TAR Salerno, sez. II, sentenza 2012-02-15, n. 201200218
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N. 00218/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00508/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 508 del 2011, proposto da:
A L e G O, rappresentate e difese dagli Avv. P S e V T, con domicilio eletto, in Salerno, alla via Nicolodi, 89, presso lo studio dell’Avv. C G;
contro
Comune di Sturno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. A Z, con domicilio eletto, in Salerno, alla via Robertelli, 51, presso l’Avv. Oreste Agosto;
per l’annullamento
- a) del provvedimento prot. 246 del 21.01.11, notificato in pari data;
- b) dell’ordinanza di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi, n. 30 del 17.12.2010;
- c) della nota prot. n. 3908 del 16.11.2010;
- d) d’ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sturno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2011 il dott. P S;
Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue.
FATTO
Le ricorrenti, usufruttuarie di un fabbricato, sito in Sturno alla via Trento, con annessa piccola corte, contraddistinto in catasto al fol. 11, p.lle 117 e 199, rappresentavano d’aver presentato al Comune, in data 25.09.2009, una dichiarazione d’inizio attività, finalizzata all’esecuzione di un nuovo muretto di recinzione al lato nord della loro proprietà, in sostituzione di quello preesistente e di un cancello carrabile, nonché alla sistemazione della parte interna con pavimentazione in pietra locale o mattoni;lamentavano che, a lavori ormai ultimati, era stata loro notificata una comunicazione d’avvio del procedimento, volto all’adozione di un’ordinanza di rimozione del pietrame calcareo e di ripristino dello stato dei luoghi, sull’assunto che i preesistenti cubetti di porfido sarebbero stati sostituiti con pietrame calcareo, nella zona antistante il cancello;a detta comunicazione faceva seguito la notifica dell’impugnata ordinanza di rimozione di detto pietrame, nel quale s’assumeva che la pavimentazione esistente, illegittimamente sostituita, sarebbe stata apposta dal Comune nei primi anni ’90;convinte invece che gli interventi realizzati ricadevano in toto nella loro proprietà, le stesse avevano chiesto all’ente di procedere ad un accertamento in contraddittorio, cui era seguita l’esecuzione di un sopralluogo, da parte del Responsabile del relativo servizio, il cui esito era stato nel senso che non si contestava l’esecuzione di lavori su suolo pubblico, bensì soltanto la sostituzione dei cubetti di porfido, a suo tempo apposti dal Comune;le ricorrenti avevano allora stigmatizzato l’indebita apposizione di tale specie di pavimentazione, all’interno della loro proprietà, chiedendo un breve termine per poter valutare una soluzione di compromesso;ma il Responsabile del servizio, dopo appena tre giorni dal sopralluogo, aveva emanato l’ulteriore provvedimento gravato, con cui si confermava integralmente l’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, di cui sopra;avverso detti atti, le medesime ricorrenti articolavano, pertanto, le seguenti censure:
1) Violazione art. 3 l. 241/90;Eccesso di potere per difetto dei presupposti, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta: era mancata una convincente motivazione sul punto, evidenziato dalle ricorrenti nel corso dell’istruttoria, che i lavori erano stati legittimamente autorizzati ed eseguiti all’interno dell’area di loro esclusiva proprietà;
2) Violazione d. P. R. 380/01;Eccesso di potere per contraddittorietà: nonostante i lavori in questione fossero stati legittimati, per effetto di d. i. a. e del successivo comportamento inerte della P. A. circa la medesima, era mancato l’annullamento del titolo abilitativo tacito, in tal modo formatosi;
3) Violazione art. 6 d. P. R. 380/01: per la tipologia d’abuso contestata, l’Amministrazione non avrebbe potuto ingiungere la demolizione, ma solo il pagamento di una sanzione pecuniaria.
Il Comune si costituiva in giudizio, eccependo la tardività del gravame, rispetto all’unico atto veramente lesivo, rappresentato dall’ordinanza di demolizione del 17.12.2010, notificata alle ricorrenti il 27 e il 29 dicembre, laddove il successivo provvedimento del 21.01.11 aveva carattere meramente confermativo;nel merito concludeva per il rigetto del ricorso, posto che la contestazione riguardava la sostituzione, nel corso dei lavori, dei cubetti di porfido, apposti dal Comune sulla strada pubblica, sin dal 1990;in ogni caso, l’ente aveva pacificamente ed ininterrottamente esercitato il possesso su detta (porzione di) strada sin da tale periodo, onde la difesa eccepiva l’usucapione pubblica della stessa, con l’inserimento della stessa nel demanio comunale;in ulteriore subordine, evidenziava come sulla detta (porzione di) strada si fosse ormai consolidato un diritto di uso pubblico di passaggio, in favore della collettività dei cittadini.
Le ricorrenti replicavano alle argomentazioni difensive dell’ente e depositavano consulenza tecnica di parte, circa la realizzazione della contestata pavimentazione all’interno della loro proprietà.
Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 29.04.2011, la Sezione accoglieva la domanda cautelare proposta dalle ricorrenti.
Seguiva la produzione, da parte del Comune, di memoria difensiva, in cui si poneva in risalto che ad essere sanzionata, nella specie, era stata l’esecuzione di lavori in difformità dalla d. i. a. presentata e si ribadiva l’inesistenza di alcun diritto delle ricorrenti (in particolare, di usufrutto) sulla porzione di strada in contestazione.
Le ricorrenti controdeducevano anche rispetto alle ulteriori considerazioni della difesa dell’ente e riepilogavano gli argomenti, a sostegno del gravame.
All’udienza pubblica del 21.12.11, lo stesso era trattenuto in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente va esaminata l’eccezione di tardività del ricorso, sollevata dalla difesa dell’Amministrazione Comunale di Sturno.
La stessa si basa sull’asserita natura non lesiva della nota, prot. 246 del 21.01.01, a firma del responsabile del servizio di detto ente (con cui si “confermava integralmente” l’ordinanza di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi, prot. 30 – 4285 del 17.12.2010), considerata dalla difesa del Comune come un “atto meramente confermativo”;di conseguenza, il ricorso sarebbe stato tardivo, perché notificato all’Amministrazione solo in data 18.03.2011, oltre il termine di sessanta giorni, fatto decorrere dalla data della notifica dell’ordinanza prot. 30 – 4285 (l’unica realmente lesiva), alle ricorrenti, notifica avvenuta il 27 – 29 dicembre 2010.
L’eccezione non ha pregio.
La nota prot. 246 del 21.01.01 non può essere trattata alla stregua di un atto meramente confermativo, trattandosi invece di conferma in senso proprio.
Lo dimostra il fatto che, dopo la notifica dell’ordinanza di rimozione e ripristino, le ricorrenti chiedevano al Comune un sopralluogo sulla loro proprietà, al fine d’accertare la ”effettiva linea di confine” della stessa, richiesta alla quale il responsabile del servizio aderiva, eseguendo il sopralluogo in questione, in data 18.01.2011 (cfr. il relativo verbale).
Indipendentemente dagli esiti di tale sopralluogo, non v’è dubbio che lo stesso costituisca un atto istruttorio, del quale il dirigente comunale non può non aver tenuto conto, al fine di confermare le precedenti determinazioni di natura sanzionatoria, adottate nei loro confronti.
Se così è, s’applica l’orientamento dominante, compendiato di recente nella seguente massima: “Al fine di stabilire se un atto sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio, occorre verificare se sia stato adottato (o non) senza nuova istruttoria e nuova ponderazione di interessi” (Consiglio Stato, sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983).
Che poi dalla nota, prot. 246 del 21.01.2011, tale nuova ponderazione d’interessi non traspaia, costituisce causa d’illegittimità della stessa (se ne tratterà in seguito), piuttosto che un motivo, in grado di snaturare tale atto (che è rimane, per le ragioni appena espresse, di conferma in senso proprio).
Ciò posto, ritiene il Tribunale che per risolvere la presente controversia occorre partire dal dato per cui l’ordinanza di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi, di cui sopra, è stata adottata dal Comune, a cagione dello svolgimento di lavori, all’interno della proprietà delle ricorrenti, non compresi nella d. i. a., presentata dalle medesime.
Soccorrono in tale direzione, anzitutto, gli esiti della consulenza tecnica di parte, prodotta in data 11.04.2011, da cui si ricava che “il confine così come delimitato dal cordoncino in pietra bianca, che racchiude la pavimentazione <opus incertum>, è posizionato all’interno della proprietà Abbondandolo – Graziosi”;quindi, le stesse affermazioni della difesa dell’ente, allorché la stessa, nella memoria depositata il 3.11.11, sosteneva che “l’oggetto del contendere riguarda l’esecuzione di opere diverse da quelle denunziate con la d. i. a.” (relativamente alle quali era stato, pertanto, esercitato il potere repressivo della P. A.);più avanti, la stessa difesa osservava come anche nella proprietà privata sia necessario il titolo abilitativo, pena l’esecuzione di lavori abusivi (così implicitamente ammettendo che la questione centrale concerneva proprio l’esecuzione dei contestati lavori di rifacimento della pavimentazione, in difformità dalla d. i. a., all’interno della proprietà delle ricorrenti).
Se tutto ciò non bastasse, soccorrerebbe l’esplicita affermazione contenuta nel prefato verbale di sopralluogo del 18.01.2011, nel quale testualmente si legge: “Preliminarmente l’ing. Enrico Perone (vale a dire il responsabile del servizio presso il Comune: nde) chiarisce che il provvedimento del 16.11.2010 di avvio del procedimento non contesta lavori eseguiti in proprietà pubblica, ma la sostituzione dei cubetti di porfido posti in opera dal Comune di Sturno nei primi anni del 1990, con pietrame calcareo. (…) Inoltre la perizia autorizzata con denunzia di inizio attività del 25 settembre 2009, prot. 3485, a firma del geom. S G, non prevede questo tipo di intervento, ma solamente la ricostruzione di un muro esistente, la realizzazione di un cancello e la pavimentazione tra cancello ed abitazione”.
Pur tuttavia, la natura privata della porzione di strada “de qua”, e l’esistenza (e permanenza) sulla stessa di un diritto di natura reale, proprio delle ricorrenti, sono state, nel corso del presente giudizio, recisamente negate dall’ente, sulla base di tre ordini di considerazioni: a) le ricorrenti non avrebbero avuto, contrariamente alle loro asserzioni, alcun diritto di usufrutto sulla medesima (veniva esibito, a conforto, un certificato notarile, ipo – catastale, a firma del notaio P di Guardia Lombardi);b) il Comune avrebbe acquisito comunque la proprietà del compendio, per usucapione, nel proprio demanio;c) in ulteriore subordine, sullo stesso sarebbe maturato, in favore della collettività, un diritto di uso pubblico (di passaggio).
Riguardo a tali considerazioni, il Collegio non può esimersi dall’osservare come esse non possano rilevare, ai fini della decisione della controversia, non essendo state minimamente poste, dal responsabile del servizio presso il Comune resistente, a giustificazione dell’impugnata ordinanza di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi.
Detta ordinanza, infatti, lungi dall’essere basata sulla negazione del diritto di proprietà delle ricorrenti, sul tratto di strada interessato, ovvero sull’acquisto della proprietà del medesimo, da parte del Comune, a titolo originario, si è fondata su tutt’altro ordine di argomentazioni, e, segnatamente, sulla circostanza che, oltre ai lavori previsti nella perizia, allegata alla d. i. a. presentata dalle ricorrenti, erano “stati realizzati dei lavori non autorizzati e precisamente la sostituzione dei preesistenti cubetti di porfido con pietrame calcareo nella zona antistante il cancello”.
In materia deve valere, quindi, il principio dell’inammissibilità della motivazione postuma del provvedimento amministrativo, che costituisce un risultato ormai definitivamente acquisito in giurisprudenza, com’è fatto palese dalla seguente, ricorrente, massima: “È inammissibile l’integrazione postuma della motivazione di un atto amministrativo, realizzata mediante gli atti difensivi predisposti dall’Amministrazione resistente, e ciò anche dopo le modifiche apportate alla l. 7 agosto 1990 n. 241, dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15, rimanendo sempre valido il principio secondo cui la motivazione del provvedimento non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo, a tutela del buon andamento amministrativo e dell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziario” (T. A. R. Piemonte Torino, sez. I, 16 dicembre 2010, n. 4550;conformi T. A. R. Campania Napoli, sez. VIII, 1 dicembre 2010, n. 26444;T. A. R. Lombardia Milano, sez. I, 1 luglio 2010, n. 2691).
L’indagine da svolgersi, da parte del Tribunale, prescinderà, di conseguenza, da qualsivoglia considerazione, circa la proprietà del tratto di strada in questione, perché estranea al fuoco della decisione, per concentrarsi invece sulla legittimità o meno della effettiva giustificazione, su cui s’è fondata l’ordinanza di demolizione gravata.
Essa, com’è stato ormai più volte osservato, si compendia nella considerazione per cui “i lavori di sostituzione dei cubetti (di porfido: nde) con pietrame nella zona antistante il cancello non sono stati autorizzati” (rectius: non erano compresi nella d. i. a., presentata dalle ricorrenti per l’esecuzione dei medesimi).
Si tratta di giustificazione valida: come risulta dall’esame della citata denunzia d’inizio attività, presentata il 25.09.2009, dalle ricorrenti, al Comune di Sturno, e in particolare dal grafico relativo alla situazione di progetto, la sostituzione dei cubetti di porfido con il pietrame (cd. “opus incertum”), nella zona esterna al muretto da ricostruire ed al realizzando cancello, non era affatto prevista.
In definitiva, il “thema decidendum” si riduce al quesito, se i lavori “de quibus” fossero, o meno, coperti dalla d. i. a., a suo tempo presentata dalle ricorrenti: quesito, cui va data risposta negativa, giusta quanto sopra riferito (dalle stesse fotografie, allegate alla consulenza tecnica di parte, prodotta nell’interesse delle ricorrenti, confrontate con il suddetto grafico di progetto, risulta chiaramente come si tratti di lavori, estranei alla d. i. a. in questione).
Né del resto – dovendosi concordare, sul punto, con la difesa dell’Amministrazione – potrebbe sostenersi che, nonostante l’abusiva realizzazione di tali lavori, gli stessi potevano essere considerati legittimi, sol perché realizzati in proprietà privata;ovvero che fosse necessario, come ritenuto dalla difesa delle ricorrenti, che il Comune annullasse in autotutela il provvedimento abilitativo tacito, formatosi a seguito della mancata attivazione dei poteri inibitori, ex art. 23 comma 6 d. P. R. 380/01.
Ciò in quanto: “Il decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della denunzia di inizio attività comporta, ai sensi dell’art. 23, comma 6 d. P. R. n. 380 del 2001, la decadenza dell’amministrazione comunale dal potere di inibire i lavori;tuttavia, qualora l’attività edilizia sia illegittima in quanto non rispondente alle norme di legge o di regolamento, ovvero alle prescrizioni dettate dallo strumento urbanistico, residuano in capo all’amministrazione comunale il generale potere repressivo degli abusi edilizi, di cui dall’art. 27 d. P. R. n. 380 del 2001, nonché il potere di autotutela previsto dall’art. 19, comma 3, l. n. 241 del 1990 e s. m. i.” (T. A. R. Lombardia Milano, sez. II, 17 giugno 2009, n. 4066).
Ma se è così, deve allora concludersi nel senso che è fondata la censura, sub 3) dell’atto introduttivo del giudizio, dovendo trovare applicazione, nella specie, l’art. 37 del d. P. R. 380/01, secondo il cui primo comma: “La realizzazione di interventi edilizi di cui all’articolo 22, in assenza della o in difformità dalla denuncia di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro”.
Nella specie, l’Amministrazione non ha affatto sostenuto che, per le opere abusive realizzate, fosse necessario un permesso di costruire, bensì s’è limitata a contestare la difformità dei lavori eseguiti, rispetto alla d. i. a., a suo tempo presentata: ne deriva che la stessa Amministrazione non poteva irrogare la sanzione della demolizione (in null’altro evidentemente consistendo, l’ordinata “rimozione” della pavimentazione in pietrame incerto, ed il ripristino dello stato dei luoghi), bensì solo quella pecuniaria, in aderenza al piano dettato normativo, testé riportato.
Diversamente si sarebbe potuto ritenere, ove il Comune avesse, in ipotesi, contestato che le opere erano state realizzate su suolo pubblico, quindi in difetto del necessario presupposto, costituito dalla titolarità della proprietà o di altro diritto reale di godimento sul bene, abusivamente trasformato;ma – nonostante tutte le disquisizioni sul punto – si ribadisce che detta contestazione è del tutto estranea all’impianto argomentativo del provvedimento gravato, che si conferma quindi illegittimo, per essere stata, mediante lo stesso, irrogata una sanzione (demolitoria, in luogo di pecuniaria), non prevista dalla disciplina legislativa vigente, in relazione al tipo di abuso contestato.
In giurisprudenza, per un’affermazione di detti principi, in una fattispecie, per di più, assai simile, sul piano fattuale, a quella in esame, si tenga presente la seguente decisione: “La elevazione di un marciapiede avente carattere pertinenziale non è soggetta a permesso di costruire, ma solo a dichiarazione di inizio attività, ex art. 22, comma 1, d. P. R. n. 380 del 2001;pertanto, la sua abusiva realizzazione non può essere sanzionata con ingiunzione di demolizione (ex art. 31 d. P. R. n. 380 del 2001), bensì solo con sanzione pecuniaria, ex art. 37, comma 1, d. P. R. n. 380 del 2001” (T. A. R. Calabria Reggio Calabria, sez. I, 11 febbraio 2009, n. 80).
Vi è di più: s’è visto, in precedenza, come la nota del 21.01.11 costituisca una conferma in senso proprio, essendo stata emanata, dopo lo svolgimento di un’ulteriore attività istruttoria (sia pur sollecitata dalle ricorrenti), rappresentata dal sopralluogo, svoltosi in data 18.01.2011, presso l’abitazione delle medesime.
Esaminando il contenuto del verbale di sopralluogo in questione, s’evince infatti che, nel corso del medesimo, le ricorrenti posero in risalto la questione della realizzazione della (nuova) pavimentazione in pietrame incerto all’interno della loro proprietà, ritenendo, per ciò solo, d’essere legittimate a tale tipologia d’intervento.
Ma nel licenziare l’atto di conferma impugnato, il responsabile del servizio ha omesso di motivare circa le ragioni, per cui ha ritenuto di discostarsi dall’impostazione della questione, propugnata dalle ricorrenti: ha omesso, cioè, d’esternare l’iter motivazionale, idoneo a sorreggere la nuova ponderazione degli interessi coinvolti, che, pure, il medesimo ha dovuto necessariamente effettuare, all’esito dell’accesso ai fini istruttori, di cui sopra.
Detta circostanza, oltre ad impedire, come già osservato, che la nota del 21.01.2011, a firma dello stesso responsabile del servizio, possa essere semplicisticamente liquidata come un atto meramente confermativo (con conseguente tardività del gravame), costituisce essa stessa un autonomo vizio di legittimità della medesima nota, puntualmente evidenziato dalle ricorrenti, nella censura sub 1) dell’atto introduttivo del giudizio.
Per tutte le considerazioni dianzi espresse, il ricorso deve trovare accoglimento;ne consegue l’annullamento dei provvedimenti gravati.
In conformità alla regola della soccombenza, l’Amministrazione Comunale di Sturno va condannata a rifondere, in favore delle ricorrenti le spese, le competenze e gli onorari del presente giudizio, liquidati come da dispositivo.