TAR Catania, sez. IV, sentenza 2020-08-31, n. 202002114

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. IV, sentenza 2020-08-31, n. 202002114
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202002114
Data del deposito : 31 agosto 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/08/2020

N. 02114/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00324/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 324 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G F, con domicilio eletto presso il suo studio in Vittoria, via Como 227;

contro

Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

il silenzio-rigetto del Prefetto della Provincia di -OMISSIS- serbato sul ricorso gerarchico avverso il decreto del Questore della provincia di -OMISSIS- Cat. A. 11/Imm/Div. P.A.S. prot. n. 1281/15, notificato in data 02.11.2015.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, Ufficio Territoriale del Governo -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2020 (svoltasi ai sensi e per gli effetti dell’84 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, convertito in L. n. 27/2020 e dell’art. 4 del D.L. n. 28/2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa) il dott. Emanuele Caminiti;

Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con istanza del 5 maggio 2015, l’odierno ricorrente, -OMISSIS-, presentava istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, per motivi di lavoro subordinato.

La Questura di -OMISSIS- (in riscontro a detta istanza) respingeva la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno (per motivi di lavoro subordinato).

In particolare, tale decreto era stato emesso poiché a seguito di accertamenti veniva riscontrata la mancanza di requisiti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato e nello specifico il requisito della sufficienza di reddito così come previsto dall’art. 13 comma 2 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394.

Avverso tale decreto, ritenendolo illegittimo, veniva proposto ricorso gerarchico avanti al Prefetto della Provincia di -OMISSIS-, rilevando in primo luogo che la valutazione relativa alla sufficienza del reddito, non si può fondare su “(…) un’acritica attività di accertamento documentale, in quanto nessuna disposizione del T.U. Immigrazione stabilisce che sia necessaria la dimostrazione del livello di reddito richiesto (…)” ;
diversamente, l’Amministrazione di p.s. avrebbe dovuto prendere in considerazione la situazione del richiedente nel suo complesso ovvero la storia lavorativa pregressa dell’interessato e la prospettiva di lavoro futura. In secondo luogo, veniva evidenziata la circostanza per cui il ricorrente non era stato messo nelle condizioni di portare a conoscenza dell’amministrazione della possibilità concreta della sottoscrizione di un contratto di lavoro.

Si costituiva in giudizio il Ministero dell’Interno che rilevava, preliminarmente, l’erroneità del rito prescelto dal ricorrente e, nel merito, contestava il ricorso perché infondato.

All’udienza del giorno 16 luglio 2020 (svoltasi ai sensi e per gli effetti dell’art. 84 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, convertito in L. n. 27/2020 e dell’art. 4 del D.L. n. 28/2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa) la causa veniva trattata e trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio, preliminarmente, in ordine all’eccezione sollevata dalla difesa erariale relativa all’erroneità del rito prescelto dal ricorrente, osserva che nella fattispecie in esame si configura un’ipotesi di silenzio diniego e non di silenzio inadempimento;
si richiama al riguardo l’articolo 6 del DPR 1199 del 1971 (disposizione normativa rubricata il “silenzio”) secondo cui “(…) decorso il termine di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso all'autorità giurisdizionale competente, o quello straordinario al Presidente della Repubblica (…)” .

Ne deriva che la presente controversia verrà trattata dal Decidente con rito ordinario.

Il Collegio, procede all’esame congiunto dei motivi di ricorso stante la stretta connessione logico-giuridica delle censure mosse al provvedimento impugnato determinandone di fatto una sostanziale inscindibilità delle stesse, e ciò sempre nel pieno rispetto del principio della domanda (e del diretto corollario processuale della corrispondenza tra chiesto e pronunciato) e dell’obbligo del giudice di esaminare tutti i vizi di legittimità costitutivi il thema decidendum (in termini vedi Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015).

L’odierno ricorrente lamenta che la Questura prima e la Prefettura poi non avrebbero tenuto in debito conto in sede di valutazione del requisito della sufficienza delle risorse economiche necessario per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per ragioni di lavoro, della esistenza di un’offerta di lavoro.

In particolare, il ricorrente si duole della mancata ponderazione, da parte dell’Autorità di p.s., dell’offerta lavorativa proposta al ricorrente e per aver l’amministrazione non valutato che la circostanza per cui la mancanza del reddito in capo al ricorrente era solo momentanea e transeunte.

Le censure sono prive di pregio e, per l’effetto, vanno rigettate.

Il Collegio preliminarmente osserva che, secondo il quadro normativo di riferimento così come interpretato dalla giurisprudenza maggioritaria in materia, il possesso della “disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno” richiesto dall’art. 4, comma 3, D. Lgs. n. 286/1998 costituisce “un requisito soggettivo non eludibile ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno” (ex plurimis, Consiglio di Stato Sez. III, 14 settembre 2018, n. 5409;
4 settembre 2017, n. 4189;
28 aprile 2017 n. 1971, 3 aprile 2017 n. 1524;
22 febbraio 2017, n. 843), e ciò perché “(…) la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose (…)” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza n. 2227 del 26/05/2016 e Cons. Stato, sez. III, Sentenza n. 2229 del 26/05/2016;
Cons. Stato, sez. III, Sentenza n. 1113 del 18/03/2016).

La valutazione di detto requisito (ovvero della sufficienza, o meno, delle risorse economiche) va effettuata ancorandola a parametri oggettivi, onde evitare un comportamento arbitrario da parte dell’Amministrazione;
come evidenziato da accorta giurisprudenza (vedi tra tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 2735 del 03/06/2015), “(…) in materia di immigrazione la misura del requisito reddituale, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, non è indeterminata e lasciata ad una valutazione caso per caso, bensì è stabilita, per il lavoro subordinato, dall'art. 29, comma 3, lettera b), anche richiamato dall'art. 22, comma 11, del d.lgs. n. 286/1998 (T.U. immigrazione), e per il lavoro autonomo, dall'art. 26, comma 3, del d.lgs. n. 286/1998 (T.U. immigrazione), e dall'art. 39, comma 3, del d.P.R. n. 394/1999 (…)” .

Pertanto, correttamente l’Amministrazione si è limitata a esaminare sulla base di una valutazione contabile se i redditi percepiti nei periodi antecedenti l’istanza di rinnovo fossero prossimi alla soglia dell’assegno sociale.

La ridottissima consistenza dei redditi che -OMISSIS- ha conseguito durante tutto il proprio periodo di permanenza in Italia, ha reso in concreto vincolata l’attività dell’Amministrazione procedente.

È, pertanto, pienamente legittimo, quale atto non solo vincolato, ma addirittura dovuto, il provvedimento di diniego di permesso di soggiorno emesso dalla Questura di -OMISSIS- e confermato dalla Prefettura.

L’odierno ricorrente, invero, ha avuto soltanto lavori occasionali e fonti di reddito assolutamente insufficienti, dunque, correttamente la Questura prima e la Prefettura poi hanno ritenuto che non fosse raggiunto il livello di sufficienza delle risorse economiche necessarie al fine di un adeguato auto sostentamento, atteso che il livello di reddito dello straniero è ampiamente inferiore alla soglia stabilita dall'ordinamento per l'assegno sociale.

Nella fattispecie, in maniera sufficientemente dettagliata risulta dal provvedimento impugnato quanto segue:

“(…) “presso la banca dati dell’Agenzia delle Entrate si rilevano redditi del tutto insufficienti al sostentamento e alla permanenza in Italia” e “presso la Banca dati dell’INPS si rilevano contributi pensionistico – previdenziali di pochi giorni all’anno, anche questi facenti riferimento a redditi del tutto insufficienti al sostentamento e alla permanenza in Italia (…)” .

Ne deriva inconfutabilmente che il provvedimento di diniego di permesso di soggiorno risulta essere (non solo, sufficientemente motivato e adeguatamente puntuale nella ricostruzione dei fatti, ma anche) caratterizzato e contraddistinto da ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza e imparzialità.

Nella fattispecie oggetto dell’odierno sindacato da parte del Collegio, l’operato dell’Amministrazione di pubblica sicurezza risulta immune da vizi.

In particolare, la Questura di -OMISSIS-, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non ha posto in essere, nello svolgimento dell’attività istruttoria di propria competenza, alcun comportamento caratterizzato o contraddistinto da negligenza o trascuratezza.

L’amministrazione di p.s., infatti, solo a seguito di una previa e accurata consultazione delle banche dati dell’Agenzia delle Entrate e dell’Inps (e, dunque, solo a seguito di una completa e compiuta attività istruttoria), è pervenuta alla conclusione secondo cui i redditi (riscontrati in capo all’odierno ricorrente) risultano del tutto insufficienti al sostentamento e alla permanenza in Italia, così come risultano del tutto inidonei alla permanenza del ricorrente in Italia i contributi pensionistici-previdenziali (che potremmo affermare, senza esagerazione, essere del tutto assenti).

Il Collegio si limita a osservare, altresì, che lo svolgimento di un lavoro purchessia non basta ai fini del rinnovo di un permesso di soggiorno;
è necessario che “lo straniero autorizzato a soggiornare in Italia abbia i mezzi indispensabili per poter vivere in maniera dignitosa, senza dedicarsi ad attività illecite o criminose, nonché ad evitare lo stabile inserimento nella collettività di soggetti che non offrano un'adeguata contropartita in termini di partecipazione fiscale alla spesa pubblica e soprattutto che finiscano per gravare sul pubblico erario come beneficiari di assegno sociale, in quanto indigenti” (TAR Veneto, Sez. III, sent. 12 novembre 2018, n. 1046;
Consiglio di Stato, Sez. III, sent. 9 agosto 2018, n. 4892).

Con specifico riferimento a detto profilo, l’Amministrazione di p.s. richiama

- l’art. 4, comma 3 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) “(…) Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4, l'Italia, in armonia con gli obblighi assunti con l'adesione a specifici accordi internazionali, consentirà l'ingresso nel proprio territorio allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza. I mezzi di sussistenza sono definiti con apposita direttiva emanata dal Ministro dell'interno, sulla base dei criteri indicati nel documento di programmazione di cui all'articolo 3, comma 1. Non potrà essere ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone, con i limiti e le deroghe previsti nei suddetti accordi (…)” ;

- l’art. 5, comma 5 sempre del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) “(…) Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno e' stato rilasciato, esso è revocato quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili. (…)” ;

- art. 13, comma 2, del D.P.R. n. 394 del 31 agosto 1999 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) “(…) Ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, fermo restando quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, del testo unico, la documentazione attestante la disponibilità di un reddito da lavoro o da altra fonte lecita, sufficiente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi a carico può essere accertata d'ufficio (…)” .

Non assumono rilievo le censure mosse da controparte relative alla mancata ponderazione da parte dell’autorità di p.s. della momentanea riduzione del reddito. I redditi assolutamente insufficienti prodotti dal ricorrente e i correlativi contributi pensionistico-previdenziali versati e risultanti dalle banche dati rendono del tutto irrilevante il fatto che essi possano continuare a essere prodotti in futuro, non modificando tale previsione una situazione di sostanziale non conformità ai dettami del terzo comma dell’art. 4 D. Lgs. n. 286/1998 anche per il futuro.

Pertanto, risulta inconferente il richiamo all’orientamento giurisprudenziale invocato da controparte in suo favore in detto contesto, in quanto il principio di diritto affermato in quella sede vale soltanto laddove il soggetto sia già titolare di un rapporto di lavoro che eventualmente sia cessato e, quindi, la difficoltà economica abbia carattere momentaneo, transeunte, riguardando una fase, quella immediatamente successiva alla cessazione di un rapporto di lavoro e di ricerca di un nuovo contratto di impiego.

Ne assume rilievo l’asserita mancata ponderazione da parte dell’Autorità di p.s. di un’offerta lavorativa proposta al ricorrente.

Sul punto, il Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia (vedi fra tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, Sentenza n. 284 del 26/01/2010), “(…) È errata la conclusione secondo cui sia sufficiente, ai fini del rilascio del titolo di soggiorno, la mera proposta di contratto di lavoro in favore dello straniero, considerato che a qualunque straniero basterebbe far sottoscrivere a un datore di lavoro una proposta di contratto di lavoro, senza necessità che questi retribuisca concretamente il lavoratore, affinché quest'ultimo possa conseguire il rilascio del permesso. Le norme del T.U. sull'immigrazione hanno infatti lo scopo di consentire l'ingresso agli extracomunitari, ma in modo razionale, equilibrato e senza che ciò determini pericoli per la sicurezza pubblica;
obiettivi, questi, che vengono perseguiti richiedendo allo straniero un regolare contratto di lavoro, dal quale scaturiscano adeguati redditi, sufficienti a garantirgli una dignitosa permanenza (…)”
.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha in molteplici occasioni concluso per il rigetto dell’appello avverso sentenza che aveva confermato il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro se “i fatti sopravvenuti non danno conto di una prospettiva reddituale sufficientemente remunerativa” ;
si tratta di una situazione assimilabile alla presente in cui comunque la prospettiva di una nuova assunzione ha carattere meramente eventuale (cfr., Consiglio di Stato del 12/07/2016 n. 3088). I fatti sopravvenuti per poter essere presi in rilievo devono essere tali da “sorreggere una prognosi che, anche a prescindere da ogni riferimento all'importo dell'assegno sociale, possa deporre nel senso della possibilità per l'interessato di procurarsi mezzi di sussistenza sufficienti e leciti” (vedi già citato Consiglio di Stato del 12/07/2016 n. 3088). Evidentemente non si tratta del caso di cui si discute ove quel che è stato presentato non è un contratto di lavoro regolarmente stipulato con una paga definita ma solo una dichiarazione di disponibilità all’assunzione. Peraltro, tale offerta di lavoro per potere assumere un qualche rilievo è necessario che provenga da un datore di lavoro la cui capacità occupazionale e reddituale sia stata accertata;
si richiama a proposito il consolidato orientamento giurisprudenziale (vedi tra tutte Consiglio di Stato, Sez. III, n. 117 del 19/01/2015), secondo cui “Ai fini dell'attendibilità e sostenibilità del rapporto di lavoro che si intende far valere ai fini del permesso di soggiorno, l'art. 30 bis comma 3, lettera b), del D.P.R. n. 394/1999 richiede che sia verificata anche la "capacità occupazionale e reddituale del datore di lavoro” .

Il Collegio, conclusivamente pronunciando sulla controversia oggetto di esame, rigetta il ricorso in epigrafe, e ritiene equo compensare le spese di giudizio.

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