TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2016-04-15, n. 201601889

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2016-04-15, n. 201601889
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201601889
Data del deposito : 15 aprile 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03886/2013 REG.RIC.

N. 01889/2016 REG.PROV.COLL.

N. 03886/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3886 del 2013, proposto da:
L S, rappresentato e difeso dagli avv. S R, D F', presso il cui studio, sito in Napoli, C.Direzionale Is. E2 - Pal.Futura, ha eletto domicilio;

contro

Cri - Croce Rossa Italiana, in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello dello Stato di Napoli, con sede in Napoli, Via Diaz, 11;

per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia,

a) del provvedimento del comitato centrale dipartimento risorse umane e organizzazione ispettorato nazionale del corpo militare del 21.11.2012 prot. IS-CRI_0018764, con cui è stata chiesta la restituzione della somma di euro 4.737,89;

b) della comunicazione del comitato centrale dipartimento risorse umane e organizzazione servizio trattamento economico e giuridico del personale ufficio amministrazione militare del 04.06.2013 prot. 0031016 con cui è stato comunicato che l’amministrazione della CRI a partire dal mese di giugno 2013 ha iniziato il recupero in busta paga di quanto preteso, a titolo di indebito oggettivo, in rate mensili di euro 50,10;
nonché di ogni altro atto comunque presupposto, connesso o consequenziale;

nonché per l’accertamento e la declaratoria della prescrizione della pretesa di restituzione di emolumenti versati negli anni dal 1989 al 1997


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Croce Rossa Italiana;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 marzo 2016 il dott. L C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


FATTO e DIRITTO

1.1. La parte ricorrente,

SORBO

Luca, contesta la nota del 21.11.2012 con cui la Croce Rossa Italiana gli richiede la restituzione di somme derivanti dal legittimo inquadramento goduto a partire dall’anno 1994-1995 (per un totale di euro 4.737,89) e la successiva comunicazione del 04.06.2013 con cui l’Amministrazione comunica l’inizio delle trattenute mensili a tal fine.

1.2. In particolare, si contestava: I) l’intervenuta prescrizione delle somme in quanto versate con riferimenti a periodi antecedenti al 1997 e la richiesta v’è stata solo nel 2012;
II) l’eccesso di potere per non essersi considerata la buona fede del ricorrente;
III) il mancato rispetto della normativa in tema di autotutela.

1.3. Si costituiva l’amministrazione che rilevava: a) la parziale inammissibilità del ricorso per la concomitante pendenza di altro ricorso presso il T.A.R. del Lazio avverso l’ordinanza n. 394/2012 a cui il ricorrente avrebbe aderito;
b) la nullità della notifica in quanto la Croce Rossa avrebbe dovuto ricevere la notifica del ricorso presso la propria sede e non presso la sede dell’Avvocatura di Stato;
c) la doverosità del recupero in rapporto all’illegittimità dell’inquadramento superiore operato con l’ordinanza n. 470/2003;
d) la sottoposizione dell’azione di indebito da parte della P.A. al termine decennale.

1.4. Con ordinanza n. 01447/2013 del 25.09.2013, il Tribunale respingeva la richiesta di sospensione.

1.5. All’esito dell’udienza pubblica del 09.03.2015, la causa era trattenuta in decisione.

2.1. Va detto che la vicenda in argomento è già stata affrontata dalla giurisprudenza del giudice amministrativo.

2.2. In particolare, la vicenda origina dalle note prot. CRI/15867/PERS del 08.07.1994 e prot. CRI/28467/PERS del 16.12.1994 con cui l’Ispettorato Nazionale del Corpo Militare della C.R.I. ha comunicato l’apertura dei quadri di avanzamento del personale di assistenza del ruolo normale relativi agli anni 1994-1995 senza fissare le vacanze organiche per i tre gradi di Maresciallo (Ordinario, Capo e Maggiore). Le valutazioni riferibili al personale in avanzamento, ai sensi dell’art. 80 del R.D. 484/36, – tra cui il ricorrente – si sono concluse con il giudizio di “idoneo e non promosso” per la indisponibilità di posti in organico.

2.3. In seguito il Commissario Straordinario della C.R.I. con ordinanza n. 470/2003 “dava esecuzione, in via straordinaria, alle promozioni del personale militare di assistenza in servizio continuativo giudicato idoneo al grado superiore e non promosso”.

2.4. Ebbene, a seguito di ispezione da parte del Servizio di Finanza Pubblica (Si.Fi.p.), è stata accertata l’illegittimità dei provvedimenti di promozione e, conseguentemente, l’alterazione dell’ordine di anzianità del personale di assistenza.

2.5. Conseguentemente, erano adottate le ordinanze n. 483/2011 e n. 394/2012, con cui il commissario straordinario della croce rossa italiana (CRI), prima, disponeva la ricostruzione della carriera e la restituzione delle somme indebitamente erogate ai dipendenti e, poi, annullava la predetta ordinanza n. 470/2003.

2.6. Ebbene, i provvedimenti impugnati sono la diretta conseguenza delle ordinanze appena menzionate e si sostanziano nell’effettiva messa in pratica del recupero delle somme indebitamente erogate al ricorrente quale dipendente della CRI che ha beneficiato dell’illegittimo inquadramento.

3.1. In primo luogo, va detto che l’affermazione secondo cui la parte ricorrente avrebbe già in essere un altro ricorso avverso l’ordinanza n. 394/2012 che ha annullato l’ordinanza n. 470/2013, non risulta documentata;
peraltro, le fattispecie, pur connesse, non sono identiche in quanto l’ordinanza n. 394/2012 riguarda l’annullamento dell’illegittimo inquadramento precedentemente attribuito, mentre il presente ricorso riguarda il recupero delle somme erogate indebitamente in rapporto all’inquadramento effettivamente spettante a norma di legge. La descritta eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa erariale va, quindi, respinta.

3.2.1. In secondo luogo, è infondata l’eccezione di inammissibilità in ragione dell’erronea notifica del ricorso presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato e non presso la sede legale dell’ente intimato.

3.2.2. Non merita accoglimento, infatti, la tesi secondo cui la Croce Rossa Italiana non sarebbe soggetta al patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato. Si osserva in proposito che, ai sensi del d.lgs. n. 66\2010 (Codice dell’ordinamento militare), la Croce Rossa Italiana costituisce un Corpo volontario ausiliario delle Forze Armate.

3.2.3. Ne segue che, al pari delle Forze Armate, e, in generale, di tutte le Amministrazioni dello Stato, la Croce Rossa Italiana è soggetta al patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 11 del R.D. n. 1611\1933, per cui “tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa” (tra le altre, v. T.A.R. Lazio, Roma, n. 02795/2014 e T.A.R. Campania, IV, sezione n. 04506/2013).

3.2.4. La relativa nullità, peraltro, quand’anche fosse ritenuta sussistente, sarebbe stata sanata in virtù dell’avvenuta costituzione della C.R.I. (appunto a mezzo dell’Avvocatura di Stato) che si è puntualmente difesa nel merito e tanto ai sensi dell’art. 44 co. 3 c.p.a..

4.1. Passando al merito, la prima censura svolta da parte ricorrente è relativa all’intervenuta prescrizione del diritto alla ripetizione degli indebiti versamenti effettuati.

4.2. L’argomento è infondato per le ragioni già espresse, in relazione a una vicenda identica alla presente, dal Consiglio di Stato (C.d.S., sez. IV, n. 05011/2015) e che il Collegio condivide pienamente.

4.3. È incontestato, infatti che l’erogazione delle somme sia avvenuta in esecuzione dell’ordinanza nr. 470/2003 e, quindi, successivamente ad essa. Con la menzionata ordinanza, lo si è detto, era stato disposto l’inquadramento nelle rispettive posizioni superiori, ai fini sia giuridici che economici, di militari che all’esito delle procedure di avanzamento a suo tempo espletate erano risultati semplicemente idonei ma non promossi. Pertanto, «a nulla vale il richiamo al periodo di servizio anteriore cui vanno formalmente imputati gli emolumenti indebitamente corrisposti, dovendosi avere riguardo unicamente al momento della loro materiale erogazione, verificatasi nel 2003, poiché è solo da tale momento che il diritto dell’Amministrazione alla restituzione avrebbe potuto essere fatto valere».

4.4. Posto, quindi, che la prescrizione non poteva che decorrere successivamente all’erogazione delle somme, avvenuta dopo il 2003, va ribadito che il diritto di ripetizione dell’indebito oggettivo, ex art. 2033 c.c., di somme indebitamente percepite è soggetto all'ordinaria prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c. per cui la pretesa recuperatoria può spingersi sino al decennio precedente l'atto interruttivo (cfr. fra le altre Consiglio di Stato, sez. V, 02/07/2010, n. 4231;
Sez. IV n.2150/2006;
Sez. VI n. 6599/2002).

4.5. Nel caso di specie, l’atto impugnato, interruttivo della prescrizione, è del 21.11.2012, e quindi il termine decennale di prescrizione non è decorso.

5.1. Con le ulteriori due doglianze, il ricorrente lamenta la mancata considerazione della sua ‘buona fede’ e dell’affidamento in lui ingenerato dal comportamento dell’amministrazione che gli ha riconosciuto l’indebito avanzamento e, conseguentemente, il mancato rispetto della normativa in tema di adozione degli atti di autotutela. Su tale ultimo punto, la difesa di parte ricorrente richiama la Sentenza di questo T.A.R., sez. VII, n. 3030/2013 che, in materia di recupero di somme versate a un dipendente, ha mostrato di tener conto delle concrete circostanze in cui l’indebita erogazione è avvenuta, negando la legittimità del rimborso.

5.2. Le due censure possono essere esaminate congiuntamente in quanto, entrambe, riguardano il profilo generale della legittimità del recupero di somme indebitamente versate a un dipendente anche a distanza di tempo e nonostante l’affidamento ingenerato nel dipendente medesimo.

5.3. La questione è, invero, stata affrontata diffusamente, con motivazione che il collegio condivide, nella Sentenza del T.A.R. Lazio, sez. III. n. 13835/2015.

5.4.1. Si è rilevato che - conformemente a quanto già statuito dal Consiglio di Stato in una serie di pareri espressi su alcuni ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica (sezione III, 26.11.2002, n. 3079, 10.12.2002, n. 4052, 10.12.2002, n. 4053, 10.12.2002, n. 4054) esperiti da parte di personale militare della C.R.I. – l’inquadramento a cui sono riconducibili gli aumenti stipendiali corrisposti indebitamente è senz’altro illegittimo.

5.4.2. Sebbene nel caso specifico, tale illegittimità non sia contestata, va ribadito che l'Amministrazione giammai avrebbe potuto prescindere dalla necessità di subordinare le promozioni alla verifica della sussistenza di vacanze in organico per l'inserimento diretto nel relativo ruolo. E ciò nel pieno rispetto della previsione normativa contenuta nel 2 comma dell'art. 89 R.D. 10 febbraio 1936, n. 484, che testualmente recita “non possono aver luogo promozioni nel personale di assistenza del ruolo normale se non vi siano posti vacanti nei ruoli organici nei singoli gradi”.

5.5.1. Tale ricostruzione, di cui si è dato atto nella menzionata relazione del S.I.FI.P., dimostra come il reinquadramento disposto dalla CRI, sulla base di quanto accertato in sede di ispezione, sia un atto dovuto rispetto al quale non colgono nel segno le censure prospettate di violazione dell'art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990.

5.5.2. Al riguardo, va richiamato il consolidato l’indirizzo giurisprudenziale che considera “quale atto dovuto l’esercizio del diritto-dovere dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti. Il recupero di tali somme costituisce il risultato di attività amministrativa, di verifica, di controllo, priva di valenza provvedimentale. In tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione: a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente.

5.5.3. Si tratta dunque di un atto dovuto che non lascia all’Amministrazione alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale;
il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 giugno 2014, n. 2902;
idem, 28 ottobre 2013, n. 5173).

5.5.4. A ciò si aggiunga anche che l’affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio del potere-dovere di recupero, per cui l’Amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2013, n. 4519;
idem, sez. V, 30 settembre 2013, n. 4849).

5.5.5. Ne discende, ancora, che è destinato a essere recessivo il richiamo ai principi in materia di autotutela amministrativa sotto il profilo della considerazione del tempo trascorso e dell’affidamento maturato in capo agli interessati (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 4 settembre 2013, n. 4429;
idem, 31 maggio 2013, n. 2986;
idem, 10 dicembre 2012, n. 11548).

5.5.6. Peraltro, in proposito è utile osservare che, secondo un altrettanto consolidato e condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa, la doverosità del recupero da parte dell'Amministrazione delle somme indebitamente corrisposte ai propri dipendenti esclude che l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento configuri causa di illegittimità della ripetizione, anche ai sensi dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241 perché, trattandosi di atto completamente vincolato e non autoritativo, il suo contenuto non sarebbe stato diverso, sia in quanto l'eventuale mancanza del preavviso non influisce sulla debenza delle somme né sulla possibilità di difesa del destinatario perché questi, nell'ambito del rapporto obbligatorio di reciproco e paritetico dare/avere, può sempre far valere le sue eccezioni nell'ordinario termine di prescrizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 4.9.2013, n. 4429)” (T.A.R. del Lazio, sez. III, n. 13835/2015, cit.).

5.6.1. Resta da esaminare il riferimento operato alla Sentenza di questo T.A.R. n.3030/2013 che, invero, reca un orientamento parzialmente difforme da quello, consolidato, appena richiamato nel senso che, a determinate condizioni, il recupero delle somme indebitamente erogate a un dipendente debba effettivamente essere evitato in ragione del tempo trascorso, delle concrete modalità di erogazione, della complessità della “macchina burocratica da cui è scaturito l’errore di conteggio”, della tenuità delle somme.

5.6.2. Ebbene, posto che tale pronuncia è stata confermata dal Giudice di Appello (sent. C.d.S., sez. VI, n. 05314/2014), va osservato che, in quella sede, ci si è consapevolmente discostati dall’orientamento dominante senza, tuttavia, negarlo in ragione dell’assoluta peculiarità della vicenda in contestazione. Il caso riguardava, infatti, un’indebita, e minima, maggiorazione dell’importo corrisposto ai dipendenti della CRI a titolo di buoni pasto.

5.6.3. Il Consiglio di Stato, infatti, nel confermare la Sentenza menzionata, conferisce un rilievo assorbente, al fine di escludere la legittimità della ripetizione, alla mancata considerazione della “struttura e funzione dei buoni-pasto, sostitutivi della fruizione gratuita del servizio mensa presso la sede di lavoro ed escludenti «ogni forma di monetizzazione indennizzante» (v. così, testualmente, l’accordo quadro del 31 ottobre 2003)”;
si rileva, in particolare, che “a prescindere dalla natura assistenziale o retributiva dell’istituto in questione, (…) nel caso di specie, i dipendenti non hanno percepito somme in denaro, bensì titoli non monetizzabili destinati esclusivamente ad esigenze alimentari in sostituzione del servizio mensa e, per tale causale, pacificamente spesi nel periodo di riferimento”. L’illegittimità della ripetizione, quindi, viene ricondotta alla considerazione che i buoni pasto consistono in “benefici destinati a soddisfare esigenze di vita primarie e fondamentali dei dipendenti medesimi, di valenza costituzionale, con conseguente inconfigurabilità di una pretesa restitutoria, per equivalente monetario, del maggior valore attribuito ai buoni-pasto nel periodo di riferimento”.

5.6.4. È, pertanto, evidente che un simile precedente non sia assimilabile al caso di specie che riguarda, invece, differenze retributive derivanti dall’illegittimo inquadramento del ricorrente, rispetto a cui va ribadito, senza riserve, quanto affermato al superiore capo 5.5. .

6. Quanto precede conduce al rigetto del ricorso. La peculiarità della fattispecie, il lungo tempo trascorso dall’erogazione delle somme e il contegno delle parti giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite ad eccezione del contributo unificato, se ed in quanto versato, che rimane definitivamente a carico della parte ricorrente .

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