TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-07-24, n. 202312388

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-07-24, n. 202312388
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202312388
Data del deposito : 24 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/07/2023

N. 12388/2023 REG.PROV.COLL.

N. 07989/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7989 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, Prefettura Ufficio Territoriale del Governo Parma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento di rigetto dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana (-OMISSIS-);


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Prefettura Ufficio Territoriale del Governo Parma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2023 il dott. Gianluca Verico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- In data 05.11.2014 il ricorrente ha presentato istanza per la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma primo, lettera e) della legge 5 febbraio 1992, n. 91, essendo titolare di permesso di soggiorno per asilo politico, da ultimo rinnovato in data 24.08.2013 secondo quanto risulta dagli atti del procedimento depositati in giudizio.

Il Ministero dell’Interno, previa comunicazione del preavviso di diniego ex art. 10- bis Legge n. 241/1990, con decreto n. -OMISSIS- del 28.02.2019 ha respinto la domanda dell’interessato ritenendo che non vi fosse coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza, ponendo a fondamento del diniego – operando nella motivazione un rinvio per relationem alle ragioni ostative enunciate nel preavviso di rigetto – un precedente penale emerso a suo carico, segnatamente una sentenza irrevocabile di condanna emessa dal Tribunale di Udine- Sez. Distaccata di Cividale del Friuli in data 15.04.2008 per il reato previsto e punito dall’art. 495 c.p. (falsa attestazione a pubblico ufficiale sulla propria identità personale).

Avverso il predetto decreto di rigetto ha quindi proposto ricorso l’interessato, deducendo i seguenti motivi di diritto:

I. “ Eccesso di potere per difetto e/o insufficiente motivazione, mancanza di istruttoria, violazione del giusto procedimento ”;

II. “ Violazione e falsa applicazione degli art. 4 e 7 della legge 7 agosto 1990 n 241: eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione del giusto procedimento ”;

III. “ Violazione e falsa applicazione dei principi costituzionali di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), anche in riferimento agli artt. 29 ss., 32, 38 Cost.;
violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 14 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;
violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost.;
illogicità ed irragionevolezza delle disposizioni impugnate;
eccesso di potere
”.

A fondamento del gravame lamenta essenzialmente:

- che il precedente penale posto a fondamento del diniego non sarebbe sufficiente a sostenere, sotto il profilo motivazionale, il diniego impugnato, in quanto il fatto di reato commesso è risalente e di lieve entità, tanto che è stata già presentata istanza di riabilitazione. Ne consegue che l’Amministrazione avrebbe fatto discendere da tale vicenda penale, in modo del tutto automatico, la mancata integrazione dell’istante nella comunità nazionale, senza fornire un’adeguata motivazione a sostegno;

- che il diniego impugnato è affetto anche da un grave difetto di istruttoria, in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto tenere conto in concreto della complessiva condotta del richiedente nell'arco dell'intero periodo di permanenza sul territorio nazionale, essendosi ormai compiutamente integrato nel tessuto economico e sociale ed essendo, altresì, titolare della carta di soggiorno di lungo periodo;

- che il decreto di rigetto, in definitiva, si fonderebbe “ su una palese discriminazione del ricorrente, basata solo sul fatto della sua condizione di cittadino straniero”.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso, depositando la documentazione inerente al procedimento nonché la relazione ministeriale.

In data 02.02.2022 il ricorrente ha depositato in giudizio l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna n. 2807 depositata il 21.08.2022 con la quale è stata concessa all’odierno ricorrente la riabilitazione dalle conseguenze giuridiche derivanti dalla condanna del 2008 sopra menzionata.

All’udienza pubblica del 16 maggio 2023 la causa è passata in decisione.

2.- I tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente perché strettamente connessi, sono infondati per le ragioni che seguono.

Appare utile, innanzitutto, in funzione dello scrutinio delle doglianze formulate nell’atto introduttivo del giudizio, una premessa di carattere generale in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento alla luce della giurisprudenza maggioritaria e dei precedenti dalla Sezione, che si riferiscono precipuamente all’istanza di cittadinanza presentata dallo straniero ai sensi della lett. f) dell’art. 9 della legge n. 91/1992, ma che ben si attagliano anche alla fattispecie in esame che riguarda l’istanza presentata dal rifugiato politico, equiparato a questi fini all’apolide ai sensi del combinato disposto degli artt. 9, comma 1, lett. e) e 16 della legge n. 91/1992 (cfr., ex multis , TAR Lazio, Roma, Sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018, 3471, 4280 e 5130 del 2022).

Invero, ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana " può " essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.

L'utilizzo dell'espressione evidenziata sta ad indicare che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue "una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale" (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato sez. III, 23/07/2018 n. 4447).

Il conferimento dello status civitatis , cui è collegata una capacità giuridica speciale, si traduce in un apprezzamento di opportunità sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del richiedente nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
n. 52 del 10 gennaio 2011;
Tar Lazio, sez. II quater, n. 3547 del 18 aprile 2012).

L'interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante (Tar Lazio, sez. II quater, n. 5565 del 4 giugno 2013), atteso che, lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi, rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri.

In altri termini, il provvedimento di concessione della cittadinanza in esame “ è atto squisitamente discrezionale di ‘alta amministrazione’, condizionato all'esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere e da uno ‘ status illesae dignitatis’ (morale e civile) di colui che lo richiede ” (Consiglio di Stato, sez. III, 07/01/2022, n. 104).

Pertanto, l’anzidetta valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo estrinseco e formale;
il sindacato del giudice, infatti, non si estende al merito della valutazione compiuta dall'Amministrazione, non potendo dunque spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (cfr., ex multis , Consiglio di Stato sez. III, 16 novembre 2020, n. 7036;
nonché, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2944/2022 su prospettive e limiti dell’applicazione del principio di proporzionalità in tale materia).

Quanto, in particolare, all’onere motivazionale, la giurisprudenza ha più volte precisato che l'ampiezza e la profondità dell'obbligo di motivazione del provvedimento di diniego della concessione della cittadinanza devono correlarsi allo stadio del procedimento penale, alla natura del reato commesso, nonché alla circostanza che esso sia stato commesso a distanza di tempo dal momento in cui l'istanza di concessione della cittadinanza viene proposta. Questi profili incidono anche sul livello di discrezionalità dell'amministrazione per la quale la valutazione della condotta penalmente rilevante deve costituire, a norma di legge, uno degli elementi rilevanti ai fini della decisione sulla concessione della cittadinanza, con la conseguenza che, “ nel caso di sentenza penale e, a fortiori , di sentenza passata in giudicato l'ampiezza e l'intensità dell'obbligo motivazionale relativo al diniego di concessione di cittadinanza può essere minore rispetto a quello che deve, invece, caratterizzare un diniego in presenza di una mera comunicazione di notizia di reato o di una denuncia, della quale il ricorrente potrebbe non essere al corrente ” (Consiglio di Stato sez. I, 04/04/2022, n.713;
cfr., in senso conforme, Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2021, n. 4151).

3.- Tanto premesso, ritiene il Collegio che, nel caso concreto, il Ministero abbia legittimamente esercitato il potere discrezionale di cui dispone, assolvendo adeguatamente all’onere di motivazione e senza venir meno ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità nel bilanciamento degli interessi, essendo pervenuta ad un giudizio di inaffidabilità e mancata integrazione del richiedente nella comunità nazionale alla luce di una valutazione globale volta ad assicurare preminente tutela ai principi fondamentali della convivenza sociale e dell’ordine pubblico.

Difatti, il Ministero ha motivato il diniego - seppure sinteticamente e operando un rinvio per relationem agli atti istruttori - ravvisando l’assenza della coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza italiana in ragione della predetta sentenza di condanna del 2008 per il reato di falsa attestazione a pubblico ufficiale sulla propria identità personale punito dall’art. 495 c.p.

3.1- Al riguardo, occorre evidenziare, sotto un primo profilo, che l’anzidetto reato è punito dall’art. 495 c.p. con la pena della reclusione da uno a sei anni. Tale precedente, pertanto, costituirebbe di per sé circostanza ostativa all’acquisto della cittadinanza per iuris communicatio, cioè per matrimonio con cittadina/o italiana/o, fattispecie prevista dall'art. 5 della Legge n. 92 cit., atteso che, in relazione a tale ipotesi, il successivo art. 6 dispone che “ precludono l’acquisto della cittadinanza ai sensi dell’articolo 5 (…) la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione” .

Quanto sopra esposto in relazione alla diversa fattispecie della cittadinanza per iuris communicatio – che prevede un vero e proprio diritto soggettivo per il richiedente (al fine di tutelare l’unità familiare del cittadino italiano) per cui la cittadinanza può essere negata solo nelle ipotesi tassativamente predeterminate dalla legge – vale, a fortiori , nel caso quale quello in esame in cui venga richiesta la concessione della cittadinanza per residenza, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 91/1992, rispetto alla quale il legislatore ha preferito non precludere all’Amministrazione la possibilità di valutare, “caso per caso”, anche diverse ed ulteriori fattispecie criminose (Cons. Stato, sez. III, n. 52/2011, 1726/2019, 8734/2019, 4151/2021;
TAR Lazio, sez. II quater, n. 1833/15;
3582/14;
n. 9947/2016, 324/2017;
TAR Lazio, sez. I ter, n. 11734/2019, 4632/2020;
TAR Lazio, sez. V bis, n. 2944/2022;
n. 4236/22;
n. 4295/2022;
4941/2022;
n. 5130/2022;
n. 5131/2022;
n. 6254/2022).

Del resto, valga altresì osservare che la falsa dichiarazione ad un pubblico ufficiale sulla propria identità costituisce una circostanza che è stata ragionevolmente valutata dall’Amministrazione nell’ambito del giudizio prognostico sull’inserimento del richiedente nella Collettività nazionale, tenuto conto che – come ripetutamente evidenziato anche da questa Sezione - le condotte integranti i reati di falso minano radicalmente il rapporto di fiducia con le Istituzioni dello Stato di cui si aspira a divenire cittadino (cfr., di recente, T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 2947/2022 e 3026/2022, con specifico riferimento alle false autocertificazioni in sede di domanda di concessione della cittadinanza italiana, ma con considerazioni che valgono più in generale, in cui la Sezione ha avuto modo di evidenziare che “il giudizio prognostico sull’inserimento del richiedente nella Collettività nazionale non possa essere ritenuto irragionevole o sproporzionato, ove si consideri la particolare rilevanza attribuita, nel procedimento di concessione della cittadinanza italiana alla dichiarazione non veritiera fatta dallo straniero “come comportamento indicativo di scarsa affidabilità nel rapportarsi con le Istituzioni dello Stato di cui aspira a divenire cittadino” ).

Ciò posto, vi sono anche ulteriori elementi che valgono a supportare la legittimità del provvedimento di diniego adottato dal Ministero resistente.

3.2- Invero, per quanto riguarda la dedotta risalenza al 2007 del fatto di reato contestato, per il quale il ricorrente è stato condannato con sentenza irrevocabile del 2008, il Collegio osserva che questo è stato commesso in quell’arco temporale - il decennio anteriore alla presentazione dell’istanza - che costituisce il “periodo di osservazione” in cui devono essere maturati i requisiti per la cittadinanza, ai sensi dell'art. 9 legge n. 91 del 1992, inclusi quelli dell’irreprensibilità della condotta (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2643/2022;
2944, 2945 del 2022), salvi i fatti di particolare gravità che possono essere apprezzati nel loro particolare valore “sintomatico” in quanto anche indicativi di tendenze caratteriali, potendo in tal caso essere considerati anche oltre il decennio (Consiglio di Stato sez. VI n. 52/2011, Consiglio di Stato sez. III n. 1726/2019, 5271/2019, 4122/2021;
TAR Lazio, sez. II quater, n. 10678/13, 5615/2015, 5917/21;
cfr., da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2643, 2945, 2946, 4469 del 2022;
cfr. con specifico riferimento al reato di resistenza a pubblico ufficiale;
nonché TAR Lazio, sez. II quater, 1833/2015, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2644/2022).

In altri termini, il mero decorso del tempo, anche ove fosse stato superiore al decennio, non può condurre, di per sé, ad escludere la loro portata offensiva nell’ambito del giudizio comparativo compiuto dall’Amministrazione che, nell’esercizio del suo potere valutativo circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale, può tener conto di un complesso di circostanze atte a dimostrare la suddetta integrazione. Tale potere si estende anche alla delibazione di comportamenti riprovevoli – quali quelli in esame – anche qualora risalenti e non certificati da pronunce giurisdizionali, poiché simile scrutinio si pone su un piano differente ed autonomo rispetto alla valutazione dello stesso fatto ai fini dell'accertamento di una responsabilità penale (Consiglio di Stato sez. III, 15/02/2019, n.802).

3.3- Si rende opportuno aggiungere che, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, non pare assumere alcuna portata dirimente l’intervenuta riabilitazione dell’istante per effetto della ridetta ordinanza n. 2807/2022 del Tribunale di Sorveglianza di Bologna. Appare sufficiente rilevare, infatti, che tale provvedimento, in quanto emesso successivamente all’impugnato diniego adottato il 28.02.2019, costituisce una circostanza di fatto che l’Amministrazione non poteva evidentemente prendere in considerazione e, conseguentemente, non potrebbe comunque inficiare la legittimità dell’atto impugnato, dato che questa va valutata alla stregua delle circostanze di fatto esistenti e note al momento della sua adozione (cfr., ex multis , Consiglio di Stato, sez. III, 07/01/2022, n. 104).

Peraltro, come costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, al di fuori dell’ipotesi considerata dal citato art. 6 in relazione all’art. 5, in cui la riabilitazione da parte del giudice penale ha effetti particolari che si giustificano con la natura di diritto soggettivo della cittadinanza per matrimonio con italiana/o, nel caso invece della cittadinanza per naturalizzazione, ai sensi dell’art. 9, la riabilitazione non comporta alcun automatismo circa l'ottenimento della cittadinanza, poiché lascia sempre in capo alla pubblica amministrazione la decisione discrezionale inerente alla concessione della cittadinanza: “ciò in quanto, come più volte pure sottolineato da questa stessa Sezione nella sua costante giurisprudenza, il mutamento dello status civitatis è un fatto di rilevante importanza pubblica e, pertanto, i requisiti di cui all'art. 9 della l. n. 91 del 1992, da leggere in combinato con gli elementi ostativi dell'art. 6, per quanto necessari, non risultano tuttavia da soli sufficienti . D etti requisiti infatti, oltre a non essere sufficienti, non costituiscono nemmeno una presunzione di idoneità al conseguimento dell'invocato status (v., ex plurimis , Cons. St., sez. III, 20/03/2019, n.1837;
13/11/2018, n. 6374).

In altri termini, in virtù della cd. pluriqualificazione dei fatti giuridici, mentre sul piano penale gli effetti della riabilitazione sono chiaramente diretti ad agevolare il reinserimento nella società del reo, in quanto eliminano le conseguenze penali residue e fanno riacquistare all’interessato la capacità giuridica persa in seguito alla condanna, viceversa, sul piano amministrativo, la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento.

Ne consegue che, nel riconoscere la cittadinanza ai sensi dell'art. 9 della l. n. 91 del 1992, pur se intervenuta la riabilitazione, l’Amministrazione è chiamata, comunque, a prendere in considerazione il “fatto storico” per il particolare valore sintomatico che può assumere in quel procedimento (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1788/2009, n. 4862/2010;
sez. III, n. 7022/2019;
T.A.R. Lazio sez. II quater, n. 10590/12;
10678/2013).

Nell’esaminare la domanda di cittadinanza di chi ha commesso un reato l’Amministrazione è chiamata ad effettuare la delicata valutazione discrezionale in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società e l’interesse del richiedente deve essere comparato con l’interesse pubblico, al pari di quando deve decidere se revocare la cittadinanza già concessa, dovendo tener conto dell’interesse della collettività sotto il profilo più generale della tutela dell’ordinamento, ovvero con lo scopo di “ proteggere il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà tra esso e i propri cittadini nonché la reciprocità di diritti e di doveri, che stanno alla base del vincolo di cittadinanza” (Corte di giustizia UE, causa Rotmann, punto 51).

Si tratta di principi comuni a diversi Stati, ai quali spetta in via esclusiva la competenza di determinare le condizioni e le modalità per l’acquisto della cittadinanza (in particolare per naturalizzazione), secondo un principio cardinale del diritto internazionale pubblico consuetudinario, richiamato anche dagli organismi internazionali e comunitari ove, incidentalmente, investono la materia (come nel caso richiamato, in cui la decisione di uno Stato Membro di revocare la cittadinanza concessa ad un cittadino di altro Stato incideva, per conseguenza, sulla cittadinanza comunitaria che da quella dipendeva).

Il richiamo al principio di proporzionalità in quell’occasione è stato determinato dal fatto che il soggetto veniva privato di uno status già acquisito e esposto alle conseguenze sfavorevoli (espulsione) della perdita di una situazione tendenzialmente destinata a durare nel tempo, mentre l’applicazione del medesimo principio risulta meno “giustificata” nel caso in cui invece si tratti di concedere la cittadinanza, in cui il richiedente ha una mera aspettativa all’acquisizione di tale status . Orbene, in tale prospettiva, nella ponderazione dei contrapposti interessi in gioco nel procedimento di naturalizzazione, occorre considerare che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto), per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee, e, peraltro, non comportano alcuna “interferenza nella vita privata e familiare del richiedente”, dato che l’interessato può comunque continuare a rimanere in Italia e condurre la propria esistenza alle medesime condizioni. Nell’operare il bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, va considerato che il sacrificio dell'interesse del privato consiste nel non conseguire immediatamente il pieno riconoscimento di tutti i diritti, consistenti nella sostanza nei diritti politici che consentono di partecipare all’autodeterminazione della vita del Paese mediante l’esercizio del diritto di elettorato (oltre che nel diritto di incolato e limitazione dell’estradizione), essendo il conseguimento di tale posizione differito al momento in cui si possono ritenere maturati in capo ad esso tutti i requisiti richiesti. Mentre, nel caso di accoglimento dell’istanza, le conseguenze sono tendenzialmente irreversibili ed interessano l’intera collettività in quanto il soggetto viene ad essere ammesso stabilmente nella comunità nazionale in via definitiva, con diritto di partecipazione alla determinazione delle scelte politiche. In tale prospettiva non può ritenersi sproporzionato, ove si considerino le gravità delle conseguenze per la generalità dei consociati, il provvedimento che nega la cittadinanza, in via di precauzione adeguatamente avanzata, a quei soggetti di cui si dubita che possano assicurare il rispetto dei valori fondamentali, quali la vita e la incolumità delle persone, la fiducia ed il riguardo per le Istituzioni dello Stato di cui entra a far parte, ed altri beni riconosciuti e tutelati dalla Costituzione.

Pertanto, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.

Da quanto esposto consegue che, nel caso di specie, anche se la riabilitazione fosse intervenuta prima del gravato decreto, l’istante non avrebbe comunque potuto beneficiare di alcun automatismo in ragione dei rilievi innanzi descritti, residuando in capo alla P.A. ogni valutazione discrezionale in merito alla richiesta concessione della cittadinanza.

3.4- Va disatteso, infine, anche l’ultimo profilo di censura con il quale si deduce che il provvedimento impugnato sarebbe “ fondato su una palese discriminazione del ricorrente, basata solo sul fatto della sua condizione di cittadino straniero ”. La difesa del ricorrente, in particolare, sembra sostenere che lo straniero stabilmente inserito in Italia abbia il diritto di godere degli stessi diritti di cui gode il cittadino, pena la violazione del principio di uguaglianza.

La doglianza non è suscettibile di positivo apprezzamento.

Per un verso, infatti, non è condivisibile l’eccezione del ricorrente laddove lamenta una discriminazione in ordine ai diritti fondamentali, atteso che, a prescindere dal provvedimento di accoglimento della domanda di cittadinanza, il godimento dei diritti civili ed economici è già riconosciuto, in condizioni di parità con il cittadino, dalla normativa nazionale (Carta Costituzionale e D. Lgs. n. 286/1998, c.d. Testo Unico sull’Immigrazione) e sovranazionale (CEDU e Carta dei diritti fondamentali dell’UE, c.d. Carta di Nizza).

Ciò posto, resta fermo che la condizione di straniero e di cittadino mantengono senza dubbio una distinzione, anche in ordine al godimento di alcuni diritti, ma tale differenziazione deve ritenersi fisiologica, ragionevole e, peraltro, vigente in ogni ordinamento. Si fa riferimento, in particolare, al novero dei c.d. “diritti politici”, che costituiscono il proprium dello status della cittadinanza e che sono riconosciuti allo straniero soltanto all’esito del provvedimento costitutivo dello status civitatis , che consente allo stesso di entrare a far parte, ad ogni effetto, del “popolo italiano”, con conseguente acquisto del diritto di partecipare all’autodeterminazione delle sorti, anche mediante l’esercizio del diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni nazionali (giacché la possibilità di partecipazione alla vita politica locale è già riconosciuto agli stranieri, anche se con modalità suscettibili di ulteriore evoluzione), oltre che l’assunzione di cariche pubbliche e di “pubblici uffici” (direttamente o indirettamente connessi all’esercizio di una frazione di “sovranità).

In tale prospettiva è senz’altro ragionevole che la situazione soggettiva del cittadino sia diversa rispetto a quella dello straniero, e che, rispetto al provvedimento “ampliativo” con cui viene conferita la cittadinanza “per naturalizzazione” , la posizione del richiedente assuma la consistenza di interesse legittimo e, come tale, ontologicamente sacrificabile - per tutte le ragioni sopra ampiamente descritte - all’esito di una valutazione di incompatibilità con l’interesse pubblico compiuta dall’Amministrazione.

Per altro verso, infine, il ricorrente sostiene che l’irragionevolezza ed il carattere apertamente discriminatorio del provvedimento impugnato emergerebbe dal fatto che l’Amministrazione avrebbe dovuto adottare immediatamente tale provvedimento di rigetto senza attendere un lasso temporale così ampio.

Anche tale profilo di doglianza si appalesa destituito di ogni fondamento, poiché l’Amministrazione è pervenuta al diniego qui impugnato soltanto all’esito di un arco temporale rivelatosi necessario per compiere gli opportuni approfondimenti, tenuto in particolare conto del notorio aumento esponenziale delle richieste di cittadinanza italiana e della scarsità di risorse di personale, pertanto non è dato ravvisare alcuna discriminazione.

Ne consegue che anche tale motivo di gravame deve essere respinto.

4.- In ultima analisi, considerato che il provvedimento di concessione della cittadinanza rappresenta un atto eminentemente discrezionale di "alta amministrazione” suscettibile di essere sindacato solo nei ristretti ambiti del controllo di legittimità – escluso ogni sindacato sostitutivo - ritiene il Collegio che la valutazione dell’Amministrazione sia esente da vizi di illogicità o irragionevolezza.

La tesi dell'istante non tiene conto dell'amplissima discrezionalità, informata anche a criteri di precauzione di profilo oggettivo (Cons. St., sez. III, 11 maggio 2016, n. 1874) e di cautela (Cons. St., sez. III, 29 marzo 2019, n. 2102;
6 settembre 2018, n. 5262), che - come già osservato - caratterizza il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, in quanto atto che attribuisce definitivamente uno status che comporta rilevanti conseguenze per il patrimonio giuridico del richiedente e sui suoi diritti all'interno dello Stato;
tale concessione può però comportare conseguenze altrettanto rilevanti, anche gravemente perniciose per l'interesse nazionale in caso di infelice concessione (T.A.R. Lazio sez. I - Roma, 05/05/2021, n. 5261). Proprio per la rilevanza di tale riconoscimento, l'art. 9, l. n. 91 del 1992 demanda al Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno, la concessione della cittadinanza.

Peraltro, considerato che, nel caso di accoglimento dell’istanza, le conseguenze sono tendenzialmente irreversibili ed interessano l’intera collettività in quanto il soggetto viene ad essere ammesso stabilmente nella comunità nazionale in via definitiva (con diritto di partecipazione alla determinazione delle scelte politiche), non appare sproporzionato il provvedimento che nega la cittadinanza, in via di precauzione adeguatamente avanzata, a quei soggetti di cui si dubita che possano assicurare il rispetto dei valori fondamentali, quali la vita e la incolumità delle persone, la fiducia ed il riguardo per le Istituzioni dello Stato di cui entra a far parte, ed altri beni riconosciuti e tutelati dalla Costituzione.

Nel caso di specie, il diniego risulta fondato sulla predetta sentenza irrevocabile di condanna a carico dell’istante che appare idonea a sorreggere adeguatamente il giudizio di inaffidabilità e non compiuta integrazione del ricorrente nel tessuto sociale, con conseguente esito negativo sulla concessione della cittadinanza.

Del resto, la valutazione del Ministero dell'Interno è avvenuta sulla base di accertamenti il cui esito, in termini di prognosi di idoneità allo stabile inserimento nella comunità nazionale con il conferimento della cittadinanza, rientra negli apprezzamenti di merito non sindacabili dinanzi al giudice amministrativo, se non per evidente travisamento dei fatti ed illogicità, vizi che non risultano sussistere nel caso di specie.

Né la natura di alta amministrazione del provvedimento gravato consente a questo giudice di sostituire valutazioni di merito, riservate all'Autorità amministrativa preposta, con altre, attesi i vincoli al sindacato giurisdizionale in questa materia.

Si rende opportuno osservare, inoltre, che la difesa della parte ricorrente non contesta la sussistenza dei fatti sopra indicati, ma si limita ad invocare la sussistenza della residenza in Italia protratta oltre il termine previsto dal legislatore e l’asserito inserimento nel contesto sociale, ritenendo che tali circostanze siano sufficienti al rilascio della cittadinanza; tali argomentazioni difensive, tuttavia, non appaiono idonee a scalfire il giudizio svolto dall’Amministrazione.

L’istante, infatti, non offre elementi che possano integrare meriti speciali, atteso che lo stabile inserimento, anche nella realtà economica, se, per un verso, rappresenta una condizione del tutto ordinaria, in quanto costituisce solo il presupposto per conservare il titolo di soggiorno, per altro verso rappresenta soltanto il prerequisito per la concessione della cittadinanza alla stregua di quanto sopra osservato.

Difatti, il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione presuppone l'accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell'interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze.

Il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile (salvi i casi di revoca normativamente previsti), si fonda su determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104) e, pertanto, presuppone che " nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda " (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657).

D’altronde, la particolare cautela con cui l'Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza che l’ordinamento riconosce al richiedente una volta mutate le condizioni oggettive sottese all'esito negativo originario.

In conclusione, il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, pertanto il ricorso proposto deve essere respinto.

5.- Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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