aprile 2020, e questo T.a.r., con sentenza n. 1966 del 25 maggio 2020, accoglieva il ricorso e disponeva la reintegrazione immediata della ricorrente nelle funzioni di assessore;
d) la sentenza passava in giudicato, in mancanza di impugnazione da parte del Comune di Napoli;
e) in data 30 giugno 2020, il Presidente della 1° Municipalità del Comune di Napoli emanava nei confronti della ricorrente nuovo provvedimento di revoca delle funzioni di assessore, che la ricorrente non impugnava.
2. Con il ricorso in oggetto, A R ha chiesto il risarcimento del danno pari alle indennità di funzione non percepite, quantificate in quattro mensilità, da marzo a giugno 2020, a causa del provvedimento di revoca emesso dal Comune di Napoli prot. CRD 2/2020 del 9 marzo 2020.
Il Comune di Napoli si è costituito regolarmente in giudizio, contestando il ricorso e chiedendone il rigetto.
Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.
3. Tanto premesso in punto di fatto il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati.
In via preliminare, va evidenziato che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7, comma 4, c.p.a., in quanto la controversia in esame ha ad oggetto una richiesta di risarcimento danni da provvedimento amministrativo illegittimo (o, comunque da comportamento illecito della p.a. mediatamente collegato al provvedimento amministrativo), rappresentato dalla revoca delle funzioni di assessore, disposta con decreto prot. CRD 2/2020 del 9 marzo 2020 dal Presidente della 1° Municipalità del Comune di Napoli, annullato poi da questo T.a.r. con sentenza n. 1966 del 25 maggio 2020.
4. Ciò posto, con la sentenza appena menzionata questo T.a.r. ha annullato l’originario provvedimento di revoca dell’incarico di assessore conferito alla ricorrente per difetto di motivazione e, alla luce della portata caducatoria della pronuncia giurisdizionale, ha disposto la reintegrazione della ricorrente “nell’incarico precedentemente ricoperto, quindi al bene della vita cui aspira”. Questo T.a.r. ha, inoltre, specificato che “la decisione si rivela integralmente satisfattiva dell’interesse dedotto in giudizio, con conseguente reiezione della domanda risarcitoria per danni patrimoniali discendenti dall’avversata azione amministrativa”.
Dalla citata sentenza, passata in giudicato, è, dunque, derivata la reintegrazione nel posto di assessore con effetti certamente ex tunc , ovvero da quando il provvedimento di revoca ha prodotto effetti, con la rimozione della ricorrente dalle funzioni di assessore e, quindi, dal mese di marzo 2023.
La sentenza di annullamento, infatti, produce tradizionalmente effetti retroattivi, perché l’effetto caducatorio del provvedimento si combina con quello ripristinatorio dello status quo ante , in attuazione del principio di effettività della tutela (art. 1 c.p.a.). Trattandosi, infatti, di un vizio genetico che caratterizza il provvedimento ( id est , difetto di motivazione), l’annullamento dello stesso non può che retroagire, rimuovendo il provvedimento ab initio .
E’, dunque, acclarato che, in seguito alla emanazione della predetta sentenza, la ricorrente avrebbe dovuto essere reintegrata nell’incarico. Contrariamente a quanto sostiene il Comune, si tratta, peraltro, di un effetto certamente non autoesecutivo, ma che richiede evidentemente la collaborazione del Comune e, in particolare, del Presidente della 1° municipalità, in considerazione della natura strettamente fiduciaria dell’incarico, che è posto in rapporto di stretta e diretta collaborazione con il Presidente della municipalità.
Non avendo quest’ultimo posto in essere alcun comportamento concreto volto a consentire lo svolgimento delle funzioni di assessore da parte della ricorrente quest’ultima si è vista impossibilitata ad ottemperare alle funzioni per le quali era stata originariamente nominata.
Conferma di tale conclusione deriva proprio dalla difesa del Comune che ha evidenziato che “nei mesi cui fa riferimento il ricorso” (di marzo aprile maggio e giugno 2020) “le funzioni sono state effettivamente svolte, e retribuite” da altro soggetto, a dimostrazione della volontà del comune di non reinserire la ricorrente nelle funzioni di assessore.
Né rileva, sotto tale profilo, la circostanza che la ricorrente non si sarebbe offerta di riprendere lo svolgimento dell’incarico in questione, poiché quest’ultimo, come detto, non può essere esercitato senza la necessaria iniziativa del Presidente della 1° municipalità ed in ogni caso nessuna tacita rinuncia può desumersi da siffatta inerzia.
5. Sulla base di queste premesse emerge nitida la responsabilità del Comune di Napoli che ha illegittimamente revocato l’incarico di assessore alla ricorrente e non ha posto in essere gli atti necessari per consentire a quest’ultima il concreto svolgimento della funzione.
Sussiste certamente la colpa del Comune di Napoli che prima ha emanato un provvedimento di revoca illegittimo, come acclarato da questo T.a.r., e poi non ha sostanzialmente dato esecuzione alla citata sentenza n. 1966 del 25 maggio 2020.
La giurisprudenza amministrativa consolidata, cui questo giudice intende dare continuità, ha, peraltro, affermato che al privato, che assume di essere stato danneggiato da un provvedimento illegittimo dell’Amministrazione, non è richiesto infatti un particolare impegno per dimostrare la colpa della stessa, potendo egli limitarsi ad allegare l’errore compiuto e la illegittimità dell’atto unitamente alla mancanza di diligenza che è lecito arguirne sulla base delle regole di comune esperienza ( cfr., Cons. Stato, sez. III, n. 5051/2013;sez. III, n. 2227/2013;sez. V, n. 798/2013;sez. III, n. 6274/2011). La gravità della violazione è indice presuntivo della responsabilità, superabile mediante la prova, in capo al soggetto pubblico, di aver commesso un errore scusabile, per contrasti giurisprudenziali esistenti, incertezza del quadro normativo di riferimento, successiva dichiarazione d’incostituzionalità della disciplina applicata ovvero per complessità della situazione di fatto (cfr., Cons. Stato, sez. III, n. 2202/2014;Cons. Stato, sez. V, n. 1644/2014;Cons. Stato, sez. III, n. 4618/2018).
Sotto questo specifico profilo, il Comune di Napoli non ha dedotto, né dimostrato, alcun errore scusabile in sua difesa.
6. Sussiste, altresì, il nesso di causalità tra il provvedimento di revoca illegittimo o, comunque, il comportamento illecito del Comune, e il pregiudizio subito dalla ricorrente, in quanto quest’ultima non ha percepito la predetta indennità a causa dell’illegittima revoca delle funzioni a lei affidate da parte del Presidente della 1° Municipalità e per il conseguente comportamento di quest’ultimo che non ha dato esecuzione alla sentenza di questo T.a.r.
7. Quanto al danno ingiusto, quale elemento oggettivo della responsabilità aquiliana, esso rappresenta il pregiudizio (danno-conseguenza) che la ricorrente ha subito per essere stata estromessa dalla partecipazione alla vita politica comunale, in qualità di assessore, e privata delle indennità di funzione che le sarebbero spettate.
Indennità che, come si desume dall’art. 82 del d.lgs. n. 267 del 2000, spetta in via dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l’aspettativa;se ne desume a contrario che per i lavoratori autonomi, come la ricorrente, o i lavoratori dipendenti che abbiano chiesto l’aspettativa, spetta in misura integrale.
Tale indennità, pur non trattandosi una retribuzione strettamente legata al lavoro svolto, presuppone l’instaurarsi di un rapporto di servizio onorario, dal quale si origina il diritto a percepire un’indennità “che non ha la funzione di compensare l’eletto-funzionario onorario per l’attività svolta, attività che rimane fondamentalmente gratuita, quanto piuttosto di indennizzarlo del presunto mancato guadagno o comunque delle spese connesse con l’espletamento del servizio […]
Tale norma evidenzia che solo con riferimento ai lavoratori autonomi ed ai lavoratori dipendenti che abbiano chiesto ed ottenuto l’aspettativa dal lavoro il presunto mancato guadagno costituisce presupposto per l’erogazione della indennità di funzione” (cfr., Tar per il Piemonte, sez. II, n. 262/2021).
Fondandosi, quindi, sul mancato guadagno presunto del soggetto nominato assessore che impiega le sue energie per tale incarico, il danneggiato deve, comunque, provare, anche in via presuntiva, di non aver impiegato, almeno in parte, diversamente le proprie energie.
Poiché la ricorrente è avvocato, iscritta all’Ordine degli Avv.ti di Napoli, si può presumere che almeno in parte abbia continuato a svolgere la propria attività, non avendo svolto per i mesi indicati le funzioni di assessore.
La giurisprudenza consolidata, sia pur nella diversa ipotesi di licenziamento illegittimo del lavoratore privato, “ha evidenziato che la determinazione dell'indennità risarcitoria deve avvenire, ai sensi dell'art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, come modificato dall'art. 1 comma 42, l. n. 92 del 2012, attraverso il calcolo dell'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, a titolo di aliunde perceptum o percipiendum ”.
Rileva, dunque, il Collegio che il danno patito dalla ricorrente, pari a quattro mensilità (marzo- giugno 2020), possa essere ridotto della metà, potendosi presumere che la stessa nei mesi indicati abbia impiegato le proprie risorse per il lavoro che normalmente svolge (Cassazione civile sez. VI, 23/06/2022, n.20313).
Come ha, del resto, precisato l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sia pur in relazione al risarcimento del danno da mancata aggiudicazione, ma con principi di carattere generale, applicabili anche al caso di specie, al danneggiato spetta il risarcimento del danno “solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato o potuto riutilizzare mezzi e manodopera per altri lavori, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum ”.
8. Non risulta, peraltro, fondata l’eccezione del Comune di Napoli secondo cui la ricorrente, per rivendicare le indennità di funzione da liquidarsi sino al nuovo atto di revoca, avrebbe dovuto impugnare la sentenza di questo T.A.R. n. 1966 del 2020, nella parte in cui disponeva il rigetto della domanda risarcitoria per danni patrimoniali da atto amministrativo illegittimo.
La pronuncia di questo T.A.R., che ha respinto la “domanda risarcitoria per danni patrimoniali discendenti dall’avversata azione amministrativa’’, va intesa nel senso che l’ordine di immediato reintegro nella funzione e la sentenza di annullamento dell’illegittimo provvedimento di revoca abbiano integralmente riparato i danni patrimoniali da mancata liquidazione delle indennità già maturate. Non sussistevano, allora, motivi per cui la ricorrente, pienamente soddisfatta nelle sue ragioni, avrebbe dovuto impugnare la sentenza in oggetto, anche perché il danno di natura economica si è concretizzato solo a seguito della mancata esecuzione della sentenza di annullamento, che – diversamente da quanto eccepito dal Comune resistente – non potrebbe dirsi auto-esecutiva, come già chiarito sopra.
9. Ne consegue che il ricorso va accolto, con condanna del Comune di Napoli al risarcimento dei danni pari alla metà dell’indennità di funzione prevista per l’assessore alla municipalità nei mesi di marzo, aprile, maggio e giugno 2020.
Gli importi di cui sopra debbono intendersi attualizzati al 30 giugno 2020 (giorno in cui presumibilmente la ricorrente avrebbe comunque cessato dalla carica per effetto del nuovo provvedimento di revoca non impugnato dalla ricorrente) e trattandosi di debito di valore esso è soggetto a rivalutazione monetaria dal 9 marzo 2020, momento al quale si riferisce la liquidazione del danno di cui sopra, fino alla data di emanazione della presente sentenza, che converte il debito di valore in debito di valuta. Successivamente alla pubblicazione della presente sentenza sino al soddisfo sono dovuti, invece, i soli interessi legali.
Le ragioni che hanno condotto alla presente decisione giustificano la condanna del Comune di Napoli al pagamento delle spese di lite ed alla rifusione del contributo unificato, da liquidarsi al procuratore antistatario per averne fatto anticipo.